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Autore: Diomache    19/04/2015    2 recensioni
"Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te." Gabriel García Márquez
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Astoria Greengrass e Draco Malfoy sono promessi.
Ma non si vogliono.
Si detestano e la loro convivenza a Malfoy Manor è difficile e spigolosa, emergono gelosie, rancori e più il matrimonio si avvicina, più loro sono distanti.
Sullo sfondo, tutta la loro reciproca rabbia, la sofferenza mentre cercano di... redimersi o di trovare un nuovo posto nel Mondo Magico, di riadattarsi ad una società che li disprezza.
E non più perchè malvagi.
Perchè deboli.
Perchè è questo che accade a chi perde la guerra.
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Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Draco/Astoria
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Sono tornata!!!! Scusatemi tantissimo per l’attesa, purtroppo tra esami e tesi di laurea è stati un momento in cui anche volendo avere tempo non avevo proprio la testa di continuare a scrivere. Però eccomi qua.

Cercando di farmi perdonare, almeno un pochino, ho scritto un capitolo più lungo degli altri (me ruffiana :P)

Bene, bando alle ciance. Ringrazio di cuore chi ha recensito l’ultimo capitolo, cioè: clo_smile, raivo, fanny94 e chi ha aggiunto la storia tra i preferiti.

Spero che questo capitolo vi piaccia e che sia valso, almeno un po’, l’attesa.

A presto! Un bacio, D.

 

 

ACQUAMARINA

 

9. Chi sei, dove sei. Dove andrai (Perso nel vento)

 

Astoria’s POV

 

Chi sei, dove sei. Dove andrai.

Nei momenti di panico dicono che sia utile ricordarsi di se stessi, di smetterla di fantasticare sulle paure angoscianti e di piantare i piedi per terra. Cose concrete. Chi sei, dove sei. Il dove non è da indicarsi puramente con una connotazione geografica, è più un posto dell’anima, dove sei nel tuo percorso di donna o uomo, o una cosa del genere. Ma in presenza di confusione estrema può andare bene anche qualcosa di più fisico.

Tipo: mi chiamo Astoria Greengrass e mi trovo al numero dodici di Grimmauld Place.

Dove andrai. È la parte difficile e anche questa volta non è una coordinata sul mappamondo.  Ma  continuiamo ad accontentarci delle latitudini, per cui adesso è TempleX. Andrò a TempleX.

L’ultima volta che mi sono trovata in camera con la testa tra le mani in preda ad un attacco di panico, la risposta era Malfoy Manor.

 

Era il giorno del mio fidanzamento con Draco.

Ricordo che c'era il sole e che mia madre ne era entusiasta perché "con il sole è tutto più bello". Il significato ovviamente era che sotto il sole anche io avevo la speranza di apparire decente.

Avevo dormito bene la notte ma la mattina mi ero svegliata in preda all’ansia e solo dopo aver passato una buona mezz’ora in bagno a ripetermi stronzate ero riuscita a calmarmi. 

L’idea di incontrare Draco mi rendeva instabile. Ma non perché fossi già invaghita di lui (tutt’altro, godeva ben poco della mia stima, l’unico aspetto che potevo passargli era quello fisico) piuttosto perché la mia testa –meschina- si era fatta un’idea del tutto sbagliata della situazione.

 Mettiamola così: in qualche modo il mio cervello non accettava che i nostri genitori si prestassero alla più antica delle cazzate (il matrimonio combinato) e l’alternativa era fantasticarci su. Mi ero immaginata che anche a Malfoy Manor fosse scoppiato il pandemonio, che Draco avesse tentato di opporsi con tutte le sue forze e che alla fine, non potendo uscirne in nessun modo, avesse accettato con la sola clausola che fossi io la sposa.

Cioè, avevo immaginato che lui mi volesse. Visto che io non potevo scegliere niente mi ero augurata che almeno l’avesse fatto Draco, che almeno piacessi a Draco, che almeno qualcuno volesse tutto ciò. Si può essere così ingenui?

"Almeno voglio che sia Astoria Greengrass!" o qualcosa del genere.

Sì una cosa molto sciocca e romantica e senza alcun possibile riscontro con la realtà dei fatti.

(Nella realtà Draco Malfoy non si era opposto se non minimamente all’idea del matrimonio combinato e quando Lucius  gli aveva proposto il mio nome per la garanzia economica che ancora Greengrass rappresentava  lui aveva risposto “Ok” e basta. Fine.)

Quella mattina però io non potevo ancora saperlo.

Adesso, anche alla luce di tutto quello che è successo dopo, fatico quasi a riconoscermi nella scema con la testa vuota di quella mattina.

Nemmeno fossi sotto imperio, avevo finito per accettare tutto quello che la gente intorno a me continuava a propormi, che Daphne scrivesse per me una piccola pergamena con frasi da dire a Draco, che mio padre mi raccomandasse di sorridere tanto e parlare poco, e in ultimo perfino che arrivassimo a casa Malfoy con l'autista (abitudine che odiavo e che tra l’altro non ci permettevamo da mesi, per risparmiare. Ma rimanendo nell'ambito delle cazzate preistoriche, dovevamo esibire una ricchezza non posseduta, no?)

In nome della dissociazione mentale che avevo, feci scegliere a mia madre anche il vestito: un abito con la gonna a pieghe e lo scollo all'americana, calze coprenti, capelli legati alti ed un trucco inesistente acqua e sapone. Come le vergini di buona famiglia (anche se non lo sei).

Mi stavo presentando a casa di Draco come l'ultima delle sceme ma non perché effettivamente fossi brutta, semplicemente non c'era niente di me in quel look. Me ne accorsi (forse ero veramente sotto imperio) proprio quando l'autista concluse il viaggio atterrando davanti al Manor con il dolce sottofondo di mia madre che mi rimproverava perché ero silenziosa.

