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Autore: orual    26/04/2015    5 recensioni
Una raccolta di racconti dedicata al gruppo di amici che abbiamo visto in azione in E' illegale, Molly Prewett! e in Primo Natale alla Tana. Andremo a sbirciare i loro anni di scuola e li seguiremo nei tempi cupi della Prima Guerra magica, mentre crescono, lavorano, si innamorano, lottano e soffrono, come tutti. Una old generation un po' diversa dal solito: non solo i Malandrini sono stati giovani!
-Vattene via, Bellatrix- sibilò Andromeda, il bouquet che tremava nella mano stretta convulsamente.
Bellatrix si guardava intorno, osservando schifata lo spoglio ambiente in penombra della chiesa.
-Cielo, come sei caduta in basso, Dromeda. Questo posto è una vera schifezza. Certo, non che il panorama non si adatti allo sposo.
-C’è di peggio, Bella!- sghignazzò Yaxley, accennando ai Tonks. Entrambi erano pallidi oltre ogni dire, e lui si era spostato un po’ davanti alla moglie, cercando istintivamente di proteggerla.
-Feccia babbana- sibilò Bellatrix, volgendosi di nuovo alla sorella –Come hai osato tradirci in questo modo? Eri così in fregola che c’era bisogno che un Sanguesporco ti calmasse i pruriti? Ed avete anche messo in cantiere un bel mostriciattolo mezzosangue con le vene sporche, non è così? Salazar, mi viene da vomitare!
Genere: Avventura, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Arthur/Molly, Ted/Andromeda
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Arthur, Molly e...'
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Salve a tutti. Non sono nemmeno sicura che qualcuno si ricordi ancora di me, da queste parti. Ad ogni modo, non sono morta, e nemmeno ho rinunciato a EFP. Ho ancora tante di quelle cose nel computer, da finire o portare avanti o sviluppare, che anche se sono anni che non posto mi sento sempre work in progress. Non credevo che fosse così facile ricominciare, ad ogni modo mi sono ammalata ed è bastato meno di un giorno per riprendere. E’ una bella sensazione essere tornata. Se qualcuno di voi miei lettori, sempre gentili, entusiasti, attenti, ancora frequenta il sito, spero che vi piacerà.
Buona lettura. Come mio solito, alcune osservazioni sono in fondo.
Un bacio, Orual

 
La vita che va avanti
 
-E non hai portato quella cara ragazza?
Amandine Shacklebolt, elegantissima come sempre nel completo di seta grezza color zaffiro in pendent con il turbante, si rivolse al figlio con severità. Kingsley, a casa per le vacanze stive, soffocò una risata nel couscous, servendosi ancora.
Hector sospirò, ricordandosi perché aveva vissuto da solo fin da quando ce ne era stata la possibilità. Sua madre aveva un dono spiccato per le inchieste. Avrebbe dovuto lavorare al Dipartimento Auror anche lei. Estorsione di informazioni.
-Mamma, Annie sta finendo una ricerca ed è impegnatissima. Non avrebbe proprio potuto accettare l’invito.
La signora Shacklebolt piegò la testa, mostrando tutta la sua disapprovazione.
-Credo, caro, che dovresti portarla qui, per farmela conoscere.
La vecchia tecnica della goccia sulla roccia. Hector si versò da bere.
-Voglio dire che non mi sembra giusto che tu escluda tua madre da un aspetto così importante della tua vita. Non mi sembra rispettoso, Hector. Non mi sembra…
-Mamma, non ti terrei mai all’oscuro di niente di importante. Infatti sai benissimo che Annie è una mia amica di lunga data e che da qualche mese siamo più che amici.
-Altroché!- intervenne Kingsley, che aveva l’aria di godersela un mondo. Hector lo guardò storto e il fratello gli esibì di rimando un sorriso estasiato, che diceva: “Così impari a lasciarmi solo con mamma tutta l’estate”.
-Kingsley, ti prego di mangiare e non intervenire in cose che non ti riguardano minimamente. Hector…
-Mamma?
-Voglio conoscere questa signorina al più presto.
Hector bevve un sorso dal bicchiere, si asciugò educatamente la bocca, appoggiò lentamente il calice sul tavolo e poi disse:
-L’hai incontrata alla mia ammissione nel corpo degli Auror. E l’hai già vista qualche altra volta ai tempi della scuola. Per adesso deve esserti sufficiente, mamma.
-Non vuoi presentarmela, è così? Sei tu, che non vuoi. Hector, mi meraviglio di te.
-Non so proprio perché ti meravigli. Pensi che mi faccia piacere l’idea di invitarla qui perché sottostia ad un tuo interrogatorio per tutta la durata dell’incontro?
-Non dovresti dire queste cose a tua madre.
Hector sorrise, il sorriso più accattivante del suo repertorio.
-Mamma, vuoi forse dirmi che non andrebbe così?
-Certo che no. Sarei cortesissima, osi dubitarne?
