II
SOGNI
Una
risata. Per Ihanez non
c’era modo
migliore di svegliarsi, soprattutto se a ridere era lei. Si
affacciò alla
finestra, ignorando la mano ancora un po’ dolorante, e la
vide laggiù,
dall’alto di una delle torri del castello, dove stavano le
sue stanze. Era nel
giardino interno e camminava fra gli alberi. Rideva, probabilmente
insensatamente, e probabilmente canticchiava sottovoce fra una risata
ed
un’altra.
“Buongiorno,
Randoeku!” lo salutò, inaspettatamente, lei
“Non credere che non mi accorga
quando qualcuno mi
osserva. Ho dei
poteri anch’io!”.
“Non
era mia intenzione spiarti”.
“Vieni
giù. Mio padre non c’è e credo che
occuparti assieme a me del giardino non
rientri fra le attività proibite”.
Ihanez
salì sul balcone e saltò, planando fino al
giardino. Spostarsi in quel modo era
una delle cose che gli riuscivano meglio. Guardò lei, che
nel frattempo si era
rimessa a curare le piante, e sospirò. Aspettare altri tre
anni? Ne valeva
pena? E per cosa?
“Hennay,
io…” iniziò, chiamandola per il vero
nome “Io pensavo di interrompere
l’apprendistato”.
“Come?!
Sei impazzito?! Ihanez, sei uno stregone fantastico, rinunciare
equivarrebbe a
buttar via un’esistenza. Perché?”.
“Perché
così potremmo andare via, io e te, e potrei prendermi cura
dei miei fratelli in
modo più diretto”.
“E
poi? Quale sarebbe il tuo futuro? Tu potresti divenire uno dei
più potenti,
passare la prova finale del quinto livello e divenire immortale.
Perché gettare
tutto al vento?”.
“E
se non riuscissi ad arrivare a quel giorno? Tutta la mia vita
è stata impostata
su questo. Sul fatto che a trentacinque anni avrei affrontato questa
prova, ma
se fallisco? Se lungo il mio cammino si presentasse qualcosa di
imprevisto, in
grado di togliermi ogni possibilità? Non voglio che tutto
sia basato solo sul
fatto che devo diventare uno stregone”.
“Altri
tre anni, e sarai passato al quinto livello. Lavorerai da solo, potrai
fare ciò
che vuoi e, vedrai, arriverai alla prova finale. Solo altri tre
anni”.
“Più
altri sette per la prova finale. Non credo di poter sopportare
tanto”.
“Mollare
tutto sarebbe un gravissimo errore”.
“E
perché?”.
“Perché
il tuo sogno è passare quella prova, e ce la farai. Poi
avrai l’eternità
davanti per ottenere tutto il resto”.
“Certo.
E se non ce la faccio avrò buttato trentacinque anni della
mia vita e avrò
perso tutto. I miei fratelli saranno cresciuti, non avranno
più bisogno di me e
tu…tu di certo sarai andata in sposa a qualche amico o
collega del maestro, tuo
padre, e ti sarai dimenticata di me”.
“Non
dire sciocchezze. Come credi che io possa dimenticarmi di te? Io posso
aspettare. Posso aspettarti, se lo desideri”.
“Tuo
padre non te lo permetterà mai”.
“Credi
che non sappia prendere le mie decisioni da sola?”.
“So
come può essere convincente tuo padre”.
Lei
non nascose la sua preoccupazione ma si sforzò di sorridere.
“Andrà
tutto bene” disse “Altri tre anni e sarai libero
dall’apprendistato da mio
padre e potremmo fare ciò che desideriamo”.
“Tre
anni è una specie di eternità”.
“Ma
sarai qui, ci vedremo sempre. E i tuoi fratelli sono affidati ad una
buona
persona, che si prenderà cura di loro. Andandoli a trovare,
poi, rimarrai di
certo legato a loro”.
“Sono
tanto confuso. E a questo punto della mia vita non dovrei esserlo
più”.
“Si
può essere confusi a tutte le età”.
Un
lampo azzurrognolo segnalò il ritorno del maestro. Ihanez si
affrettò a
raggiungerlo e vide subito dalla sua espressione che era di pessimo
umore.
“Successo
qualcosa?” domandò l’allievo.
“Questa
guerra mi sta decisamente stancando”.
“Credo
sia un sentimento comune”.
