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Autore: Lost In Donbass    22/04/2015    1 recensioni
Londra, 1888. Midford High School, istituto maschile per nobili rampolli.
Viole MacMillan è uno strano ragazzo; pittore senza pari e genio sconclusionato, malinconico ma deciso, curioso ma riservato, oscuro e dannato.
Edgar Cole è bello come il sole; intelligente e aggraziato come pochi, poeta e sognatore, idealista e innamorato del bello e del perfetto, popolare e avventuroso.
Queste due diverse personalità si fonderanno l'una con l'altra, si incendieranno a vicenda, si amalgameranno nonostante le diversità seguendo il tenebroso e sanguinario filo del destino. Filo che li conduce in un mondo maledetto, nascosto nel giardino interno della scuola. I due ragazzi si lasceranno trascinare in un mistero più grande di loro, dove demoni e dei della morte, streghe e corvi parlanti si dilettano in un banchetto senza fine, in cui gli umani non sono altro che pedine e biscotti da sgranocchiare nell'attesa.
Viole e Edgar intraprenderanno il viaggio nel baratro dell'orrore più nero, cercando di uscirne vivi e tagliare il filo sanguinolento del destino.
Ora loro sono gli scacchi, e la scuola la scacchiera.
Genere: Avventura, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PARTE SESTA : LE DISCUSSIONI
Viole fece fatica a non spalancare la bocca in una smorfia sconvolta. Non erano semplicemente vuote quelle orbite, erano … nulle. Ci si perse dentro per un attimo, nel’infinità di quel nero che non era nero e per quel secondo in cui lo fissò negli occhi poté provare nella sua stessa mente il senso di infinito e di inconcepibile profondità. Un terribile senso di vertigini lo colse, talmente forte da farlo quasi accasciare al suolo; c’era il nulla, ed era terrificante. Un qualcosa di talmente immenso e immortale da sconquassare la mente di un normale umano. Dentro c’era morte, vita, eterno ritorno e quell’infinità di concetti troppo forti per la nostra testa, tutti gli arcani, il sapere, i concetti del mondo. Quello che l’Umanità mai avrà era nascosto nelle orbite del demone. E meno male che era stato Viole MacMillan a vedere per un secondo tutto quell’orrore meraviglioso, che qualche possibilità di resistenza le aveva ancora nel sangue. L’eternità poteva uccidere, tanto vasta è la sua potenza di fronte all’essere umano.
Edgar, vedendo il suo amico barcollare, lo sostenne fissandolo interrogativamente:
-Viole, stai bene?
La voce di Viole, solitamente insolente, sottile e sarcastica si era trasformato in un sibilo tremolante e disturbato.
-Non guardarlo negli occhi, Edgar.
-Cosa? Viole ma che …
Il marchese venne interrotto dal miagolio di Donna Cibele
-Windust, ma come pensi di mostrare i tuoi occhi ai giovani umani? Potrebbero non reggere alla vista!
La strega fece frusciare il rosso vestito attorno a Edgar, lanciando a Viole un’occhiata fulminante. Viole se ne accorse, ma la ignorò. Non era proprio il caso di mettersi a litigare con una strega e ben che meno in quel momento.
-Giusto. Sono umani. Che stupido che sono! Vogliate scusarmi, conte MacMillan, per la mia poca accortezza.
Windust rimise a posto i ciuffi ribelli sugli occhi e si voltò verso Nocche che li squadrava severamente.
-Allora, Nocche? Che si mormora nel Giardino?
-Siediti, e ne parliamo. Conte, marchese, vogliate tornare ai vostri posti e finire di godervi il banchetto.
Viole e Edgar obbedirono senza fiatare, mentre tutta la tavolata si era voltata verso i due demoni che sedevano gloriosamente, e forse con aria melanconica, a capo tavola. I corvi si affrettarono a servire al nuovo venuto una grossa dose di quella che pareva torta ai mirtilli e che Windust attaccò voracemente, come un bambino davanti al dolce preferito. 
-TerraCapovolta non è più il mondo sicuro che era una volta. Corrono voci pericolose sul conto di alcuni traditori della “Bolla Sacratae”.
