Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Finnick_    27/04/2015    1 recensioni
Laggiù”, mi diceva, “è laggiù la Landa Magica. Ci sono praterie sconfinate dove batte sempre il sole, miniere in cui l’oro non finisce mai. Crescono alberi grandi come montagne e profondi come infiniti crepacci. Il verde delle loro foglie brilla alla luce e rende il cielo verde, verde come l’erba su cui si è appena poggiata la rugiada. I fiori sono arancioni e gli uomini possono vivere in pace. Per sempre.”
[...]
Poi venne la Guerra. La Guerra Nera.
E cancellò tutto, compresa la mia memoria.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 5

 

 

Erano passati nove giorni dall’inizio del viaggio.
Elara si era tenuta costantemente informata sugli spostamenti di suo marito, incaricando una delle sue guardie di scorta di procurarsi un messaggero a Maharia, la prima città dove avevano soggiornato, in cambio di un gruzzolo di monete d’oro.

Quel giorno il messaggero aveva riferito che Ty si era fermato più del previsto in un paio di villaggi tra Città del Colosso e Yaka, per cui si trovavano all’incirca alla stessa distanza dal Sud nello stesso tempo di viaggio. Haidish fermò la comitiva e il cavallo di Elara sbuffò prima di arrestarsi. Il vento sferzava violento tra le fronde degli alberi, le nubi nere gravavano sulla valle di Sherly-Shon. Volavano foglie e rami ovunque, come se un tornado avesse voluto rapire tutti e quattro i viaggiatori e risucchiarli nell’occhio della morte.

“Non si mette bene, mia signora”, esordì il Soldato Maggiore, guardandosi intorno un’ultima volta. Poi indicò le tremolanti forme di un villaggio all’orizzonte.

“Manca una sola mezzora di cammino, se ci muoviamo possiamo accamparci prima che si scateni una tempesta.”

Elara osservò prima Haidish poi le ombre delle case che si stagliavano all’orizzonte, contro il cielo minacciosamente grigio e oltre una valle impervia e sicuramente piena di insidie. Nell'Est il clima era quasi sempre così: nubi che portavano pioggia, il sole nascosto dietro una coltre scura. I temporali erano rari, di solito il terreno era battuto da una pioggia fitta, leggera e costante.

“Sembra una palude quella”, osservò la principessa, facendo un cenno con la testa di fronte a lei.

“Per questo andrò personalmente a saggiare il terreno.”

“Quale sarebbe la direzione per raggiungere il Sud, invece?”

Haidish aggrottò le sopracciglia e indicò a destra, dove iniziava un fitto tratto di foresta:

“La prossima città è ancora molto lontana, è più sicuro accamparci ora, se posso permettermi.”

“Non importa”, replicò Elara con fermezza. “Dobbiamo continuare. Non possiamo fermarci adesso.”

Un sibilo minaccioso di vento soffiò sulle loro teste e i cavalli sbuffarono agitati.

“Dobbiamo, Lady Elara. Mi assumo ogni responsabilità di come soggiorneremo nel villaggio, ma è necessario fermarci adesso, se non vogliamo essere spazzati via. Le tempeste nel Sud-Est sono poche, ma sono terribili.”

Elara represse un gemito di frustrazione.
Erano ormai nove giorni che aspettava di raggiungere il Sud e, proprio quando le sembrava che la distanza si fosse quasi totalmente colmata, il destino aveva deciso di giocarle un’ulteriore beffa.

“Devo arrivare insieme a mio marito, ora che ne ho la possibilità.”

“Rischierete la vita, proseguendo, e questo non posso permetterlo”, Haidish sapeva di non avere troppi peli sulla lingua, ma la principessa adesso pretendeva troppo.

“Non mi importa!”

“E la vita delle vostre guardie vi importa? Ostentate temerarietà, ma c’è un limite tra coraggio e incoscienza e voi lo state superando. Dobbiamo fermarci.”

Elara rimase per un attimo a fissare il Soldato Maggiore, che aveva visibilmente avvicinato il cavallo al suo per farsi scorgere meglio.

“Non mi aspetto che capiate”, rispose secca, ma senza convinzione.

“Nemmeno io”, replicò Haidish.

Estrasse la spada dal fodero e la piantò a terra. La spada infilzò un lembo di terra scosso dal vento e dalle foglie e vi rimase incastrata immediatamente, con un rumore spiacevolmente metallico.

“Che cosa state cercando di fare?”, chiese Elara, trattenendo un impeto di rabbia.

Le altre due guardie lo imitarono e tutti insieme scesero da cavallo.
Haidish si tolse lo scudo.

“Allora proseguite da sola. Dite di poterci riuscire. Noi non vi seguiremo di un altro passo.”

Elara sentì il volto andare in fiamme per la rabbia e l’umiliazione.