“Sono
così stufo di convocazioni per consulti che poi non servono
a un cazzo perché
lo stregone capo vuol vedere solo la sua e il suo unico pensiero
è stuzzicare i
capi di guerrieri e scienziati! Girano voci, tra l’altro, che
queste due classi
vogliano allearsi. Se ciò avvenisse, per noi sarebbe la
disfatta totale. Siamo
molti meno di loro”.
“Scienziati
e guerrieri uniti in un’unica fazione?”.
“È
quello che ho detto”.
“Cervelloni
esaltati e scemi del villaggio che combattono fianco a fianco?
Sinceramente,
non me li ci vedo molto”.
“Hanno
paura, Randoeku. Paura della nostra vita senza vecchiaia una volta
passato
l’ultimo esame. Hanno paura dei nostri poteri, di
ciò che non conoscono”.
“Non
siamo in tanti a passare quella prova e, comunque, se attaccati e
colpiti,
anche i grandi stregoni muoiono, aspetto da eterni trentacinquenni o
no!”.
“Lo
so. Ed è per questo che mi inquieta l’idea di una
loro alleanza. Già siamo
qualcosa di raro, se le cose peggiorassero non so quanto si potrebbe
andare
avanti”.
Ihanez
notò la preoccupazione sul volto del suo maestro e rimase in
silenzio, non
trovando parole sufficientemente rassicuranti.
“Dov’è
mia figlia?”.
“Credo
sia in giardino”.
“Chiamala.
Voglio tentare di rendervi più potenti il più
presto possibile. Non voglio
rischiare di trovarvi impreparati dinnanzi a certe
eventualità”.
“Sì,
maestro”.
“Venite
entrambi nel salone degli incantesimi”.
“Insieme?
Volete addestrarci insieme?”.
“Non
c’è tempo per concedervi pause e riposini.
D’ora in poi, sarà molto più dura.
Intesi?”.
“Sì,
maestro”.
●
●
●
“Bene,
bene, mio giovane scienziato, dimmi un po’: a quale ramo
della scienza vuoi
dedicarti?” domandò l’uomo, sorridendo.
“Non
lo so ancora” ammise Gudis “Per ora mi limito a
provarne il più possibile”.
“Ti
limiti? Questa è la via migliore, mio caro ragazzo. Solo
così potrai scoprire
per quale il tuo cervello superiore è più
portato. E se poi vuoi seguirle tutte
e ne sei in grado…vorrà dire che diverrai uno dei
migliori di noi”.
“Non
credo di arrivare a tanto”.
“Non
sottovalutarti. Sei giovane, tutte le porte sono ancora ben aperte
davanti a
te. E tu, piccolina? A che razza pensi di appartenere?”.
Veda
si nascose dietro al fratello, sgranando gli occhi in un insolito
attacco di
timidezza.
“Non
lo sai? Beh, non fa niente. Lo scopriremo. Ora venite con me. Vi mostro
la
casa, le stanze dove starete e tutto il resto”.
Lo
scienziato precedette i due ragazzi lungo una ripida rampa di scale in
salita,
che fece capire ai nuovi ospiti che il laboratorio dove erano arrivati
era una
sorta di seminterrato, diviso dal resto della casa da una pesante porta.
“Se
deve esplodere qualcosa…” spiegò lo
scienziato, come intuendo i loro pensieri
“…meglio che esploda il laboratorio, non anche il
resto della casa!”.
Chiuse
a fatica quella porta e poi riprese il suo cammino. La casa era molto
luminosa
e geometrica, si capiva subito che era anche dotata di tecnologie e
marchingegni vari. Gudis osservava tutto con curiosità
crescente, piuttosto
soddisfatto dall’idea di passare lì il periodo del
suo apprendistato. Si augurò
che anche la sorella provasse lo stesso, per non dover pensare ad
un’altra
soluzione.
“Io
creo oggetti, come avrete modo di notare, perciò se vi serve
qualche cosa basta
chiedere e vedrò di accontentarvi, per quanto
possibile” parlò l’uomo,
mostrando le stanze perfettamente quadrate ai due fratelli.
“Vivi
da solo?” domandò Veda, in uno slancio di coraggio.
“Purtroppo,
mia giovane fanciulla, mi sono dedicato interamente agli studi per
buona parte
della mia vita, tralasciando altri aspetti”.
“È
triste”.
“È
una scelta”.
“L’hai
fatta consapevolmente?” si intromise Gudis.
