Sesto capitolo
"Si può impazzire
d'amore? Si può morire
d'amore?
"Tanto,
tanto amore, tanta tanta luce, tanto sole"
-G. Verga ,
Storia di una capinera-
'Leda, mia
amata e piccola
Leda.'
Voce triste.
Angosciata.
Quasi lontana.
'Un giorno, lo
so che un
giorno perdonerai questo misero e triste uomo che ti ha abbandonata'
Il suo cuore
aveva perso un
battito.
Si era poi
quasi fermato.
E per un
attimo, un semplice
attimo, pensò che si fosse frantumato in mille pezzi.
'Un giorno,
anche tu proverai
quel tipo di amore che ti porterà a prendere delle decisioni
a volte estreme.'
No, lei non lo
avrebbe
provato.
Non avrebbe mai
permesso che
quel dolore tornasse a riva.
'Leda, un
giorno perdonerai
questo tuo debole e sciocco padre che non è riuscito a
sopravvivere alla morte
della tua amata madre. Perdonami, Leda, perdonami.'
Leda
si
svegliò quella mattina con le lacrime che le bagnavano le
guance bianche. Erano
anni che non faceva più quel sogno. Erano anni che aveva
cercato di dimenticare
la scelta che aveva fatto suo padre.
Suicidarsi
per amore.
Lasciarla
sola perchè in quella vita non sentiva più di
appartenere a nessuno.
Nemmeno
a
sua figlia.
Leda
non
aveva mai perdonato suo padre e nessuno sapeva la verità
della sua morte. Nessuno
sapeva che lui era morto davanti ai
suoi occhi, un’ora dopo aver visto bruciare il corpo di sua
madre. Un’ora dopo
convivendo con il dramma di aver salvato solo sua figlia e non la
moglie.
Si
era
sparato.
Davanti
ai
suoi occhi. Mentre la casa era ancora in fiamme. Mentre la gente stava
arrivando per salvarli.
Lui
si era
messo davanti alla porta principale e si era sparato. Mentre le fiamme
avvolgevano il suo corpo, lui le aveva chiesto di perdonarlo.
Perdonare
quel suo sciocco e triste padre che non aveva visto in lei abbastanza
amore da
poter sopravvivere senza sua moglie.
Leda
non lo
aveva perdonato e in quel preciso istante si era promessa di non amare
nessuno.
Perchè amare significava abbandonare qualcuno che credevi
fosse importante.
E
lei
pensava di esserlo.
Pensava
di
essere abbastanza per i suoi genitori.
E
invece non
fu così.
Leda
scansò
malamente le coperte cercando di scacciare quei ricordi dalla sua
testa. Perchè
le era tornato in mente?
Si
portò una
mano sulle labbra pensando al pomeriggio di ieri quando Richard l'aveva
aspettata fuori al cimitero e le aveva dato il bacio più
bello e passionale che
mai nella vita potesse immaginare.
Si
scansò i
lunghi capelli che le erano ricaduti sulla faccia mentre si trovava
ancora
seduta sul letto in un forte stato di agitazione.
Pensava
a
quel bacio.
Ma
soprattutto pensava al sogno che aveva fatto.
Era
come se
suo padre fosse tornato da lei per dirle qualcosa.
Un
qualcosa
di spiacevole.
Le
aveva
ricordato che aveva rinunciato a lei per amore.
"No,
non puoi permetterlo. Non puoi. L'amore ti ha uccisa una volta, non
puoi
permetterlo di nuovo. " si disse mentre cercava di tornare calma e
respirare a pieni polmoni.
Si
alzò e
andò verso l'armadio per decidere quale vestito indossare
per la colazione. Si
accorse di tremare mentre apriva le ante dell'armadio.
Aveva
paura.
Ma
non
sapeva bene da cosa scaturisse quella sensazione.
Se
dal
ricordo della rinuncia di suo padre a lei.
O
della sua
rinuncia verso Richard.
"Leda,
devi avere la forza di rinunciare." e si aggrappò all'enorme
mobile di
legno pregiato per impedirsi di cadere. Sebbene fosse consapevole
dell'effetto
che aveva Richard su lei, dovette costringersi di portare avanti la sua
battaglia.
Non
doveva
cedere, non doveva più soffrire per l'amore di nessun tipo.
Si
poteva
impazzire d'amore.
Si
poteva
morire d'amore.
E
suo padre
gliela aveva dimostrato.
No,
non
avrebbe mai permesso che Richard la uccidesse per amore come aveva
fatto sua
madre con suo padre.