-Niente affatto. Una cortesissima addetta agli interrogatori del Ministero.
-Questa poi. Non essere impertinente.
-Lungi da me.
-Lo stai facendo in questo momento. Kingsley, caro, se non hai più voglia di mangiare puoi ritirarti, invece di continuare a fissarci. Elsie, per cortesia, sparecchia le stoviglie di Kingsley.
Kingsley sembrava sul punto di obiettare, mentre l’anziana elfa domestica avvolta in un grazioso strofinaccio a quadretti rosa trotterellava verso la tavola e si metteva all’opera, ma uno sguardo di Hector lo fece tacere, e mugugnando il ragazzino sparì in direzione della sua stanza.
-Ti prego, mamma, dammi tregua- disse Hector, attaccando la mousse di zucca che Elsie gli aveva servito prima che sua madre tornasse alla carica.
-Non volevo parlarne davanti a Kingsley, caro, ma spero sinceramente che tu non mi stia facendo il torto di temere che potrei non essere gentile con questa signorina perché la sua ascendenza magica non è impeccabile.
Per la prima volta in tutta la durata dell’irritante conversazione, Hector si sentì prossimo a perdere la pazienza. Le schermaglie con sua madre erano troppo abituali perché lo disturbassero davvero in qualsiasi modo, anche quando avevano riguardato argomenti diversi: la scelta di non unirsi al club estivo di Thestral Polo ai tempi di Hogwarts, quella di entrare all’Accademia Auror invece di intraprendere la carriera politica al Ministero sulle orme di suo padre, quella di abitare a Londra anche dopo che l’Accademia era finita… e molte altre educate discussioni attorno al tavolo della loro sala da pranzo nella signorile dimora magica degli Shaklebolt. Questo però era un argomento molto diverso, un argomento sul quale Hector non si sentiva incline a prendere garbatamente in giro sua madre, né in generale ad affrontarlo con la benché minima traccia di umorismo, per cui disse piuttosto rudemente:
-No. Ovviamente non penso nulla del genere. Non sarei seduto a questa tavola, se lo pensassi.
-Mi fa piacere. Perché vedi…
-Credo che per oggi sia sufficiente, mamma. Davvero. Ci sentiamo presto, promesso.
Hector si alzò da tavola, baciò sua madre sulla guancia, e se ne andò.
 
-E devo riconoscere che non è facile con questo caldo. Voglio dire, stare davanti ad un paiolo quasi tutto il giorno.
Andromeda si assestò meglio sullo scomodo divanetto nel soggiorno di Annie, raccogliendosi i capelli sopra la nuca.
-E non giova neanche troppo al mio mal di schiena. Sul serio.
Era l’inizio di luglio, e faceva caldo, troppo caldo per la Gran Bretagna e sicuramente eccessivamente caldo per Godric’s Hollow.
Annie sospirò: -Nelle tue condizioni dovresti smettere di lavorare.
-Solo un’altra settimana. Poi vado in congedo. Ci serve anche questo stipendio- Andromeda fece una smorfia e sbuffò –Non ho neanche un vestito decente da mettere per il diploma di Ted. Quelli vecchi non mi vanno bene, in questa nuova taglia-da-Pluffa.
-Andromeda… se avete bisogno di una mano, io…
-Ah, non se ne parla neanche, Annie. A parte il fatto che anche tu non navighi nell’oro, dopo tutte le volte che abbiamo detto di no ai genitori di Ted, si offenderebbero. E’ tutto a posto. Ce la caveremo. Ted comincerà a lavorare già da agosto, ha parlato di nuovo con il direttore del suo reparto ieri.
-D’accordo, non navigo nell’oro, ma fra tutti potremmo anche darvi una mano.
Andromeda le sorrise con un’aria un po’ truce che voleva essere una pietra messa sopra alla discussione:
-Mi basta giusto una mano ad allargare un abito da cerimonia senza far sì sembri la fodera di un divano adattata per l’occasione.
-Meglio sentire Molly per questo…- Annie ridacchiò –Io sono negata. Senti Andie, però magari potrei darti una mano a casa.
-Oh, non c’è problema. Cucina Ted. Cioè, quando non è di turno. O non sta rileggendo le bozze della tesi.
-In pratica mi stai dicendo che mangiate sandwich da due mesi?
-All’incirca.
-Beh, fantastico- Annie sospirò, mentre la brezza della sera soffiava dalla finestra, addolcendo per la prima volta nella giornata l’aria soffocante. Si precipitò a spalancare i vetri.
-Si sta meglio.
-C’è qualcos’altro di cui vorrei parlarti.
Annie si voltò verso l’amica con aria interrogativa, e Andromeda fece un cenno verso l’ultimo numero della Gazzetta del Profeta, aperto e spiegazzato su un tavolo pieno di tazze di tè sporche (Tarquin aveva l’abitudine di lasciarle in giro, e Annie si rifiutava di raccoglierle per lui), mentre le labbra si stringevano in un’espressione cupa che era tipica di lei.