Guardandomi velocemente su una superficie riflettente vidi quella brava ragazzina che stavo interpretando ed avvampai di vergogna "Come diavolo mi hai conciato?" e senza badare a quel che facevo sciolsi rapidamente i capelli e misi più o meno il kajal arabo intorno agli occhi. Il risultato fu grottesco, lo ammetto: un'accollatura alta si sposava male con un capello sciolto e il kajal applicato a caso non era mai una buona idea.

Ma quando mia madre mi disse "Sei proprio una stronza" io capii che ero molto più vicina all’essere l’Astoria di sempre.

Nel frattempo si apriva per noi l'imponente cancello in ferro battuto del Manor e, varcandolo, notai che la rugiada mattutina, che non si era completamente sciolta, scrocchiava sotto i miei passi, uno dei miei rumori preferiti. Lo trovai di buon auspicio.

Ricordo che Narcissa Malfoy ci venne incontro tutta cerimoniosa e mentre mia madre l'adulava in complimenti non necessari (e non sentiti, conoscendola), il sole s'oscuro e si levò un vento tiepido che diede una ruotata alla mia gonna la quale si alzò, maleducata, mostrando più di quello che una ragazza-perbene-purosangue-non-attraente-come-la-sorella poteva permettersi. Così mentre Narcissa e mia madre ridevano nervose ed io lasciavo che quel vento capriccioso facesse di me ciò che voleva, sentii all’improvviso che l’impressione che avevo avuto fino a quel momento, di essere osservata, era reale.

Strizzando gli occhi potevo intuire il profilo di un ragazzo in piedi dietro una grande porta finestra, non potevo scorgerne granché i dettagli ma potevo benissimo immaginare i suoi piccoli occhi grigi puntati nei mei. Draco.

Inaspettatamente non mi colse alcuna timidezza.

Mi piaceva l'idea che il vento mi scompigliasse e che lui mi vedesse così. Era l'immagine più vera di me.

L’illusione che aveva mosso il mio deretano fino a lì, ad ogni modo, finì prima di quanto immaginassi.

“Draco” mi disse, una volta dentro, porgendomi la mano.

“Sì, so come ti chiami…”

“Anche io so chi sei, Asteria, ma mi sembrava normale presentarci, in una simile occasione.”

Fine dell’illusione.

Feci un passo indietro. Da lui e da tutto il resto, compresa la me stessa ancora illusa e speranzosa di tutto. “Astoria.” Dissi, con voce roca. “Mi chiamo Astoria.”

“Ah. Me l’hanno detto sbagliato. Vedi che serviva presentarsi.”

 

“Ehi.” Una voce femminile alle mie spalle mi desta dai miei pensieri catapultandomi in questa stanza grigia e poco illuminata, in questo letto dalle molle consumate, a grimmauld place.

 Non mi volto, l’ho riconosciuta. “Dimmi, Granger.”

“Ci chiedevamo se scendessi per cena.”

“No, vorrei prima fare questa.” lo sguardo mi cade sulla boccetta blu che ho in mano da un tempo indeterminato. Forse tutto il pomeriggio.

“Ma ci vorranno almeno tre o quattro ore, forse è meglio se mangi qualcosa prima”

“No, credo che lo farò subito.”

Il mio tono è un po’ ruvido e non ammette repliche; sento la Granger allontanarsi senza aggiungere altro.

Un po’ mi rammarico, per la cena, perché sicuramente a stomaco vuoto non si ragiona gran chè bene ma questa magia mi fa ansia e non mi piace rimandarla ancora. Inoltre questa sera ( a differenza dei giorni precedenti) a cena ci sono soltanto loro tre del trio meraviglie, che ci faccio io in mezzo a loro?

Non abbiamo argomenti, non abbiamo niente da dirci e, in ultimo, non sono così stronza come sembro; nonostante tutto sono grata a questi tre scemi e non ho voglia di rovinare l’atmosfera di questa cenetta di ritrovo. 

Da quello che ho capito questa era la casa della famiglia Black ( Draco e la sua famiglia mi perseguitano, a quanto pare), e Sirius Black, padrino di Potter, l’ha designata come covo dell’Ordine, quindi devono aver passato diverso tempo, tutti e tre, tra queste mura. Lo si capisce subito dal modo nostalgico con cui guardano tutto, a differenza degli altri.

Con un salto scendo dal letto, accompagnata da un cliiick delle molle usurate.

“A noi due, boccetta blu”

 

 

Draco’s POV

 

È passata da poco la mezzanotte. Non ne sono sicuro ma ad occhio e croce non deve essere molto tardi perché volando in macchina ho ancora incrociato qualcuno, per strada, tipo persone che portano a spasso il cane o chi butta l’immondizia. Questo per lo meno è quello che sono riuscito a registrare finché ho mantenuto un minimo di lucidità, dopo il livello di burrobirra è sceso velocemente dal boccale per salire veloce nel mio sangue e tutta la scorta che avevo in macchina se n’è andata in capo ad un’ora, un’ora e mezza.

Sono completamente ubriaco. Adesso posso aggiungere anche sbronzo alla lista di tutti gli aggettivi che mi posso aggiudicare, dallo stronzo allo stanco morto, dall’idiota al disperato. Adesso c’è anche sbronzo, dicevo, ed è quello che ci voleva perché dopo quasi 48 ore di rabbia e di fumo, adesso è venuto il momento dell’alcool; l’alcool non arriva subito o ti blocca del tutto, arriva alla fine quando hai l’ultima possibilità ma sai già che sarà vana ed hai bisogno di un aiuto per reggere il suono del crollo di tutte le tue speranze.

