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Autore: Luke_White    26/04/2015    2 recensioni
Maggio 1998: fine della Seconda Guerra Magica. Molte persone hanno perso la vita cercando di proteggere la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e tutto il mondo magico dal tiranno Lord Voldemort. Fra queste vittime, spiccano di sicuro i Malandrini, maghi potenti e dotati. L’ultimo a perire fu Remus Lupin, insieme alla moglie Ninfadora Tonks… ma se non fosse così?
7 Settembre 1977: uno scombussolato Remus si risveglia in quella che sembra l’infermeria della sua scuola e rimane stupefatto vedendo, intorno a lui, tutti gli amici che sa essere morti, con la presenza di facce nuove e inaspettate.
Una possibilità di vivere in un mondo senza Voldemort si presenta al licantropo, un mondo che, tuttavia, presenta un razzismo ancora più radicato rispetto a quello che si è lasciato alle spalle, e in cui, forse, non è l'unico a essere tornato dall'aldilà.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Mary MacDonald, Nimphadora Tonks, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily, Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Who (parte 1)
Poiché mi è stato richiesto, pubblico qui, prima dell’inizio del capitolo, un piccolo schemino dei villain (chiamarli così fa più figo) e del loro daimon corrispondente. Ovviamente, inserisco solo quelli conosciuti!
La tabella segue questo schema: “nome vero – nome daimon”.
??? – Apophis
Mason – ???
Bellatrix – Ate
Dolohov – Phobos
Minus – Ermes
Piton – Loki
James – John/Mot

Vorrei fare, inoltre, una piccola premessa: questo capitolo, da un certo punto, può essere letto in due modi. Potete semplicemente leggere i “pezzetti” come sono stati inseriti o, altrimenti, leggere prima solo una “categoria” di “pezzetti” e poi le altre due. Capirete meglio leggendo.





«So we have… how many survival probability?»
«I don’t know. And I hate not knowing»

«Why don’t you trust me?»
«You know, J, I don’t see how I can trust you when I don’t understand who you are!»

«What do you want, Loki?»
«In exchange for your salvation, I want you to kill a person for me»


11. Who (part 1)

«Dio mio, che puzza!» esclamò Sirius, coprendosi il naso con la manica della divisa. Il tanfo che arrivava dal dedalo era veramente nauseante: l’odore di aria stantia era misto a ciò che sembrava resina bruciata e, era orribile anche solo pensarlo, sangue. Sicuramente c’erano luoghi molto più accoglienti di quello.
«Potrebbe essere peggio» constatò James, una smorfia di disgusto dipinta sul volto.
«E come?» chiese l’altro.
«Potresti essere in forma di cane». Sirius annuì, con la stessa smorfia dell’amico, concorde. Con l’olfatto amplificato della sua trasformazione da Animagus, un odore come quello sarebbe potuto essere letale.
«Siamo sicuri che sia qui?» chiese Lily, sbirciando nell’oscurità. In lontananza, nel corridoio in fondo alle scale di pietra, s’intravedeva un bagliore verde-azzurro.
«Purtroppo» fece Dora.
«E cercare un altro modo è fuori discussione» continuò Remus. Nessuno aveva voglia di infilarsi in quel tunnel maleodorante.
«Ovviamente» ribatté Sirius, un po’ alterato. Mancava, a suo parere, troppo poco tempo allo scadere delle quarantott’ore.
«Allora…» mormorò Remus, sospirando. «Geronimo».
Mentre scendeva le scale per primo, gli altri si scambiarono occhiate sconcertate e scrollate di spalle. Non erano sicuri di voler capire.
Gli scalini erano stretti, alti e deformati dal tempo e dal calpestio. Era evidente che il luogo fosse stato piuttosto frequentato, prima di essere sigillato. Da chi, tuttavia, era forse impossibile da sapere, ma quasi sicuramente non era gente molto cordiale, considerato che si trovavano in un minaccioso dedalo il cui ingresso era situato nel corridoio più remoto dei Sotterranei. E anche il fatto che per aprire l’ingresso servisse una goccia di sangue non prometteva affatto bene.
«Siete dentro?» la voce di Evelyn arrivò dalla tasca della divisa di Dora, che estrasse uno specchio in cui si rifletteva l’immagine della sorella.
«Siamo alla fine delle sca-leee!» esclamò la ragazza, scivolando sull’ultimo gradino e quasi cadendo a terra. Remus la sorresse con aria paziente. Evelyn sbuffò mentre gli altri raggiungevano i due.
Il corridoio era abbastanza grande da far entrare quattro di loro in fila e il soffitto era alto almeno cinque metri. Sembrava un po’ troppo ampio per essere un claustrofobico labirinto.
«Da qui in avanti dovete fare attenzione» disse Evelyn.
«Non l’avrei mai detto» borbottò Sirius a bassa voce.
«Ti ho sentito».
«Scusa».
Eve si schiarì la voce. «Ricordate che non posso vedere quello che vedete voi, quindi, se serve, dovrete descrivermi le cose a voce o puntarci contro lo specchio, intesi?».
James si sporse, entrando nella visuale della ragazza.
«Evelyn, questo specchio è mio. È da anni che lo usiamo per fregare Lily e i professori – scusa, principessa – quindi fidati se ti diciamo che sappiamo come funziona» disse. Evelyn gli lanciò un’occhiataccia.
«Avete dodici ore. Usatele bene» disse la ragazza, per poi sparire la visuale, quasi sicuramente per armeggiare con i vari meccanismi del Laboratorio. Dora sistemò lo specchio in tasca e, insieme agli altri, guardò nell’oscurità del labirinto. A distanza regolare l’una dall’altra, fiaccole erano appese alle pareti con ganci metallici e bruciavano di un fuoco azzurro e innaturale. L’odore di resina proveniva indubbiamente da lì.
«Andiamo» disse, accendendo la punta della bacchetta e andando per prima. Come stabilito, si sistemarono in fila indiana: lei, Sirius, Lily, James e Remus. Lily era al centro perché era stata riconosciuta come combattivamente più scarsa del gruppo, cosa che non le aveva fatto piacere ma che era stata costretta ad ammettere.
Con i passi che rimbombavano nel silenzio assoluto, il gruppo si accorse ben presto che le cose non sarebbero andate come previsto.
«Eve, sei sicura che questo sia un labirinto?» chiese Sirius, aggrottando le sopracciglia.
«Se non fosse un labirinto, non avrei perso tempo con le sonde e vi avrei mandato qui ieri, non credi?» replicò lei, dalla tasca della sorella.
Sirius grugnì, infastidito. «Ehi, calmati! Volevo solo dire che questo posto sembra un po’ troppo… rettilineo, tutto qua».
«Sirius ha ragione» disse Lily, aggrottando le sopracciglia. «Il corridoio sembra infinito».
«E se Sirius e Lily sono d’accordo…» disse Remus, dal fondo del gruppo. Dallo specchio si sentì un po’ di confusione.
«Strano… sulla mappa avreste dovuto svoltare a destra dopo poco tempo» borbottò la ragazza.
«Qualcosa mi dice che il piano sta per andare a farsi benedire» disse Dora, con tono leggermente lamentoso.
«Perché?» fece la sorella, attraverso lo specchio.
«Perché siamo in trappola» rispose Remus, guardandosi intorno, così come tutti gli altri. Dal pavimento aveva cominciato ad alzarsi una fitta nebbia lattiginosa che già gli arrivava alle caviglie.
«Che si fa?» chiese Lily, estraendo la bacchetta.
«Potremmo correre» propose James, incerto.
«Oppure potreste dire all’analista cosa diamine sta succedendo, no?» sbottò Evelyn, irritata. Dora estrasse lo specchio dalla tasca e lo puntò verso il terreno. Eve imprecò sonoramente.
«Mi pare di aver capito che siamo fottuti» concluse James, con un finto sorrisetto.
«Non è detto» fece Evelyn, spostandosi nuovamente dall’inquadratura.
«Sul serio?» chiese Sirius. «Dalle tue gentili parole… («Falla finita: sei dieci volte peggio di lei») chiudi il becco, lupo del cavolo. Comunque sembrava che fossimo già morti».
«Non so se la nebbia sia mortale o no» replicò Eve. «Mi vengono in mente almeno un centinaio di ipotesi, e nessuna che prometta bene»
«Quindi abbiamo… quante probabilità di sopravvivenza?» chiese Remus.
«Non lo so» disse Eve a denti stretti. «E odio non sapere».
«Ragazzi?» chiamò Lily che, mentre gli altri parlavano era andata un po’ più avanti nel corridoio. Davanti a loro, si era formata una parete. Al centro svettava una maestosa porta di legno scuro, finemente lavorata e con smeraldi incastonati a formare simboli apparentemente astratti.
Gli altri osservarono la porta in silenzio, mentre la nebbia saliva sempre di più. Dora diresse lo specchio verso la porta, ma Eve sembrava non aver nulla da dire.
La Caposcuola si avvicinò piano e provò a toccare la porta. Qualcosa scattò in James nell’istante in cui le dita di lei sfioravano il legno. Il ragazzo si diresse velocemente verso Lily e la tirò via dalla porta mentre questa si apriva di scatto. Da oltre la soglia, nubi nere mosse da un vento impetuoso si riversarono nel passaggio, investendo i ragazzi e scacciando la nebbia bianca che ora arrivava a circa metà coscia di Sirius, il più alto.
Presto le nubi nere si avvolsero attorno agli studenti. Lily, la più vicina, venne velocemente inghiottita dalle tenebre insieme a James, che la teneva stretta a sé nel tentativo di ripararla dal vento. Allo stesso modo, Dora e Sirius vennero afferrati insieme, poiché la Tassorosso era caduta sul cugino per la violenza dello spostamento d’aria. Remus, invece, venne ingoiato nella completa solitudine.
Per qualche istante, i ragazzi furono privati di ogni senso. Vista, udito e olfatto non esistevano più. Per quattro di loro, tuttavia, il tatto gli portava ancora una sorta di sicurezza. Uno, invece, dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non cadere nella disperazione. Poi, alla fine, le nubi si diradarono.