-Di sovversivi ve ne sono sempre stati- disse Windust, leccandosi le dita per rimuovere gli ultimi rimasugli di torta.
-Penso che tu capisca bene che se ora viene violata la Bolla, potrebbero esserci degli scompensi troppo gravi per poter essere cambiati da noi e dovremmo chiedere il Suo aiuto, cosa che non mi sembra il caso di dover fare.
-Ci stiamo fregando con le nostre stesse mani, gente. Se va avanti così, ci ritroveremmo a dover svegliare le Lontre della Tempesta. E quelle non le ho mai sopportate troppo- ridacchiò Trickster, nascondendo sotto il sorriso malandrino e la pesante maschera di trucco una certa aria preoccupata. Lui era il giullare di corte, non poteva mostrarsi preoccupato. Trickster l’aveva orami imparato : era il dio dei bugiardi, degli inganni e della frode, il patrono del divertimento, della finzione e del cieco scherzo. Per ciò non poteva mostrarsi preoccupato davanti a nulla; per quanto grave fosse stata la situazione, doveva continuare a fare dell’ironia e del divertimento. Anche se avesse assistito al processo dei suoi amici, non avrebbe potuto piangere, ma ridere. D’altronde, un giullare ci voleva sempre.
-Sei un angelo caduto dopotutto. Qualcosa potresti sempre fare- aggiunse Donna Cibele.
-Non sono un “angelo caduto”. Sono semplicemente un “demone divino”. Angelo caduto è un termine terribilmente obsoleto e pacchiano da usare, Cibele.
-Chiamati come vuoi, ma tanto rimani sempre quello che sei : la feccia più incredibile di tutto il Paradiso. Il dio dei traditori, di quelli che hanno perso tutto. Non so se c’è da vantarsi- ribattè velenosa Donna Cibele.
-Anche i perduti hanno un dio- concluse con noncuranza Windust.
-Cibele, smettila di importunare il nostro ospite- ordinò Nocche – Vedi cosa puoi fare, allora?
-Sospetti?- Windust, infilzò con un unghia una grossa ciliegia e se la portò alla bocca, in un gesto languido e calcolato.
-Parlare ora, non ci sembra il caso- la nuova voce, sdoppiata, fece sobbalzare Viole e Edgar. Quasi senza accorgersene, il marchese afferrò spasmodicamente la mano del conte. Quel freddo cadaverico, quella mano bianca dalle sottili vene e dai polpastrelli rovinati dal prolungato contatto con i colori a olio erano per Edgar la cosa più delicata che potesse esserci al mondo. Ricordava, come fosse il giorno prima, quando sua zia Anne gli aveva chiesto cosa fosse per lui la cosa più bella della scuola. Lui aveva esitato per un attimo, nella puntigliosa ricerca della cosa che più l’aveva colpito del giovane conte e poi aveva dichiarato, facendo impallidire tutti gli ospiti “La cosa più bella della nuova scuola, cara zia, sono le mani del mio compagno Viole MacMillan. Ha le dita più delicate e sublimi che abbia mai avuto il piacere di vedere. Mi basta sfiorargli le mani per sentirmi a casa.” Era piccolo, dannazione. Piccolo e innocente. Gli sembrava una cosa bella da dire, dolce. Non gli aveva riservato che astio da parte della sua bigotta famiglia; più gli anni passavano più Edgar si sentiva fisicamente e psicologicamente attratto da Viole, tanto che decise di confidarsi col vecchio giardiniere di casa sua. Gli aveva raccontato tutto, e il giardiniere si era limitato a ridere e a borbottare “Padroncino, se questo non è amore, io sono una capasanta”. Edgar aveva coltivato il suo “amore”, a detta del vecchio giardiniere, come un fiore delicato. Lo aveva annaffiato, protetto dalle intemperie, curato. Gli aveva parlato, come si parla a un grosso fiore malaticcio eppure bellissimo che ha difficoltà a sbocciare. Continuava a lavorarci ogni giorno, riservandogli un ritaglio di tempo ogni sera per vedere come cresceva.
