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Autore: LazySoul    19/04/2015    2 recensioni
Salve a tutti :)
In questa storia si alterneranno le vicende delle due coppie protagoniste: Luna/Blaise e Pansy/Theodore.
La vicenda è ambientato in un sesto anno alternativo, dove il Signore Oscuro e i suoi Mangiamorte sono riusciti a conquistare Hogwarts, Harry e Ron sono fuggiti, mentre Hermione, Luna e altri ragazzi sono trattati come servi nella loro stessa scuola. Malfoy e Zabini aiuteranno le due ragazze (se volete sapere il perchè vi consiglio di leggere "Mai scommettere col nemico" e "Mai fidarsi del nemico") e le nasconderanno all'interno della scuola. Ed è così che Blaise e Luna dovranno condividere la stessa stanza, finendo con l'avvicinarsi sempre di più l'uno all'altra. Riuscirà Blaise a confidarsi con lei? E Luna sarà in grado di farlo innamorare?
Nel frattempo Pansy e Theodore sono in missione con Greyback alla ricerca di alcuni professori che sono riusciti a fuggire da Hogwarts. Pansy vorrebbe rivelare al giovane i propri sentimenti, ma ha paura di rovinare l'amicizia tra loro così impone a se stessa di non dirgli niente. Cosa succederà quando Theodore le dirà di chi è innamorato? Sarà lei la fortunata?
Bene, detto ciò, non mi resta altro che augurarvi una buona lettura! ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Luna Lovegood, Pansy Parkinson, Theodore Nott | Coppie: Draco/Hermione, Pansy/Theodore
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Da VI libro alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Mai Scommettere col Nemico'
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Capitolo quinto
(Blaise's point of view)

 

Era pericoloso quello che stavamo combinando, troppo pericoloso.

Tradire il Signore Oscuro non ero una passeggiata e quasi mi pentivo di essermi lasciato coinvolgere in una situazione simile da quel folle di Malfoy.

Entrai in camera e chiusi la porta dietro Lunatica Lovegood, ringraziando Merlino che la camera di Malfoy era solo a pochi passi dalla mia.

Avrei voluto essere solo, così da potermi crogiolare nel mio dolore.

Odiavo quando Malfoy riusciva con poche parole a riaprire ferite da poco rimarginate e quelle lasciate da Soledad erano tutto fuorché guarite.

Lanciai un’occhiata veloce alla biondina e, senza che potessi fare qualcosa al riguardo, comparve nella mia mente malata l’immagine di quel corpo seminudo e coperto solo da biancheria bianca e semplice. I suoi occhi di un azzurro opaco non mi erano mai sembrati tanto luminosi come quando l’avevo interrotta durante il suo cambio di vestiti. E le sue guance? Erano diventate di un un rosa così acceso e dolce...

Avrei potuto continuare a chiamarla Lunatica nella mia mente e a vederla come una semplice ragazzina qualunque, ma in realtà continuava a stupirmi e ad interessarmi qualsiasi cosa facesse.

Il ricordo della sua pelle color panna e del reggiseno che avvolgeva quei piccoli seni... mi era sembrata così bianca e pura, immacolata come una bambina: priva di peccati.

Proprio il contrario di Soledad.

Fece male quel pensiero, tanto male che non riuscii a continuare a guardare la Lovegood, ma fui costretto a distogliere lo sguardo.

I suoi capelli chiari e lisci mi spingevano a far un confronto con quelli color ebano di Soledad: ricci e vaporosi come la chioma di un albero in piena Primavera.

E io odiavo fare confronti, soprattutto quando finivo col pensare a ciò che invece avrei preferito accantonare e nascondere a chiave in un piccolo cassetto nella mia mente.

«Com’è stato il pomeriggio?», le chiesi, per interrompere il silenzio imbarazzante che si era creato tra noi.

I suoi occhi opachi sembrava che stessero fissando qualcosa in continuo movimento nell’aria.