“L’avete promesso a mio padre, le conseguenze non saranno piacevoli.”

“Ho promesso che vi avrei guidata fin dove necessario, mia signora”, Haidish chinò il capo. “Ma non posso mettere a rischio la mia vita e quella dei miei uomini per un vostro capriccio.”

Elara fece per rispondere, quando un rombo profondo e forte tuonò dal cielo accompagnato da un lampo tanto impetuoso da illuminare l’intera valle e il villaggio sull’orizzonte. I cavalli si agitarono e quello di Elara nitrì rumorosamente, per poi partire al galoppo verso il villaggio.

Elara lanciò un grido strozzato, allorché l’improvvisa accelerazione le tolse il fiato e si aggrappò con tutte le sue forze alle redini.

Quando tentò di tornare con il busto in avanti, l’impatto con la sella fu tanto forte da lasciarla boccheggiare alla ricerca dell’aria. Il cappuccio del mantello le calò sulla testa, mentre il cavallo imbizzarrito attraversava con un movimento irregolare e pericoloso la palude piena di buche e sterpi.

“Aiuto!”, fu solo in grado di gridare, rendendosi conto che, per quanto stringeva le redini e cercava di placare la furia del cavallo, non faceva che peggiorare la situazione.

Elara tentò di sbirciare dal cappuccio e tutto quello che fu in grado di vedere fu il materializzarsi di un albero secco affondato nella mota.

“Fermo!”, gridò al cavallo, mentre non riusciva a sentire altro che il battito del suo cuore nelle orecchie.

Il cavallo si impennò in tempo per non sbattere contro il tronco, ma Elara capitolò all’indietro, rimanendo attaccata solo per i piedi alle briglie.
Voleva voltarsi per vedere se l’avevano seguita, ma non ebbe il coraggio di muoversi, fintanto che il cavallo scuoteva la testa e la criniera.

Cercò di allungare un braccio verso la sella, dove aveva appeso un pugnalino da difesa.

In quel momento scoppiò a piovere e l’acqua le tolse la vista per alcuni secondi.
Gridò di dolore quando il cavallo ripartì al galoppo.

La corsa durò poco: il destriero immerse le zampe nella melma ed iniziò ad affondare. Elara sbatté la testa più volte e si accorse di star affogando nel terreno paludoso insieme all’animale.

“Haidish!”, urlò con tutte le forze.

Le fitte alla caviglia la stavano avvertendo che probabilmente si era rotto un osso e la testa le doleva. Non riusciva a vedere niente per la fitta pioggia che cadeva. Allungò il braccio alla cieca un ultima volta in cerca del pugnalino. Scivolò un paio di volte, poi lo afferrò, lo estrasse trattenendo il fiato e si mise a tagliare le briglie.

Il cavallo era affondato fino al petto e nitriva orribilmente. Staccò in tempo la briglia di destra per vedere il destriero collassare da quella parte e portarsi dietro la sella. L’altro piede, ancora inserito nella parte sinistra, fu strattonato verso il basso e si immerse nella melma paludosa.

Elara si aggrappò con tutte le forze al terreno e proprio quando credeva di dover scivolare giù insieme al suo cavallo, una mano salda la prese sotto le ascelle e cominciò a tirare.

Sentì delle voci, ma la vista e l’udito erano ormai talmente appannati e ovattati da non distinguere bene le parole e le figure. Percepiva solo il palpito del cuore e il picchiettio frastornante della pioggia sulla sua pelle.
Una spada tranciò di netto anche la briglia sinistra e l’uomo che la teneva per le braccia la estrasse del tutto dalla palude.

Elara cercò di muovere le gambe, ma nel petto le esplose tutta la paura provata fino a quel momento. Lasciò andare a terra il pugnalino.
Haidish la raccolse tra le braccia e la strinse in collo. Il cappuccio le cadde dalla testa e l’acqua invase il suo volto.

Elara si voltò verso Haidish, un volto scuro, contro il cielo grigio e l’acqua martellante. Udì per l’ultima volta il cavallo nitrire. Non riuscì a parlare.

“E’ finita”, sentì dire ad Haidish.

Lei volle annuire, ma la testa le crollò in petto prima che potesse farlo e diventò tutto buio.

**

C’era uno strano rumore di sottofondo.

Tutta la testa era piena di quel suono tanto particolare. Elara sbatté le palpebre senza aprirle.
Deglutì e il passaggio della saliva nella gola si unì al rumore in modo alquanto spiacevole.

Aveva già sentito un suono simile. Ai matrimoni a cui aveva partecipato, compreso il suo.

Era… musica.

Aprì gli occhi più velocemente possibile e scattò su con la testa, ma una fitta al collo la costrinse a ributtarsi sul cuscino.
Si trovava in una stanza spoglia, i muri di pietra e il tetto di paglia. Era buio, ma un fascio di luce tremolante entrava a scatti dalla finestra sopra il suo letto e proiettava al muro una serie di ombre danzanti.

