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Autore: Carlos Olivera    21/04/2015    1 recensioni
Dimmi una cosa, principessa Angelise.
Tu sei davvero sicura di aver portato a termine Libertus? Di aver salvato i Norma? Hai condannato i Norma di questa Terra ad estinguersi poco a poco, e abbandonato quelli dell'Altra Terra in balia di una guerra senza fine con gli esseri umani che innalza tuttora montagne di corpi. E ora, in nome del finto ideale di un mondo non tuo, ti frapponi tra noi e l'unica cosa che potrebbe evitare la scomparsa di quel mondo che hai abbandonato, e del quale sembra non importarti più nulla; il mondo dei Norma. Il tuo mondo.
Tu non hai liberato proprio nessuno. Hai fatto quello che ho fatto anch'io.
Hai fallito. In tutto

Sequel di Cross Ange - Il Rondo di Angeli e Draghi, di Mitsuo Fukuda
Genere: Drammatico, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Ange, Nuovo personaggio, Silvya
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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3

 

 

Anche quella notte, Sylvia non riuscì a dormire, rigirandosi continuamente nel letto senza riuscire a togliersi dalla testa quanto era accaduto in quella interminabile giornata.

Ripensava a Dolkin, a Bodani, e si domandava si avesse davvero preso la decisione giusta.

Alle volte quasi rimpiangeva di essersi voluta caricare sulle spalle un tale peso.

Sapeva di avere nelle sue mani la sicurezza di migliaia di persone, e anche se negli anni ne aveva affrontati di momenti difficili la decisione di quel giorno era stata per lei la più difficile da prendere.

Da una parte si fidava del giudizio di Viktor, dall’altra non se la sentiva di rischiare tutte quelle vite in una fuga verso l’ignoto che poteva anche rappresentare una condanna a morte.

Il bagliore accecante di un faro di segnalazione maldestramente gestito dall’operatore entrò dalla finestra socchiusa, abbagliandola e togliendole definitivamente ogni voglia di dormire.

Alzatasi, provò a fare una passeggiata per cercare di rilassarsi e calmare le idee, quindi scese in cortile.

Sembrava di essere in una zona di guerra.

I fari notturni scrutavano il cielo nero in cerca del minimo segnale di pericolo, e sia i ballatoi sulle mura che le strade pullulavano di soldati.

Ormai tutti sapevano cosa era successo ai due villaggi vicini, quindi un tale spiegamento di forze non era apparso ingiustificato; al contrario, qualcuno l’aveva trovato persino insufficiente.

Persino i due vecchi carri armati da centoventi millimetri ritrovati qualche settimana prima tra i ruderi della città, immobili senza mana ma ancora capaci di sparare, erano stati faticosamente portati nella piazza centrale per fornire ulteriore protezione.

Sylvia passeggiò per un po’, salutata rispettosamente dai soldati che incrociavano il suo cammino, quando, passando accanto al dormitorio numero sei, notò una figura seduta sul parapetto, la schiena appoggiata sulla rete e gambe sospese nel vuoto.

Incuriosita e un po’ preoccupata entrò, salendo in silenzio lungo le scale per non svegliare le altre persone, e raggiunto a sua volta il tetto si trovò a tu per tu con Hilda, che come la prima volta la accolse con la più totale indifferenza.

«Hilda» le disse raggiungendola. «Non stare lì. È pericoloso.»

La ragazzina si volse a guardarla: era chiaro che una notte non poteva bastare a cancellare l’orrore che doveva avere visto. Stando al suo racconto, una donna del villaggio l’aveva chiusa lì dentro subito dopo che si erano avvertite le prime esplosioni, così non aveva visto nulla, ma aveva sentito chiaramente gli abitanti urlare dal dolore mentre venivano “mangiati”, come alcuni di loro urlavano con il loro ultimo alito di vita.