*****

La magione
«Dove siamo?» chiese Dora, guardandosi attorno, ancora intontita.
«Ehm… cugina cara, faresti vedere anche a me?» borbottò Sirius. La ragazza capì di trovarsi sopra al suo stomaco solo in quel momento. Si alzò in fretta e porse una mano al Grifondoro, aiutandolo ad alzarsi.
Il luogo in cui si trovavano era fin troppo buio e i due furono costretti a illuminare le bacchette, cosa che avrebbero voluto evitare.
«Sembra… una casa?» mormorò Dora, per paura di rompere l’opprimente silenzio di quel luogo.
«Una magione, direi» replicò Sirius, mantenendo lo stesso timbro di voce.
«Ovvero?» chiese la Tassorosso, incuriosita.
«Non ne ho idea. Ma questa ha l’aria di essere una magione» rispose l’altro, con una sicurezza disarmante.
Lei si limitò a un “Ah” incerto, prima di estrarre lo specchio dalla tasca.
«Eve» chiamò, in un sussurro. Il volto allarmato della sorella apparve nello specchio.
«Che sta succedendo?» esclamò, a voce alta. «Un attimo prima ci siete, poi le interferenze e…».
I due ragazzi si sbrigarono a zittirla. Eve li guardò, un po’ offesa.
«Siamo in… una magione (Sirius annuì, soddisfatto). Non sappiamo di preciso dove né… quando, e gli altri potrebbero essere qui in giro o da un’altra parte, ma c’è un gran silenzio, quindi meglio evitare di fare troppo rumore» spiegò Dora. Eve annuì, concorde.
«Cercherò di aiutarvi, ma non posso fare più di tanto se non so dove siete» disse lei. Dora annuì e ripose lo specchio in tasca.
«“Quando”?» le chiese Sirius, confuso. Dora scrollò le spalle.
«Non si sa mai» spiegò. «Che dici, ci facciamo un giro nella “magione”?».
Sirius sbuffò ma annuì. «Speriamo solo di non pentircene».
Una piccola esplosione risuonò nell’aria immobile.

Il labirinto
Quando James aprì gli occhi (non si era neanche reso conto di averli chiusi) si separò in fretta da Lily, con espressione fredda e un piccolo ghigno. Lei lo guardò, un po’ ferita, ma poi, evidentemente, decise di lasciar correre.
Si trovavano esattamente nello stesso corridoio di prima, ma la parete con la porta era sparita e, al suo posto, c’era un passaggio che curvava a destra. Dietro di loro, invece, un solido muro di roccia nera mandava un messaggio ben chiaro: “Non si torna indietro”.
«Dove sono gli altri?» chiese Lily, facendo qualche passo verso il passaggio chiuso.
«Forse in giro, forse altrove» rispose lui, incerto. “Altrove”? La Caposcuola aggrottò le sopracciglia ma non disse nulla.
«Be’, direi che ci siamo, no?» fece James, tentando un sorrisetto. Lily lo guardò, ancora un po’ intontita.
«Che vuoi dire?» chiese.
«Nel labirinto» concluse lui, indicando la svolta. Lily fece una smorfia e annuì. La cosa non le piaceva affatto. Non le piacevano i luoghi stretti e non le piaceva stare con James, in quel momento.
Rimasero per qualche secondo in silenzio, raccogliendo fiato e idee e preparandosi all’impresa.
«Come facevi a saperlo?» chiese Lily, guardando il ragazzo negli occhi. Lui inarcò un sopracciglio, confuso. «Che la porta si sarebbe aperta e sarebbe successo… questo».
«Non lo sapevo» rispose lui, tranquillamente. «Ho solo seguito l’istinto».
Lily gli lanciò uno sguardo esasperato, ma lui si limitò a scrollare le spalle e a incamminarsi lungo il corridoio. Sbirciò oltre l’angolo e tornò indietro di un paio di passi.
«Credo sia meglio sbrigarci: ho la sensazione che ci vorrà un bel po’ di tempo» disse. Lily annuì, ancora un po’ confusa ma con il vago sentore che qualcosa non andasse.

La foresta
Cosa diamine…, pensò Remus, guardandosi attorno.
Grandi e robusti alberi crescevano in ogni direzione, con le radici che uscivano dal terreno, intrecciandosi fra loro e creando scalini naturali. Il terreno era ricoperto da muschio e foglie secche e, di tanto in tanto, qualche piccolo insetto passava accanto ai suoi piedi, per nulla infastidito.
Un’illusione?, si chiese, tenendo a mente le particolari abilità del loro avversario. Tuttavia, non aveva idea dei reali poteri di coloro che stavano affrontando e non sapeva se Dolohov avrebbe potuto fisicamente trasportarlo in un altro luogo in un istante.
Nell’oscurità della foresta, Remus estrasse la bacchetta e, con un gesto secco, ne accese l’estremità. Si avvicinò a un albero e provò a toccarlo: almeno al tatto, quello sembrava proprio vero.
Tuttavia, non poteva affidarsi troppo ai sensi. Oltre all’illusione, c’era anche la possibilità del sogno e, in quel caso, avrebbe dovuto trovare il modo di svegliarsi al più presto.
Una piccola vocina nella sua testa, però, gli ricordò che quelli di Phobos non erano semplicemente “sogni”, bensì “incubi”. Innervosito da questo pensiero, Remus osservò la boscaglia, cercando eventuali pericoli. Poi posò la bacchetta sul palmo della mano.
«Guidami» sussurrò, e la bacchetta cominciò a girare vorticosamente fino a puntare verso il Grifondoro. Remus guardò davanti a sé. Sapeva che il labirinto si estendeva verso sud, quindi “dritto” doveva essere la soluzione giusta.
Chiedendosi dove potessero essere gli altri e sperando di poter rivedere presto Dora, Remus s’’incamminò quasi alla cieca, girando attorno ad alberi e scavalcando radici nodose e arbusti dalle spine acuminate, ignaro che, nell’ombra, una presenza in mantello nero lo osservava con interesse.

La magione
Dora e Sirius impiegarono qualche minuto per trovare la stanza da cui era arrivato il suono. Fortunatamente, i latenti sensi canini del giovane Black li aiutarono, spingendoli a dirigersi verso l’ala ovest del piano terra della magione.
Avevano prima attraversato una grande sala da pranzo, poi si erano trovati in un lungo corridoio. Facendosi luce con le bacchette, avevano guardato in tutte le stanze che avevano incontrato, senza trovare niente di utile, solo altissime dosi di polvere, muffa, ragnatele e inquietudine.
Il posto non era sicuramente accogliente e più di una volta i due erano sobbalzati per rumori provocati dall’altro. Sirius all’inizio ci aveva preso gusto a spaventare la cugina, ma dopo che aveva rischiato di farsi cadere un quadro addosso aveva smesso, per grande soddisfazione di Dora. Di tanto in tanto, Eve chiedeva novità e sapere di essere ancora collegati al mondo “normale” era un gran sollievo per i due.
«Non è che ce la siamo immaginata?» borbottò Sirius a un certo punto.
«Me lo chiedo anch’io» rispose Dora, abbattuta. Dopotutto, in un posto del genere non le sembrava affatto strano immaginarsi rumori. Aprì la porta successiva, che dava su un piccolo ufficio, attese per qualche secondo ed entrò sospirando, seguita da Sirius, sorpreso.
«Che succede?» chiese il ragazzo, osservando la cugina dirigersi verso alcune mensole cadute a terra, rovesciando ciò che era sopra sul pavimento di moquette argentata (o forse era la polvere?).
«Guarda» disse, indicando gli oggetti a terra. «Qui è tutto ricoperto da almeno due pollici di polvere ma tutta questa roba è semplicemente un po’ sporca».
«Che significa?» fece nuovamente il ragazzo, un po’ irritato perché non riusciva a seguirla.
«Significa che quello che abbiamo sentito non erano altro che le mensole che cedevano per il tempo» concluse lei, tristemente. «Se c’è qualcuno nella magione, non c’entra nulla con questo».
«Be’, non è detto» tentò il Grifondoro. «Qualcuno avrebbe potuto far cadere le mensole per sbaglio, essersi spaventato per poi scappare. Qualcuno sbadato come te, insomma».
Dora non reagì alla presa in giro, limitandosi a guardare le mensole con occhi assenti, come se stesse pensando ad altro. «Forse» disse, infine. «Oppure…».
«Oppure cosa?» chiese Sirius, un po’ esasperato.
«Oppure non è stato qualcosa di umano a farlo. Qualcosa di non molto intelligente e forse un po’ ingombrante» concluse Evelyn dalla tasca. I pensieri di tutti andarono direttamente alla Chimera che Eve aveva identificato. Più tardi avrebbero capito che la porta era fin troppo piccola per far passare un essere di quelle dimensioni, ma in quel momento la minaccia sembrava più che reale.
«Meglio fare più attenzione, d’ora in poi» disse Dora, preoccupata. «A ogni singolo rumore».
«Non potrei essere più d’accordo» fece Sirius, annuendo più volte.
Dora si guardò intorno un’ultima volta.
«Meglio controllare il resto della magione» propose. Il Grifondoro annuì, serio come poche volte era stato.
Quando i due furono di nuovo nel corridoio, alla sola luce delle bacchette, Sirius mormorò: «Ci stai prendendo gusto a dire “magione”, ammettilo».
Dora non seppe se ridere o prenderlo a sberle.