Freno forte a mezz’aria e mi calo con una manovra poco accorta sul marciapiede davanti a casa Potter, davanti al suo giardinetto mediocre e il cancello in ferro battuto nero. Tutto molto modesto perché lui anche se ha guadagnato due lire non può certo comprarci una casa decente, oh certo che no, avrà evoluto tutto a qualche organizzazione no-profit che fabbrica grattaculo per gnomi o robe di questo tipo, tutto è misurato ed umile nella sua persona, tutto così insopportabilmente patetico.

Apro la portiera ed esco, appellandomi ad automatismi più che ad una reale possibilità di movimento, facendomi leva sulle mani, mentre il mondo attorno a me o ruota o rimane troppo sfocato.

Forse ho esagerato. Parlo dell’alcool. Ho calcolato male i tempi, adesso dovrei affrontare Potter con più sale in zucca e invece vedo il suo bruttissimo portone mogano obliquarsi davanti a me. Maledizione.  

 

“Signor Malfoy, la chiamo dalla segreteria del San Mungo.”

“… Che c’è. È successo qualcosa alla signorina Greengrass?”

“Assolutamente no, Signor Malfoy, volevo solo avvisarla che per il pagamento della degenza della signorina Greengrass c’è tempo fino alla fine del mese. Chiamiamo lei perché ha firmato lei il consenso al ricovero quando la signorina…”

“Sì, va bene, va bene. Mandatemi il conto quando la dimetteranno”

“Signore, la signorina Greengrass è già stata dimessa.”

“Che cosa.”

“Da almeno 48 ore.”

 

Con un po’ di fortuna riesco addirittura a camminare dritto fino alla loro porta di casa, una porta di legno – come ho già detto - rosso mogano, che non solo è di cattivo gusto, ma è anche una maleducata: prima appariva obliqua, adesso si è raddrizzata ma non smette di prendermi per il culo: se mi avvicino io pare che si allontani, se sto fermo si avvicina lei. Boh.

Non è il momento di pensare alla porta comunque. Anche perché lei a parte, mi sento più solido, forse sto meglio, sto-meglio. Non so se mi sto autoconvincendo ma da qualche parte dovrei avere dell’acqua, ah si? Sono così lucido da portarmi dell’acqua in giro? No, aspetta, per quale motivo ho dell’acqua e non la burrobirra nella bisaccia? Avrò mica finito la burrobirra? Ma quanta ne ho bevuta?

Sono fuori casa da almeno 5 ore. Senza criterio, ho viaggiato per tutta la Londra Magica, sono andato dalla sua famiglia, non che sperassi di trovarcela, sono andato da Daphne, ma niente…  ho cercato di evitare di coinvolgere i miei genitori ma l’hanno saputo subito e subito hanno dovuto dire la loro opinione: che ero uno scemo a cercarla, che era meglio così, che era una traditrice, e che meritava di essere scomparsa nel nulla. Mia madre, disperata, per avermela messa in casa, mio padre risoluto nel volerla sapere il più lontano possibile dal nostro nome. Chiacchiere a parte da loro ho trovato un indizio: traditrice. L’aveva detto Pancy e me n’ero dimenticato.

Sono corso da lei, altro buco nell’acqua: la sua casa era vuota ma non il suo frigorifero. Da lei mi sono rifornito di burrobirra e anche qualcosa di più forte trovata nella sua dispensa segreta di cui ho ancora le chiavi. Quella scema di Pancy non le ha nemmeno chieste indietro.

Ad ogni modo non ho niente in mano. Niente se non quest’ultima chiacchierata, niente se non la certezza che la tengano loro da qualche parte, come le avevano proposto. Io l’ho lasciata sola, in quella stanza, a combattere contro i suoi demoni, con il suo utero vuoto e l’anima a pezzi, non… volevo, ma non potevo fare altrimenti perché avevo bisogno di gestire i miei, di demoni. L’idea che lei fosse davvero mia, non solo nel letto, aveva acceso in me qualcosa di sopito, un’ebbrezza che non conoscevo, che mi confondeva, piacevolmente, le membra, e non ho retto la doccia fredda di quel racconto.

La possibilità che il suo cuore non fosse realmente mio, diviso nell’amore per quella pertica rossa, un rivale scorretto perché morto (e non per mano mia) combattendo (come lei) nel giusto (mentre io scappavo).

Ho scelto di odiarla, prima che di capirla. Ho scelto l’orgoglio ( e lei la fuga).  

 

“Signor Malfoy, il dinosauro… piange, è fuori controllo.”

“Lasciatemi in pace.”

“Ma Signore, ha completamente distrutto la sua camera e piange disperatamente la sua padrona. Se solo poteste chiedere alla Signorina Astoria di passare un attimo al Manor…”

“… Ha distrutto la sua stanza?”

“E quel vestito, Signore.”

“Non importa. Lasciatelo fare.”

 

Una mano leggermente tremante, la mia, scorre sulla fronte sudata e porta indietro i capelli, stropiccia gli occhi nel tentativo di ridurre le immagini sovrapposte ad una unica figura, fruga nella bisaccia per avere di nuovo un sorso d’acqua, acqua che passi nelle mie membra febbricitanti d’alcool.

Che cazzo sto facendo.

La testa martella il ritmo di un cuore sfiancato ogni volta che cambio direzione in modo troppo repentino, vuole ricordarmi che sono lento e flaccido stasera, che sono un omuncolo vestito griffato, solo come un cane.

All’ennesimo sorso d’acqua mi decido ad agire. Questa stupida, vecchia porta da quattro soldi è l’ultima risorsa che ho. Muovere ritmicamente il braccio per bussare mi pare quasi faticoso come riemergere da questa sbronza che potevo risparmiarmi. Busso diverse volte ma nessuna reazione dall’altra parte. Dannazione, possibile che non ci sia nessuno? Possibile che stiano tutti all’Ordine, anche nel cuore della notte?