Aggrottai le sopracciglia mentre mi guardavo intorno, cercando di capire cosa stesse fissando con tanta insistenza, ma dovetti desistere: non c’era nulla, nulla che io potessi vedere.

«Cosa guardi?», le chiesi, facendo involontariamente un passo in avanti, verso di lei.

Quella ragazzina e le sue stranezze mi incuriosivano più di quanto mi sarei mai aspettato.

Stavo ancora cercando di capirne il motivo, ma ero propenso a credere che fosse perché mi ero sempre interessato, fin da piccolo, alle creature magiche. Fino a qualche anno prima Cura delle creature magiche era stata la mia materia preferita, tanto che avevo pensato seriamente di intraprendere in futuro la carriera di Veterimago (1).

Peccato che i miei genitori mi avessero riso in faccia quando avevo dato loro la notizia, così avevo desistito e avevo riposto il mio progetto per il futuro in un piccolo cantuccio della mia mente...

Accidenti! Possibile che quella ragazzina riuscisse soltanto a farmi ricordare i miei sogni infranti?

«La stanza è piena di Mantrigli, di nuovo...», disse con un tono di voce pacato e lontano, quasi facesse fatica a mettere a fuoco i veri contorni della stanza: «Ti darebbe fastidio se aprissi la porta per farli uscire? Sono piuttosto fastidiosi...»

Aggrottai la fronte e sospirai: «Fai pure, basta che non ti fai notare da nessuno».

Per un istante vidi i suoi occhi focalizzarsi sul mio viso, a quel punto mi sorrise: «Grazie, Zabini».

Ebbi un flash di lei, seminuda nel mio bagno e di tutti i pensieri maliziosi che avevo avuto in quel frangente. Era difficile da ammettere a se stessi, ma era inutile continuare a far finta di niente: per un breve, brevissimo, secondo avevo avuto l’impulso di entrare nel bagno con lei, di chiudermi la porta a chiave alle spalle e di vedere fin dove sarei riuscito ad arrivare prima che lei m’interrompesse.

Le diedi le spalle, nascondendole la mia espressione, che doveva essere allucinata a causa dei miei stessi pensieri.

Sganciai gli alamari del mantello e me lo sfilai, appoggiandolo sul baule ai piedi del letto.

Ero teso e infastidito, per non parlare del mal di testa che continuava a tormentarmi da quando mi ero alzato quella mattina.

Mi passai le mani sul viso, cercando di scacciare la stanchezza, ma non ottenni il risultato sperato.

«Stai bene?», mi chiese la Lovegood, appoggiando la mano suo mio avambraccio sinistro.

Sussultai al suo tocco e ritrassi l’arto, come se mi avesse punto con qualcosa di acuminato.

Non avessi avuto addosso il maglione non avrebbe mai e poi mai avuto il coraggio di toccare il mio avambraccio, non il sinistro, almeno.

Il Marchio Nero sotto la manica l’avrebbe tenuta lontana.

«Scusami», disse, facendo un paio di passi indietro, nascondendosi le mani dietro la schiena: «Sei pallido, pensavo che stessi male, ma non avrei dovuto invadere il tuo spazio. Mi dispiace.»

Il suo gesto non mi aveva propriamente dato fastidio: era bello averla accanto, era sempre così sorridente e positiva che si finiva coll’essere influenzati dalla sua spensieratezza. Semplicemente non mi ero aspettato un gesto del genere e per questo avevo reagito in modo alquanto scortese.

Sembrava così indifesa in quel momento, le mani dietro la schiena, gli occhi opachi fissi nei miei e le labbra color pesca atteggiate in una smorfia di preoccupazione.

«Mi hai colto di sorpresa, non volevo essere sgarbato», farfugliai, confuso dal sorriso sereno che le mie parole avevano dato vita sul suo viso color panna: «Non devi scusarti. Va tutto bene... io...»