Il labirinto
«Perfetto, non aspettavo altro» borbottò James, guardandosi attorno. Lily fece altrettanto, non prima di aver segnato il corridoio da cui provenivano con una croce di fiamme sul pavimento. «Delicata, come decorazione».
Lily sbuffò, senza replicare e lasciando James un po’ spiazzato: in genere la ragazza era sempre pronta a ribattere.
«Allora, quattro corridoi. Quale prendiamo?» chiese, piuttosto, osservando con sospetto ognuna delle aperture. James si passò una mano fra i capelli, riflettendo.
«Lì» disse, infine, puntando il dito sul secondo percorso da destra in quel pentagono di roccia nera. Lily inarcò un sopracciglio.
«E perché?» chiese. James sembrò parecchio confuso.
«Perché… due più due non fa tre? Sul serio, Evans, vuoi che ti dia una spiegazione logica?» fece il ragazzo, incredulo. Lily annuì, decisa. Lui sbuffò. «Ma che vuoi che ti dica, ho buttato a caso!».
«Oh» esclamò lei con noncuranza. «Quindi se, per esempio, andassi, diciamo… da quella parte, a te andrebbe bene lo stesso, no?».
«Ovvio!» ribatté James, allargando le braccia, esasperato. «Se ci fai proseguire, mi va benissimo!».
«Bene!» esclamò Lily, impettita.
«Bene!» ripeté James.
Lily s’incamminò a testa alta verso il corridoio che aveva scelto, seguita, dopo un breve urlo isterico trattenuto, da James.
Non parlarono per altri minuti e fu Lily a condurre l’“impresa”, scegliendo corridoi senza esitazione e non battendo ciglio quando questi si rivelavano vicoli ciechi. James le si trascinava dietro senza molta voglia, borbottando parole a casaccio che la ragazza non riusciva a capire ma che faceva tutto il possibile per ignorare. Arrivati all’ennesimo incrocio (e dopo che Lily ebbe tracciato un’altra X fiammeggiante), James decise di metter fine a quella pagliacciata.
«Okay, piantiamola» disse, afferrando la spalla della ragazza e spingendola a voltarsi. Gli occhi di lei erano infuocati come l’incantesimo che aveva usato. «Che sta succedendo?».
«Di cosa stai parlando?» chiese lei, innocentemente.
«Perché non ti fidi di me?» ribatté lui. «Non mi sembra sia così grave cercare di trovare un modo per uscire da qui o, perlomeno, prendere a calci nei denti Phobos».
«Sai, J, io non vedo proprio come posso fidarmi di te se non capisco nemmeno chi sei» replicò Lily.
«Ma di che stai parlando? E poi… J?» fece il Grifondoro.
«Sai com’è, nel dubbio» sibilò la ragazza. James capì a cosa si stava riferendo e sospirò, battendosi una mano sulla fronte.
«Oh, porco Salazar, non ci voglio credere» disse, incredulo e anche un po’ deluso. «Davvero pensi che sia… l’Altro? Dico, ti sembro uno psicopatico?».
«Vuoi davvero che ti risponda?» replicò Lily, fredda. James la guardò, ferito.
«Okay, allora, ti prego, dimmi cosa ti fa pensare che sia John!» esclamò lui, alzando sempre di più il tono per l’esasperazione.
«Come facevi a sapere che, toccando la porta, sarebbe successo quel casino?» chiese la ragazza, digrignando i denti per l’irritazione.
«Non lo sapevo! Avevo solo una sensazione. Se questa sia arrivata da John, non ne ho idea, ma se magari è servito per aiutarti, ben venga!» rispose James.
«Una sensazione, sul serio?».
«E, dimmi, perché tu hai toccato la porta?».
Lily si morse un labbro, imprecando mentalmente. «Mentre scendevamo qui, mi hai chiamato “principessa”. Solo John l’ha fatto».
«Non è vero! Ti ho chiamato anch’io così, qualche volta» replicò il ragazzo, sconcertato che lei si attaccasse a questi futili dettagli.
«Davvero? Quando?». Per fortuna di Lily, James non notò l’accenno di vera curiosità nella sua voce.
«Quando ti sei addormentata, la sera che abbiamo visto i Maridi cantare! E il giorno dopo, quando ti ho portato… la colazione… a letto… Porca Morgana» James sgranò gli occhi ancora prima di aver finito la frase, recependo con un po’ di ritardo ciò che aveva detto.
Lily spalancò gli occhi a sua volta e aprì e richiuse la bocca più volte.
«Lo sapevo!» disse infine, trionfante. James non poté rimanere incredulo per troppo tempo: i rumori si erano fatti fin troppo vicini.

La foresta
Remus cominciò a perdere le speranze dopo poco tempo. Guardava gli alberi e gli sembravano tutti uguali. Le radici che emergevano sembravano comporre sempre gli stessi disegni nel terreno. Le bacche che crescevano sporadiche sugli arbusti erano tutte dello stesso blu notte. Persino il terreno aveva come uniche salite quelle provocate dalla vegetazione, per il resto era tutto piatto.
Nulla indicava che stesse in qualche modo procedendo. Era tutto talmente omogeneo che il Grifondoro era costretto a usare l’Incanto Quattro-Punti ogni venti metri circa, dopo aver constatato di aver sbagliato direzione dopo circa due minuti dal primo controllo.
Il ragazzo aveva il fiato corto e ansimava, aprendo qualche bottone della propria camicia bianca, ora zuppa di sudore; aveva gettato il mantello nero a terra pochi minuti prima. A prima vista non gli era parso che fosse così, ma in quella foresta faceva veramente molto caldo e l’aria era satura d’umidità. A ogni passo gli sembrava che qualcuno lo prendesse a pugni, togliendogli tutta l’aria dal corpo. Sentiva l’impellente bisogno di ossigeno e, magari, anche di un bel calice di succo di zucca ghiacciato.
Cadde a sedere dopo qualche metro, appoggiando la schiena al tronco muschioso di un albero, per riprendere fiato. Alzò lo sguardo verso il cielo. I suoi occhi incontrarono solo le alte fronde degli alberi che s’incastravano fra loro, oscurando il sole. Il sole… A dirla tutta, gli sembrava strano che neanche un raggio di luce filtrasse tra le foglie, lasciando tutto nella completa oscurità, tanto da farlo sembrare un paesaggio notturno. E poi, se il sole non passava, com’era possibile che sentisse tutto quel caldo?
Guardò il terreno sotto i suoi piedi e provò a poggiare una mano: le foglie marce che tappezzavano il terreno erano calde al tatto. Smosse la vegetazione morta e trovò la soffice terra. Remus ritrasse la mano: era bollente. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, comprendendo. Tuttavia era sbalordito, com’era possibile che la terra fosse così calda in un luogo come quello.
«Fossi in te, non starei fermo troppo a lungo». Remus si alzò di scatto, puntando la bacchetta verso un punto lontano alla sua destra, da cui gli sembrava aver sentito arrivare la voce. Quella voce familiare… «Ha mandato il suo cagnolino a cercarti, ti conviene scappare».
«Chi sei?» chiese il ragazzo, avvicinandosi di qualche passo con circospezione. Sentì uno sbuffare ma poi, da dietro un albero, comparve una figura nera incappucciata. Piton abbassò il cappuccio, sorridendogli dietro gli occhi completamente blu, brillanti come zaffiri. Istintivamente, Remus lanciò uno Schiantesimo, che andò a infrangersi contro uno scudo invisibile che non aveva visto evocare dal Serpeverde.
«Non sei molto gentile, considerando che sto cercando di aiutarti» disse, ghignando in modo strano. Sembrava quasi… sensuale, cosa che, con il volto di Piton, riusciva malissimo.
«Ripeto la domanda: chi sei?» esclamò il ragazzo, in tono di minaccia, tenendo puntata la bacchetta verso il petto della figura.
«Il mio nome» fece un profondo inchino con tanto di svolazzi con la mano «è Loki» disse, a capo chino. Il gesto innervosì il Grifondoro: evidentemente si sentiva abbastanza sicuro da distogliere lo sguardo. Remus fece una veloce connessione mentale, riconoscendo uno dei pochi nomi di divinità che conosceva, e sicuramente non per la sua buona fama.
«E, sentiamo, perché dovrei stare a sentire qualcuno che si fa chiamare come il dio degli inganni?» chiese il ragazzo.
Loki inarcò un sopracciglio, mantenendo il ghigno disturbante. «Magari perché vuoi rimanere in vita. Non mi sembra una così brutta prospettiva, o sbaglio?».
«E tu che ci guadagni?» fece Remus, ben sapendo che, con tutte le probabilità, il presunto dio voleva fregarlo per bene.
«La coscienza pulita per aver fatto un bel gesto! Voglio mantenere positivo il mio karma, se permetti» rispose lui, mettendosi platealmente una mano sul petto e facendo un mezzo inchino. Un gesto che Remus avrebbe visto più su James o Sirius che non su Piton.
«Non me la bevo» disse il Grifondoro, avanzando di un passo. «Che cosa vuoi, Loki?».
Piton esplose in una breve risata isterica, poi, con sguardo ceruleo e ghigno crudele, gli disse con tutta la semplicità del mondo: «In cambio della vostra salvezza, voglio che tu uccida una persona per me».
«Oh, davvero?» fece Remus, imprimendo nella propria voce tutto il sarcasmo di cui era capace. «E chi sarebbe, di grazia?».
Il ghigno gli si allargò di molto. «Si chiama Ermes, ma forse ti è più noto come Peter Minus».