“Ora
che mi ci fai pensare, non proprio. Sta di fatto che un giorno mi son
svegliato
e mi son accorto che certe cose le avevo ormai perse. Ma non ho
rimpianti. Sono
felice di essere arrivato dove sono ora e credo di non aver bisogno di
altre
distrazioni”.
“Noi
siamo distrazioni” commentò il ragazzo.
“Lo
so. Ma distrazioni interessanti. Ti insegnerò tutto e
aiuterò tua sorella a
trovare la sua strada. Sarà stimolante. Ma l’idea
che non sia nulla di stabile,
perché ad una certa età ve ne andrete, mi
rassicura alquanto”.
Veda
non capì del tutto quelle parole ma non chiese nulla,
preferendo concentrarsi
sull’arredamento di quella che era stata definita la sua
camera. A suo parere,
era troppo squadrata, troppo geometrica e troppo triste. Bianca, con al
massimo
qualche tocco di grigio, non rispecchiava i suoi gusti.
“Posso
colorarla?” domandò.
“Certo.
È la tua stanza adesso. Puoi farci quello che
vuoi”.
La
bambina sorrise, già immaginando cose grandiose e colori
sgargianti. Gudis non
si fece troppo problemi. A lui il bianco ed il grigio, colori ufficiali
della
classe degli stregoni, non dispiacevano. Anche se la sua attenzione era
ormai
rivolta al laboratorio al piano interrato.
“Hai
quindici anni, giusto?” domandò il padrone di casa.
“Sì,
esatto”.
“Dove
hai fatto il primo anno di apprendistato?”.
“Da
nessuna parte. Mia madre era malata, le son rimasto accanto”.
“Beh,
allora dovremmo procedere al doppio della velocità per
recuperare. Possiamo
iniziare appena ti sentirai in grado di farlo”.
“Hem…adesso?”
sorrise Gudis, con entusiasmo trattenuto a stento.
“Se
vuoi. Andiamo. Lasciamo pure che tua sorella esplori la casa e faccia
alla sua
stanza quello che preferisce”.
“Ma
per farlo mi servono i colori” affermò la bambina.
“Credo
ce ne siano un po’ in soffitta. Va pure a cercarli e usane a
tuo piacimento”.
● ●
●
Non
era abituato a fare allenamento con la figlia del capo. Non sapeva
molto bene
come comportarsi. Una cosa era avere a che fare con il maestro e
un’altra cosa
era combattere, come gli era stato ordinato, con la sua erede. Lei
sorrise,
probabilmente con l’intento di deriderlo.
“Ihanez,
non fare i vigliacco” ghignò, a voce
sufficientemente bassa da non farsi
sentire dal padre.
“Non
lo faccio!”.
“E
allora avanti, muoviti!”.
“Randoeku!”
lo richiamò il maestro, immobile a braccia incrociate fuori
dal cerchio in cui
i due allievi si stavano esercitando “Perché usi
solo magie di protezione? La
mano destra ce l’hai, usa anche quella! Attacca!”.
“Non
lo ritengo necessario” commentò Ihanez.
“Come
sarebbe a dire?”.
“Se
questo addestramento è per la guerra, il mio desiderio
è imparare a difendermi,
non attaccare. Se qualcuno tenterà di farmi del male, allora
parerò”.
“E
non contrattaccherai?”.
“No.
Credo che la cosa sia controproducente”.
“Tu
non hai idea di cosa significhi trovarsi in mezzo ad una battaglia, e
prego gli
Dèi di non trovartici mai. Mi pare evidente che ancora non
abbia imparato a
stare al mondo. Vedi di iniziare ad attaccare, se non vuoi che venga io
all’interno del cerchio e ti mostri come si fa!”.
“Dai,
papà, non esagerare” parlò Hennay,
tentando di calmare gli animi.
“Non
intrometterti e ricorda che durante l’addestramento sono
prima di tutto il tuo
maestro, e poi tuo padre”.
“Lo
so. Scusi, maestro”.
“Vuoi
difenderti, ragazzo? Bene, allora devi difenderti da qualcosa di serio,
non
dagli attacchi di una tua pari. In guerra troverai molti avversari
forti,
vengono scelti proprio per questo” mormorò il
maestro, senza mostrare alcun
sentimento in particolare.
Avanzò
di un passo, sfiorando il cerchio di luce che circondava gli allievi, e
lo
espanse. Ihanez non si mosse. Invidiava la capacità del suo
superiore di creare
cerchi magici semplicemente con la mente, senza muovere un dito. La
luce emessa
dal disegno sul pavimento aumentò ed escluse la ragazza, che
capì che si
sarebbe divertita a guardare uno scontro impari.