Mi faccio più irruento e busso di nuovo, la mano mi fa davvero male e le nocche stanno diventando rosse ed insensibili quando sento dei piccoli movimenti dall’altro lato. Allora ci sei. Arrivano giusto in tempo perché sto attirando troppo l’attenzione, qualche finestra buia si accende, nel vicinato.

“Andiamo, Potter!- mi sforzo di non urlare- Apri questa cazzo di porta, devo parlarti immediatamente! Apri ti ho detto!”

Il rumore di un chiavistello che si disinnesca. L’uscio che si muove verso di me, lentamente, lasciando una fessurina buia tra questo e il capostipite. Un triangolo di luce si irradia sul marciapiede ma la figura che ne emerge è troppo esile perfino per essere Potter. È la Weasley.

Dannazione.

“La tua famiglia è una persecuzione, lo sai Weasley?”

Ha i capelli legati e lo sguardo allucinato, indossa una vestaglia da camera allacciata stretta in vita e nella destra impugna la bacchetta, lo so perché la porta alta, verso di me, e si ferma solo quando raggiunge il mio mento. “Che cazzo vuoi Malfoy”

“Voglio parlare con Potter.” Deglutisco forzatamente e mi schiarisco la voce.

La faccia di Ginny Weasley mi appare sfuocata ma non più doppia: è già qualcosa.

Abbassa la bacchetta “Harry non c’è per cui vattene immediatamente.” La porta fa per chiudersi e io mi lancio in avanti. “Aspetta!!!” appena in tempo per fermarla. “Parlerò con te, allora.”

“Oh che gentile concessione, peccato che io non ne abbia nemmeno la più pallida intenzione!”

“Solo un secondo...” biascico un po’, passandomi un’altra volta la mano sul viso. Sento il suo sguardo giudicarmi dalla testa ai piedi, tipico di questi piccoli ipocriti sempre nel giusto. “Solo un secondo, ti chiedo.”

Serra la mandibola e stringe gli occhi. “Sei ubriaco. Puzzi d’alcool in modo indecente.”

“Sì, beh, nemmeno tu sei una visione.” La porta mogano minaccia ancora di chiudersi bruscamente e sono costretto a pregarla di nuovo. “Ferma! Senti si tratta di Astoria… dimmi dov’è e me ne vado.”

In qualche modo, mi sembra che cambi espressione. “La Greengrass.” La sua mano sembra stringere più forte la sua bacchetta, sempre a mezz’aria. “Dovrei aiutarti a trovarla? Perché? Non sono una sua fan ma sicuramente mi piace molto di più di quanto mi piaccia tu.” La punta della sua bacchetta scende fino a toccarmi il petto ma non come prima, questa volta preme come a volermi arrivare al cuore. Come se ci fosse rimasto qualcosa.

“Devo ritrovarla.”

“Sì questo l’avevo capito.”

“Io…” È l’unica cosa che riesco a dire. La mia testa brulica di confusione, la burrobirra, sadica, mischia episodi accaduti ed altri solo sperati, tracce di conversazioni sussurrate sotto le lenzuola ad immagini, il suo modo di inarcare il sopracciglio quando non è d’accordo, la sua naturale espressione un po’ altera, i capelli e il modo in cui si intrecciano fra le mie dita o gli starnuti che faccio se mi finiscono nel naso, Sliyter che piange la sua assenza e quel vestito da sposa rimasto in una stanza vuota, appeso ad un modellino di plastica senza testa, a brandelli. Come tutto il resto.

“E perché? Per farle ancora del male? Per comunicare ai tuoi amichetti dov’è e farla fuori?” lei alza la voce, deliberatamente; forse non si sente tranquilla a parlare con un ex-mangiamorte nel cuore della notte, ed ottiene quelle vuole, alla fine molte altre luci si accendono nelle casette vicine, qualcuno, curioso, sporge addirittura fuori la testa per vedere che succede.

“Io …no… ma che cazzo dici.”  Io però parlo sempre basso, non abbocco al suo gioco. “Lo sai sì che noi dovevamo sposarci e che…”

“Poche chiacchiere.” È molto più incisiva di come ricordassi. Non ha la testa vaga dei fratelli. “Ha scelto l’Ordine e non ha incluso anche te. Ha scelto noi, Malfoy. – non ha idea di come quel noi scavi nella mia mente – Fatti da parte.”

“… aspetta. Ti ha detto lei queste cose?”

 

“Se n’è andata, Signore. Ha chiesto di essere dimessa ed ha firmato contro parere medico”

Nella stanza che ha lasciato intonsa nemmeno un biglietto, un indizio, nemmeno un insulto per ricordarmi che sono una bestia, un codardo, che non la merito, che ne ha abbastanza. Niente.

 

“IO ti ho detto di andartene e tanto deve bastarti.”

Un nuovo capogiro, più forte degli altri, rischia di togliermi qualsiasi possibilità di ragionamento.  Ho bisogno ancora di acqua, la cerco mettendo mano alla cintura per arrivare alla bisaccia ma la Weasley, prevenuta, deve aver pensato che cercassi la bacchetta perché alza di nuovo la sua alla mia gola.

“Non-muoverti.”

“Sei proprio una scema, Weasley, io…” faccio un passo indietro per cercare di calmare i suoi sospetti ma improvvisamente non ho più terreno sotto i piedi.

L’ultima cosa che registro è l’impatto forte con il suolo che ha il suono di una gigantesca saracinesca che si chiude sulla mia coscienza confusa dagli effluvi della burrobirra e l’alcool che mi tira nel suo sonno rassicurante molto prima dei tempi previsti. 