La magione
Avevano da poco terminato di visitare l’ala ovest e si erano da poco spostati in quella est, quando videro i primi segni che c’era qualcosa di profondamente sbagliato, in quel posto… oltre, ovviamente, alla posizione sconosciuta sul pianeta Terra, alla possibilità che ci fosse qualche creatura oscura in circolazione che bramava il loro sangue e il fatto che forse (ma solo forse, eh!) tutto quello che stavano vivendo non era altro se non un incubo generato dal cattivo di turno. Oh, insomma, intendo dire che s’imbatterono nel primo segno importante, perché, infatti, tutti gli altri erano cosucce da nulla! Quisquilie! Eh, proprio…
«Okay, questo è inquietante» disse Sirius, entrando per primo.
Dora lo seguì, incuriosita, guardandosi attorno e avendo ben cura di chiudere la porta dietro di lei per evitare brutte sorprese. La stanza sembrava essere quella di un bambino… ma del secolo scorso. Il letto a baldacchino, addossato alla parete, aveva le tende semi-trasparenti ingrigite e appesantite da strati di polvere e sembravano esser tenute su da spesse ragnatele. L’armadio, situato nell’angolo della parete opposta, aveva le ante divelte e i vestiti uscivano dall’interno come in una specie di cascata grigia. Un piccolo scrittoio era situato sotto a una finestra chiusa da pesanti assi di legno e una piccola lampada giaceva, rotta, ai piedi della sedia, insieme ad alcuni fogli che ritraevano disegni fatti da mani infantili.
Dora pensò che, a forza di rimanere nella magione, sarebbe diventata allergica alla polvere. Non sapeva neanche se una cosa del genere fosse possibile, ma non lo riteneva affatto improbabile.
La cosa che, entrambi, ritenevano disturbante era l’enorme quantità di peluche, per la maggior parte a forma di coniglio ma c’erano anche i classici orsetti e perfino un koala, e la presenza di un paio di bambole di porcellana sedute sul cuscino, tutto coperto da uno spesso strato di polvere. L’aspetto dei peluche, tuttavia, era comprensibile solo dai pezzi più grandi. Già, pezzi. Arti, teste e corpi di stoffa giacevano in modo disordinato in tutta la stanza, riversando all’infuori il loro soffice contenuto. Ad alcuni erano stati tolti anche i bottoni che avevano per occhi, altri pezzi erano così piccoli che sarebbe stato impossibile capire a quale animale appartenessero.
I due ragazzi girarono per la stanza, osservando quel macello di animali di pezza, sentendosi a disagio: le due bambole sembravano seguirli in ogni movimento e spesso Sirius e Dora si erano sorpresi ad osservarle, di sottecchi, con nervosismo. Sirius si mise a rovistare fra i vestiti, nella speranza di trovare qualcosa di utile, ma riuscì solo a sollevare un mucchio di polvere, starnutendo.
Dora si chinò e raccolse alcuni disegni, poggiandoli sul ripiano dello scrittoio. Prima di rialzarsi, il fascio di luce della bacchetta brillò contro qualcosa che era caduto sotto la scrivania. La ragazza allungò una mano e le sue dita si chiusero su quelle che riconobbe come un paio di forbici d’argento dall’impugnatura molto elaborata. Lo sguardo della ragazza fu poi attirato dai disegni. Su uno si vedeva una casa in fiamme, su un altro c’era quella che sembrava una ragazza dal sorriso tremendamente distorto e, sull’ultimo, un manichino di legno era raffigurato davanti a una porta chiusa, rivolto verso lo spettatore. Dora non ci mise poi molto a collegare le forbici ai peluche fatti a pezzi.
«Psicopatica, la bimba, eh?» disse, mostrando disegni e forbici al cugino, che aggrottò le sopracciglia con una smorfia, Li gettò sul letto, alzando una nuvoletta di polvere, e prese dal mucchio di vestiti quello che sembrava un grembiule blu con tanto di fiocco, probabilmente un’uniforme scolastica.
«Il bimbo, vorrai dire» fece, rigettando poi i vestiti nel mucchio. «Andiamocene».
Dora annuì, poggiando un’ultima volta la mano sulle assi di legno della finestra, ben sapendo che la magia non sarebbe servita a nulla: avevano già provato fin troppe volte.
Andarono entrambi a incamminarsi verso la porta quando, senza nessun preavviso, lo videro.
«Quando è entrato?» sibilò Dora, spaventata, puntando la bacchetta verso l’intruso. Il manichino senza volto sostava di fronte alla porta, come nel disegno del bambino.
«Non ne ho idea» disse Sirius fra i denti. Entrambi sobbalzarono vistosamente, poi, quando le bambole cominciarono la loro cantilena. “Tic tac, tic tac” ripetevano, come in una qualche filastrocca non molto originale.
Sirius tornò con lo sguardo sul manichino e lo vide avanzato di qualche passo, una mano di legno tesa in avanti verso di loro.
«Porca...!» imprecò il ragazzo, spaventato, indietreggiando leggermente. «Dora… guarda».
Non appena la ragazza notò lo spostamento sbiancò di colpo, tanto che anche i capelli diventarono di un biondo chiarissimo, poi, senza distogliere lo sguardo, cercò velocemente lo specchio nella tasca e lo estrasse.
«Eve… guarda» disse. La ragazza si affacciò sullo specchio e, all’inizio, rimase in silenzio.
«Se me l’avete fatto vedere, immagino che prima non ci fosse» fece la Corvonero. «E… cos’è questa musichetta? È inquietante…».
«Dora, continua a fissarlo, io vado a farle smettere» disse Sirius. La cugina annuì.
«“Fissarlo”? Perché dovresti fissarlo?» chiese Evelyn, dallo specchio.
«Be’, a quanto sembra si muove quando non lo guardiamo» spiegò la ragazza, tremando leggermente. Aveva avuto una carriera da Auror piuttosto breve, ma si era scontrata con tanti pericoli che anche molti dei veterani del campo impallidivano al confronto, ma cose del genere non le aveva mai viste.
Si sentì una piccola esplosione ma la ragazza non si voltò. La filastrocca continuò a risuonare nell’aria.
«Almeno sappiamo che non sono le gemelline malefiche» disse il ragazzo, tornando al suo posto accanto alla cugina. «Ed è stata una bella soddisfazione farle saltare in aria».
«Cosa facciamo con il manichino?».

«Quello è un Manikin». Evelyn sussultò, voltandosi di scatto. David entrò nel Laboratorio senza curarsi di nulla e si sistemò di fronte all’Archivio, poggiando le mani sulla consolle.
«Come diavolo sei entrato?» fece la ragazza, osservandolo a occhi sgranati.
«Chi c’è, Eve?» chiese Dora, allarmata.
«Ehilà!» salutò David, con un gran sorriso. «Sono Barty Crouch ma vi prego di chiamarmi David. Sono entrato nel Laboratorio perché sono un genio e penso di potervi aiutare. Tutto chiaro?».
«Per niente» disse Evelyn, secca. «Ma direi che questo non è il momento adatto, giusto?».
«Più che giusto» fece David, in un sorriso che Eve non riuscì a non ricambiare. Poi il ragazzo puntò nuovamente lo sguardo sul monitor, dove immagini e informazioni continuavano ad apparire in maniera piuttosto confusionaria.

«I Manikin sono creature oscure della peggior specie» spiegò David, mentre Dora e Sirius tenevano gli occhi incollati sull’essere. La Tassorosso non se la sentiva molto di fidarsi di una persona che, nella loro dimensione, era stato uno dei Mangiamorte più crudeli, ma sua sorella sembrava avere un legame piuttosto profondo con lui, quindi si sarebbe adattata.
«Ovvero? Di quale specie?» chiese Sirius. Dora inarcò un sopracciglio ma non commentò.
«Quella immortale».
Sirius mormorò fra i denti un rabbioso «Fantastico…».
«Sono un po’ come i Mollicci e i Dissennatori, ma molto meno famosi… penso possiate immaginare il perché» spiegò il ragazzo. «Non possono essere uccisi, ma solo scacciati per un po’».
«Sarebbe già un gran miglioramento» disse Dora.
«Non è semplice» disse David. «Sembra un semplice pezzo di legno, ma lo è solo mentre lo guardate. Appena distogliete lo sguardo, assume la sua vera forma che… be’, non è mai stata scoperta».
«Potremo farlo a pezzetti e passare oltre» disse Sirius con convinzione.
«È immune alla magia mentre è in questo stato» replicò il ragazzo. «Penso che inconsciamente l’abbiate capito, altrimenti avreste già provato ad attaccarlo».
«Senti, perché non dici come fare, così magari riusciamo a salvarci il culo?» esclamò Dora, infastidita. Sentì una leggera risatina da parte di Eve e arrossì leggermente.
«Temo dobbiate girarle attorno. Tenete gli occhi fissi su di lui e uscite dalla stanza senza smettere di guardarlo. Sicuramente non lo fermerà, ma vi darà più tempo per scappare mentre io ed Eve pensiamo a una soluzione» spiegò David, rimanendo calmo. I due annuirono, ricordandosi solo dopo che non potevano essere visti dal modo in cui lo specchio era posizionato.
«Okay» fece Dora.
I due passarono quindi attorno al Manikin, senza smettere di fissarlo e battendo le ciglia a turno.
«Sai una cosa?» disse Sirius, mentre aprivano la porta e attraversavano la soglia della stanza all’indietro.
«Dimmi».
«Avrei preferito la Chimera». Dora sbuffò, chiuse la porta con un gesto della bacchetta e cominciò a correre insieme al cugino. Un orrendo stridio provenne dalla stanza ma i ragazzi stavano già correndo verso l’ingresso e la scala principale, diretti al primo piano.