“Preparati
a parare qualcosa di davvero pericoloso”.
Ihanez
si preoccupò a quella frase, non sapendo bene cosa
aspettarsi. Era
probabilmente il solito modo leggermente violento del suo maestro di
impartire
una lezione. Guardò in alto. Tutt’attorno al
padrone di casa si era creata
un’aura di colore azzurro brillante. L’allievo si
apprestò a fare lo stesso.
Purtroppo la sua era ben più piccola, data la notevole
differenza di energia, e
molto meno controllata. Lanciava sbuffi e lampi a casaccio. La cosa lo
imbarazzo leggermente.
“Non
ti preoccupare per la tua luce, sei ancora giovane. Ed hai ancora tre
anni
prima di passare al quinto livello, che pretende la sua totale
padronanza” lo
rassicurò il maestro, mostrando come riuscisse a modellare
la propria a suo
piacimento.
Ihanez
si sentiva piuttosto insignificante, e nella mente sempre
più si insinuava il
dubbio che fosse tempo di mollare. Perfino i draghi dipinti alle pareti
parevano deriderlo.
Il
primo colpo del maestro partì all’improvviso,
senza bisogno di alcuno sforzo da
parte del suo lanciatore se non di un lieve movimento degli occhi.
L’allievo si
concentrò e spalancò la mano sinistra, stendendo
il braccio. Pronunciò alcune
parole e riuscì a non subire danni. La magia si divise e si
dissolse,
lasciandolo incolume. Invidiava i rari stregoni che riuscivano a fare
tutto
questo senza muoversi e senza parlare.
“Bravo”
si sentì dire.
La
cosa andò avanti per un po’, finché il
maestro vide la stanchezza negli occhi
del suo allievo, che non l’avrebbe mai ammesso di essere
sfinito.
“Continua
così, ragazzo. Ma migliora anche
nell’attacco” fermò gli esercizi il
padrone
del castello, facendo segno anche alla figlia che per quel giorno
poteva
bastare. Ihanez annuì ma in realtà dentro di
sé si disse che non avrebbe
incentivato la guerra attaccando.
● ●
●
Veda
era soddisfatta. Dopo giorni di lavoro, ora la sua stanza rispecchiava
i suoi
desideri. Aveva ricoperto la parete di scarabocchi, non essendo molto
brava con
il disegno, molto colorati. Questo dava di certo un tocco di allegria a
quella
che altrimenti sarebbe stata una sorta di camera d’ospedale,
bianca e piatta. I
suoi esperimenti per dipingere il soffitto, basati sull’uso
di spugnette
impregnate di colore e lanci per aria, aveva donato
quell’effetto stile
esplosione che la soddisfaceva. Ignorando il fatto di aver dipinto
finestre,
mobilia, lenzuola e quasi tutta se stessa. Sedette in terra, osservando
il
tutto. Sospirò. Quanto vorrebbe aver avuto la mamma
lì accanto, a dirle che
aveva fatto un bel lavoro, che era stata brava. Ma era solo un sogno.
La mamma
non sarebbe mai tornata. A quel pensiero, sentì una
così forte rabbia crescerle
in corpo che fece davvero fatica a reprimerla. Le era sempre stato
detto che
certi scatti non si addicevano ad una signorina per bene.
Sentendo
dei rumori, uscì e vide due individui sconosciuti aggirarsi
per il corridoio.
Vestiti in bianco, parlavano tra loro di cose alla bambina
incomprensibili.
Notandola, i due si girarono. Veda si spaventò e
tornò a chiudersi in camera.
Gli sconosciuti la seguirono e non le diedero il tempo di chiudersi a
chiave.
“E
tu chi sei?” domandò uno di loro, con uno strano
accento.
“Mi
chiamo Veda Kami” mormorò lei, con un piccolo
inchino.
“Non
sei una scienziata!”.
“No”.
“E
cosa sei?”.
“Non
ne ho idea”.
“E
cosa ci fai qui?”.
“Sono
stata affidata al signore di questa casa, assieme a mio fratello Gudis,
da mio
fratello Ihanez”.
“E
chi è tuo fratello Ihanez?”.
“Il
mio fratello maggiore”.
“Uno
scienziato?”.
“No,
uno stregone”.
“La
sorella di uno stregone qui? Con il rischio che sia pure lei della
stessa
specie? Ma è inammissibile! La cosa non può
accadere in tempi come questi!”.
