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Autore: SagaFrirry    21/04/2015    0 recensioni
Stregoni, Scienziati e Guerrieri si fanno battaglia. Un giovane stregone dovrà scegliere se lottare contro la sua stessa famiglia oppure…e se quello strano ragazzino dai capelli verdi potesse aiutarlo? Magia, armature, famiglia e complotti. Vincerà il buon senso o la follia dei mortali?
Questa storia la scrissi nel 2013, spero nel frattempo di essere migliorata!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II

 

SOGNI

 

Una risata. Per Ihanez  non c’era modo migliore di svegliarsi, soprattutto se a ridere era lei. Si affacciò alla finestra, ignorando la mano ancora un po’ dolorante, e la vide laggiù, dall’alto di una delle torri del castello, dove stavano le sue stanze. Era nel giardino interno e camminava fra gli alberi. Rideva, probabilmente insensatamente, e probabilmente canticchiava sottovoce fra una risata ed un’altra.

“Buongiorno, Randoeku!” lo salutò, inaspettatamente, lei “Non credere che non mi accorga quando  qualcuno mi osserva. Ho dei poteri anch’io!”.

“Non era mia intenzione spiarti”.

“Vieni giù. Mio padre non c’è e credo che occuparti assieme a me del giardino non rientri fra le attività proibite”.

Ihanez salì sul balcone e saltò, planando fino al giardino. Spostarsi in quel modo era una delle cose che gli riuscivano meglio. Guardò lei, che nel frattempo si era rimessa a curare le piante, e sospirò. Aspettare altri tre anni? Ne valeva pena? E per cosa?

“Hennay, io…” iniziò, chiamandola per il vero nome “Io pensavo di interrompere l’apprendistato”.

“Come?! Sei impazzito?! Ihanez, sei uno stregone fantastico, rinunciare equivarrebbe a buttar via un’esistenza. Perché?”.

“Perché così potremmo andare via, io e te, e potrei prendermi cura dei miei fratelli in modo più diretto”.

“E poi? Quale sarebbe il tuo futuro? Tu potresti divenire uno dei più potenti, passare la prova finale del quinto livello e divenire immortale. Perché gettare tutto al vento?”.

“E se non riuscissi ad arrivare a quel giorno? Tutta la mia vita è stata impostata su questo. Sul fatto che a trentacinque anni avrei affrontato questa prova, ma se fallisco? Se lungo il mio cammino si presentasse qualcosa di imprevisto, in grado di togliermi ogni possibilità? Non voglio che tutto sia basato solo sul fatto che devo diventare uno stregone”.

“Altri tre anni, e sarai passato al quinto livello. Lavorerai da solo, potrai fare ciò che vuoi e, vedrai, arriverai alla prova finale. Solo altri tre anni”.

“Più altri sette per la prova finale. Non credo di poter sopportare tanto”.

“Mollare tutto sarebbe un gravissimo errore”.

“E perché?”.

“Perché il tuo sogno è passare quella prova, e ce la farai. Poi avrai l’eternità davanti per ottenere tutto il resto”.

“Certo. E se non ce la faccio avrò buttato trentacinque anni della mia vita e avrò perso tutto. I miei fratelli saranno cresciuti, non avranno più bisogno di me e tu…tu di certo sarai andata in sposa a qualche amico o collega del maestro, tuo padre, e ti sarai dimenticata di me”.

“Non dire sciocchezze. Come credi che io possa dimenticarmi di te? Io posso aspettare. Posso aspettarti, se lo desideri”.

“Tuo padre non te lo permetterà mai”.

“Credi che non sappia prendere le mie decisioni da sola?”.

“So come può essere convincente tuo padre”.

Lei non nascose la sua preoccupazione ma si sforzò di sorridere.

“Andrà tutto bene” disse “Altri tre anni e sarai libero dall’apprendistato da mio padre e potremmo fare ciò che desideriamo”.

“Tre anni è una specie di eternità”.

“Ma sarai qui, ci vedremo sempre. E i tuoi fratelli sono affidati ad una buona persona, che si prenderà cura di loro. Andandoli a trovare, poi, rimarrai di certo legato a loro”.

“Sono tanto confuso. E a questo punto della mia vita non dovrei esserlo più”.

“Si può essere confusi a tutte le età”.