Il labirinto
I Grifondoro non ebbero il tempo di continuare a parlare né, tantomeno di chiedersi cosa stesse accadendo. James si limitò semplicemente a fare ciò che gli venne d’istinto: afferrare il braccio di Lily e trascinarla in una corsa spericolata. Prese i corridoi semplicemente a casaccio, pensando solo a potersi salvare. Temeva di ritrovarsi da un momento all’altro in un vicolo cieco ma la fortuna sembrava voler essere dalla sua parte, quel giorno. O, almeno, voleva esserlo in quel caso.
Un paio di volte James si voltò ma quando i suoi occhi incontravano quel fiume di esseri neri che si avvicinavano a gran velocità, sentiva un’enorme paura che gli stringeva il cuore, spingendolo a girarsi nuovamente e a correre più velocemente. Ogni tanto gettava occhiate nervose a Lily senza che fossero ricambiate: sembrava troppo occupata a essere terrorizzata e a scappare.
James non sapeva con certezza quando fosse successo, ma la sua mano, dal braccio della ragazza, era scivolata in quella di Lily e ora correvano tenendosi a vicenda, senza ostacolarsi ma, al contrario, dandosi supporto in quella fuga sfrenata e priva di logica.
Tutto ciò che facevano era affidato al caso e James cominciò a insospettirsi quando vide che sembrava stesse prendendo tutti i corridoi giusti. Era impossibile che andasse così, si disse, non potevano essere così fortunati. O John li stava aiutando, ma così non credeva poiché non avvertiva la sensazione che aveva avuto alla porta, oppure qualcuno voleva che corressero all’infinito. James si voltò nuovamente, ignorando il proprio istinto che gli urlava a gran voce di non farlo, e studiò gli inseguitori.
Erano una sorta di piccoli animaletti simili a insetti, con antenne e composti da testa, corpo e arti, questi ultimi terminavano in acuminati artigli. Correvano a quattro zampe e si avvicinavano in modi scomposti, salendo uno sopra all’altro in un’onda nera. Tutti insieme erano terrificanti, una sorta di sciame assassino, ma nel singolo non sembravano poi molto potenti.
E se creassero loro tutto questo?, si chiese. In caso fosse stato vero, significava che avrebbero corso all’infinito finché, sfiniti, avrebbero dovuto affrontarli, venendo sopraffatti quasi sicuramente. Se, invece, erano deboli come sembravano… In ogni caso, tanto valeva provare. Tanto voleva morire per difenderla, e non scappando come un codardo.
Lasciò di colpo la mano di Lily e si voltò verso gli esseri, a testa alta e con il muscolo del braccio in tensione. Sentì la ragazza fermarsi a pochi passi dietro di lui.
«Continua a correre!» ruggì, senza voltarsi. «Io li trattengo, tu vattene!».
Mentre il fiume di creature si avvicinava sempre di più, James chiuse gli occhi per un secondo e inspirò profondamente, preparandosi. Quando li riaprì, vede una fiamma rossa accanto a lui. Si sentì gelare il sangue nelle vene.
«Lily, che cazzo stai…?» cominciò, tremante. Lei lo fulminò con lo sguardo. «Ti ho detto di scappare, non voglio che rischi la vita solo per… una sensazione». Solo dicendolo comprese ciò che veramente era quella che aveva sentito. Non un’idea, né un’illuminazione. Una sensazione. Come quella di fronte alla porta.
«Non in quest’universo, Potter» fece lei, a denti stretti, estraendo la bacchetta. Le parole colpirono il ragazzo. Ecco cosa lei “sapeva”. James sbuffò e chinò per un istante il capo.
«Non c’è modo di farti ragionare, vero?» chiese, divertito, esibendo il ghigno da Malandrino di cui tanto andava fiero. Guardò gli esseri che, a dirla tutta, ci stavano mettendo più di quanto pensasse ad arrivare. Evidentemente, la prospettiva giocava brutti scherzi. Oppure era uno dei poteri di quei mostriciattoli, sembrare più vicini per farti correre più velocemente.
«Assolutamente no» rispose lei, ghignando a sua volta e piena d’orgoglio. Lui sbuffò nuovamente e la osservò, tornando serio per un istante.
«Allora devi sapere che…».
«Oh, non provare neanche a finire quella maledettissima frase» sbottò lei, interrompendolo. «Prima facciamo fuori quella roba, poi potrai dirmi quello che vuoi, ma dopo».
«Prima il dovere, eh?» rise il ragazzo. «Come sempre, Caposcuola Evans!».
Lei rise a sua volta e James sorrise come non faceva da molto tempo. Fletté il polso e la bacchetta gli balenò fra le dita.

La foresta
Remus aveva abbassato la bacchetta senza rendersene conto. Aveva dubitato di Minus fin dal primo istante. Da quando aveva iniziato questa sua “nuova vita”, Remus aveva sempre saputo di non potersi fidare. Colui che pretendeva di essere il quarto Malandrino non era affatto diverso in carattere rispetto all’universo da cui era arrivato e Remus aveva capito cosa doveva aspettarsi. Quando si erano accorti che il ratto era scomparso, aveva dovuto ammettere di non essere neanche troppo sorpreso. Eppure… E se Peter non avesse avuto colpe, se fosse semplicemente stato controllato, come James a Hogsmeade o Piton in quel momento?
«Cosa siete?» ringhiò Remus, osservando Loki con occhi pieni di disprezzo. «Come vi permettete di entrare nei corpi delle persone e manipolarci in questo modo?».
«Oh, santo cielo» sbuffò Loki. «Allora Mot non vi ha detto nulla su di noi… Ammetto che non me lo aspettavo».
«Si può sapere di che stai parlando?» sbottò il Grifondoro.
«Noi, mio ingenuo mortale, siamo coloro che per natura dovreste servire» sibilò Loki. «Noi siamo i primi esseri magici mai nati, i daimon. Controlliamo l’Etere a nostro piacimento perché siamo nati da esso. Noi siamo onnipotenti. Noi siamo dei».
«Voi siete parassiti» replicò il ragazzo, ricordando con disgusto ciò che James gli aveva raccontato, di come la Mason gli aveva inserito nel corpo ciò che all’epoca erano sembrati Ideali Immessi. «Entrate nei corpi degli umani e ci controllate. Se foste onnipotenti come dici, allora non ne avreste bisogno, non credi?».
«Lo ammetto» fece Loki, inaspettatamente. «Al momento non siamo più com’eravamo una volta. Gli umani hanno trovato il modo per indebolirci e ora siamo costretti a spostarci in questo modo. A me, ormai, neanche dà più fastidio. Lo trovo, anzi, vantaggioso, mentre i miei fratelli ancora dichiarano di aver bisogno di un corpo loro, nonostante apprezzino certi vantaggi di questa… sistemazione. Anche Mot, sebbene si sia affezionato a quello stupido ragazzino».
Non fu difficile capire che si stava riferendo a James. «E a cosa ti servo io? Non so come si uccide… uno di voi, e se questo Ermes è forte all’incirca come voi, che speranza ho?».
Loki sorrise. «Non sottovalutarti. Puoi ucciderlo, e senza neanche particolari problemi».
«Come puoi esserne sicuro?» chiese Remus, assottigliando lo sguardo.
«Lo scoprirai quando incontrerai Phobos» disse Loki. «Allora, ti va bene? Salvezza per deicidio?».
«Pensi davvero che ucciderei un amico?» fece Remus, sbuffando. «E poi “salvezza” da cosa?».
«Non fare tanto il santarellino: vogliamo entrambi che Minus ci lasci la pellaccia, solo che non sei abbastanza coraggioso da ammetterlo ad alta voce» rispose il “dio”. «E la salvezza è da quest’incubo. E di tutti voi, ovviamente».
«Quindi siamo in un incubo, eh? Allora… mi basta svegliarmi, giusto?» chiese il Grifondoro, con un sorrisetto.
«Non è così facile liberarsi di Nightmare. Le nostre Abilità sono difficili da spezzare. Forse sì, potresti uscirne, in qualche modo, ma sta sicuro che non saresti più te stesso. Quella tua amica, quella bionda… be’, l’ha provato sulla sua pelle».
«Cos’è successo a Mary?» ringhiò Remus.
«Santo Me, cambi umore così in fretta che… be’, in effetti fra qualche ora avrai le tue cose, no? Quindi penso sia normale… oppure no? A dire il vero non mi sono mai preoccupato della psicologia dei Lupi Mannari…» borbottò Loki. Remus chiuse gli occhi e prese un gran respiro, cercando di calmarsi. «Se vuoi scoprire cosa le è successo, comunque, non puoi fare altro che svegliarti e incontrarla da te».
«Io… non posso uccidere Minus» disse, infine, il Grifondoro, abbassando lo sguardo. Probabilmente avrebbe dovuto mentire, ma sentiva che il dio dell’inganno se ne sarebbe accorto fin troppo facilmente. «Nell’altro universo sarebbe stato diverso, ma qui… ci ha tradito solo perché è stato costretto da voi».
«Ah, sul serio?» fece il dio, inarcando le sopracciglia e ripresentando l’orrido sorriso. «E cambieresti idea se ti dicessi che ha ricevuto Ermes volontariamente?».
«Che cosa…?» mormorò Remus, sgranando gli occhi. Non poteva crederci. Non voleva crederci. I suoi pensieri furono distratti da un ruggito che scosse l’intera foresta.
«Mi spiace ma credo che il tuo tempo per decidere stia per scadere». Loki ghignò, malvagio, e alzò un dito in aria, a mimare il movimento del pendolo di un orologio. «Il tempo scorre e la sopravvivenza tua e delle persone che ti sono più care dipende da te. Al tuo posto, mi sbrigherei. Tic tac, tic tac…».