“Non
vedo dove sia il problema. Io non faccio male a nessuno!”.
“Forse
non adesso. Ma un giorno… Questo è un luogo per
scienziati, cultori della
sapienza, e non per bambinette che non sanno nemmeno a che classe
appartengano”.
“Scusi
la scortesia, ma credo che questi siano solo affari miei e di chi ha
accettato
di accudirmi”.
Veda
sentiva di nuovo quella rabbia crescere dentro di sé e,
quando i due
sconosciuti in camice bianco iniziarono ad avvicinarsi,
scattò in avanti,
seguendo l’istinto. La rabbia divenne energia ed
attaccò gli uomini, senza di
certo pensarci troppo. A suon di calci, e sfruttando qualche oggetto
qua e là
sparso per la stanza, come il secchio dei colori e dei libri,
mandò al tappeto
due esseri molto più grossi di lei.
“Che
sta succedendo qui?” domandò il padrone di casa,
entrando nella camera
allarmato dai rumori.
“Veda!
Che hai fatto?” spalancò gli occhi Gudis, senza
sapere bene come reagire.
Quando
vide che il suo maestro era scoppiato a ridere, un pochino si
tranquillizzò,
pur non trovandoci niente di divertente.
“A
quanto pare qui abbiamo una piccola guerriera”
commentò.
Veda
lo fissò, piuttosto imbarazzata da quell’evento, e
si scusò.
“Non
ti devi scusare” si affrettò a dirle il padrone di
casa “Certe persone non
capiscono ciò che gli viene detto finché non
vanno incontro a cose del genere.
Ho sempre avvisato i miei colleghi di rimanere al di fuori delle mie
faccende,
che son del tutto personali. Avrebbero dovuto seguire il tuo consiglio
e
lasciarti in pace. Non lo hanno fatto…peggio per
loro!”.
“Il
gran consiglio dovrà sapere che tieni con te una guerriera,
sorella di uno
stregone” gemette uno dei due attaccati, sforzandosi di
rimettersi in piedi dal
poderoso colpo al basso ventre che aveva ricevuto qualche istante prima.
“Il
gran consiglio deve farsi un mega pacco di affari suoi. Questa bambina
è qui
con me perché suo fratello è mio allievo e lei
è orfana, non ha un altro posto
dove stare. Che dovrei fare, secondo voi? Cacciarla via e lasciarla
morire da
sola in questo mondo di merda? Nossignore, non farò una cosa
del genere. Non ad
una bimba così adorabile. E così
manesca!”.
“Prima
o poi pagherei le conseguenze di simili familiarità con le
altre classi”.
“Può
darsi ma saranno solamente fatti miei. E ora, cortesemente, lasciate
questa
casa. Se per voi è così fastidioso avere a che
fare con una bambina, allora
siete pregati di non farvi più vedere da queste parti.
Andate a chiedere
consulto e aiuto ad altri scienziati, non più a
me”.
I
due uomini, gemendo e muovendosi in modo piuttosto scomposto,
lasciarono la
casa, pian piano.
“Li
hai conciate per le feste” ridacchiò il maestro,
passando una mano fra i
capelli della piccola e spettinandoli “Brava”.
“Ma
cosa succederà adesso?” domandò Gudis
“Non finirete nei guai a causa nostra?”.
“Nei
guai?”.
“Sì.
E quelle persone non torneranno più”.
“Ragazzo,
con gente simile è meglio avere a che fare il meno
possibile. Dicono di essere
scienziati ma hanno la mente più chiusa e bigotta del
peggiore degli ignoranti.
E, purtroppo mi duole ammetterlo, i migliori di noi stanno diventando
tutti
così. Spero di riuscire a fare in modo che tu stia ben
lontano da certe idee,
perché sono quelle idee che portano alla guerra”.
“La
guerra è di certo l’ultima cosa con cui voglio
avere a che fare”.
“Ed
io ti auguro di riuscire a starci fuori. Anche perché sta
andando avanti da
troppo tempo. Ma basta pensare a cose tristi. Torniamo a far
lezione”.
“Cosa
stai imparando?” domandò, incuriosita, Veda.
“Sono
ancora alle basi, sorellina. Appena sarò in grado di
mostrarti qualcosa, lo
farò”.
“Ti
insegnerò ad andare a trovare tuo fratello”
sghignazzò lo scienziato, alludendo
alla possibilità di giungere alla torre a quattordici facce
del castello
stregonesco.