 

“Ci sarai quando mi sveglierò?”

 

 

Astoria’s POV

 

Non mi sono ancora guardata.

Sono uscita dall’acqua da alcuni minuti ma non ho ancora sbirciato il mio aspetto. Non ho il coraggio.

Lo specchio che ho di fronte è ancora completamente appannato dal vapore acqueo che il mio lungo bagno di bellezza ha prodotto e non ho nessuna voglia di pulirlo. Mi trovo in un piccolo bagno, all’ultimo piano della casa, da circa quatto ore.  L’ho scelto io, tra tutti i bagni, perché gli altri tre mi davano l’angoscia, troppo simili alle magnificenti sale da bagno di Malfoy Manor; non c’è da stupirsi, in quel periodo d’oro le famiglie di quella generazione di citrulli hanno costruito tutte case molto simili tra loro, tra purosangue bisogna sapersi riconoscere. Solo la mia famiglia e poche altre hanno mantenuto abitazioni più modeste, ma i motivi non sono i più nobili: semplicemente mia madre amava manifestare il suo status economico più con gioielli e vestiti delle ristrutturazioni.

Due piccoli tocchi sulla porta mi destano leggermente dai miei pensieri.

“Che c’è.” Rispondo, con la voce roca, rabbrividendo leggermente alla ricerca di un accappatoio.

“Sono io.” Risponde dall’altra parte.

“Ah, sei tu.”

 È Teddy, un piccolo moccioso di cinque o sei anni, è orfano, qualcuno ce l’ha in affido ma non ho ancora capito chi, so soltanto che sta qui più che a casa propria ed io c’ho fatto amicizia quasi subito. Sono arrivata da quasi due giorni e lui è stato l’unico con cui mi sono sentita di parlare volentieri. I membri dell’Ordine hanno la superbia di coloro che sanno di aver avuto ragione ma io non sono disposta a dismettere la mia abituale alterigia, nemmeno per un po’.  Il risultato è che parlano solo di me e mai con me, in ogni occasione.

“Che vuoi mocciosetto.”

“Datti una mossa. Discutono che è quasi ora.”

“Chi? Il trio?”

“No sono arrivati tutti. Spicciati!”

 “E che altro dicono?”

Sento il bambino ridacchiare. “Non fare la furba.”

“Umh. Okay.”

Sento i suoi passi allontanarsi velocemente. È il figlio del professor Remus Lupin e di un’altra di cui non conosco il nome, entrambi morti durante la battaglia. Sembra che il suo essere orfano gli abbia davvero dato una marcia in più o forse ha preso dalla madre, non lo so. Dubito che abbia preso dal padre, da quel che mi ricordo il professor Lupin aveva l’aria da uomo buono e coglione, mentre suo figlio ha un guizzo vivace negli occhi. Talmente sveglio che ha subito intuito che avevo bisogno di sapere tutto ciò che i chiacchieroni dell’Ordine dicessero alle mie spalle ed è stato ben felice di origliare per me; a pagamento, s’intende. Gli do cinque penny per ogni informazione valida. 

Lo so che suona meschino, ma non riesco a fidarmi più di nessuno. Dovrei fidarmi di loro ma non li conosco, mi tengono a distanza nemmeno avessi la peste, mi dicono mezze parole e Potter mi fissa da sopra i suoi occhiali, parlandomi come si parlerebbe ad un animale pericoloso. Non mi stupirei se da un momento all’altro usasse il serpentese per rivolgersi a me.

Adesso però devo sbrigarmi. È venuto il momento di vedere cos’era davvero, la boccetta blu.

Senza pensare, senza anestesia, do una manata veloce allo specchio che ho di fronte: l’impronta lucida della mia mano sull’opacità dello specchio restituisce la mia nuova immagine.  “Per Salazar” sussurro mentre con una certa foga pulisco tutto lo specchio per vedermi intera.

Quasi non riesco a credere a ciò che vedo. “… sembro mia madre.”

Sì, ho l’aspetto di una donna di almeno senssant’anni. La pozione in cui ho fatto il bagno e che prometteva di cambiare il mio aspetto e renderlo diverso per il viaggio non ha tradito le aspettative. Adesso i miei capelli sono più grigi che neri, il mio viso ha diverse rughe e tutto il corpo ha perso la tonicità che possedeva, a partire dal collo la cui pelle cede leggermente alla gravità.

Sospirando all’ennesima umiliazione di questi cazzo di Auror, inizio a vestirmi con quello che mi hanno preparato: biancheria dozzinale e troppo grande per la mia taglia, una gonna panna a tubino con delle scarpe nere col tacco basso ed una camicia marroncina (nessuno al mondo se non loro avrebbe fatto quest’abbinamento), completiamo il quadro raccogliendo i capelli con il pesce più brutto che siano riusciti a trovare ( e devono essersi impegnati davvero, nella ricerca) un filo di perle ( manco a dirlo che sono false) e un volto senza trucco.

“Resisti, Astoria. Resisti.”

Ovviamente quando hanno detto aspetto diverso non hanno aggiunto che mi avrebbe regalato la visione della me stessa a 60 anni portati male, ovviamente, ma avrei dovuto forse intuirlo da sola quando Teddy mi ha riferito che quella scema di Angelina Johnson sghignazzava come una iena caldeggiando per quest’incantesimo.

È stata lei a venirmi a prendere al San Mungo, ha controllato i bagagli che mi erano arrivati (preparati gentilmente da Olga) dal Manor come se si aspettasse che nascondessero chissà cosa e per qualche strana ragione mi ha energicamente consigliato di gettare tutti i miei vestiti preferiti. “Devi essere il più anonima possibile!” e quando le ho fatto notare che ci sono persone che risulterebbero anonime anche se Chanel in persona le preparasse la mattina, ha messo su un muso che le ha impedito qualsiasi forma di conversazione fino a Grimmauld place.