La magione
Anche senza alcuna spiegazione di David, Dora sapeva che i Manikin, nonostante la loro forma quando legnetti, avevano un aspetto animalesco, questo perché nessun essere umanoide avrebbe potuto creare quegli orrendi suoni. Era come se qualcuno facesse continuamente stridere una dozzina di gessetti su una lavagna, mentre qualche incapace tentava di suonare un violino rotto e scordato. Il risultato faceva accapponare la pelle (ma forse erano solo i brividi per l’effetto “gesso su lavagna”) e disorientava completamente. Più volte, nella loro corsa verso l’ingresso, Dora si era ritrovata a correre in un'altra direzione da quella di Sirius. Fortunatamente, se ne accorgeva in fretta, perché non avrebbe mai sentito la voce del cugino che la chiamava, incapace di sovrastare quello strillo acuto.
Avevano salito le scale tre gradini alla volta e si erano diretti verso una porta a caso, ritrovando la fitta rete di corridoi e stanze che avevano imparato a odiare nel piano inferiore. Continuavano a correre, senza quasi fermarsi, di tanto in tanto voltandosi e trovandolo sempre là, un braccio e una gamba avanti, fermo in un istante del suo movimento.
«Aspetta» fece Sirius, prendendo la ragazza per un braccio. Quando lei si voltò, il Grifondoro stava già fissando il Manikin per non farlo muovere. Gli si dovette avvicinare, per comprendere le sue parole sopra quel rumore. «Non serve a niente correre così, finché rimane a distanza e lo guardiamo».
Lei, con il fiatone, rimase in silenzio per qualche secondo, intuendo che c’era una falla nel ragionamento di Sirius ma non capendo bene quale. Se solo quel dannato rumore fosse cessato, probabilmente sarebbe riuscita a pensare meglio. Si diede una pacca sulla fronte, dandosi dell’idiota per quanto era stata lenta. Tirò fuori lo specchio.
«David, Eve, dobbiamo sbrigarci, c’è n’è più di uno» disse. Sirius si voltò a guardarla, confuso, e lei gli diede velocemente il cambio per fissare la creatura, che riuscì a spostarsi a malapena.
«Come lo sai?» chiese il ragazzo, sgranando gli occhi.
«Questo qui è fermo, ma il rumore c’è ancora» spiegò, battendo prima una palpebra e poi l’altra nel tentativo di non chiudere entrambe. Sirius, dal canto suo, si passò una mano sul volto, dandosi ad alta voce dell’imbecille.
«Se sono più di uno, allora conviene che vi troviate un posto sicuro in cui chiudervi» propose David. «Imprigionarli sarebbe troppo complicato».
«Già, e poi che facciamo? Rimaniamo fra quattro mura a vita?» fece Dora.
«Almeno fino a quando non arriveremo noi» s’intromise Eve. «David ha un congegno per rilevare Etere, datemi cinque minuti e riuscirò a trovarvi!».
«Ehi, ma quando l’hai preso?» esclamò David. Eve, dall’altra parte dello specchio, fece una pernacchia.
«Non per rovinarvi la festa, ma quel coso è entrato in una stanza chiusa, non credo si farebbe tanti problemi se mettessimo una sedia davanti alla porta» disse Sirius.
«In una stanza… chiusa?» chiese David, dopo qualche istante di silenzio.
«Sirius? Tonks?» fece una voce dietro di loro. Dora voltò il capo così velocemente da farsi male al collo.
«Em?» mormorò Dora, fissando la ragazza con occhi sgranati. La ragazza, uscita da dietro la svolta del corridoio, guardava dietro di lei, probabilmente impedendo al Manikin di muoversi, e aveva un’aria stravolta: i capelli scuri erano sparati in tutte le direzioni e i vestiti erano strappati in più punti. In mezzo ad alcune ciocche, Dora notò quelli che sembravano frammenti di ghiaccio e aveva un livido nero grande come un pugno sul braccio sinistro. In mano reggeva un lungo pezzo di metallo dorato.
«Emmeline!» esclamò Sirius, correndole incontro e abbracciandola. La Grifondoro parve sorpresa e ricambiò l’abbraccio dopo qualche secondo. Dora continuava a osservarla come lei guardava il Manikin, il cervello che continuava a elaborare la stessa informazione, rifiutandosi, in un tentativo disperato, di accettare le proprie conclusioni.
«Che bello vederti!» esclamò Sirius, felice come qualcuno non minacciato da una creatura immortale pronta a farlo fuori.
«Mi stavate cercando?» chiese lei, spaesata, interrompendo il contatto visivo con il Manikin che Dora si sbrigò a recuperare. L’essere aveva fatto alcuni passi avanti e, dietro di lui, ne era comparso un altro. Il verso continuava a echeggiare nell’aria. Dora imprecò fra i denti.
«Certo! Tu e Mary eravate state rapite e…».
«E dove siamo? Come siamo arrivati qui? Come siete arrivati qui?» fece lei, con tono che Dora ritenne leggermente isterico.
«Be’… non lo sappiamo» ammise Sirius. «Eravamo andati a cercarvi in un posto, poi sono successe… delle cose ed io e Tonks ci siamo trovati qui».
«Non è vero» la voce di David arrivò, sicura, dallo specchio che Dora reggeva ancora in mano, facendo sobbalzare Emmeline. «Black, pensaci, sai benissimo dove ti trovi. Ninfadora ci è già arrivata».
«Non chiamarmi Ninfadora» scandì lei, digrignando i denti, mentre i capelli le diventavano color carota, lo sguardo ancora fisso sui Manikin.
«Di che stai parlando?» chiese Sirius, perplesso.
«Sirius, ragiona» ringhiò Eve, in un tentativo di fargli capire che era meglio non parlarne ad alta voce. Lui rimase in silenzio per qualche secondo.
«Mi volete spiegare cosa sta succedendo?» implorò Emmeline che, dalla voce, sembrava sull’orlo delle lacrime. Dora si dispiacque per lei ma non disse nulla, troppo occupata a cercare una soluzione, nonostante cominciasse a diventare sempre più disperata.
«Non può essere…» mormorò Sirius, evidentemente arrivando alla stessa conclusione.
«Cosa non può essere?» esclamò Emmeline, strattonando con forza il ragazzo. «Spiegatemi!».
«Siamo fottuti, Em, ecco cosa succede» rispose Dora, leggermente esasperata, voltandosi di scatto. Spalancando gli occhi, afferrò la mano di Emmeline e il braccio di Sirius e li portò vicino a sé: altri tre Manikin erano usciti dal nulla ed erano bloccati nell’atto di avvinghiare i due. Sentì Sirius voltarsi dall’altra parte.
«Sono diventati tre» mormorò il ragazzo, visibilmente spaventato. Il cervello allenato della Tassorosso fece un rapido riassunto della questione: sei esseri immortali e immuni alla magia bloccavano ogni lato del corridoio e, dove si trovavano, non c’erano altre stanze. Loro erano solo in tre ed Emmeline sembrava aver qualcosa che non andava. Non avevano speranze. Dora sentì i propri occhi lacrimare e non era sicura che fosse solo per lo sforzo di tenerli aperti.
«Dovete andarvene» esclamò Eve, sbirciando la situazione attraverso la mano della sorella.
«Non possiamo» replicò Sirius, tenendo Emmeline dietro di sé che cercava invano di capire cosa stesse accadendo. «Siamo circondati».
«Passategli in mezzo» suggerì la Corvonero.
«Troppo poco spazio fra uno e l’altro» rispose Dora, che aveva già fatto i dovuti calcoli. «E non sappiamo se gli altri siano dietro l’angolo, né quanti siano in tutto».
Sirius ringhiò in modo molto canino. I due si stavano adattando, non era ben chiaro se per fortuna o no, al verso di quelle bestie ed era stato facile dimenticarsene per il Grifondoro.
«Ragazzi» fece David, dall’altra parte dello specchio. «Non so davvero come aiutarvi. Mi dispiace». Dora, nel proprio universo, non avrebbe mai pensato di provare pena per l’uomo che aveva fatto risorgere Lord Voldemort, eppure stava accadendo, nonostante fosse lei quella in pericolo.
«Che facciamo?» chiese Sirius, cercando di rimanere impassibile. Dora osservò le tre creature che, immobili, si protendevano verso di loro. Sapeva benissimo di non poter tenere gli occhi spalancati ancora a lungo e sapeva anche che, molto probabilmente, un solo battito di ciglia sarebbe bastato a farli prendere dai Manikin. Doveva inventarsi qualcosa in pochi secondi.
Le lacrime continuarono a formarsi e a sgorgare sempre di più, mentre lei cercava di trattenersi. Lo sforzo per mantenere aperti gli occhi e la disperazione che la stava cogliendo stavano facendo il loro lavoro e ben presto la vista della ragazza fu quasi totalmente appannata. Eppure, sapeva di non potersi asciugare, perché avrebbe significato coprirsi gli occhi per qualche istante.
Più continuava a pensare più si sentiva idiota, idiota come la morte che avrebbe avuto. Come sarebbe stata catalogata? “Morte da battito di ciglia”? Oppure più qualcosa tipo “morte da incubo”, come, in effetti, sarebbe stato più giusto?
La cosa, rifletté, non le stava affatto bene. Almeno nel proprio universo era morta in battaglia; uccisa dalla propria zia psicopatica, certo, ma almeno aveva combattuto per ciò in cui credeva. In quest’altro, invece, sarebbe dovuta morire nel sonno creato da un montato che si credeva una divinità insieme a suo cugino e a una ragazza sfinita e disorientata che lei conosceva da soli tre mesi… e lontana da Remus che, molto probabilmente, stava cercando di sopravvivere così come lei.
Penso a lui e alla sua reazione in caso non fosse mai tornata, poi immaginò la propria al suo posto.
Poi prese una decisione e attuò il suo piano senza neanche avvertire gli altri.
«Reducto!» urlò, e il pavimento cedette. Non sapeva neanche dove sarebbe caduta, né se sarebbe sopravvissuta. Tuttavia, preferiva lottare e morire, piuttosto che abbandonarsi a quelle orride creature e al destino che uno stupido Mangiamorte aveva deciso per lei.
Geronimo, pensò, divertita, cadendo ad occhi chiusi molto più a lungo di quanto aveva immaginato. Fin troppo a lungo.

La foresta
«Come posso essere sicuro che ci tirerai fuori di qui e che, dopo aver ucciso Ermes, ci lascerai in vita?» chiese Remus, mentre il rumore delle zampe della bestia sul tappeto erboso si faceva sempre più vicino.
«Perché non ho ragione di farlo» fece Loki, sorridendo. «Tecnicamente, per me sareste molto più utili da vivi. Io non ho voglia di immischiarmi con il piano del Primo e non mi dispiacerebbe affatto sei voi riuscite a cavarvela, ma Ermes potrebbe causarmi problemi, quindi ho bisogno di qualcuno che è già schierato contro di loro è che è disponibile a farlo secco».
Remus rimase per qualche secondo a fissare il Serpeverde, organizzando le proprie idee. Proprio quando sembrava stesse per cedere, chiese: «Perché dovrei fidarmi della tua parola?».
Loki sbuffò, facendo segno di “no” con il dito. «Ah, Remus, Remus, il tempo scorre e i tuoi amici stanno per morire. Fossi in te mi sbrigherei».
Un nuovo ruggito riecheggiò nella foresta, gelando il sangue nelle vene del Grifondoro.