***
Richard
girava e rigirava tra le dita quella minuscola scatolina nera che
conteneva
l'eredità della sua famiglia.
L'anello
che
una volta apparteneva a sua madre e che le era stato donato a sua volta
da sua
nonna.
Quell'anello
che aveva vissuto sul dito di tutte le donne della casata di sua madre.
L'anello che doveva passare da madre a figlia e che si era conclusa con
la sua
nascita.
Sua
madre,
Eleonor, aveva avuto solo lui. Per tanti anni aveva provato di
allargare la
famiglia ma purtroppo la sua salute non glielo aveva permesso.
Un
giorno,
prima della sua morte, gli aveva donato quell'anello con la promessa
che
l'avrebbe dato a colei che avrebbe amato per il resto della sua vita.
Una
ragazza
da considerare a pari e se non più di sua madre.
L’anello rappresentava quello.
Era il simbolo di vero amore che si scambiavano le madri con le figlie.
Eleonor
gli aveva fatto promettere di trovare una donna che sarebbe stata in
grado di
provare quel tipo di amore. L’amore per la famiglia.
Richard
lo
aveva preso e nascosto nella sua stanza.
Non
aveva
mai trovato nessuno che potesse essere pari alla straordinaria donna
che era
stata sua madre.
Nessuno
ne
era l'altezza, non lo era stato nemmeno sua moglie.
Eppure,
in
quel momento, aveva tirato fuori l'anello dal suo nascondiglio e lo
aveva
portato alla luce. Come se in quel preciso istante avesse capito di
aver
trovato una casa.
Un
posto a
cui appartenere.
Lo scosse ancora tra le sue dita
indeciso su cosa ne
sarebbe stato di quel piccolo oggetto d’orato e con una rosa
di cristallo
purissimo incastonata in mezzo.
“Buongiorno” e
Richard venne risvegliato dalla voce che
aveva riscaldato il suo cuore dal primo momento che l’aveva
sentita parlare.
Nascose veloce la scatolina nel taschino
della giacca e
con un cenno della testa avvertì i camerieri di servire la
colazione mentre
osservava Leda sedersi davanti a lui con una strana espressione sul
viso. Si
chiese se anche lei non fosse riuscita a prendere sonno per quel bacio
che si
erano scambiati poche ore prima. Se tutta la notte avesse avuto come
unico
pensiero di ripetere quel gesto, di stare abbracciati fino a quando il
mondo
glielo avrebbe concesso. Di essere solamente loro due, loro due e
basta. Ma il
viso della ragazza era una maschera bianca, si vedeva che era agitata,
soprattutto da come aveva tremato il bicchiere di acqua che si era
portata alla
bocca.
“Vi sentite bene?”
le chiese mentre la cameriere gli
serviva la seconda tazza di caffè della sua giornata. Si
portò la tazzina alle
labbra mentre osservava gli occhi di Leda farsi sempre più
spenti.
“Si, sto bene,
signore.” E sentì lo stomaco rivoltarsi
quando le posarono il piatto con ogni ben di Dio davanti al naso.
Voleva andare via, voleva avere un paio
di ali per poter
scappare. In quel momento desiderò di avere Robert accanto a
se. Non sapeva perché,
ma con lui si sentiva come una principessa protetta dal suo miglior
cavaliere.
Con quei pensieri nella mente non si
accorse che Richard
si era alzato per sedersi poi accanto a lei. Sentì il mento
sollevarsi dalle
dita lunghe e affusolate dell’uomo e di nuovo il suo cuore la
tradì. Quel cuore
iniziò a battere come impazzito.
Maledetto cuore.
Traditore.
Egoista.
Perché non pensava a lei e a
quanto aveva sofferto a causa
sua?
Perché ancora desiderava
quell’amore che lei cercava in
tutti i modi di negargli?
Perché voleva a tutti costi
soffrire?
“Non state bene, siete pallida
e i vostri occhi mi dicono
che avete pianto.” Soffiò quelle parole come se
fosse un vento fresco e
primaverile, in grado di sciogliere il ghiaccio nascosto dentro lei.
Perché era
così sorprendentemente dolce? Perché era
così difficile portare avanti una
convinzione che le sembrava importante fino a due giorni prima?
Perché mai aveva scelto lei?
“Vi ho detto che sto bene, non
dovete preoccuparvi.” E così
dicendo scansò malamente le mani dell’uomo dal suo
viso e si alzò.
Doveva stargli lontana.
La sua vicinanza era più
pericolosa di una pistola puntata
alla tempia.