Non potendo convincerla a scendere da lì, Sylvia si ritrovò seduta accanto a lei, e come aveva già fatto la notte precedente a bordo del bulldog le offrì una di quelle caramelle zuccherate alla mela che portava sempre con sé.

Hilda la accettò, tenendola a lungo in bocca come a voler ricercare nel suo gusto delicato un sollievo da quello che stava provando.

«Ti piacciono proprio queste caramelle.» sorrise Sylvia offrendogliene un’altra

«La mia mamma faceva sempre la torta di mele» rispose lei guardando verso il mare. «Era la più buona di tutte.»

«Vedrai che la ritroverai. E quando questo succederà, mi farai assaggiare questa buonissima torta.»

Hilda la guardò sorpresa.

«Tu… ne sei sicura?»

«Certo. Ma dimmi, a parte tua madre, non hai altri parenti? Un padre, o dei fratelli?»

Di nuovo, lei abbassò gli occhi.

«Ho una sorella. Una sorella maggiore.»

«Davvero? Anch’io ne ho una.»

«È una Norma.»

Sylvia sussultò, rievocando senza volerlo ricordi poco felici.

«Io… e la mamma… l’abbiamo cacciata via.»

Lacrime, ancora una volta, scesero dai suoi occhi: ma stavolta, erano lacrime di vergogna.

«Mi avevano detto che i Norma erano dei mostri disumani. E io ci credevo. Ma poi, lo sono diventato anche io. Lo siamo diventati tutti.

Siamo tutti Norma.»

«Non esistono i Norma, Hilda. Non sono mai esistiti.»

«C… cosa!?»

«Ci sono tante Norma in questo campo. Onestamente, dimmi. Le hai riconosciute? Sapresti indicarmele?»

Il suo sguardo fu più eloquente di qualunque risposta.

«La verità è che siamo tutti esseri umani. Ma volevamo qualcuno da odiare, e così chi ci governava ha scelto i Norma per appagare questo nostro bisogno. I Norma non hanno mai avuto nulla di diverso da noi. Li chiamavamo mostri, ma in realtà i veri mostri siamo noi. Lo siamo sempre stati. Perché abbiamo creduto a quello che ci era stato detto senza farci domande.

È per colpa nostra se il nostro mondo è diventato così. Se noi siamo diventati così.

Ma se riusciremo a lasciarci alle spalle i nostri pregiudizi, a diventare migliori, allora potremo costruire un mondo nuovo, in cui non ci saranno più Norma e non Norma, ma solo esseri umani, tutti liberi e uguali.»

Hilda trasalì, trovando dopo tutto quel tempo la forza di sorridere.

«Dici che un giorno riuscirò a rivedere mia sorella, così potrò chiederle scusa?»

«Forse. Ma dovrai impegnarti. Dovrai lottare. Perché nessuno ti regala niente in questo mondo.»

«Lo farò.» rispose lei con convinzione.

In quella si udì uno strano fischio, accompagnato da strani rumori in lontananza, che attirarono l’attenzione di entrambe.

Anche le guardie se ne accorsero, puntando tutti i riflettori in un’unica direzione; i coni di luce fecero appena in tempo ad illuminare un nugolo di oggetti scuri in lontananza, che sembravano volare in quella direzione, e subito dopo una pioggia di piccoli ordigni rischiarò per un attimo a giorno il cielo per poi abbattersi, letale, sul campo, provocando esplosioni a ripetizione.

Uno dei missili colpì proprio ai piedi del dormitorio, facendo tremare furiosamente tutto l’edificio; Hilda perse l’equilibrio, ma per fortuna Sylvia fu rapida ad afferrarla, anche se, passato il pericolo, gli occhi delle due ragazze rimasero attoniti, impietriti alla vista di Sophia che iniziava inesorabilmente a bruciare, mentre nel cielo, come nugoli di locuste, comparivano decine di para-mail.