Musica, luci, ombre.

Il respiro le si fece affannoso, quando una mano le premette un panno bagnato sulla fronte. Elara si voltò a osservare l’autrice del gesto, una donna dalla pelle scura e un sorriso incredibilmente luminoso.

“Riposa ancora.”

Parlava la sua lingua, ma in modo impacciato. Doveva essere una serva.

“Dove mi trovo?”

La donna sorrise e le tolse il panno dalla fronte.

“Villaggio Val. Non parlo bene tua lingua. L’uomo alto spiegherà.”

Elara la osservava, le sopracciglia arricciate nel tentativo di capire, le domande che lottavano per uscire dalla bocca. Stava per chiedersi chi fosse l’uomo alto, quando la donna si fece da parte, prendendo un secchio di acqua fredda e il panno e lasciando comparire sulla soglia della porta buia la figura di Haidish.
Elara trattenne un sospiro di sollievo.

Quando la donna fu uscita chiese:

“Bene. Adesso posso sapere dove sono nella mia lingua?”

Haidish si protese in un lieve inchino non troppo convinto.

“Siamo a Val, mia signora. Questo pomeriggio il vostro cavallo è imbizzarrito e voi siete svenuta.”

“Svenuta? No, sono abituata a cavalcare, non è possibile.”

Haidish soppresse un sorriso, consapevole che quella non era la situazione giusta per essere franco.

“Lady Elara, non vorrei sembrare scortese, ma vi basta guardarvi. Siete nel letto di una famiglia che ha deciso di prendersi cura di voi.”

“Come vi permettete?”

Haidish indicò ai piedi del letto e continuò come se lei non avesse parlato.

“Mi dispiace informarvi che la vostra caviglia è spezzata e avete battuto la testa molte volte.”

Elara fu sul punto di replicare, offesa dalla facilità con cui il Soldato Maggiore pronunciava quelle parole, ma si trattenne, consapevole che tutto il suo copro era attraversato da un dolore costante e che poteva a malapena muovere il collo.

“Dobbiamo rimanere qui per stanotte.”

“Immaginavo”, disse lei, sbuffando.

“La vostra fibbia ci ha aiutato notevolmente.”

“Questa è la mia stanza?”, chiese in tono pretenzioso.

“Non esattamente.”

Elara si voltò a fissare Haidish dritto negli occhi, esprimendo tutto il disappunto per la situazione.
Lui si schiarì la voce.

“Questa è la nostra stanza.” Silenzio. “Non ci sono altri luoghi disponibili, ho affermato di poter dormire fuori, mi sarebbe bastata una roccia su cui poggiarmi, ma la signora che ci ospita non ha voluto sentire ragioni. Mi ha … letteralmente tirato una legnata in testa.”

Elara lo fissò un attimo di più, poi non si trattenne e lasciò andare una breve risata. Risero entrambi per qualche secondo, poi Elara chiese:

“Il mio cavallo, suppongo…”

Haidish scosse la testa e lei annuì.

“Da dove viene questa musica?” Elara sospirò pesantemente per darsi un contegno. Sapeva di aver torto, di aver rischiato la propria vita e quella delle sue guardie e di aver perso il suo cavallo. Avrebbe voluto chiedere come ottenere un altro mezzo, un altro destriero per raggiungere Yaka, ma per il momento desiderava far passare il dolore, dimenticare l’incidente e riacquistare la propria dignità.

“Fuori ha smesso di piovere. In questo villaggio festeggiano ogni sera.”

“Che cosa?”

“Non lo so, ma possiamo scoprirlo.”

Lei scosse la testa: “Non posso alzarmi.”

Haidish distolse lo sguardo: “Se permettete, potrei aiutarvi.”

“Osereste portarmi in braccio là fuori? Davanti a tutti? Non se ne parla.”

Lui sorrise: “E’ così che siete arrivata qui.”

Lei sospirò di nuovo, incapace di farsi valere. Aveva voluto fare come la sua mente le comandava e il risultato è stato l’aver perso il cavallo per sempre ed essersi rotta la caviglia.

Sentì gli occhi bruciare sotto la pressione delle lacrime, ma decise di ricacciarle indietro. L’ultima cosa che voleva era piangere, lì, davanti ad Haidish e alle altre guardie che li attendevano.

Annuì debolmente e lasciò che Haidish la prendesse delicatamente sotto le spalle, facendo passare un braccio tra la sua schiena e il materasso, e sotto le ginocchia. Al minimo spostamento la caviglia ribollì di fitte e Elara trattenne un grido mordendosi le labbra. Chiuse gli occhi e Haidish la sollevò cautamente. Per un momento a Elara parve di sentire sussurri nell’orecchio, come per calmarla, ma scacciò il pensiero e si concentrò sulla musica.