Come faceva ad avere degli occhi così grandi ed espressivi?

Persi il filo del discorso e le sorrisi a mia volta: come avrei potuto non rispondere a tutta la sua dolcezza con altrettanta premura?

«Sicuro di stare bene? Non hai una bella cera, sai?»

Quando mi toccò questa volta non mi ritrassi, ma mi lasciai trascinare fino al letto, dove mi fece sedere.

«Magari è un calo i zuccheri: hai mangiato qualcosa a pranzo?», mi chiese preoccupata, mentre con la mano fresca e piccola come quella di una bambina di dieci anni mi tastava la fronte.

«Non ho la febbre», borbottai, confuso da tutta quella premura.

«Magari quando arriva Breedy con la cena gli chiediamo di prepararti qualcosa di caldo. Che ne dici di un tè verde?», propose.

«Non mi piace il tè verde, preferisco il caffè espresso».

Spostò la mano dalla mia fronte e, senza darmi il tempo di rendermi conto di quali fossero le sue intenzioni, appoggiò le labbra color pesca dove poco prima c’erano le sue dita.

I suoi capelli dorati mi sfioravano il viso, avvolgendomi nel profumo del mio Shampoo-Abbina-Odori (2) che su di lei acquisiva un’essenza floreale che conoscevo fin troppo bene: lavanda.

La sua gola era a pochi centimetri dalle mie labbra, invitante, ma non riuscivo a metterla a fuoco: continuavo ad immaginarmela con indosso un vestito bianco, corto e delicato – proprio come lei – che correva spensierata in un campo di lavanda della Provenza, mentre io la inseguivo, ridendo.

«No, non hai la febbre», disse, scostandosi da me.

Cosa? Non avevo la febbre? Ma se mi sentivo bruciare!

«Però non sembri comunque stare bene... il tè non ti piace... che ne diresti di una tisana o una camomilla?», mi propose, sorridendomi.

La camomilla mi piaceva.

Quando andavo a trovare la mia nonna paterna in Italia, ogni sera prendevamo insieme la camomilla, l’unica bevanda che riuscisse a farmi addormentare in un istante, l’unica bevanda che mi garantiva una notte priva di incubi.

«Vada per la camomilla», acconsentii, sforzandomi di non allungare le mani per assaggiare la curva lieve dei suoi fianchi.

Era così minuta e magra che sembrava una bambola di porcellana a grandezza naturale, le mancavano solo gli abitini floreali ricamati in pizzo, un cappellino di paglia e delle scarpette bianche e avrebbe potuto infiltrarsi senza problemi nella collezione di bambole di mia zia Lucilla.

«Bene», sorrise, prima di imporre una spinta sufficiente sulle mie spalle, in modo da farmi sdraiare sul letto: «Nel frattempo riposati».

Avrei voluto protestare e ribellarmi, ma la sua dolcezza mi ricordava mia madre quando ero piccolo, prima che mio padre, convinto che fossi abbastanza grande, la costringesse ad allontanarsi da me all’improvviso.

«Posso usare la tua bacchetta per accendere il camino? O riesci a farlo tu?», mi chiese, sorridendomi con la dolcezza tipica di una bambina innocente.

L’idea che usasse la mia bacchetta non mi faceva impazzire, ma mi sentivo spossato e volevo lasciarmi coccolare da lei ancora un po’, così le passai con premura il mio legno, sperando che non combinasse nessun pasticcio.

Si allontanò da me solo per occuparsi del fuoco che, con mia sorpresa, riuscì ad accendere abbastanza facilmente utilizzando la mia bacchetta, la quale poi posò sul comodino proprio accanto a me.

Tornata vicino a me, la Lovegood si guardò in torno, quasi alla ricerca di qualcosa da fare per tenersi occupata.

Prima che mi rendessi veramente conto di quello che stava facendo aveva già iniziato ad allentarmi le cinghie della scarpa destra e me la stava sfilando.