La maggior parte erano tutti uguali tra di loro, quasi fossero stati fabbricati in serie, con il solo colore a differenziarli, ma tra di essi ve ne erano tre che svettavano in particolar modo: uno era nero, minaccioso, armato di una falce ed un fucile di precisione, un altro rosso vermiglio, e brandiva l’armamento standard fatto di spada e mitragliatrice d’assalto; il terzo invece, di un colore grigio fumo, presentava possenti guanti corazzati provvisti ognuno di cinque artigli affilati, simili alle unghie di un orso, e invece di una normale arma da fuoco aveva una selva di ben sei lanciarazzi disposti a raggiera dietro la schiena.

Fu proprio il para-mail grigio a dare via al massacro, lanciando una seconda raffica di missili; la maggior parte di questi abbatterono subito alcune postazioni difensive, oltre ad uno dei due carri armati, mentre alcuni colpirono inesorabilmente gli edifici, facendoli saltare in aria.

In pochi attimi, tra gli abitanti di Sophia fu il panico.

Cercando di mettersi in salvo, fuggendo dagli edifici in fiamme, tutti si riversarono nel cortile, tramutandosi in bersagli mobili che i nemici iniziarono subito a falciare con le loro armi automatiche, facendone scempio.

Sparavano all’impazzata, senza badare a dove colpivano o a chi fosse al centro del mirino; tutto quello che volevano, a prima vista, era uccidere tutti: senza distinzioni.

Eppure c’era una sinistra precisione nel loro modo di agire; mentre i tre para-mail al comando si occupavano di abbattere le difese del campo, o qualunque altra cosa potesse rappresentare una minaccia per loro, i loro compagni si avventavano quasi esclusivamente sui civili, sparando sui soldati a difesa di Sophia solo se minacciati.

Presa Hilda in braccio, Sylvia si precipitò giù per le scale, ma raggiunto il pianterreno dovette coprire gli occhi della ragazzina perché non vedesse ciò che era accaduto, e che la lasciò impietrita.

Sembrava l’androne di una macelleria.

L’esplosione che aveva dato il via all’attacco aveva ucciso quasi tutti, e quei pochi che ancora non erano morti stavano comunque esalando i loro ultimi respiri, orrendamente mutilati e sventrati.

Ma non c’era tempo di restare immobili a guardare quella specie di inferno in terra.

Almeno Hilda, pensò, doveva salvarla.

Per fortuna non si trovavano troppo lontani dai garage, danneggiati ma ancora miracolosamente intatti, ed entrata da una porta di servizio la ragazza tirò un sospiro di sollievo nel vedere Ruka già intenta a mettere in moto il bulldog.

Sperava di mettere Hilda al sicuro e mettere subito il veicolo in moto, ma l’aspettava una brutta sorpresa.

«Ci stanno massacrando! Cosa aspetti a portarlo fuori?»

«Se vuoi puoi provare a spingerlo!» strillò lei di rimando apparendo da sotto il veicolo, una chiave inglese in mano e la faccia nera. «L’esplosione ha danneggiato il tubo dell’olio, devo ripararlo!»

Sylvia quindi non poté fare altro che portare Hilda all’interno del veicolo.

«Non preoccuparti, tornerò presto.» la rassicurò, e recuperato un fucile da un soldato morto uscì nuovamente all’esterno.

 

Nel mentre, la situazione andò rapidamente precipitando.

Come la maggior parte delle difese di Sophia fu annientata dai para-mail, due grossi aerei da trasporto che le Norma erano evidentemente riuscite a riconvertire a carburante, sulla cui fusoliera capeggiava un gonfalone raffigurante un drago d’argento all’interno di uno scudo nero, sorvolarono il campo; i portelloni posteriori si aprirono, e da essi, paracadutandosi, discesero una ventina di soldati, tutte Norma sicuramente, che protette da tute provviste di caschi oscuranti e armate fino ai denti iniziarono a loro volta a fare strage di civili, sparando e bruciando ogni cosa.