-Questa… questa faccenda. Della purezza del sangue, sai.
-Oh… sì. Beh, spero che tu non abbia fastidi dalla tua famiglia, Andromeda.
-Con la mia famiglia non ho contatti dal giorno del matrimonio, grazie al Cielo. Ma sono preoccupata per Ted. E per te, naturalmente. Pensi che sia qualcosa di… voglio dire, Ted si rifiuta di parlarmene. Pensa che potrei preoccuparmene, sai, vista la gravidanza. C’è qualcosa di serio in queste storie… queste voci che corrono?
Annie pensò al cartello che aveva visto sulla porta dell’Apoteca. All’ennesimo articolo spregevole letto sulla Gazzetta del Profeta. Oh, naturalmente l’editore si premurava sempre di inserire un contraddittorio. Era una sorta di dibattito culturale, perché ognuno era libero di esprimere le proprie idee, giusto?
Poi guardò Andromeda, il ventre curvo della gravidanza ormai avanzata che spingeva in avanti un vecchio vestito a fiorami, l’aria sciupata, lo sguardo serio e preoccupato. Pensò a Ted che lavorava e studiava e detestava il fatto di non riuscire a dare ancora quello che avrebbe voluto a sua moglie, alla famiglia di lei che li aveva completamente esclusi per via del fatto che Ted era un Nato Babbano… e disse:
-Beh… non penso che ci sia troppo di cui preoccuparsi, Andie. Lo sai… fanatici come i tuoi… beh, è inutile che ti dica “senza offesa”… insomma, ci sono sempre stati.
Guardò l’amica annuire, passarsi una mano sul grembo e non seppe se disprezzarsi per averle mentito o essere contenta di averle risparmiato qualche preoccupazione in più.
 
E invece avrebbe dovuto davvero andare in congedo prima, pensò Andromeda il giorno dopo, mentre si accasciava davanti al suo calderone del retrobottega dell’Apoteca Galenus, dove lavorava a fianco di altri due apprendisti, sopraffatta dal calore malgrado Tess Jellyby, impegnata a tagliare baccelli poco più in là, avesse poco prima fatto partire un Incanto Ventilante nella stanza opprimente come un forno. Mentre le prime fitte si irradiavano dal suo addome come onde concentriche di dolore, le fu chiaro che avrebbe fatto meglio ad essere meno orgogliosa e a non intestardirsi per continuare a lavorare quelle ultime settimane.
Tess si voltò e la vide gemere accovacciata, le chiese se per caso stesse per partorire con aria terrificata, e quando Andromeda grugnì che aveva sospetti in tal senso le sue urla perforanti richiamarono Aaron Porter ed il signor Galenus dalla bottega.
-Cosa dobbiamo fare? Smaterializzarti al San Mungo?- chiese volenterosamente Aaron, ma fu quasi sbattuto a terra da Tess, che con voce insopportabilmente alta sbraitò che non si poteva fare, non a quello stadio della gravidanza.
-Cosa dobbiamo fare?- si allarmò anche l’anziano signor Galenus, un ometto con la barba bianca che era celibe e non sembrava avere la più remota idea di cosa stesse succedendo. Forse pensava che i bambini li portassero i Dorsorugosi di Norvegia.
-Forse se creo una Passaporta…- tentò Aaron.
-E’ la stessa cosa, non va bene! Troppo violento, lo capisci? Non fa bene al bambino!- urlò Tess.
-E allora dicci tu cosa dobbiamo fare!- rispose il ragazzo, perdendo la pazienza con lei.
Mentre Tess prendeva a piagnucolare di non saperlo, Andromeda recuperò il fiato che la contrazione le aveva tolto e ringhiò:
-La Metropolvere, imbecilli!
Così la portarono su in bottega, dove il signor Galenus constatò che aveva finito la scorta di Polvere Volante. Era molto, molto dispiaciuto, disse. Uno spiacevole contrattempo. Tess prese a piangere torcendosi le mani, Andromeda pensò che il suo orgoglio era stato punito abbastanza ed ululò ad Aaron, che stava in piedi stordito vicino alla porta:
-Va’ a comprare della Polvere Volante! Polvere Volante, da Glastonbury’s, qui davanti! Adesso!
Aaron uscì.
-Che… che ne dice di una bella tazza di tè, mentre aspettiamo?- propose nervosamente Galenus, voltandosi repentinamente verso il bollitore e facendo cadere una serie di barattoli dal bancone.
Andromeda voltò la testa da una parte e vomitò.
-Ehm… forse un’altra volta, allora.
 
Arthur si tolse gli occhiali e li pulì bene, confuso. Poi riprese a leggere il memorandum che aveva tra le mani, dall’inizio alla fine, e poi alzò di nuovo la testa per scrutare la persona che aveva davanti.
-Non… non sono sicuro di aver capito come posso aiutarla davvero, signor Moody.