Un lampo azzurrognolo segnalò il ritorno del maestro. Ihanez si affrettò a raggiungerlo e vide subito dalla sua espressione che era di pessimo umore.

“Successo qualcosa?” domandò l’allievo.

“Questa guerra mi sta decisamente stancando”.

“Credo sia un sentimento comune”.

“Sono così stufo di convocazioni per consulti che poi non servono a un cazzo perché lo stregone capo vuol vedere solo la sua e il suo unico pensiero è stuzzicare i capi di guerrieri e scienziati! Girano voci, tra l’altro, che queste due classi vogliano allearsi. Se ciò avvenisse, per noi sarebbe la disfatta totale. Siamo molti meno di loro”.

“Scienziati e guerrieri uniti in un’unica fazione?”.

“È quello che ho detto”.

“Cervelloni esaltati e scemi del villaggio che combattono fianco a fianco? Sinceramente, non me li ci vedo molto”.

“Hanno paura, Randoeku. Paura della nostra vita senza vecchiaia una volta passato l’ultimo esame. Hanno paura dei nostri poteri, di ciò che non conoscono”.

“Non siamo in tanti a passare quella prova e, comunque, se attaccati e colpiti, anche i grandi stregoni muoiono, aspetto da eterni trentacinquenni o no!”.

“Lo so. Ed è per questo che mi inquieta l’idea di una loro alleanza. Già siamo qualcosa di raro, se le cose peggiorassero non so quanto si potrebbe andare avanti”.

Ihanez notò la preoccupazione sul volto del suo maestro e rimase in silenzio, non trovando parole sufficientemente rassicuranti.

“Dov’è mia figlia?”.

“Credo sia in giardino”.

“Chiamala. Voglio tentare di rendervi più potenti il più presto possibile. Non voglio rischiare di trovarvi impreparati dinnanzi a certe eventualità”.

“Sì, maestro”.

“Venite entrambi nel salone degli incantesimi”.

“Insieme? Volete addestrarci insieme?”.

“Non c’è tempo per concedervi pause e riposini. D’ora in poi, sarà molto più dura. Intesi?”.

“Sì, maestro”.

 

   

 

 

“Bene, bene, mio giovane scienziato, dimmi un po’: a quale ramo della scienza vuoi dedicarti?” domandò l’uomo, sorridendo.

“Non lo so ancora” ammise Gudis “Per ora mi limito a provarne il più possibile”.

“Ti limiti? Questa è la via migliore, mio caro ragazzo. Solo così potrai scoprire per quale il tuo cervello superiore è più portato. E se poi vuoi seguirle tutte e ne sei in grado…vorrà dire che diverrai uno dei migliori di noi”.

“Non credo di arrivare a tanto”.

“Non sottovalutarti. Sei giovane, tutte le porte sono ancora ben aperte davanti a te. E tu, piccolina? A che razza pensi di appartenere?”.

Veda si nascose dietro al fratello, sgranando gli occhi in un insolito attacco di timidezza.

“Non lo sai? Beh, non fa niente. Lo scopriremo. Ora venite con me. Vi mostro la casa, le stanze dove starete e tutto il resto”.

Lo scienziato precedette i due ragazzi lungo una ripida rampa di scale in salita, che fece capire ai nuovi ospiti che il laboratorio dove erano arrivati era una sorta di seminterrato, diviso dal resto della casa da una pesante porta.

“Se deve esplodere qualcosa…” spiegò lo scienziato, come intuendo i loro pensieri “…meglio che esploda il laboratorio, non anche il resto della casa!”.

Chiuse a fatica quella porta e poi riprese il suo cammino. La casa era molto luminosa e geometrica, si capiva subito che era anche dotata di tecnologie e marchingegni vari. Gudis osservava tutto con curiosità crescente, piuttosto soddisfatto dall’idea di passare lì il periodo del suo apprendistato. Si augurò che anche la sorella provasse lo stesso, per non dover pensare ad un’altra soluzione.

“Io creo oggetti, come avrete modo di notare, perciò se vi serve qualche cosa basta chiedere e vedrò di accontentarvi, per quanto possibile” parlò l’uomo, mostrando le stanze perfettamente quadrate ai due fratelli.

“Vivi da solo?” domandò Veda, in uno slancio di coraggio.

“Purtroppo, mia giovane fanciulla, mi sono dedicato interamente agli studi per buona parte della mia vita, tralasciando altri aspetti”.