Ovviamente l’ostilità nei miei confronti non si è placata col susseguirsi delle ore, tutt’altro; nelle animate discussioni che sono sorte con Potter e gli altri lei s’accaniva contro il mio punto di vista in modo esagerato e palesemente ostile, tanto da essere richiamata perfino dalla Granger. Ad un certo punto, in una delle discussioni, sono sbottata in un “stai zitta, Johnson!” e lei mi ha corretto con uno sguardo superbo “….Weasley, vorrai dire!” e tu no, completava la frase ma questo l’ha solo pensato ovviamente.

“è gelosa.” Mi ha spiegato Teddy, poco dopo, “Tutti dicono che si sia accontentata del gemello sopravvissuto”

“Che c’entro io?”

“Io questo non lo so, sono solo un bambino.”

Mannaggia a te, Fred. Questo deve essere l’ultimo dei tuoi tiri, farmi lasciare dal mio futuro marito e farmi travestire da vecchia decrepita per soddisfare le frustrazioni della tua spasimante della scuola.

Esco dal bagno e trovo Teddy ad aspettarmi. “Sei bruttissima!” esclama scoppiando a ridere di gusto. Reazione prevedibile ma non posso certo biasimarlo. “Piantala o non vedrai nemmeno un penny, parola mia.”

Ma lui continua a ridacchiare trotterellandomi accanto mentre scendiamo di sotto, passando per le scale di servizio in legno, lui è più veloce e scattante di me che devo ancora adeguare la mia andatura alle nuove calzature.

Ad onor del vero sono molto preoccupata. È per questo che cammino piano.

In una manciata di giorni ho perso completamente il controllo della mia vita e delle mie azioni, ho cambiato più volte umore che d’abito passando dalla disperazione assoluta, una volta arrivata qui dal San Mungo, con Teddy che mi tirava i pop corn quando mi sentiva singhiozzare con la faccia premuta sul cuscino, ai tentativi di autoconvincimento di forza ed euforia “ce la farò, ce la farò, ce la farò”, alla psicoanalisi spicciola per placare l’ansia (mi chiamo Astoria Greengrass…) all’attuale terrore puro all’idea di ciò che mi aspetta.

Nessuno dell’Idra è qui con me. Le persone che sono state intercettate faranno più o meno il mio stesso percorso ma con modi e mezzi diversi, per disperdere un po’ le tracce, anche se alla fine dovremmo trovarci tutti allo stesso posto, a TempleX (nome in codice). Il pericolo è concreto, comunque.

Sembra sia sorta un’illegale organizzazione clandestina che raggruppa ex-mangiamorte scappati alla Legge, buoni a nulla e vecchi biliosi nostalgici, pronti a vendicarsi, a loro dire, dei torti subiti. Chiaramente noi al momento siamo un bersaglio facile, forse l’unico e sembrano molto ben organizzati visto che da quello che mi hanno detto (sempre col contagocce), uno dell’Idra è quasi morto in un loro attentato.

L’unica cosa che mi rende tranquilla è l’idea che per lo meno il mio viaggio sarà a metà tra il treno e il nottetempo e non dovrò volare o prendere mezzi di fortuna. E anche che la base Auror a TempleX è quella dove lavora adesso Dean.

Non credo che sarà felice di vedermi considerando che è stato mio padre (o Draco?) a spedirlo lì ma sono comunque sollevata all’idea di avere una faccia conosciuta tra le tante argute menti Auror. Quanto meno se lui mi odierà sarà per qualcosa di concreto e non per antipatia aprioristica o per gelosie assurde su persone morte anni fa.

Mi blocco per qualche frazione di secondo ma Teddy non lo avverte e va avanti spedito. Tutto in continuazione mi riporta a lui. Così tanto che non potrei sopportarlo ancora. come se la mia mente non potesse fare a meno di farlo, periodicamente, come una tortura a cui non posso sottrarmi, la mia testa ritorna su Draco. Già, Draco.

Ho sperato tutti i giorni di avere sue notizie, in qualche modo, o che qualcuno dell’Ordine riferisse cose di lui che mi riguardavano, che mi aveva cercato, che era impazzito di dolore, che mi voleva ancora. Niente. Forse era solo questo il pettegolezzo che volevo che Teddy mi riferisse.

Arrivo all’architrave del salone dove i cervelloni mi attendono, Teddy si ferma qualche passo prima di me. “Io non entro o penseranno che io e te ci parliamo.”

Sorrido notando che ha i capelli di nuovo diversi rispetto a prima. Cambiano colore, di tanto in tanto.

“Greengrass hai un aspetto orribile!” esclama Paciock allargando le braccia e ridendo bonariamente accompagnato dalle risate generali di tanta altra gente, dalle più sguaiate di Angelina a quelle un po’ più a mezza bocca della Granger.

Il salone principale dove avvengono i momenti di discussione è una grande cucina che condivide l’aria decadente di tutta la casa. Abbiamo il pienone questa sera, solo pochi assenti della famiglia Weasley (George, Ginny e i capifamiglia), per il resto, ci sono persone che non ho mai visto in questi giorni, probabilmente nuove leve ex Corvonero e TassoRosso, credo. (Nessuno studente novellino è più ammesso)

 Comunque mi unisco al gaudio generale salutando tutti con un mezzo sorriso e mi siedo al loro tavolo di legno coperto di scartoffie con mappe e disegni di pennarello rosso intervallati da cestini pieni di dolci che qualcuno mangia lasciando briciole ovunque. 

“Dai Astoria mangia qualcosa, questi li ha fatti Luna!”