Il labirinto
Il muro di fuoco del Grifondoro svanì in fretta, portando con sé una decina di quelle strane creature. Lily, tuttavia, si era già preparata e, con un aggraziato movimento della bacchetta, un fascio di luce falciò gli esseri più vicini, che diedero l’impressione di essere evaporati, a giudicare dalla nebbiolina nera che lasciavano per un istante.
Un gruppo degli esseri si arrampicò sul soffitto del corridoio, con l’evidente intenzione di saltare addosso ai ragazzi. James si premurò di congelarli e a farli a pezzi, facendo cadere gli spuntoni che si erano venuti a creare sulle creature sottostanti.
Lily sparò una nuova raffica di Incantesimi Esplosivi e James pietrificò alcune creature, ostacolandone altre. Alcuni esseri si scagliarono in aria, cercando di colpirli in volo, ma si dissolsero sulla barriera che i Caposcuola avevano generato in contemporanea.
Lily gemette quando vide nuove ondate delle creature nere svoltare nel loro corridoio e avvicinarsi sempre più velocemente. Quei cosi erano deboli, ma erano troppi.
«Non possiamo farcela» disse la ragazza, lanciando altri Incantesimi per rallentarli ma con molta meno potenza rispetto a prima.
«Scappa, io li trattengo!» esclamò, di nuovo, James, generando fiamme dalla punta della bacchetta.
«Quante volte te lo devo dire? Io rimango!» replicò la ragazza. «E stavolta non puoi neanche Obliviarmi, quindi vedi di adattarti!».
James sembrò voler dire qualcosa, ma si trattenne e continuò a scagliare Incantesimi, disintegrando gli esseri. Lily fece uscire un vigoroso getto d’acqua dalla bacchetta, che si riversò sulle creature, spingendole indietro e schiacciandole una sull’altra.
«Attenta!» l’urlo di James le arrivò troppo tardi. Una delle creature era riuscita a evitare l’Incantesimo della ragazza ed era passata sotto i suoi compagni, avventandosi poi su una coscia di Lily, affondando gli artigli nel muscolo. Lei urlò di dolore e perse l’equilibrio, cadendo a terra. Disintegrò la creatura con un Incantesimo ma, da come si teneva la gamba, era evidente che era andato già parecchio a fondo e quella nebbia nera che usciva dalla ferita non prometteva nulla di buono.
James avrebbe voluto andarle vicino e aiutarla ma era costretto alla sua posizione, lavorando il doppio ora che Lily riusciva a lanciare solo alcuni degli Incantesimi più semplici e solo grazie alla sua grande forza di volontà, che le permetteva d’ignorare il dolore. Tuttavia, il rivolo di sangue che le usciva dalle labbra non sfuggì al ragazzo, che non seppe se si stesse mordendo da sola per non perdere i sensi o se la creatura avesse fatto danni ben peggiori con la magia Oscura di cui era impregnata. A giudicare dal pallore che Lily stava assumendo, immaginò, con una stretta al cuore, che fosse il secondo caso.
«Merda…» imprecò James fra i denti, continuando a scagliare Incantesimi, cercando di non far passare nessuno di quegli esseri. Tuttavia, sentiva che la vista cominciava ad appannarsi per lo sforzo e, lo sapeva, a breve non sarebbe riuscito a sostenere quel continuo assalto.
«Meno male che Evelyn aveva detto che hai un’enorme quantità di magia» disse John, apparendo dal nulla. Era semplicemente lì, appoggiato con tranquillità al muro, il completo babbano perfettamente curato.
«Sta’ zitto» sibilò James, rabbioso, facendo a pezzi una dozzina di creature contemporaneamente. Si rese conto solo dopo di averlo detto ad alta voce e, molto probabilmente, Lily lo stava credendo pazzo, ma non gli interessava. Ora non ce la faceva proprio a sostenere John.
«Vuoi un aiutino?» chiese l’Altro. James si trattenne dal tirare un Incantesimo anche a lui.
«Sparisci, bastardo!» ruggì. «Ho meglio da fare che ascoltare le tue stronzate!».
«No, sto dicendo sul serio!» disse John, alzando le mani e sgranando gli occhi, come cercando di sembrare il più sincero possibile. «Ti do il cambio, salviamo Lily e usciamo fuori da questo casino. Non male, no?».
«Sì, certo» fece James, sarcastico, Schiantando altre creature. «E poi magari ti fai un bel giretto per il mondo con il mio corpo e ammazzi chi ti pare, giusto? Be’, no, grazie, non ci tengo!».
John sospirò platealmente. «Non rifiutarmi, James! Sono la tua unica speranza di uscire da qui vivo! Probabilmente il tuo amico lupacchiotto sta per farvi uscire tutti, ma temo ci vorrà un po’ di tempo e… mi spiace dirlo, ma tu sarai bello che andato… e la principessa, qui, probabilmente starà messa anche peggio» si avvicinò di qualche passo a James. «Fidati di me, posso farvi uscire da qui incolumi e potrete continuare a vivere la vostra piccola favoletta da diabete».
«Puoi scordartelo» disse James, nascondendo l’insicurezza nella propria voce. Il pensiero di Lily, in uno stato ancora peggiore della morte, lo aveva fatto tentennare.
John si avvicinò ancora di più, a passo lento e rilassato.
«Non pensavo odiassi Lily fino a questo punto» mormorò, quando gli fu abbastanza vicino. James si scostò di lato, tenendo la mascella serrata e continuando a scagliare Incantesimi. «Oh, andiamo, non fare il santarellino! Tu la odi, si vede benissimo. Tu, nonostante tutto, la vorresti morta, non è così?».
«Non ti azzardare a provare a dire, o a pensare, mai più una cosa del genere» fece James, disgustato, voltandosi per un secondo verso l’Altro. «Sei stato nella mia testa e sai che questa è la cosa più vicina a una bestemmia che potresti dire a me. Tu sai cosa provo e sai che le tue sono solo cazzate».
«Se è c’è del vero in quello che dici, perché la stai condannando a questo fato?» chiese John, in una serietà che James non aveva mai visto. Il Grifondoro non riuscì a rispondere, forse troppo disorientato dall’utilizzo di quello che sembrava un linguaggio del Trecento (o giù di lì, all’incirca…). «Lasciamela salvare».
James scagliò altri Incantesimi c0ntro le fila di creature, rimanendo in silenzio. Cuore e mente non sapevano decidersi, entrambi spaccati in due.
«Va bene» disse, infine, senza guardare l’altro. Lo sentì appoggiargli una mano sulla spalla per un secondo, poi la mente cominciò ad annebbiarsi, i pensieri a perdere forma e ciò che sembrava un nuovo sangue gli fluiva nel corpo.
«Ora» fece John, con un ghigno. «Dobbiamo solo sperare che il lupacchiotto decida per il meglio».

La foresta
Il tempo, come Loki ricordava, continuava a scorrere, e Remus ancora non riusciva a decidersi. Non aveva idea di cosa fare. Credeva che Loki avrebbe rispettato il proprio patto, ma non era sicuro di voler lui stesso tenergli fede. Se anche fosse uscito di lì, dopo Dolohov avrebbe anche dovuto uccidere Peter Minus e, seppure lo odiasse con tutto se stesso, non riusciva a vedercisi. Uccidere Codaliscia, il quarto Malandrino… gli sembrava una delle cose più ripugnanti che avrebbe potuto fare. Eppure… Riascoltò nella mente le parole di colui che si proclamava dio: “i tuoi amici stanno per morire”. Sapeva che non stava mentendo. La sua mente evocò immediatamente un’immagine, chiaramente fittizia, di Ninfadora in pericolo e tanto bastò per fargli prendere una decisione immediatamente.
«Allora?» chiese Loki, come se avesse intuito i pensieri del licantropo.
«Accetto» rispose lui, con sguardo deciso.
«Bene!» esclamò il dio, avvicinandosi a grandi passi verso Remus e tendendogli una mano. Seppur con diffidenza. Sentì i passi della Chimera avvicinarsi. «E sappi che se cercherai di fregarmi, io lo saprò, e mi vendicherò».
Remus mantenne gli occhi verdi saldamente puntati verso il volto del ragazzo e lasciò che la minaccia gli scivolasse addosso, mentre il mondo si dissolveva e lui riprendeva coscienza di sé.