“Cosa significa?”
gli disse lui non riuscendo a capire
quella freddezza che gli riservava dopo quel profondo bacio che si
erano
scambiati. Credeva che qualcosa fosse cambiato dopo ieri e invece
sembrava
addirittura peggiorato.
Sentì i camerieri rientrati
per portare le altre portate
della colazione e con un solo semplice cenno del capo gli fece capire
di uscire
e di non disturbarli per nessun motivo al mondo.
“Leda, vi ho fatto una domanda
e gradirei una risposta da
voi.” E si alzò anche lui per raggiungere le esili
spalle della ragazza posta
davanti alla finestra.
“A che proposito?”
disse in un sussurro sentendo già la
presenza dell’uomo dietro di se.
“Mi state prendendo in
giro?”
Ora Richard era confuso e
cercò di trattenere l’irritazione
che provava per non fare lo stesso errore di ieri.
“Signore, non è
nella mia indole prendermi gioco di un
uomo rispettabile. Scusate ma vorrei andare nella mia
stanza.” e deglutì
cercando di capire come farsi strada da lui e raggiungere la porta sana
e
salva. Ma come aveva immaginato lui la bloccò con il suo
corpo appena si girò.
Non la toccò, non la fermò nemmeno con una mano.
La sua sola presenza la fece
fermare e angosciata guardò i suoi occhi azzurro color degli
abissi. E in quel
momento pensò di sprofondare.
“Perché fate
così? Perchè mai mi fate questo?” e
strinse
le mani a pugno che aveva dietro la schiena per trattenersi da
prenderla e
ricordarle il bacio che solo poche ore prima li aveva uniti.
“Pensate perché mi
sia concessa al vostro bacio…mi conceda
anche al matrimonio? Siete pazzo..”
In quel momento Leda trovò la
forza di allontanarsi da lui
e pregò con tutto il cuore che non la fermasse e che non la
trattenesse con la
forza delle sue mani.
E si sentì sollevata quando
vide la porta farsi sempre più
vicina fino a quando le parole dell’uomo non ebbero
l’effetto di frenarla per
poi guardarlo incredula.
“Siete forse una sgualdrina
che vi concedete al primo uomo
che vi mostra il proprio desiderio?”
“Come osate? Cosa ne sapete di
me per dire queste parole?
Solo perché vi rifiuto, non avete il diritto di offendermi
in questo modo.”
“E cosa dovrei pensare,
Leda?” chiese esasperato Richard
appoggiandosi al tavolo e afferrando il mobile con le mani per
mascherare la
rabbia che stava salendo sempre di più fino alla sua testa.
Cosa diavolo le era
successo? Perché al posto della docile Leda…ora
c’era una donna completamente
diversa. Una persona che avrebbe preferito buttarsi dalla finestra che
stare in
sua compagnia.
“Mi dispiace che abbiate
pensato che fossi favorevole al
matrimonio ricambiando il vostro bacio.” E
cominciò a stuzzicarsi le unghie non
sapendo cosa altro aggiungere. Si era solamente lasciata andare a quel
diavolo
tentatore. Come poteva vincere con un uomo che incantava e incatenava
il suo
cuore solo con un semplice sguardo?
“Quindi dovrei pensare che vi
piace baciare chicchessia, perdonate,
Signorina. Spero che almeno vi sia piaciuto e sia stato
all’altezza degli
altri.” e in quel momento avrebbe voluto prendere a calci
tutto e tutti
nascondendo la gelosia di pensare a lei con un altro.
“Siete meschino, signore. Non
ho mai baciato nessuno e non
ho termini di paragone. Mi dispiace che pensiate che sia una persona
così futile.”
Sentì un groppo in gola e sperò che la lasciasse
andare prima che si mettesse a
piangere.
Ai suoi occhi stava uscendo come una
sgualdrina.
Quella cosa la feriva ma se era
l’unico modo per poter
andare via, avrebbe accettato le sue parole.
“Sono meschino? E voi cosa
siete, allora? Come dovrei
sentirmi dopo tutto questo? Ieri ve ne siete andata come una furia, ho
pensato
di essere stato cattivo e di rimediare. E invece no, siete uscita con
il mio
avvocato, avete riso con lui. Avete, magari, passato del bel tempo
insieme.
Magari vi siete anche lasciata andare…” ma non
finì la frase che Leda lo aveva
raggiunto con uno schiaffo. Si portò la mano sulla parte
ferita e strinse i
denti nel vedere come il gli occhi di Leda si erano bagnati di lacrime.
Era un mostro.
Era la gelosia che lo faceva parlare.
