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Autore: _candyeater03    22/04/2015    3 recensioni
{Tributi dei Settantaquattresimi Hunger Games}{Raccolta di OneShots; 10159 parole}
***
Questo è il canto dei tributi, una confessione, un sussurro, un epitaffio.
Gli ultimi pensieri di molti che non lo credevano, perché la morte coglie di sorpresa. Di molti che hanno abbassato la guardia nel momento fatale, convinti di essere al sicuro. Illusi anche solo per un giorno di potercela fare.
Ma non era forse sempre stata questa la regola? Un solo vincitore. Oppure due, magari.
Questo è il racconto di sette morti, e di altre tre. Dieci anime bambine soffiate via, dieci colpi sul tamburo della ribellione.
***
1. You and I’ll be safe and sound
2. Just close your eyes
3. I remember you said don't leave me here alone
4. I remember tears streaming down your face
5. No one can hurt you now
6. You'll be alright
7. Hold on to this lullaby
8. All that's dead and gone and past tonight
9. Come morning light
10. Everything's on fire
11. Epilogo
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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All that’s dead and gone and past, tonight



 
L’avevo visto scivolare come acqua via dalle mie mani. Tutto ciò in cui confidavo, in cui mi sforzavo di credere e in cui speravo, anche solo per pura disperazione.
Andato, morto, passato. Solo in un secondo, in una notte. Quella che, in futuro, si sarebbe persa nella memoria di infinite Edizioni di Hunger Games. Che si sarebbe agitata e calmata come la marea, trasformandosi da presente a passato con una rapidità impressionante.

Non sarebbe mai stata “la notte in cui Lilith James morì”, nessuno in tutto Panem l’avrebbe ricordata così.
Nemmeno il Distretto 4, nemmeno la mia famiglia. Non sarei stata nient’altro che un’altra anima vagante per l’Oscurità. Senza traccia, senza ricordo. Morta in un modo stupido, indegno di essere visto come una morte valorosa.
E allora non sarei più stata nessuno, senza quei ricordi che rendono vive anche le persone che si sono addormentate per sempre.

Avevo pensato a tutto questo mentre vedevo gli aghi inseguitori che mi cadevano addosso, e sentivo gli altri sempre più lontani che gridavano e gemevano per il dolore. Avevo solo il tempo di rammaricarmi, mentre correvo via sperando di lasciare indietro tutto il mio dolore.
Sedici anni di vita, che vita non era stata. Da quante cose mi ero tirata indietro, inconscia del fatto che sarei finita così, soppressa dalla capitale. Da quei Giochi mortali, ideati da loro stessi. Giochi della Fame, che chiamarono così senza sapere minimamente quanto quel nome si addicesse al significato.

Continuavo a correre. Le punture sulle gambe bruciavano e mi rallentavano, ma non avrei potuto fermarmi.
La Cornucopia, il lago, i miei alleati. Tutto era così vicino, non dovevo arrendermi. Avevo richiamato tutta la forza di volontà che non avevo mai avuto davvero, prima di riprendere a correre.

Marvel era solo pochi metri più avanti, e si trascinava avanti aiutandosi con la lunga lancia.
Clove cercava invano di scacciare gli aghi inseguitori con il grosso coltello dal manico ricurvo, rischiando di ferire gli alleati vicino a lei con ampi movimenti dell’arma.
Cato gridava come un forsennato e sembrava quasi scappar via da qualcosa, forse dall’alveare degli aghi inseguitori, forse dalla Ragazza in Fiamme, forse dalla consapevolezza di essere stato visibilmente indebolito e di aver lasciato indietro una parte della sua squadra. Se un gruppo di persone che si alleavano e poi si uccidevano poteva chiamarsi così.

Mi fermavo ogni tanto per il fiato corto, ma non mi arrendevo ancora.
Una putura sulla carotide mi aveva dato il colpo di grazia, facendomi cadere a terra, ansimante. I miei alleati erano lontani, e le cose perdevano lentamente forma davanti a me. Iniziavo a vedere male attraverso le mie membra ingrossate.

Con un pesante respiro rotto di pianto, avevo alzato le mani al cielo.
Quasi toccavo la luna e le stelle. Le stesse di sempre. Quelle che in tutto Panem ravvivavano il cielo notturno. Che, nel Distretto 4, illuminavano l’impetuosa marea che colpiva gli scogli riempiendo l’aria di salsedine.
Avevo sorriso tra le lacrime salate. Sembra impossibile come possano essere le cose più semplici a dare la felicità nei momenti peggiori.

Non avevo mai pensato di vincere, né di morire. In realtà avevo sempre avuto paura di entrambe.
Ma una escludeva l’altra, e se una non accadeva l’altra doveva accadere per forza. Il mio comportamento era solo un modo irragionevole di posticipare l’inevitabile.

Avevo visto Marvel correre controvento nella mia direzione.
Le speranze che fosse tornato indietro per me si infransero bruscamente quando mi superò di corsa, rivolgendomi una breve occhiata di sufficienza. Aveva solo lasciato indietro la compagna di Distretto, che probabilmente lui amava con tutto il cuore.
Se mi fosse stato possibile ucciderla, sicuramente quella ragazza sarebbe stata già morta. In un modo molto violento e doloroso.

Avevo chiuso le mani che, fino a quel momento, erano state tese verso il cielo.
Le avevo posate molto cautamente sul cuore, per poi scoprire che il battito cardiaco stava rallentando con spaventosa rapidità, nonostante continuasse a tamburellarmi nelle orecchie coprendo ogni altro suono circostante. 

Quindi morire è davvero così? 
Non ero certa nemmeno di essere in fin di vita. Non ero certa di niente, le mie inutili riflessioni non mi avevano aiutato a conoscere meglio la vita. Affatto. Non sapevo niente di me stessa, degli altri, di come affrontare la vita e la morte, quelle due facce così unite di una stessa medaglia.
E morire dopo una brevissima vita di incoscienze mi sembrava solo ingiusto. 

Ma la vita non è mai giusta. E nemmeno la morte, a pensarci bene.
E poi, cosa sarebbe la vita, se fosse equa? Sarebbe qualcosa che solo i deboli non riuscirebbero a sopportare.
Deboli come me. Deboli come ero stata io.

Negli ultimi istanti di vita ero così proiettata nella morte, che non avevo fatto caso a quando la vita aveva lasciato i miei occhi.
Quando, con un gemito soffocato, i miei polmoni avevano smesso di respirare. Quando il cuore aveva smesso di tamburellarmi nelle orecchie. Quando la mia mente si era fatta buia, e i miei ragionamenti si erano spenti di botto. 

Quindi morire è davvero così? Forse. Al momento non lo sapevo.
Ero tanto immersa nell’Oscurità che anche pensare ai raggi del sole mi avrebbe fatto male.
Ma i raggi del sole non arrivavano. Non più, non da me.

E avrebbero smesso di illuminare il mio giorno per sempre.






NdA:
Mi scuso per l'infinito ritardo, anche perché avevo il capitolo già pronto da più di una settimana, solo che non sono riuscita a pubblicarlo prima. Volevo farlo ieri o due giorni fa, solo che c'era Divergent in tv e non potevo perdermelo anche perché sono l'unica fan di Divergent sfigata che non l'aveva ancora visto
Ringrazio infinitamente chi è qui a leggere questo capitolo, è molto importante per me :3
Comunque questa era la ragazza del Distretto 4, e ho scritto di lei perché non avevo molta ispirazione per quello del 3. Comunque prima o poi, probabilmente poi, anche il suo capitolo arriverà C:
Ci vediamo!

Candy<4
 
   
 
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