Schiena contro schiena, coprendosi l’una con l’altra, Ashley e Mayu stavano offrendo una resistenza valorosa e disperata al tempo stesso, accompagnate dai pochi soldati ancora in vita nel piazzale davanti al cancello, e armate rispettivamente di un fucile d’assalto con lanciagranate e di una lancia, quasi un’opera d’arte tanto era decorata e ben tenuta.

«Non sparate a caso!» urlava Ashley, che tra tutti era di sicuro la più esperta sul conto di quelle macchine infernali. «Mirate alla cabina di guida o ai reattori posteriori! Sono quelli i punti deboli!»

«Ma si può sapere chi diavolo sono?» domandò Mayu dopo essere riuscita a farsi strada tra le raffiche di due avversarie, sventrandone una e tagliando la gola all’altra

«Non chiederlo a me, ma una cosa è certa, non vengono da Arzenal! Non ho mai visto questi para-mail, e neppure quello stemma!»

In quella un para-mail, forse peccando di eccessiva sicurezza, tentò di falciarli volando molto basso, ma pur riuscendo ad uccidere quasi tutti i soldati che accompagnavano le due ragazze si espose alla risposta di Ashley; la sua granata sfortunatamente non distrusse il veicolo, ma esplodendo vicino ai propulsori ne pregiudicò inevitabilmente la traiettoria, e il mezzo, dopo aver inutilmente tentato di decollare, precipitò invece a terra in un urto spaventoso, danneggiandosi ma rimanendo operativo.

Senza esitazioni Ashley lo raggiunse di corsa, arrampicandosi come un felino fino alla cabina di guida ed aprendola con il comando di emergenza.

«Togliti di mezzo!» imprecò gettando di sotto la pilota ormai morente e prendendo il suo posto.

Erano passati almeno quattro anni dall’ultima volta che aveva guidato un para-mail, ma come tutte le Norma passate da Arzenal ormai aveva un tale rapporto simbiotico con quelle macchine che le bastò un attimo per recuperare la manualità perduta.

Mayu, che si era fermata a guardarla, per poco non venne colta di sorpresa da un secondo para-mail, ma ad Ashley bastò una raffica di mitragliatrice per far saltare in aria l’aggressore.

«Mayu, porta tutti in salvo! A questi ci penso io!» ordinò Ashley prima di gettarsi nella mischia.

La ragazza riuscì ad abbattere un buon numero di para-mail nemici, approfittando anche della loro sorpresa nel vedere un apparente compagno sparargli addosso, ma poi il nemico rosso gli si avventò contro, rivelandosi un avversario molto superiore ai suoi sottoposti sia per le qualità del suo para-mail quanto, soprattutto, per la sua stessa abilità di pilota.

 

Poco lontano, un manipolo di sopravvissuti, per la grandissima parte bambini orfani scampati miracolosamente assieme alla signora Carmody alla distruzione del loro dormitorio, impossessatisi di alcune armi si erano barricati dietro ad un muro crollato, ma la loro impreparazione era tale che i difensori, uno dopo l’altro, caddero come mosche sotto i colpi precisi dei nemici.

«Maledetti, maledetti Norma!» continuava ad urlare Akiho, fuori di sé dalla paura, sventagliando raffiche. «Dovete morire tutti!»

Una pallottola, forse vagante, la colpì al collo, ma era ancora viva quando il paramail argentato le piombò addosso da sopra, schiacciandola come una formica sotto il peso di uno dei suoi piedi d’acciaio.

La signora Carmody assistette inorridita, cercando di nascondere quel macabro spettacolo ai bambini che aveva tutto intorno, ma quando il portellone del robot si aprì ed il suo pilota comparve dall’interno della cabina pensò di avere di fronte il demonio in persona.

Non si capiva neppure se fosse uomo o donna, con quel corpo longilineo, quel petto quasi piatto malgrado la tuta aderente, quei lineamenti grezzi, quei capelli corti e scompigliati di uno strano colore argentato, ma soprattutto quella sua espressione beffarda, per non dire malefica, gli occhi chiari e senza vita, il naso piccolo e la bocca aperta in un perfido sorriso.