Tentai di protestare, ma lei fece un veloce gesto con la mano per zittirmi: «Non è un problema»

Mi imbarazzava da morire l’idea che i miei piedi potessero puzzare e che quindi lei ne sentisse l’odore sgradevole, ma lei non sembrava farci caso e, posata a terra una scarpa, passò a quella successiva senza battere ciglio.

Non mi sentivo tanto malato da farmi servire in quel modo da una povera ragazzina, certo avevo un po’ di mal di testa, ma quello era dovuto probabilmente alla stanchezza accumulata negli ultimi giorni e non a una qualche forma di malanno...

Oppure no?

La Lovegood recuperò una coperta di lana dal mio armadio e con una gentilezza e una premura che andavano al di là di ogni mia aspettativa mi copri con essa, facendo attenzione che ogni singolo centimetro di pelle dal collo in giù fosse ben coperto e al caldo.

Quando finì di arrotolarmi come un salame nella coperta andò in bagno, lasciandomi solo.

Mi ritrovai a fissare la porta del bagno per un lungo istante, ricordando con chiarezza e malizia quando l’avevo aperta quella mattina...

Dovevo smetterla di pensare a certe cose.

Sentii un sonoro “pop” alla mia destra e vidi comparire Breedy con in mano un vassoio d’argento colmo di cibarie di ogni tipo.

Appena l’elfo vide dove mi trovavo e in che situazione appoggiò di fretta ciò che trasportava e mi si avvicinò con aria preoccupata.

«Sta bene, signor Zabini?», mi chiese, scrutandomi con i suoi occhietti acquosi: «E la signorina? Dov’è?»

Stavo elaborando una risposta, quando la Lovegood uscì dal bagno, sorridendo con calore all’elfo: «Buona sera, Breedy! Zabini non aveva una bella cera così l’ho messo a letto. Ti dispiacerebbe preparargli una camomilla calda? Dovrebbe aiutarlo a rilassarsi e a passare una buona notte senza incubi...»

«Certo, signorina. Breedy provvede subito».

Nel giro di due secondi l’elfo era già scomparso.

Seguii con lo sguardo la Lovegood che, avvicinatasi al vassoio colmo di cibo, cominciò a fare una selezione tra le portate, prima di tornare da me con un piatto colmo di minestrina.

Appoggiò quello che doveva essere la mia cena sul comodino, accanto alla mia bacchetta, e mi aiutò a mettermi seduto, sprimacciando per bene i cuscini contro la mia schiena.

«Grazie», le dissi, cercando di mostrarle con sincerità la mia gratitudine per tutta la sua premura disinteressata.

E pensare che non stavo nemmeno davvero male... nel caso avessi avuto qualche malanno, cosa avrebbe fatto? Mi avrebbe imboccato?

Per fortuna avevo abbastanza forze per sostenere con una mano il piatto e con l’altra il cucchiaio, così potei mangiare autonomamente.

Lei si prese un piatto per sé di minestrina e poi qualche carota d sgranocchiare mentre vegliava su di me, come un angelo.

Nel frattempo tornò Breedy con un piccolo vassoio con due tazze di camomilla, quando la Lovegood lo ringraziò per aver pensato anche a lei, vidi con chiarezza le orecchie grosse e goffe dell’elfo colorarsi di un rosa acceso per l’imbarazzo.

Dopo aver augurato la buona notte Breedy se ne andò con il vassoio di cibo praticamente intatto, mentre la Lovegood zuccherava la sua camomilla e la rigirava piano, quasi avesse paura di fare del male alla tazza.

«Vuoi anche tu dello zucchero?», mi chiese.

«Sì, grazie», risposi, posando il mio piatto vuoto di minestrina sul comodino per ricevere in cambio la mia tazza di camomilla ben zuccherata.

Il calore della bevanda mi scaldava le dita delle mani attraverso la porcellana, mentre soffiavo piano, creando piccole creste sulla superficie altrimenti liscia della camomilla.