Il mago dall’aria truce avrebbe avuto un aspetto inquietante anche se il suo naso fosse stato integro. Emise un verso impaziente, una specie di grugnito bovino.
-Weasley, dica un po’, da quanto tempo lavora al Ministero?
-Beh, sono quasi tre anni.
-E in tre anni non le è mai venuto in mente che quel dannato bugigattolo dove l’hanno piazzata possa avere altri obiettivi oltre a confiscare padelle affatturate?
-Beh, stiamo catalogando le Prese Elettriche, in questo momento- si risentì Arthur –Si tratta di una cosa importante per…
-La pianti con queste corbellerie. Lei lo sa chi sono, vero?
-Beh, lei è il… il generale degli Auror attualmente impiegati dal Ministero.
-Giù al Quartier Generale arrivano segnalazioni ogni giorno. Roba diretta ai Babbani. Non scherzetti innocenti. Roba che può ammazzare.
Aveva abbassato la voce e gli si avvicinò, tanto che Arthur istintivamente arretrò, finendo con le spalle contro la parete del solitario corridoio del Ministero dove si trovavano, vicino al suo ufficio piccolo e asfittico, colmo delle sue care cose di tutti i giorni, le sue spine, i libri di Babbanologia, gli scarabocchi di Bill attaccati al muro col Magiscotch, la polvere e i panini di carnesecca che Molly gli aveva incartato quella mattina insieme a una bella fiaschetta di succo di zucca. Provò un intenso moto di nostalgia e il desiderio di poter sfuggire in quello stesso istante all’inquietante mago che lo osservava con piccoli occhi neri, parlandogli di uccisioni.
-Ma io…
-Voglio che lei… non l’altro gira pollici che sverna in quel buco…
-Intende il signor Perkins?
-O chiunque sia, dannazione! Voglio che lei lasci qualsiasi scempiaggine che la stia impegnando al suo collega e lavori per me. Voglio che esamini i manufatti che le spedirò, e identifichi il tipo di magia praticata su di loro. E voglio che risalga all’autore.
-Ma…- tentò di protestare Arthur –Il nostro capo Dipartimento…
-Chi, quella specie di Knarl impagliato? Weasley, le posso assicurare che se avrà qualcosa da ridire me la sbrigherò io con lui.
Arthur guardò il viso minaccioso del mago che gli stava di fronte e deglutì.
-Ma… voglio dire, ci sarà una procedura, giusto? I-intendo… riguardo al fatto che dovrei rispondere a lei e…
-Procedura? Ma di che diamine sta parlando?- Moody lo afferrò per il bavero della giacca e lo tirò più vicino. Era incredibile il numero di cicatrici che Arthur riusciva a scorgere, così da presso.
-Mi ascolti bene, Weasley. Potremmo trovarci di fronte ad un problema serio. A qualcosa di davvero, davvero brutto. E quando dico brutto, non parlo di una Fattura Pungente. Parlo di roba che se scendessi nei dettagli lei non dormirebbe la notte. Lei ha figli, Weasley. Vuole che vivano in un mondo sicuro o no? La smetta di farmi perdere tempo e si metta al lavoro. Legga quella lista, per cominciare. Vigilanza costante!
Lo lasciò bruscamente andare (Arthur per il contraccolpo quasi sbatté la testa contro la parete) e si allontanò con passo marziale lungo il corridoio, senza più degnarlo di uno sguardo.
Arthur rimase qualche istante immobile, chiedendosi cosa diamine fosse appena successo. Il capo della Sicurezza Magica si era appena rivolto a lui per chiedergli di collaborare in vista di un potenziale pericolo per la società. Era un maledetto paranoide che si divertiva a turlupinare i dipendenti giovani del Ministero? Era una specie di rito di iniziazione? Magari quando avrebbe portato il primo rapporto su al Quartier Generale degli Auror lo avrebbero appeso per le caviglie e ricoperto di sterco di Folletto. Poi gettò un’altra occhiata all’agghiacciante memorandum che aveva tra le mani ed ebbe un brivido. Quasi quasi, lo scherzo sarebbe stata la cosa migliore. Rispetto alla possibilità che fosse tutto vero.
 
Alexander Heep stava finendo di Obliviare i cinque Babbani presenti nella ferramenta quando era successo tutto, dopo che con non poche difficoltà erano riusciti a chiuderli nel retrobottega. Appoggiato al bancone, Hector finì di compilare il verbale. Magia minorile Accidentale. Era un sollievo, rispetto a quello che gli capitava di vedere negli ultimi tempi. Il bambinetto biondo (neanche sette anni, a quanto pareva) stava continuando a singhiozzare disperatamente, mentre la madre cercava invano di confortarlo. Hector arrotolò il verbale e lo ripose in tasca, poi si rivolse al piccolo.
-Ehi, Jamie, sta’ tranquillo. Va tutto bene adesso.
La madre lo guardò con aria di scusa.