Viole, dal canto suo, odiava ammettere che ora che Edgar gli teneva la mano, avrebbe voluto rimanere così, mano nella mano per sempre. Non sapeva nemmeno lui cosa provava per il marchese; cercava di convincersi di odiarlo eppure non ci riusciva, qualcosa di più forte dell’odio sorgeva dentro di lui quando si parlava di Edgar. Forse perché disegnarlo così tanto li aveva resi segretamente complici, e doveva ammettere che non era stupido come se l’era immaginato, solo … innocente. Talmente puro da sembrare cristallo, e talmente candido da incantare un’anima ribelle, scura e acida come quella di Viole. Viole non era innocente, tutt’altro. Come i suoi dipinti, che nel cuore avevano sempre qualcosa di sporco, di corrotto, di scorretto. Edgar no. Era tutto quello che Viole non era, quello che lo completava. Ricordava quando le sue sorelline gemelle, Deirdre e Morvenna avevano visto i disegni di Edgar e gli avevano chiesto, con i loro sorrisi cristallini “E’ il ragazzo che ti piace, Vì?”. Erano troppo piccole per capire cos’era l’amore, cos’era l’attrazione fisica, per capire le distinzioni tra i due sessi. Lui si era limitato ad annuire forzando un sorriso, per farle contente, visto che insistevano affinchè si trovasse qualcuno da amare. Non aveva mai accolto l’ipotesi di amare Edgar Cole, perché non era possibile. Dai, no. Anche se  in certi momenti, tipo quello, era tentato di dare ragione a Deirdre e Morvenna e ammettere che, forse sì : gli “piaceva”il marchese.
I due ragazzi si voltarono verso la nuova voce doppia che era risuonata nel silenzio del Giardino degli Scacchi Caduti. Apparteneva a due strani figuri, entrambi avvolti in grossi mantelli verde smeraldo. Erano due tipi dagli enormi occhi gialli, le lunghe lingue nere e biforcute che saettavano ogni momento e i capelli lunghi, bagnati e inquietantemente verde palude. I due si alzarono in contemporanea, facendo frusciare i mantelli
-Pain e Sorrow Forktongue- si presentarono, con un inchino. Inchinandosi, aprirono i mantelli, rivelandosi, in maniera molto poco consona, a torso nudo, con le gambe lunghe e secche fasciate in quelli che parevano pantaloni troppo stretti verde bottiglia. La cosa che più sconvolse Edgar, oltre al fatto della loro semi nudità, che non si addice a un vero gentiluomo, era la loro pelle. I visi, identici peraltro, erano fini e pallidi, delicati, ma dal collo in giù la pelle diveniva verde malato e completamente squamosa. Parevano serpenti. In forma umana.
-Perché non vi sembra il caso, gemelli serpenti?- sghignazzò Trickster.
-Lo dicono i Mocassini D’Acqua, che l’ora non è adesso- ribatterono in coro i due serpenti, facendo saettare le lingue.
-Scusate il loro linguaggio poco accurato, ma non sono abituati a discorrere con umani- intervenne Nocche Digtheground.
-Il cobra dagli occhiali non ha detto nulla. Noi non parliamo- ribatterono i due.
-Ehi, Edgar, hai notato che la voce sdoppiata dei serpenti è uguale praticamente a quella del rettore?- biascicò Viole.
-Che siano loro?- sussurrò Edgar, con gli occhi blu che brillavano di curiosità.
-Beh, non è un’ipotesi tanto peregrina.
-Che sia stato tutto un trucco per incastrarci e farci scendere qua sotto?
-Ci stavo pensando anche io, ma per averne la certezza dovremmo aspettare.
-E perché? Aspetta, glielo chiedo.
Viole non fece in tempo a dire una sola lettera che Edgar aveva esordito
-Mi scusino lor signori, ma io e il mio compagno vorremmo sapere se è causa vostra l’automa al posto del rettore e l’inganno della porta chiusa a chiave!

***
Volevo scusarmi per la lentezza degli aggiornamenti, ma non avevo ispirazione e senza quella non si va avanti. Il settimo capitolo arriverà prima di un mese, tranquilli.
  
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