«Bene bene, che cosa abbiamo qui? Una bella nidiata di piccoli scarafaggi.»

«Vi prego, abbiate pietà» disse la signora Carmody, mentre i piccoli le si stringevano attorno terrorizzati. «Questi bambini non hanno fatto nulla. Sono vittime innocenti.»

«Vecchia, dove credi di essere? Non esistono innocenti in questa guerra.»

«Molti di loro sono Norma. Vostri simili. E anche gli altri, che colpa ne hanno di questa assurda guerra in cui siamo sprofondati noi adulti?»

Quindi, coraggiosamente, la donna si alzò, facendo qualche passo avanti e allargando le braccia.

«Uccidete me se volete, ma abbiate pietà di questi bambini. Senza di loro, non ci sarà nessuno a ricostruire il nostro mondo.»

La Norma sorrise in modo ancor più beffardo, ed estratta la pistola sparò senza esitazioni alla signora Carmody, colpendola in piena fronte ed uccidendola all’istante.

«Bastava chiederlo» disse soffiando via il fumo dalla canna. «Anche se l’avrei fatto comunque.»

Quindi, la donna portò la sua attenzione sui bambini, che chiusi in un angolo potevano solo stare ad osservarla impietriti dal terrore, stringendosi l’un l’altro in una illusoria ricerca di sicurezza.

«Scarafaggi umani e Norma che non hanno titolo di definirsi tali. Pare proprio che qui ci sia da fare un po’ di pulizia.»

Per rendere la cosa ancor più sadica, tolse sette degli otto proiettili del suo grosso revolver, dando vita ad una perversa roulette russa in cui sparava a caso nel mucchio, anche se per un qualche miracolo le prime cinque volte il tamburo girò a vuoto.

Stava per compiere il sesto tentativo, che lei già sapeva essere quello decisivo, quando invece fu un razzo anti-uomo a colpire lei e il suo para-mail, danneggiando lievemente il veicolo e facendola quasi cadere dall’abitacolo.

«Tieni giù le mani da quei bambini!» gridò Sylvia liberandosi del lanciarazzi ormai scarico.

Vedendo la sua bella macchina danneggiata e bruciacchiata, il volto della donna divenne una maschera di follia.

«Tu lurida sgualdrina! Come hai osato colpire la mia Lamàshtu*

Immediatamente si rinchiuse dentro, prima che Sylvia potesse provare a colpirla, e lasciati perdere i bambini cominciò a darle una caccia forsennata per tutto il campo, fornendo però in questo modo a Ruka il tempo necessario per soccorrere i bambini con il bulldog.

«Presto, entrate tutti!» ordinò Mayu spingendo letteralmente i piccoli all’interno del mezzo, le cui armi sparavano senza sosta in ogni direzione per frenare gli aggressori.

Alla fine anche i pochi soldati rimasti in vita, e schieratisi a difesa del bulldog, furono costretti a sacrificarsi per mettere in salvo i bambini; tra questi c’era anche Viktor, che vedendo come il numero degli assalitori fosse ormai preponderante, gettato a terra il fucile, si risolse ad un gesto estremo.

«Mayu, Ruka, portateli via da qui!» urlò correndo verso le soldatesse nemiche che avanzavano

«Viktor, no!»

L’uomo venne colpito una, due, cinque volte, ma la sua tempra d’acciaio lo aiutò a tenerlo in vita fino a quando non fu proprio in mezzo ai suoi assalitori, i quali solo a quel punto si accorsero che l’attempato ufficiale aveva sotto i vestiti una cintura di bombe a mano annodata attorno al corpo.

«Lunga vita a Misurugi! Lunga vita a Sylvia I!» urlò un attimo prima di saltare in aria.

A quel punto, per Sophia, era davvero la fine, e purtroppo non c’era più tempo di cercare altri superstiti.