“È triste”.

“È una scelta”.

“L’hai fatta consapevolmente?” si intromise Gudis.

“Ora che mi ci fai pensare, non proprio. Sta di fatto che un giorno mi son svegliato e mi son accorto che certe cose le avevo ormai perse. Ma non ho rimpianti. Sono felice di essere arrivato dove sono ora e credo di non aver bisogno di altre distrazioni”.

“Noi siamo distrazioni” commentò il ragazzo.

“Lo so. Ma distrazioni interessanti. Ti insegnerò tutto e aiuterò tua sorella a trovare la sua strada. Sarà stimolante. Ma l’idea che non sia nulla di stabile, perché ad una certa età ve ne andrete, mi rassicura alquanto”.

Veda non capì del tutto quelle parole ma non chiese nulla, preferendo concentrarsi sull’arredamento di quella che era stata definita la sua camera. A suo parere, era troppo squadrata, troppo geometrica e troppo triste. Bianca, con al massimo qualche tocco di grigio, non rispecchiava i suoi gusti.

“Posso colorarla?” domandò.

“Certo. È la tua stanza adesso. Puoi farci quello che vuoi”.

La bambina sorrise, già immaginando cose grandiose e colori sgargianti. Gudis non si fece troppo problemi. A lui il bianco ed il grigio, colori ufficiali della classe degli stregoni, non dispiacevano. Anche se la sua attenzione era ormai rivolta al laboratorio al piano interrato.

“Hai quindici anni, giusto?” domandò il padrone di casa.

“Sì, esatto”.

“Dove hai fatto il primo anno di apprendistato?”.

“Da nessuna parte. Mia madre era malata, le son rimasto accanto”.

“Beh, allora dovremmo procedere al doppio della velocità per recuperare. Possiamo iniziare appena ti sentirai in grado di farlo”.

“Hem…adesso?” sorrise Gudis, con entusiasmo trattenuto a stento.

“Se vuoi. Andiamo. Lasciamo pure che tua sorella esplori la casa e faccia alla sua stanza quello che preferisce”.

“Ma per farlo mi servono i colori” affermò la bambina.

“Credo ce ne siano un po’ in soffitta. Va pure a cercarli e usane a tuo piacimento”.

 

   

 

Non era abituato a fare allenamento con la figlia del capo. Non sapeva molto bene come comportarsi. Una cosa era avere a che fare con il maestro e un’altra cosa era combattere, come gli era stato ordinato, con la sua erede. Lei sorrise, probabilmente con l’intento di deriderlo.

“Ihanez, non fare i vigliacco” ghignò, a voce sufficientemente bassa da non farsi sentire dal padre.

“Non lo faccio!”.

“E allora avanti, muoviti!”.

“Randoeku!” lo richiamò il maestro, immobile a braccia incrociate fuori dal cerchio in cui i due allievi si stavano esercitando “Perché usi solo magie di protezione? La mano destra ce l’hai, usa anche quella! Attacca!”.

“Non lo ritengo necessario” commentò Ihanez.

“Come sarebbe a dire?”.

“Se questo addestramento è per la guerra, il mio desiderio è imparare a difendermi, non attaccare. Se qualcuno tenterà di farmi del male, allora parerò”.

“E non contrattaccherai?”.

“No. Credo che la cosa sia controproducente”.

“Tu non hai idea di cosa significhi trovarsi in mezzo ad una battaglia, e prego gli Dèi di non trovartici mai. Mi pare evidente che ancora non abbia imparato a stare al mondo. Vedi di iniziare ad attaccare, se non vuoi che venga io all’interno del cerchio e ti mostri come si fa!”.

“Dai, papà, non esagerare” parlò Hennay, tentando di calmare gli animi.

“Non intrometterti e ricorda che durante l’addestramento sono prima di tutto il tuo maestro, e poi tuo padre”.

“Lo so. Scusi, maestro”.

“Vuoi difenderti, ragazzo? Bene, allora devi difenderti da qualcosa di serio, non dagli attacchi di una tua pari. In guerra troverai molti avversari forti, vengono scelti proprio per questo” mormorò il maestro, senza mostrare alcun sentimento in particolare.