*****

 «Salve, professor Silente» disse la Mason, alzandosi in piedi per stringere la mano all’anziano Preside e risedendosi dietro la propria scrivania con aria tranquilla. «È tornato da poco?».
«È così» rispose il professore, con aria benevola, sedendosi dove l’insegnante gli indicava. «A dirla tutta mi stavo annoiando, giù al Ministero, e ho ritenuto che i miei servigi fossero più necessari qui».
«E cosa posso fare io per lei?» chiese la donna, intrecciando le dita e osservandolo con curiosità. «Perché immagino non sia venuto solo per una visita di cortesia, anche se l’avrei molto apprezzata».
«Purtroppo no, signora» fece Silente, con uno scintillio divertito negli occhi. «Porto delle informazioni dal sud e ho ritenuto che fosse il caso condividerle con lei. Quel che verrà dopo le sarà poi chiaro come l’aria».
Lei sorrise placidamente e annuì. «Dica pure».
«Sapeva che una delle stanze dell’Ufficio Misteri contiene la seconda biblioteca più grande del mondo?» chiese il professore.
«Adesso sì».
«Be’, mi ci sono casualmente ritrovato e mi sono detto “perché no?” e ho deciso di sfruttare l’occasione per assumere un altro po’ di cultura, dato che, anche alla mia età, non fa mai male. Casualmente, ho trovato alcuni testi antichi che trattavano le più disparate materie, dall’Alchimia e la Trasmutazione alle pratiche magiche che ormai sono scomparse, tra cui quelle mentali, di cui ci rimangono gli Incantesimi di Memoria, la Legilimanzia, l’Occlumanzia e la Maledizione Imperius» spiegò il Preside, studiando l’espressione di educato interesse della professoressa. «L’argomento mi ha incuriosito e, sempre casualmente, ho trovato degli accenni a ciò che veniva chiamata Psicomanzia, ovvero l’arte del controllo mentale in un modo piuttosto diverso rispetto a quello della Maledizione Senza Perdono, concentrato sulle capacità di illusionismo».
«Sta parlando di quei Babbani che credono di poter imitare la magia truffando i loro simili?» chiese la Mason, inarcando un sopracciglio.
«Oh, no, assolutamente» rispose Silente, ignorando con molta fatica il tono di disprezzo della sua insegnante. «Qui si parla di magia che permette al suo utilizzatore di mostrare ciò che vuole a chi vuole. Venne molto usata, nell’antichità, durante le guerre, permettendo di rivoltare interi eserciti contro i propri generali, portando alla gloria uomini facendo passare le loro gesta come “miracoli”, facendo sì che interi imperi nascessero con il minimo sforzo».
«Interessante» commentò la professoressa. «Così come è interessante che tutto questo sapere le sia arrivato per caso».
«Le scoperte più importanti sono state fatte per caso, mia cara» disse il professore, ridacchiando. «Ho voluto risalire, per puro interesse, alla nascita di questi Incantesimi. È stata piuttosto dura, ma sono riuscito a trovare nel nord dell’India la loro fonte, dove si dice che una dea avesse il potere di rendere reali le proprie idee. Questa dea insegnò la sua arte a pochi sacerdoti che, alla sua scomparsa inaspettata e inspiegabile, portarono la Psicomanzia in Europa e nel resto dell’Oriente. Solo pochi si diressero in Africa, dove l’arte illusoria scomparve in breve tempo».
«Molto poetico» fece la Mason, sorridendo con innocenza. «Ma sono solo leggende, professore, immagino non ci creda sul serio».
«Oh, non pretendo di poter dividere ciò che è leggenda da ciò che è realtà, non dopo più di cinquemila anni di storia, professoressa» rispose lui, pacato come sempre. «Tutto ciò che desidero è farle una domanda: intende sciogliere la sua ipnosi prima o dopo essersi allontanata per sempre da questa scuola, Maya?».
Il sorriso si paralizzò sul volto della professoressa. «Come, scusi?».
«La prego, non finga con me» le disse Silente, con un sorrisetto divertito. «Ho letto molto su questa dea, o Deva, da cui prenderà poi il nome la dottrina creata dai suoi sacerdoti e poi inserita nei testi sacri della religione babbana nota come “Induismo”, in cui non c’è più alcun cenno alla dea stessa. Tuttavia, nei testi sulla Psicomanzia nel Ministero ci sono molti riferimenti a lei e alla sue magie rosso cremisi, dello stesso colore dei suoi occhi». Il professore guardò intensamente la donna. «Molto comodo, con il corpo di un vampiro, non crede?».
«Non male, in effetti» disse la donna, cambiando immediatamente tono e assumendo uno sguardo freddo. Si alzò dalla propria sedia e, camminando con delicatezza sulla moquette verde, andò alla finestra, tuffando lo sguardo nel parco di Hogwarts. «Si può facilmente usare la propria magia e dire: “Ops, mi spiace, ho perso il controllo per un secondo”. Questo branco d’idioti sa dei vampiri anche meno che dei licantropi, credono a qualsiasi cosa gli si dica su di noi».
«“Noi?”» chiese Silente, inarcando le sopracciglia. La donna si voltò nuovamente verso di lui.
«Sì, noi. Ho attuato l’osmosi con successo e ora sono Sarah Mason e Maya» confermò, alzando leggermente il mento con tono orgoglioso.
«Osmosi?» chiese ancora l’insegnante, incuriosito.
«È un processo a cui i daimon possono scegliere se andare incontro o no» spiegò pazientemente Maya. «La nostra identità si mescola con quella del nostro contenitore, cercando di far aderire una all’altra, tentando di soggiogarla e creare un legame indissolubile. Se riesce, per il contenitore è praticamente impossibile rigettarci e il potere del corpo viene decuplicato».
«Ma?» incalzò Silente.
«A volte possono esserci dei ribaltamenti: se il contenitore possiede un’identità troppo forte, potrebbe finire per sopraffare il daimon, assumendone i poteri ma rimanendo in sé: sono scoppiate molte guerre perché uomini potenti e avidi avevano ottenuto impropriamente le nostre abilità. A volte capitava anche che i daimon stessi impazzissero, incapaci di distinguere la propria mente da quella del contenitore, obbedendo ai desideri dell’uomo, piuttosto che a quelli del dio».
«Non mi sembra che lei faccia molta differenza, se posso permettermi» s’intromise il professore. «Considera, in quanto daimon, l’intera umanità come feccia, eppure difende anche i vampiri, considerandoli la sua stessa specie».
«Sì e no» disse Maya. «Ciò che ha detto è vero, ma è anche vero che io stessa ne sono al corrente. Questo perché la perfetta osmosi fa coincidere pensieri, desideri e convinzioni del daimon e dell’ospite: Sarah Mason ritiene che tutto ciò che non sia vampiro sia disgustoso, così come Maya ritiene per tutto ciò che non sia daimon. Per far coincidere queste due idee, si arriva alla conclusione che ha esposto».
«Quindi l’osmosi è una sorta di contratto fra le due linee di pensiero in cambio di un potere enorme?».
«All’incirca, sì» rispose Maya, annuendo. Il professore si lisciò la lunga barba bianca, pensieroso.
«E immagino sia troppo chiederle perché avete bisogno di contenitori per mantenere i vostri poteri» propose. Maya incurvò leggermente le labbra. Le sue espressioni stridevano molto da quelle di Sarah Mason.
«Ci sono cose che non sono disposta a rivelarle, professore. Consideri le informazioni che le ho dato come un piccolo premio di consolazione» rispose lei. Il Preside inarcò le sopracciglia e assunse un’espressione di pacata sorpresa.
«“Consolazione”? Per cosa?» chiese.
«Crede davvero che me ne andrò così?» fece lei, fra l’ironica e l’incredula. «Mi spiace professor Silente, ma intendo tenere il mio posto finché mi farà comodo».
«Oh, non credo proprio» replicò pacatamente il professore, alzandosi in piedi e guardandola con severità. «Lei lascerà questa scuola entro un’ora e non varcherà mai più i nostri cancelli, altrimenti sarò costretto a prendere provvedimenti».
«Vuote minacce» disse il daimon. «Pensa sul serio di potermi convincere ad andarmene?».
«Mia cara signora, nonostante la potenza che lei vanta, sono certo che non vorrebbe affrontare da sola il corpo insegnanti e, molto probabilmente, quello studentesco al completo da sola. Questa scuola è casa per tutti coloro che si trovano al suo interno e nessuno di noi gradisce le intrusioni indesiderate, così come stanno certamente dimostrando i miei migliori studenti contro il suo amico nella Foresta» disse il professore, emanando inconsapevolmente l’imponente aura magica che possedeva da tempo e che si era intensificata dopo la sconfitta dell’ex-amico Grindelwald. «Mi creda se le dico che la mia offerta è per lei un’ancora di salvezza».
«Allora perché non combatte qui e ora, se è così sicuro del proprio successo?» sibilò lei, alterandosi.
«Ho l’impressione che una battaglia arrecherebbe molti danni a Hogwarts. E questa è una scuola, signora, e ci sono moltissimi studenti al suo interno. Non voglio far nulla che possa ledere loro in un qualsiasi modo» spiegò Silente. «Ma se costretto, farò tutto ciò che è nel mio potere che, modestia a parte, non è affatto indifferente».
Maya assottigliò gli occhi ma fece un mezzo sorriso. «Allora credo che accetterò la sua “ancora di salvezza”, professore. L’illusione sparirà non appena lascerò i confini della scuola. Mi consideri pure dimessa dal mio incarico».
«Oh, no» fece il Preside, dirigendosi verso l’uscita. «Si consideri licenziata».
E si chiuse la porta alle spalle.




Sala Comune di Tassoverde

E lo so cosa state pensando! "Questo scompare per mesi (tanto per cambiare) e, invece di darci tutto un capitolo, ce ne dà una parte, perché non riesce a finire un ciufolo"! E, invece, carissimi lettori che, spero, siate arrivati fin qua giù, questa "Parte 1" è ben diversa da quella di Potters: se lì ho diviso per questioni di tempo, qui, invece, ho fatto tutto per lo spazio! Mentre scrivevo quello che ora sarà il capitolo successivo, ho infatti capito che stava venendo fin troppo lungo (intorno alle 32 pagine...) e leggerlo tutto insieme sarebbe stato estenuante: ho quindi deciso di separare le prime 16 pagine e pubblicare le restanti successivamente, entro un paio di settimane (giusto il tempo di rifinire e correggere). In questo modo potrete leggere con più tranquillità e senza dover aspettare decenni per il seguito, lasciandovi comunque con un po' di suspance! Quanto sono braFo, eh?!
Per quanto riguarda l'ultima parte, con il daimon Maya: non sono affatto un esperto dell'Induismo, anzi, conosco poco e niente. Ho cercato tuttavia di addentrarmi poco nella dottrina attuale e nella storia stessa dell'India, attingendo da poche fonti online e cercando di rimanere nel "possibile". In caso abbia sbagliato qualcosa chiedo venia e... siamo in universo parallelo, no? Vorrei inoltre segnalare che la parte sulla magione è piena di riferimenti. Trovateli tutti e vincerete millanta pokédollari (convertibili in gettoni d'oro nel duemilaecredici).
Ora, passando a cose un po' più tecniche... be', non ci passeremo. Giusto per sovraccaricare un po' la seconda parte di Who (a cui sono indeciso se dare un nome diverso, giusto perché "part 1" e "part 2" è un po' tanto antiestetico... ora che ci penso, potrei fare la stessa cosa con Potters... uhm... questo significherebbe cambiare tutte le numerazioni... ci rifletterò su), scriverò in quelle note le modifiche finora apportate ai precedenti capitoli (mi sono fatto una piccola lista apposta) e altre cosine interessanti (ovvero: che adesso non mi vengono in mente). Per la piccola tabella iniziale ringraziate la carissima Ma_AiLing, a cui va tutta la mia gratitudine...
Per il resto, ringrazio tutti voi lettori, sia i silenziosi sia, in particolar modo, le cinque persone (vi amo, sapevatelo) che hanno recensito il precedente capitolo. Mi è venuta la lacrimuccia, giuro. So di essere ripetitivo, ma voglio davvero ringraziare voi tutti che, nonostante gli infiniti tempi di aggiornamento, continuate a non abbandonarmi... grazie mille, davvero.
Credo quindi di terminare qui le note (penso non siano mai state così brevi...), lasciandovi un piccolo invito a recensire anche questo Chapter (perché "capitolo" è mainstream!), in cui, magari, mi piacerebbe anche sapere con quale metodo avete deciso di leggere il capitolo, e a continuare a essere così fantastici, con la speranza che questa storia così sconclusionata non vi stia venendo a noia.
Un bacio a voi tutti,
hufflerin

P.S.: Notare il nuovo banner della storia che si può trovare nel Chapter 0, ridotto per essere visibile tranquillamente anche da mobile. Bellino, eh? (Non è vero mai). Anche questo l'ho fatto con Power Point.


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«There's nothing to fear... except the Fear itself»

   
 
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