-Mio… mio marito… sa, lui è… un mago, ma beh, insomma, io no, non potevamo proprio saperlo se anche Jamie sarebbe stato… fino ad oggi non è mai successo nulla che… ma non credevo… Mi spiace moltissimo per la sua collega…
-Signora, vediamo cose del genere tutti i giorni. Non deve preoccuparsi.
-Ma ha quasi perso un dito!
-Al San Mungo glielo avranno già sistemato, non si angusti. Ordinaria amministrazione per noi.
Beh, insomma, non che ogni singolo caso di ragazzino in età prescolare che faceva Magia Accidentale si risolvesse nell’accensione contemporanea di quindici motoseghe in esposizione, ma in fondo nessuno era rimasto ferito, a parte Charlotte, e quanto agli scaffali devastati, beh, non ci era voluto molto a sistemarli. Il peggio era stata la crisi isterica della signora con l’ombrello e le urla che avevano richiamato la gente dalla strada. Ne avevano Obliviati trentasette, Alexander stava finendo con i cinque presenti al momento del fatto perché modificare la loro memoria sarebbe stato un po’ più complicato. Questo però, Hector non lo disse alla madre di Jamie. Si limitò a suggerire:
-Se posso darle un consiglio, io eviterei di portare ancora Jamie in negozi di questo genere.
-Volevo solo guardare più da vicino!- piagnucolò Jamie.
-Sì, beh, sono certo che tua madre ti troverà passatempi meno rischiosi, Jamie. Almeno fino a che non ti arriverà la lettera da Hogwarts.
Jamie si illuminò d’improvviso, come una abat-jour, smettendo all’istante di piangere.
-Hogwarts! Vuol dire che potrò andarci anche io, allora?
-Sembra proprio di sì- rispose Hector, mentre la madre Babbana di Jamie produceva una smorfia a metà tra il sollievo e l’angoscia più profonda.
-Mi spiace aver causato questo disturbo- mormorò.
-Ordinaria amministrazione, signora, come le ho detto. Arrivederci.
Alexander stava uscendo in quel momento dal retrobottega. Aveva l’aria esausta.
-Credo sia tutto a posto. Beh, potrei esserci andato giù un po’ pesante con la tipa che ha dato di matto, ma credo che ricordi ancora il suo indirizzo e il nome del marito- assunse un’aria vagamente preoccupata –Sempre che lui si chiami Shirley. Comunque, possiamo andare.
-Andiamo al San Mungo, voglio controllare che la mano di Charlotte sia a posto.
-Beh, non era mica una Fattura, no? Voglio dire, un taglio del tutto ordinario.
-Penso di sì, ma la motosega era azionata da Jamie. Meglio stare sul sicuro.
Cominciarono a sentire in quel momento qualche borbottio stranito proveniente dal retrobottega. Dopo un veloce cenno di saluto, Jamie fu trascinato via da sua madre mentre ancora parlava entusiasta di Hogwarts.
-…non vedo l’ora di dirlo a papà!- fu l’ultima cosa che sentirono, poi, con un’occhiata alla strada e una alla porta del retrobottega, si Smaterializzarono in un vicolo deserto, al riparo di un gran numero di cassonetti per l’immondizia e a pochi metri dall’affollata strada commerciale del centro di Londra dove si trovavano i grandi magazzini Purge & Dowse. Al manichino solitario che esibiva un completo in lana anni ’40 quasi completamente mangiato dalle tarme, Alexander mormorò
-Siamo qui per vedere Charlotte Fairfax-, mentre Hector rifletteva che se non avessero aggiornato al più presto quella robaccia in vetrina, persino i Babbani avrebbero finito per accorgersi che c’era qualcosa di strano.
All’interno regnava la solita confusione, tra maghi deformati dai loro stessi incantesimi, visitatori che chiedevano spiegazioni e Guaritori che attraversavano instancabili l’atrio trasportando cartelle cliniche. Alexander si avvicinò all’Accettazione per chiedere di Charlotte, mentre Hector si guardava intorno chiedendosi oziosamente se ci sarebbe stato il tempo di fare un saluto a Ted, quando d’un tratto vide sfrecciare proprio Ted in direzione delle scale che conducevano ai piani superiori. Era talmente agitato che si scontrò con un mago a cui era spuntata un’enorme appendice a forma di posteriore di scorpione, particolarmente ributtante, e finì per terra.
-Ehi, Ted! Che ti succede?- intervenne Hector correndo verso di lui per aiutarlo a rialzarsi. Il mago incidentato sembrava mortificato.
-Sono terribilmente spiacente. Non… non riesco a controllare bene dove vado, sa, quest’affare mi sbilancia.
Ted, senza degnarlo della minima attenzione mise a fuoco Hector e sbraitò:
-Andromeda è su al Quarto. Sta partorendo.
 
Quando Annie si Materializzò nello studio della signora Bath, la sua datrice di lavoro non era presente, visto che come ogni pomeriggio lavorava nel suo Scrittoio privato all’ultimo piano col divieto assoluto di essere disturbata. Trovò però ad aspettarla un irritabile Elliot Pepperidge, il Primo Assistente, che la rimbrottò immediatamente.