Musica di flauto e liuto, musica gioiosa.
Pian piano riuscì a dimenticare il dolore e si fece portare fuori, aggrappandosi pudicamente al collo del Soldato Maggiore.

Si ritrovarono nella piazzetta del villaggio, un circolo di terra schermato dalle capanne e le casupole della gente che lei aveva sempre ritenuto povera. Di fronte a lei uno spettacolo di unica semplicità e gioia.
Un alto falò scricchiolante bruciava al centro di un cerchio umano danzante e urlante.

La musica si sovrapponeva e soccombeva a tratti, inseguendo le voci confuse dei partecipanti alla festa.
Le ombre ballavano insieme alle mani e alle gambe che si agitavano al fuoco.

Un’ esplosione di vita invase il petto e gli occhi di Elara, che si sentì invadere da un senso di novità e curiosità allo stesso tempo.

Haidish la poggiò cautamente su una panchina in pietra, dopo aver aggirato il falò, e si mise accanto a lei. Elara traballò qualche istante e lui gli poggiò una mano sulla schiena per sorreggerla. Lei abbassò lo sguardo, deglutendo in silenzio. Avrebbe voluto dirgli di non toccarla, perché poteva farlo solo suo marito, ma non fiatò e si mise a fissare il fuoco.

“Perdonatemi, mia signora. Se non vi sentite a vostro agio posso riportarvi all’interno”, disse abbassando il tono della voce.

Elara scosse la testa. Per la prima volta le aveva parlato con gentilezza sincera, o almeno le pareva. Ma ormai voleva rimanere lì.

“Riuscite a stare seduta da sola? Vi prendo qualcosa di caldo da bere.”

Elara impiegò qualche secondo prima di elaborare le parole, ovattate dal clamore della gente del villaggio.

Poi rispose: “Sì.”

Mentre osservava Haidish allontanarsi dal falò e avvicinarsi ad un uomo anziano che serviva birra e altri liquori, si appoggiò meglio alla panchina per sentire meno dolore alla caviglia. Aveva ancora addosso la fibbia reale che congiungeva insieme due parti di un mantello non suo, ma ugualmente caldo.

Senza chiedersi di chi potesse essere, prese a giocherellare con la fibbia. Rifletteva un alone azzurrognolo, rimbalzando la luce del fuoco.

Era salva grazie alla sua fibbia. E grazie ad Haidish e alle guardie. Aveva creduto di potersi liberare delle briglie del cavallo tagliandole con il pugnale, ma aveva fatto il lavoro solo fino a metà. In quel momento, davanti al fuoco, sentiva la mancanza di Ty.

“Il Nord!”, sibilò una voce giovane, maschile, e una mano afferrò la fibbia del suo mantello, sbilanciandola in avanti.

Lei d’impulso si ritirò dando un colpo alla mano che tentava di strapparle via la fibbia, senza alzare lo sguardo.

“Lasciala andare!”, esclamò, e quando guardò davanti a sé non c’era nessuno.

Lasciò andare un sospiro, finchè la voce le ricomparse nell’orecchio:

“Stai attenta.”

Si voltò di scatto, ma ancora nessuno.

“Chi è là?” Silenzio. “Chi c’è?”

Una sagoma comparve davanti al fuoco, le prese i polsi e le pestò il piede dalla parte della caviglia rotta.

Elara gridò di dolore. Un ragazzino stava di fronte a lei, la pelle abbronzata, la faccia sporca, gli occhi tanto azzurri da spaventare a morte.

“Non sei nel posto giusto. Non ti spingere a Sud.”

Elara sentì il dolore spandersi in tutto il corpo e culminare in una fitta lungo il collo e il cranio.

“Lasciami!”

Il ragazzino, al contrario, strinse più forte e il dolore si fece talmente acuto che Elara lacrimò senza volerlo.

“Fai sparire quella fibbia, se vuoi continuare il viaggio. Non devono sapere chi sei.”

Immersa nella disperazione dell’osso rotto e pressata e delle informazioni non chiare appena ricevute, Elara gridò violentemente e lasciò andare un morso al braccio minuto del fanciullo, che si staccò immediatamente reggendosi la ferita e scappando via.
Elara rimase a boccheggiare finchè Haidish non la raggiunse.

“Che cosa è successo?”

“L’avete visto?”, chiese lei travolta dall’angoscia. “L’avete visto anche voi?”

Il dito tremante di Elara era sospeso a mezz’aria e indicava un punto indefinito tra loro e il falò. La gente continuava a festeggiare come se non fosse successo nulla.

“Allora? Haidish, l’avete visto?”

“No”, rispose lui secco e senza pensarci oltre o chiedere il permesso riprese Elara tra le braccia e la portò dentro, mentre lei ansimava senza parlare.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Finnick_