Bevemmo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri o angoscie, a seconda dei momenti, anche se mi sforzavo in tutti i modi di non mostrare in nessuno modo la natura delle mie riflessioni.

Quando finii la camomilla pescai con i cucchiaino i residui di zucchero sul fondo della tazza, godendomi la sensazione granulosa e dolce dello zucchero che si scioglie contro il palato.

Senza apparente motivo mi chiesi se, assaggiando la pelle e le labbra della Lovegood avrei potuto sentire un sapore simile.

Ovviamente l’istante dopo che avevo formulato un tale pensiero, lo bandii dalla mia mente, ordinandomi un po’ di contegno.

Luna prese dalle mia mani la tazzina vuota che posò accanto alla sua sul tavolino.

«Direi che è ora di dormire», disse, facendo il giro del letto per coricarsi accanto a me.

Ma, prima di lasciarsi scivolare sotto le coperte si fermò, guardandomi per alcuni secondi, come se all’improvviso si fosse ricordata ti qualcosa d’importante.

«Vuoi una mano per cambiarti? O sei comodo a dormire vestito così?»

Era per la centesima volta una situazione tremendamente imbarazzante, ma mi piaceva vedere quel dolce rossore sulle sue guance, mi faceva sentire potente e io amavo sentirmi tale.

Avrei voluto chiederle di aiutarmi per vedere la sua reazione e scoprire se le sue guance potessero diventare ancora più rosse, ma non volevo farla sentire troppo a disagio, in fondo era una mia ospite e dovevo trattarla con riguardo.

«Penso di potercela fare da solo», le garantii, scostando la calda coperta in cui mi aveva avvolto per prendere il mio pigiama e andare in bagno.

Una volta solo mi cambiai con calma, infastidito dal continuo e insopportabile mal di testa. Presi una pastiglia Sorriso Smagliante 24h e mi sfuggì una smorfia quando il dolce sapore dello zucchero scomparve, sostituito dalla menta.

Tornai in camera e ravvivai il fuoco, prima di lasciarmi scivolare sul letto, accanto alla Lovegood che, ancora sveglia, guardava fuori dalla piccola finestrella della mia stanza.

«Non vieni a dormire?», le chiesi, infastidito di poterle vedere solo la schiena, anche se dovevo ammettere che la vista del suo lato B non era niente male.

La Lovegood si voltò verso di me e mi sorrise, prima di raggiungermi.

Cominciai a pensare che per lei piangere fosse un evento tanto raro quanto impossibile.

Mi rimboccò nuovamente le coperte, poi spense la luce e si coricò accanto a me.

Rimanemmo in silenzio per qualche istante.

Stavo giusto per augurarle la buona notte, quando lei mi precedette: «Questa mattina non ho potuto fare a meno di sentire la conversazione tra te e Malfoy».

Quelle parole mi resero immediatamente nervoso: cos’avevo detto a Draco quella mattina? Avevamo parlato della Granger, del pranzo organizzato dai signori Malfoy... ma cos’altro? Ci doveva essere qualcos’altro che aveva attirato tanto l’attenzione della Lovegood, ma non riuscivo a ricordare cosa...

«Mi ha stupito che tu e Malfoy conosceste la storia del “Don Giovanni”, essendo Babbana ed essendo voi degli orgogliosi purosangue...»

Ecco cosa della nostra conversazione l’aveva tanto impressionata...

Sorrisi appena, poi il ricordo di come io e Draco fossimo giunti a conoscenza della leggenda spazzò via il sorriso, sostituendolo con una smorfia di rimpianto.

Avrei voluto risponderle in modo brusco, dirle di farsi i fatti suoi e dormire, ma il ricordo di come mi aveva coccolato per tutta la sera mi fece cambiare idea.

«Ce l’ha raccontata una persona due anni fa, quando eravamo in vacanza in Spagna».