Incrocio il suo sguardo vacuo dall’altra parte della stanza. Mi sorride e mi fa ciao con la mano, è la prima volta che la vedo da quando sono qui. Da quel maledetto giorno.

Draco. Di nuovo. Mi manca. Posso sentire ancora il tocco del suo sguardo sulla mia pelle, quando per la prima volta avevamo realizzato entrambi che non stavamo più giocando a fare la coppia in procinto di diventare una famiglia, ma lo eravamo diventati davvero. Per una manciata di minuti. 

Ma è troppo tardi ormai, anche per i rimpianti.

“Grazie non ho tanta fame” rispondo, benevola, sforzandomi di apparire comunque serena nei panni di un’ultrasessantenne. Ma che sorrida o meno non cambiano le cose, che faccia finta di apprezzare i loro piani strategici e le loro protezioni, non importa in realtà: le mie reazioni, quello che dico, le mie espressioni sembrano sempre troppo poco a loro, lo percepisco.

Anche adesso che il mio stomaco è una morsa d’ansia, loro hanno già deciso che sono una maleducata.

“non hai nemmeno cenato, dovrai pur mangiare qualcosa” insiste una tipa di cui ricordo a malapena il nome. Nonostante l’ora un po’ tarda tutti sgranocchiano dolciumi vari, comunque, tutti tranne Cho Chang, in disparte con un bicchiere d’acqua in mano e lo sguardo sempre fisso su Potter. Mio Dio, ancora dopo tutto questo tempo?

“Dai Greengrass, cominiciamo.” È proprio lui, Potter, a prendere parola. Ha lo sguardo autorevole di chi vuole trasmettere ottimismo e forza d’animo, ma continua ad avere un’aria circospetta, con me.

“Ricapitoliamo tutto il viaggio un’altra volta. Tappa dopo tappa, ok?”

 

 

Draco’s POV

 

È una scena che ricordo come familiare. Deve essere accaduta un sacco di volte. Io all’inizio tornavo sempre troppo tardi, non prima delle dieci di sera, molto spesso essendo già sbronzo ed avendo già scopato, ma sempre inquieto e pronto a combattere qualsiasi cosa. Anche a casa. Anche lei.

Ma prima di contagiarla, sempre, con la mia rabbia aprioristica, prima di dire qualsiasi cosa, appena tornato, c’era un istante che amavo tenere per me soltanto, il momento esatto in cui la vedevo e lei non s’era ancora avveduta della mia presenza. La maggiorparte delle volte la coglievo nel grande salone a leggere qualcosa, con la sottoveste color limone addosso, e Slyter accucciato (senza nessun ritegno, per un dinosauro) sulle sue gambe. Una delle sue mani a reggere il libro, l’altra che spesso scendeva ad accarezzare il rettile.  Un piccolo cameo di perfezione incontaminato da qualsiasi rancore o discussione, lei che per qualche miracolo era lì nel mio salotto.

Come adesso.

“Astoria?” Possibile che sia davvero qui? Provo a chiamarla di nuovo ma lei non alza gli occhi dal libro, chiamo Slyter a me ma sembrano non vedermi nemmeno. Corro verso di loro, la prendo fra le braccia “Astoria, sei tornata?” e nel momento stesso in cui lei alza finalmente lo sguardo su di me…

“Aaaah!”

“Aaaaaaaaaah! Ginny!”

Un trambusto generale fatto d’urla, di un cuore saltato in gola ed uno scatto dal divano ( non mio), una donna in piedi, bionda, con in braccio una figlia entrambe urlanti alle mie urla.

“Che diavolo succede qui!?” è l’ennesimo urlo, questa volta della Weasley, la riconosco, appena accorsa nel mio campo visivo. “Fleur! Che c’è! Che ha fatto? Mi hai fatto prendere un colpo, stavo mettendo su il latte per la piccola”

“Oh nionte, Ginny scusami, mi sono avvicinata porchè delirava ma lui mi ha urlato!”

“Ed hai pensato bene di urlare anche tu!”

“Che potevo fare! Non lo vedi che ho Victoire in broccio?”

Che-diavolo-sta-succedendo.

Lentamente (perché in qualsiasi altro modo sarebbe impossibile) cerco di tirarmi su con la schiena, faticando contro la gravità che mi rivorrebbe a quattro di spade su quello che sembra un divano. Due pesi impediscono i miei movimenti ed entrambi riguardano la testa (e non è un bene, ad occhio e croce) cioè: un mal di testa sordo a cerchio che parte da una tempia ed arriva all’altra non risparmiando gli occhi, ovviamente, e un dolore a fitta che viene dalla nuca. Passandoci una mano sento un piccolo bernoccolo duro che mi dà dello scemo perché sono caduto all’indietro sul giardino di casa Potter.

Ah già. Casa Potter?????

“Stai calmo Malfoy, non agitarti.” La Weasley mi scruta dall’alto, a braccia conserte. “Ben svegliato, eh”

Non è sola. In questa stanza che non conosco, ad occhio e croce devo trovarmi sul loro stupido divano e il loro stupido salotto, c’è anche un’altra donna con lei, alta e bionda con una pupetta in braccio di pochi anni. Ha un’aria familiare ma non mi prendo il disturbo di ricordarmi di più.

“Che… che cos’è successo?” Ho la gola riarsa “Posso avere un po’ d’acqua?”

“Sci penso io.” Dice la bionda con uno strano accento e con il braccio libero mi passa un bicchiere già pieno.

“Sei caduto nel mio giardino come un sacco di topi di morti e mezzo vicinato m’ha aiutato a trascinarti qui. Non sanguinavi, per questo non abbiamo chiamato il guaritore. Sei pensante comunque e non sembra a vederti.”