“Robert non è
lontanamente quel tipo di persona. Lui è
stato gentile con me come non lo era mai stato nessuno. Potete
offendere me ma
non lui.” Rispose singhiozzando e in quel momento vide gli
occhi di Richard
farsi due fessure di rabbia e Leda per un attimo tremò
pensando al peggio.
“Robert?” le disse
solamente sentendo il tarlo della
gelosia riaffiorare.
Leda lo chiamava ancora signore.
Mentre il suo avvocato era
già stato premiato con il suo
nome.
“Quanta intimità
per una persona che conoscete appena…”
“E’
l’unica persona che mi ha mostrato della
gentilezza…”
Si guardarono intensamente negli occhi.
In quelli di lui c’era
frustrazione per quelle parole che
Leda rivolgeva ad un altro uomo.
In quelle di lei c’era
colpevolezza e consapevolezza di
averlo ferito.
Nell’aria c’era la
solita alchimia che li catturava e li
rendeva schiavi l’uno verso l’altra.
C’era di nuovo quella passione
che tutti e due riuscirono
a mettere da parte per gli avvenimenti appena successi.
Richard si allontanò da lei
portando una mano nella tasca
e sentendo quella scatolina fredda a contatto.
Era fredda come il suo cuore in quel
momento.
Aveva pensato davvero di donare quel
tesoro a Leda?
Un anello che mai e poi nella vita le
avrebbe visto al
dito.
Stava davvero mettendo tutta la sua
esistenza nelle mani
di quella donna?
No, non lo avrebbe fatto.
Avrebbe portato avanti la sua missione
senza pensare alle
conseguenze.
Lo voleva lei, glielo stava imponendo.
E giurò a se stesso che lei
gli avrebbe ceduto.
“Domani sera ci
sarà un ballo dal Conte Gordon. Per le 8
dovrete essere pronta.” Non disse altro raggiungendo la porta.
“Non amo i balli
,signore.”
Di nuovo la parola signore.
Leda vide le spalle dell’uomo
muoversi impercettibilmente,
come se lo avesse accoltellato solo con quella semplice parola.
“Non dovete amarli, dovete
solo eseguire il mio ordine. Se
non sarete pronta per quell’ora vi verrò a
prendere fino in camera e vi porterò
di peso fino al ballo. Anche in camicia da notte, non mi importa del
vostro
abbigliamento. Sono stato chiaro?”
Nelle sua parole non c’era un
briciolo di gentilezza Leda
notò che non era un invito ma un semplice e drastico ordine.
“Ci
sarò.” Gli disse per poi vederlo scomparire da lei.
Si sedette appena lui se ne
andò, come se tutta la forza
che aveva avuto fino ad un momento fa, l’avesse lasciata
andare.
Aveva appena messo un piede verso la
libertà.
E aveva appena perso un frammento del
suo cuore appena lui
gli aveva voltato le spalle.
***
Richard richiuse l’anello nel
cassetto dove era stato nascosto
fino adesso. Come aveva potuto pensare di lasciarsi andare con lei?
Sbattè il cassetto arrabbiato
dandosi dell’idiota. Stava
per mandare in frantumi il lavoro di così tanti mesi per un
semplice bacio.
“Non permetterò che
mi distruggiate.” E si tolse la giacca
per poi buttarla sul letto. Raggiunse la finestra accendendosi un
sigaro e per
un attimo sbarrò gli occhi.
Davanti al suo davanzale c’era
un piccolo nastrino azzurro
cielo. Allungò la mano per poi toccare incredulo quel
piccolo pezzo di stoffa.
Era forse impazzito?
Come ci era finito lì?
L’azzurro.
“E’ IL
COLORE DEI TUOI OCCHI,
AMORE. E FINO A QUANDO VEDRAI QUESTO NASTRO, SAPRAI CHE TI
APPARTENGO.”
Richard
si lasciò andare a
terra accompagnando nella caduta quel pensiero che tanto
prepotentemente gli
era tornato nella mente.
Il
suo colore preferito.
Il
colore della sua
appartenenza.
Il
colore che dava inizio a
quella tragedia di cui lo stesso era l’artefice.
Angolo autrice:
Ebbene, diciamo che da questo
capitolo in poi si inizieranno
a capire un po’ di cosine in più.
Cosa ne pensate della povera Leda?
Condividete con lei il motivo per cui
non vuole amare
nessuno?
E che ne pensate di Richard?
Sapranno amarsi o si odieranno fino
ad uccidersi?
Chissà xD
Spero che anche questo capitolo vi
sia piaciuto e ringrazio
con tutto il cuore chi mi segue e che mette la storia tra i preferiti.
Un bacio e a presto ^^