Avanzò di un passo, sfiorando il cerchio di luce che circondava gli allievi, e lo espanse. Ihanez non si mosse. Invidiava la capacità del suo superiore di creare cerchi magici semplicemente con la mente, senza muovere un dito. La luce emessa dal disegno sul pavimento aumentò ed escluse la ragazza, che capì che si sarebbe divertita a guardare uno scontro impari.

“Preparati a parare qualcosa di davvero pericoloso”.

Ihanez si preoccupò a quella frase, non sapendo bene cosa aspettarsi. Era probabilmente il solito modo leggermente violento del suo maestro di impartire una lezione. Guardò in alto. Tutt’attorno al padrone di casa si era creata un’aura di colore azzurro brillante. L’allievo si apprestò a fare lo stesso. Purtroppo la sua era ben più piccola, data la notevole differenza di energia, e molto meno controllata. Lanciava sbuffi e lampi a casaccio. La cosa lo imbarazzo leggermente.

“Non ti preoccupare per la tua luce, sei ancora giovane. Ed hai ancora tre anni prima di passare al quinto livello, che pretende la sua totale padronanza” lo rassicurò il maestro, mostrando come riuscisse a modellare la propria a suo piacimento.

Ihanez si sentiva piuttosto insignificante, e nella mente sempre più si insinuava il dubbio che fosse tempo di mollare. Perfino i draghi dipinti alle pareti parevano deriderlo.

Il primo colpo del maestro partì all’improvviso, senza bisogno di alcuno sforzo da parte del suo lanciatore se non di un lieve movimento degli occhi. L’allievo si concentrò e spalancò la mano sinistra, stendendo il braccio. Pronunciò alcune parole e riuscì a non subire danni. La magia si divise e si dissolse, lasciandolo incolume. Invidiava i rari stregoni che riuscivano a fare tutto questo senza muoversi e senza parlare.

“Bravo” si sentì dire.

La cosa andò avanti per un po’, finché il maestro vide la stanchezza negli occhi del suo allievo, che non l’avrebbe mai ammesso di essere sfinito.

“Continua così, ragazzo. Ma migliora anche nell’attacco” fermò gli esercizi il padrone del castello, facendo segno anche alla figlia che per quel giorno poteva bastare. Ihanez annuì ma in realtà dentro di sé si disse che non avrebbe incentivato la guerra attaccando.

 

   

 

Veda era soddisfatta. Dopo giorni di lavoro, ora la sua stanza rispecchiava i suoi desideri. Aveva ricoperto la parete di scarabocchi, non essendo molto brava con il disegno, molto colorati. Questo dava di certo un tocco di allegria a quella che altrimenti sarebbe stata una sorta di camera d’ospedale, bianca e piatta. I suoi esperimenti per dipingere il soffitto, basati sull’uso di spugnette impregnate di colore e lanci per aria, aveva donato quell’effetto stile esplosione che la soddisfaceva. Ignorando il fatto di aver dipinto finestre, mobilia, lenzuola e quasi tutta se stessa. Sedette in terra, osservando il tutto. Sospirò. Quanto vorrebbe aver avuto la mamma lì accanto, a dirle che aveva fatto un bel lavoro, che era stata brava. Ma era solo un sogno. La mamma non sarebbe mai tornata. A quel pensiero, sentì una così forte rabbia crescerle in corpo che fece davvero fatica a reprimerla. Le era sempre stato detto che certi scatti non si addicevano ad una signorina per bene.

Sentendo dei rumori, uscì e vide due individui sconosciuti aggirarsi per il corridoio. Vestiti in bianco, parlavano tra loro di cose alla bambina incomprensibili. Notandola, i due si girarono. Veda si spaventò e tornò a chiudersi in camera. Gli sconosciuti la seguirono e non le diedero il tempo di chiudersi a chiave.

“E tu chi sei?” domandò uno di loro, con uno strano accento.

“Mi chiamo Veda Kami” mormorò lei, con un piccolo inchino.

“Non sei una scienziata!”.

“No”.

“E cosa sei?”.

“Non ne ho idea”.

“E cosa ci fai qui?”.

“Sono stata affidata al signore di questa casa, assieme a mio fratello Gudis, da mio fratello Ihanez”.

“E chi è tuo fratello Ihanez?”.

“Il mio fratello maggiore”.

“Uno scienziato?”.

“No, uno stregone”.