-Liddell, sei in ritardo di dieci minuti. Stavo pensando di doverti venire a recuperare, e sarebbe stato proprio il colmo considerato che questa settimana ho fatto due viaggi.
Annie sospirò togliendosi la fine catena della Giratempo dal collo. Il cattivo carattere di Elliot era proverbiale.
-Sì, beh, non è semplicissimo usare la Giratempo a Rothes, c’erano un bel po’ di Babbani già nel 1289. Per non parlare di oggi. Quando sono tornata sono praticamente sbucata in mezzo a una comitiva di turisti diretti alle rovine del castello, fortuna che mi hanno preso per una figurante.
-Una che?
-Una figurante! Insomma, una che faceva finta di essere la castellana quando il castello era in piedi… oh, lascia perdere. Comunque ho dovuto liberarmi di loro prima di potermi Smaterializzare!
Elliot era di famiglia Purosangue, e come molti maghi del suo genere non aveva la minima idea delle abitudini dei Babbani e avrebbe considerato una perdita di tempo informarsi. Quando succedeva a lui di sbucare dal passato davanti a qualcuno di loro (e non si riusciva ad evitarlo sempre), si limitava ad Obliviarli senza andarci troppo per il sottile, un approccio che Annie e Tarquin consideravano rude.
-Hai almeno gli appunti?
Annie tirò fuori dalla bisaccia di cuoio un paio di rotoli di pergamena, con tutti gli appunti presi nel corso della giornata passata con discrezione ad assistere all’assemblea che nel 1289 si era tenuta a Rothes per scegliere l’inviato scozzese che sarebbe andato alla prima Conferenza Internazionale dei Maghi, quello stesso anno.
-Dovrai metterli in bella copia per domani, la signora Bath ha detto…
-Lo so, Elliot. Grazie.
-Ah, e come se non bastasse, due ore fa è arrivato quel gufo per te. Non è stato zitto cinque minuti di seguito ed ha fatto anche la cacca ovunque.
Annie mise a fuoco solo in quel momento il grosso gufo bruno appollaiato in cima ad una delle librerie, che tubava indignato e sbatteva le ali.
-E’ Odin!- esclamò, riconoscendo il gufo di Hector. L’uccello, quando sentì il suo nome, le volò subito davanti, sparpagliando i fogli sulla sua scrivania nella più completa disapprovazione di Elliot. Annie non gli badò e si affrettò a sciogliere il piccolo rotolo di pergamena legato alla zampa di Odin
-Oh, mio Dio! Devo proprio andare.
-Liddell, gli appunti! La bella copia!
Ma Annie si era già Smaterializzata nel vicolo accanto al San Mungo, ancora vestita alla moda del tredicesimo secolo, col la bisaccia a tracolla e il messaggio di Hector in mano. Per la strada pochi fecero caso al suo look eccentrico, nonostante ci fossero frotte di persone che si riversavano dagli uffici e dai negozi per tornare a casa, mentre il crepuscolo cominciava a portare il primo refrigerio della giornata. Neanche nell’atrio dell’ospedale molti la degnarono di uno sguardo, soprattutto perché mentre passava, una strega stava vomitando mandarini, sparandoli dalla bocca come proiettili che colpivano un po’ ovunque, ma quando raggiunse Hector, Arthur e Bertha, seduti sulle seggiole di legno lungo il corridoio dell’ala nursery al Quarto Piano, dovette sbrigativamente giustificare almeno l’acconciatura a tricorno e il velo rosa pallido:
-Vengo dal 1289. Allora, tutto bene?
-A quanto pare sì. E’ una bambina!- Bertha era sovreccitata, come al solito.
-E’ nata un’ora e mezzo fa. Ted ha detto che tra poco dovrebbero farci entrare- disse Hector dandole un bacio, tutto sorridente.
-Ninfadora, allora. O Sally?
-Ninfadora ovviamente- intervenne Arthur con un sorriso –Credo che in questo momento, se Andromeda dicesse a Ted che vuole chiamarla Paiolo, lui assentirebbe tutto adorante. Ci sono passato anche io, del resto.
-Sì, ma William e Charles non sono Ninfadora.
-Dov’è Molly?
-A casa con i bambini. Charlie sta mettendo i denti, passerà a trovarla domani.
-E i genitori di Ted?
-Credo che andrà a prenderli stasera, sai, da soli per loro non sarebbe semplice arrivare fin qui. Comunque una mezz’ora fa è sceso a feletonare.
-Si dice telefonare, Arthur! Persino io lo so- lo corresse Bertha.
Hector raddrizzò divertito il copricapo di Annie, lieto di vederla fuori programma e in un’occasione più che felice.
-Tutto bene, oggi?
-Tutto bene. Il tuo gufo però non ho potuto riceverlo fino a che non sono tornata.