L’acqua scorre fredda nella mia gola in un mix di sollievo e bruciore. Mi sento a pezzi come se un gigante mi fosse stato seduto addosso fino a due secondi fa. “Bene.” tossisco. “Che ore sono”

“è mattina, Malfoy. Almeno le nove.”

Connessioni neurali prima appesantite da alcool e sonno sembrano improvvisamente collegarsi alla vista dell’abbondante luce gialla filtrare da qualsiasi finestra ed invadere il pavimento, ma l’unico messaggio che compongono in testa è un ansiogeno “è tardi!”, per cui faccio per alzarmi ma un piccolo capogiro del buongiorno intorpidisce la mia determinazione e ricado da dove ero venuto.

“Stai formo.” Mi ammonisce la bionda. “delirovi continuamente, non sei lucido per alzarti”

“Tzs” grugnisco io, bevendo ancora.

Noto che la Weasley è parecchio nervosa di avere la bionda tra i piedi. “Fleur, puoi venire un secondo?” La prende per un braccio e la trascina in un’altra stanza, uscendo entrambe dalla mia vista. Era ora.

 


“Allora, che sei venuta a fare? Non mi piace che Victoire…”

“Oh non preoccuporti, cara, sono venuta ad aggiornarti…”

 

 

Parlano piano, sommessamente, agitate, dalla stanza di fianco. Posso sentire abbastanza bene ciò che si dicono, farei di meglio se non avesse questo martellante mal di testa, ma tant’è.

 


“Ah… ma non volevo che ti disturbassi tu, il gufo era per Harry.”

“Beh l’ho letto prima di lui e sono arrivota”

“E a lui non l’hai fatto leggere?”

“….. no! Tanto l’avevo letto io!”

 

 

Andiamo bene, anche questa è completamente scema.

Disinteressato, cautamente, mi alzo. Le gambe sono molto più stabili adesso e anche i capogiri (ora che mi sono mosso con lentezza) mi lasciano in pace. Un’angoscia nera si fa largo tra le mie visceri. Astoria. Dove sei. Prenderei la porta e mi fionderei fuori in tre secondi ma non avrei nessuna meta possibile.

Ho bisogno di sapere.

È in quell’istante anche altri brandelli di conversazione arrivano alla mia attenzione.

 

“E dopo? Ha funzionato?”

“Siiii! Terrible, ginny! Quella boscetta blu era…”

“E l’hanno accompagnata?”

 

Il mio cuore si ferma. Un ultimo battito e poi più niente. Fa silenzio, per farmi sentire meglio.

 

“Oui.Tutto è andato bene!”

“Maman, maman…!”

 

La sovrapposizione di voci della bambina non aiuta. Muovendomi piano come un felino in attesa mi sposto cautamente verso di loro, cercando di non urtare niente, nemmeno l’aria, al mio passaggio.

 

 

“Voleva sapere dove si trovava lei…”

“E tu ponsi di dirglielo?”

“Ovvio che no, Fleur! È Draco-Malfoy”

“Oui, Ginny, so chi è lui! ma dovevi sontirlo, come delirova! La chiamava, hai capito? Cosa sc’è Victoire? Fai un secondo la brava a maman…”

“La bambina ha fame? Tra poco il latte sarà pronto ed ho anche un po’ di biscotti se vuoi, se li mangia”

“Quali sono, quelli di sciucca che ha fatto Molly?”

“Maman!”

“Sciucca? Aaah no no, quelli alla carota, non di zucca, e li ho fatti io ieri”

 

 

Sto per vomitare. Astoria si allontana da me ogni secondo di più e loro parlano di biscotti di zucca. Anzi di sciucca.

Non finisco di lamentarmi che la situazione peggiora e le mie condizioni uditive crollano drasticamente sepolte dal pianto della bambina. Merda. Sono costretto ad avvicinarmi di più.

 


“… va beh, l’importante è che la questione sia risolta. Adesso lo sbattiamo fuori e via.”

“e una volta lì, quanto ci resteronno? Shhh, basta Victoire!”

“nessuno lo sa”

 

 

Per Salazar, mi basta una parola. Un appiglio, un indizio, solo una parola.

 

 

“…..a Windlost*, mi pare, il primo cambio. Ma avevo mal di tosta e loro continuavano a fare domande e sovrapporsi, quella comunque è un’antipotica..”

 

 

Eccola. Windlost. Raggiungibile da Londra in treno. Primo cambio.

Incurante di fare rumore, di qualsiasi cosa, mi attivo. In uno scatto corro a recuperare la mia bacchetta e la mia bisaccia lasciate dalla Weasley sopra un mobile, lontane dal divano che aveva custodito il mio svenimento e corro verso la porta, urtando un soprammobile, forse due. (La coordinazione dei miei movimenti non è ancora perfetta). Sono quasi arrivato all’uscio quando le sento muoversi, dietro di me.

“Malfoy, fermo!”

Mi volto, bacchetta impugnata. Loro sono disarmate. La bambina, in braccio alla bionda, urla come un’ossessa. Giuro che mi sono voltato per schiantarle. Al muro, con lo stesso rumore che ha accompagnato la mia caduta dal giardino, stonk, e poi un bell’incantesimo per conoscere tutta la storia e non una frase mozzicata tra una stronzata e l’altra. La rabbia che ha gonfiato le vene del mio collo, però, si dissipa davanti alla faccia rossa di quella bambina.

Abbasso la bacchetta. A parte la mocciosa, nella stanza, nessun respiro.

“Grazie di tutto, Weasley”.

Il rumore forte dell’uscio che si richiude alle mie spalle, i miei passi veloci e un po’ sconnessi che scroccano di rugiada mattutina, la macchina volante che mi aspetta, un unico nome in testa: Windlost.

 

 

 

 


Fine nono capitolo.

 

 

Windlost*= corrispondente alla località babbana di Windsor.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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