«Sylvia, andiamo!» urlò Mayu

La ragazza tentò allora di seminare la sua inseguitrice, ma questa non ne voleva sapere di mollarla; al contrario, si stava visibilmente divertendo a darle la caccia come un gatto con il topo.

«Corri! Cossi!» continuava a urlare la Norma. «Non c’è niente di mi ecciti di più come dare la caccia ai ratti in fuga!»

Alla fine, sazia del gioco, l’inseguitrice decise che era ora di farla finita, e caricato con forza l’artiglio destro si preparò a menare il fendente decisivo; Sylvia sarebbe sicuramente morta, ma con la forza della disperazione la ragazza riuscì ad acquattarsi all’ultimo dietro ad un detrito, il quale assorbì la maggior parte del colpo. Ciò nonostante l’urto fu davvero tremendo, abbastanza da polverizzare quel fragile scudo e spararla letteralmente contro un’altra parete, immobile e priva di sensi.

«Fine dei giochi, piccola.»

Anche Ashley stava incontrando le sue difficoltà, visto che ormai con la morte di praticamente tutti i difensori di Sophia ogni singolo nemico o quasi era concentrato su di lei, a cominciare dal para-mail rosso che dall’inizio dello scontro non l’aveva mollata un attimo.

«Devo ammetterlo, non mi ricordavo che fosse così faticoso» disse senza più fiato.

Per fortuna, in suo soccorso, intervenne il provvidenziale crollo dell’edificio principale, che disintegrandosi divorato dal fuoco e portandosi dietro anche molti edifici attigui ricoprì tutto il campo di una impenetrabile nube di fumo.

Nello stesso momento, accortasi di quello che stava per accadere al suo comandante, Ruka sparò un missile contro il para-mail grigio, che pur riuscendo ad evitarlo fu distratto dal suo proposito di infliggere il colpo di grazia a Sylvia, la quale, ancora svenuta, venne presa al volo da Ashley, che immediatamente volò via mentre il Bulldog partiva a tutta velocità nella direzione opposta.

«Non so come, ma ce l’abbiamo fatta.» disse tra sé Ashley notando che nessuno le stava inseguendo, quindi guardò Sylvia, che chiusa nella sua mano metallica del suo para-mail sembrava quasi dormire beatamente. «Non c’è che dire, hai sette vite come i gatti.»

Un colpo, apparentemente innocuo, ma con il potere di penetrazione tale da passare il para-mail da parte a parte, si abbatté su di lei colpendola alle spalle, tranciandole di netto entrambe le braccia quando ormai erano a quasi dieci chilometri dal campo.

«Sylvia!» urlò attonita vedendo l’amica che credeva al sicuro precipitare nella foresta sottostante in una pioggia di detriti.

Un altro colpo, ugualmente preciso, le portò via uno dei propulsori, e giratasi la ragazza fece appena in tempo a vedere, con la vista telescopica, il para-mail nero puntare il suo fucile verso di lei, prima che un terzo proiettile, stavolta decisivo, centrasse il serbatoio.

Qualche attimo dopo, i superstiti a bordo del bulldog poterono vedere un’esplosione, violentissima, illuminare il cielo non lontano da loro.

«Non… non può essere…» pianse Mayu. «Ashley… Sylvia…»

 

 

Nota dell’Autore

Ciao a tutti!^_^

Scusate la brevità di questa nota, ma oggi vado piuttosto di fretta, quindi mi vedo costretto ad essere conciso.

Allora, con questo direi che abbiamo concluso l’incipit vero e proprio della storia; dal prossimo capitolo, inizierà l’avventura che vedrà le nostre eroine impegnate in una versione post-apocalittica di Viaggio in Occidente alla ricerca dell’unica cosa che potrebbe ancora salvare quanto resta del loro mondo.^_^

Grazie come sempre a Tenori_Taiga per le sue esaustive e chiarissime recensioni/valutazioni.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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