-Me l’ero immaginato.
-E tu?
-Routine. Ho incontrato Ted qui, venivo a controllare come stava Charlotte, che oggi è rimasta ferita…- Annie sbiancò e lui si affrettò a precisare: -…un incidente normalissimo, tranquilla. E’ già a casa.
-Non dirmi le cose così, mi fai preoccupare!- fece Annie, sollevata e un po’ risentita.
-Se vuoi preoccuparti per qualcosa, sappi che mia madre ti vorrebbe a pranzo da lei.
-Cosa?
Ted uscì dalla porta di fronte a loro in quel momento, con i capelli stravolti e l’aria stordita, e Annie quasi gli saltò al collo, mentre tutti facevano ressa intorno.
-Ted, sono così felice!
-Ann, sono un babbo! Non ti sembro il più responsabile babbo del mondo? Ehi, ma… come diamine sei vestita?
-Ah, lascia perdere. Possiamo entrare?
Entrarono quietamente, tutti d’improvviso sottotono. Nella stanza c’erano due letti, ma solo quello vicino alla finestra era occupato. Una Guaritrice con un’immacolata crestina bianca sui capelli grigi, così bassa da arrivare a stento al torace di Hector, li fece passare. Andromeda era stanca, e sorridente, e bellissima, e aveva in braccio una bambina addormentata, con lo stesso naso di Ted, piccolissima nella tutina gialla sferruzzata dalla signora Tonks qualche settimana prima. Aveva molti capelli, fini e scuri come quelli di sua madre, e rimasero tutti in contemplazione per un bel pezzo, scambiandosi sguardi commossi.
Annie baciò Andromeda e pensò a come le era sembrata catastrofica la notizia che aspettasse un figlio. Si diede della stupida. Era strano, ma in quel momento non riusciva nemmeno a ricordare come le potesse essere venuta in mente un’idea simile.
-Guardate!- fece d’un tratto Bertha indicando un punto della testa della piccola. Una ciocca di capelli stava schiarendosi, e diventò di un bel rosa acceso in pochi istanti.
-Ma che diamine è? Non ho mai visto nulla del genere- fece Annie perplessa. Anche Arthur ed Hector scossero la testa. Ted sembrava dubbioso, fece per parlare, ma poi si chinò a guardare meglio la testa della sua bambina. Andromeda continuava a stringersela addosso tranquilla, come se non avesse neanche notato il cambio di colore.
-Guaritrice Parsifal? Ha un momento?
L’anziana strega si avvicinò immediatamente, e scrutò la testa di Ninfadora che Ted le indicava, per qualche istante. La ciocca di capelli continuava a variare lentamente, virando dal bruno al rosa.
-Beh, che dire, non mi è capitato spesso di vedere casi del genere, questo è certo!- disse, giuliva –Tirocinante Tonks, direi che può fare una diagnosi lei stesso.
-Si direbbe… beh, si direbbe una caratteristica da Metamorphomagus!- rispose Ted esitante, mentre l’altra annuiva.
-Cosa?! Ma che figata!- sbottò Bertha all’istante.
-Pare che abbiamo per le mani una signorina davvero speciale, neh?- commentò la Guaritrice Parsifal. Andromeda guardò Ted, e fra loro corse uno sguardo pieno di sottintesi.
-E’ meravigliosa- disse.
Non c’era molto altro da aggiungere.
 
Si salutarono poco più tardi, quando la Guaritrice fece presente che l’orario di visita era terminato. Era sera inoltrata, ormai, e tutti dovevano rientrare alle rispettive case. Annie e Bertha si avviarono insieme per le scale, immerse in una fitta, rapida conversazione concernente il regalo che avrebbero fatto a Ninfadora (“No, Bertie, il whisky non va bene!”).
-Hec, hai un momento, prima di rientrare?
Arthur aveva trattenuto l’amico con una lieve pressione sul braccio, alla svolta del corridoio, mentre le voci delle ragazze si allontanavano velocemente lungo i gradini. Hector si voltò a guardarlo.
-Certo.
-Oggi è venuto a cercarmi Alastor Moody.
-Moody? Che cosa voleva da te?
-Io… non so bene cosa pensare. Mi ha praticamente ordinato di mollare il lavoro che stiamo portando avanti con Perkins e mettermi a esaminare… beh, manufatti pensati per uccidere i Babbani. O almeno provocare incidenti seri. Mi ha dato una lista agghiacciante. Tu ne sapevi niente?
Hector corrugò la fronte. Avevano continuato a camminare pigramente verso l’estremità del corridoio ormai deserto, e si fermarono vicini alla finestra invece di scendere le scale. Molto più in basso, sfrecciavano le luci sfocate della Londra Babbana nella notte estiva.