Sperai che le domande finissero lì. Faceva male ricordare Soledad e il modo in cui mi aveva lasciato, come se quei due mesi per lei non avessero significato nulla...

«Chi?», chiese, voltandosi verso di me.

In fondo era una Corvonero, curiosa e desiderosa di ottenere una conoscenza infinita: era ovvio che le domande non si sarebbero esaurite presto.

Bastava dirle l’essenziale senza lasciar trapelare quanto era doloroso ricordare certe cose.

«Una ragazza che abbiamo conosciuto a Granada, si chiama Soledad».

Vidi comparire sul suo viso una smorfia: «Una ragazza, eh?»

«Sì», dissi semplicemente, rimanendo impassibile.

Sembrava che volesse chiedermi altro, ma si interruppe e, con aria pensosa tornò a guardare il baldacchino sopra alle nostre teste.

«E cos’altro vi ha raccontato, Soledad?»

«Molte cose, principalmente ci ha parlato della letteratura spagnola...», le risposi, chiedendomi dove volesse arrivare con tutte le sue domande.

«Sei innamorato di lei?»

Mi ritrassi di scatto, sussultando alle sue parole: «Come scusa?», dissi, con un tono che, malgrado i miei sforzi, ricordava quella di un animale in trappola.

«Il modo in cui hai detto il suo nome mi ricorda il modo il cui Malfoy chiama Hermione», sussurrò, guardandomi di sfuggita, prima di ammirare nuovamente il baldacchino: «Comunque non sono fatti miei, scusa, sono stata maleducata».

Se avesse insistito per conoscere la verità probabilmente le avrei urlato contro, per poi voltarmi dall’altra parte, offeso.

Ancora una volta aveva detto le parole giuste per farmi parlare anche di cose che avrei preferito mettere da parte e dimenticare.

«Lo sono stato, poi lei mi ha lasciato per un altro», ammisi, facendo di tutto per non fare incontrare i nostri sguardi: «Ora, se non ti dispiace, sono stanco e vorrei dormire».

«Certo, scusa», sussurrò, muovendosi nervosamente nel letto.

Sapevo che l’interrogatorio era solo rimandato e che presto sarebbe tornata all’attacco, ma diversamente da quanto mi sarei aspettato non mi dava troppo fastidio.

Forse perché sapevo che lei voleva aiutarmi...

«Buona notte», disse, prima di darmi le spalle.

«Buona notte».

Avrei voluto stringerla tra le braccia, così da sentirla vicina, ma riuscii chissà come a trattenermi e, l’istante dopo, la camomilla aveva già fatto effetto, facendomi sprofondare in un dolce dormiveglia.

 

 

(1) Ho pensato che se esiste il Medimago come professione, perché non può esistere anche il Veterimago?

(2) È uno shampoo che mi sono spudoratamente inventata e che a seconda del carattere della persona che lo usa cambia odore, per questo su Luna assume il profumo della lavanda... xD

 

 

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Ciao!
Eccomi tornata anche qua con un nuovo capitolo :)
Ho voluto mettermi alla prova e provare ad analizzare per una volta i pensieri del nostro misterioso Zabini, che ancora non ci ha detto molto sulla cara Soledad, ma farò in modo che a poco a poco si apra, sia con Malfoy sia con Luna...
Spero che il capitolo sia venuto bene e che non ci siano troppi errori.
Se avete voglia di lasciarmi una recensione mi fareste davvero piacere, così mi dite se il pov Blaise è venuto decentemente e se per il prossimo capitolo preferite un pov Pansy o un pov Theodore! xD
Baci e abbracci,
 
LazySoul
 
p.s. Il prossimo capitolo cercherò di scriverlo intorno alle prime due settimane di Maggio, ma non sono del tutto sicura di riuscirci quindi nel caso non ce la faccia vi imploro di portare pazienza. Grazie :)
  
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