“La sorella di uno stregone qui? Con il rischio che sia pure lei della stessa specie? Ma è inammissibile! La cosa non può accadere in tempi come questi!”.

“Non vedo dove sia il problema. Io non faccio male a nessuno!”.

“Forse non adesso. Ma un giorno… Questo è un luogo per scienziati, cultori della sapienza, e non per bambinette che non sanno nemmeno a che classe appartengano”.

“Scusi la scortesia, ma credo che questi siano solo affari miei e di chi ha accettato di accudirmi”.

Veda sentiva di nuovo quella rabbia crescere dentro di sé e, quando i due sconosciuti in camice bianco iniziarono ad avvicinarsi, scattò in avanti, seguendo l’istinto. La rabbia divenne energia ed attaccò gli uomini, senza di certo pensarci troppo. A suon di calci, e sfruttando qualche oggetto qua e là sparso per la stanza, come il secchio dei colori e dei libri, mandò al tappeto due esseri molto più grossi di lei.

“Che sta succedendo qui?” domandò il padrone di casa, entrando nella camera allarmato dai rumori.

“Veda! Che hai fatto?” spalancò gli occhi Gudis, senza sapere bene come reagire.

Quando vide che il suo maestro era scoppiato a ridere, un pochino si tranquillizzò, pur non trovandoci niente di divertente.

“A quanto pare qui abbiamo una piccola guerriera” commentò.

Veda lo fissò, piuttosto imbarazzata da quell’evento, e si scusò.

“Non ti devi scusare” si affrettò a dirle il padrone di casa “Certe persone non capiscono ciò che gli viene detto finché non vanno incontro a cose del genere. Ho sempre avvisato i miei colleghi di rimanere al di fuori delle mie faccende, che son del tutto personali. Avrebbero dovuto seguire il tuo consiglio e lasciarti in pace. Non lo hanno fatto…peggio per loro!”.

“Il gran consiglio dovrà sapere che tieni con te una guerriera, sorella di uno stregone” gemette uno dei due attaccati, sforzandosi di rimettersi in piedi dal poderoso colpo al basso ventre che aveva ricevuto qualche istante prima.

“Il gran consiglio deve farsi un mega pacco di affari suoi. Questa bambina è qui con me perché suo fratello è mio allievo e lei è orfana, non ha un altro posto dove stare. Che dovrei fare, secondo voi? Cacciarla via e lasciarla morire da sola in questo mondo di merda? Nossignore, non farò una cosa del genere. Non ad una bimba così adorabile. E così manesca!”.

“Prima o poi pagherei le conseguenze di simili familiarità con le altre classi”.

“Può darsi ma saranno solamente fatti miei. E ora, cortesemente, lasciate questa casa. Se per voi è così fastidioso avere a che fare con una bambina, allora siete pregati di non farvi più vedere da queste parti. Andate a chiedere consulto e aiuto ad altri scienziati, non più a me”.

I due uomini, gemendo e muovendosi in modo piuttosto scomposto, lasciarono la casa, pian piano.

“Li hai conciate per le feste” ridacchiò il maestro, passando una mano fra i capelli della piccola e spettinandoli “Brava”.

“Ma cosa succederà adesso?” domandò Gudis “Non finirete nei guai a causa nostra?”.

“Nei guai?”.

“Sì. E quelle persone non torneranno più”.

“Ragazzo, con gente simile è meglio avere a che fare il meno possibile. Dicono di essere scienziati ma hanno la mente più chiusa e bigotta del peggiore degli ignoranti. E, purtroppo mi duole ammetterlo, i migliori di noi stanno diventando tutti così. Spero di riuscire a fare in modo che tu stia ben lontano da certe idee, perché sono quelle idee che portano alla guerra”.

“La guerra è di certo l’ultima cosa con cui voglio avere a che fare”.

“Ed io ti auguro di riuscire a starci fuori. Anche perché sta andando avanti da troppo tempo. Ma basta pensare a cose tristi. Torniamo a far lezione”.

“Cosa stai imparando?” domandò, incuriosita, Veda.

“Sono ancora alle basi, sorellina. Appena sarò in grado di mostrarti qualcosa, lo farò”.

“Ti insegnerò ad andare a trovare tuo fratello” sghignazzò lo scienziato, alludendo alla possibilità di giungere alla torre a quattordici facce del castello stregonesco.

   
 
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