-Dipende. So benissimo che collane maledette o maledizioni della peggior specie nascoste in barattoli di marmellata sono quasi all’ordine del giorno, ormai, al Quartier Generale, se è  questo che intendi. Alcune cose che abbiamo trovato sono…- guardò fuori dalla finestra con uno sguardo disgustato -…semplicemente troppo crudeli. Abbiamo trovato cose per bambini. Giocattoli stregati. E capita che non si arrivi in tempo. Il mese scorso… quella ragazzina Babbana trovata senza più la faccia…
Arthur sentì lo stomaco contrarsi. Persino sul Profeta se ne era parlato.
-Credevo fosse un incidente.
-Già, beh. E’ roba che non raccontiamo a nessuno- Sollevò lo sguardo fissando in faccia l’amico –Comunque non sapevo che Moody avesse in mente di coinvolgere altri dipartimenti.
-Ha detto che non aveva intenzione di passare per le procedure… cioè, di chiedere al direttore del mio Dipartimento se potevo… insomma, mi ha praticamente ordinato di farlo e che alle conseguenze ci penserà lui. Non so cosa pensare.
-Intendeva dire che devi farlo di nascosto.
-Cosa?!- Arthur fissò Hector angosciato –Spero tu stia scherzando.
-Non proprio di nascosto. Ma questo discorso, tradotto dal linguaggio di Moody… beh, secondo me vuol dire che ti sta chiedendo di farlo e basta, senza dare troppo nell’occhio- Hector appoggiò la schiena alla parete, assorto –Ti ha studiato, non ho dubbi. Ha deciso che eri quello che faceva al caso suo e ti ha rifilato questa patata bollente. Magari dovrai dire qualcosa a Perkins, voglio dire, dovrà pur continuare con… cos’è che state facendo ora?
-Prese Elettriche- rispose Arthur piccato
-Ah, sì, Prese Elettriche. Insomma, dovrai chiedergli di continuare con le Prese da solo e spostarti su quest’altro lavoro.
-Dovrò?
-Beh, Moody non può costringerti se non vuoi, anche se di certo può farti passare brutti quarti d’ora.
Arthur si tolse gli occhiali e li pulì sul bordo del cardigan. Era stata una lunga giornata e Molly di certo cominciava a chiedersi dove fosse finito. E lui non aveva idea di cosa diavolo gli stesse capitando.
-Tu cosa ne pensi?
Vide l’amico esitare a quella domanda. Passarono svariati istanti di silenzio tormentoso.
-La gente dice che Moody è un maniaco del complotto. Però… non lo so. Lui ha una specie di sesto senso, davvero Arthur. Certe cose le riconosce prima ancora che tutti gli altri ne abbiano anche una vaga idea. Io…
-Intendevo… cosa pensi che dovrei fare?
-Forse dovresti parlarne con Molly.
-Beh, mi sembra il minimo.
Una guaritrice ciabattante salì le scale in quel momento, e si indignò profondamente alla loro vista.
-L’orario delle visite è finito da un pezzo. Cosa ci fate qui, per le verruche di Morgana? Fuori! Questa non è una sala da tè!
Così scesero in silenzio le scale, attraversarono l’atrio ancora brulicante di pazienti in attesa e di Guaritori che arrivavano per il turno di notte e presto furono nel frastuono della strada, fianco a fianco tra la folla ignara, mentre si lasciavano alle spalle Purge & Dowse, silenziosi eppure ancora immersi nella conversazione interrotta. Fu Hector a rompere il silenzio, mentre camminavano fianco a fianco e svoltavano nel buio del vicolo per Smaterializzarsi lontano da occhi indiscreti.
-Arthur, devi fare come ritieni giusto per te e la tua famiglia, è ovvio. Ma per le cose che ho visto ultimamente… per quello che riesco a giudicare di Alastor Moody… io credo che dovresti accettare la sua richiesta.
Arthur pensò che aveva temuto una risposta del genere, e che del resto Hector non avrebbe potuto rispondere diversamente.
E io come risponderò?
 
Spero vi sia piaciuta. Alcune noticine.
-Moody: come avrete notato non ho menzionato né la gamba di legno né l’occhio magico (né il soprannome Malocchio, di conseguenza), perché presuppongo che abbia subito quelle mutilazioni durante la Prima Guerra Magica, che ancora non c’è stata. Non ne sono proprio sicura, in effetti. Avete informazioni in proposito?
-Il San Mungo: ne L’Ordine della Fenice, tra i Reparti del San Mungo non figurano settori dell’ospedale “normali”, ossia da ferite o influenze, come potrebbe essere l’infermeria di Hogwarts, probabilmente perché in genere i maghi ci pensano da sé. Non risulta neanche un reparto di ostetricia, il che mi ha fatto pensare che spesso nelle famiglie magiche si partorisca in casa (infatti, anche se non l’ho mai detto, nella mia storia i figlie di Arthur e Molly sono nati a casa). Qui però è successo tutto molto in fretta, e i colleghi di Andromeda, nel panico, non ci hanno pensato due minuti a portarla al San Mungo… e sembra ragionevole che succeda, no? Quindi ho risolto così ;)
   
 
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