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Autore: Terre_del_Nord    28/12/2008    20 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Habarcat - I.018 - Ricatti e Promesse

I.018


Sirius Black
Herrengton Hill, Highlands - giov. 5 agosto 1971

La settimana che ci separava dalla partita del Puddlemere passò tranquilla: con Rigel, e a volte Mirzam, giocavamo con le scope da Quidditch nel cortile, praticamente tutto il giorno. Certo non avevo raggiunto le abilità innate di mio fratello, ma con il tempo stavo diventando meno imbranato di quanto mi ero sembrato all’inizio e il gioco mi stava entrando nel sangue. Rigel non prendeva le cose solo come un gioco, vedevo che mi osservava attento, come a soppesare le capacità che potevo celare: su questi argomenti sembrava più grande della sua età, se di solito era un allegro adolescente, un po’ sbruffone e senza dubbio piantagrane, quando si trattava di Quidditch diventava anche troppo serio per i miei gusti. Aveva preso a cuore mio fratello fin dal primo giorno e tra i due c’era oramai un’intesa tale che soffrivo per Reg, al pensiero di quanto si sarebbe sentito solo una volta tornati a casa. Mio fratello era sempre stato distaccato e razionale, molto maturo per la sua età, ma con Rigel, per la prima volta, era pieno d’entusiasmo, vitale, lasciava libera la parte più istintiva del suo essere, assomigliandomi più di quanto fossi disposto ad ammettere. Il giorno della partita fu preceduta da una notte insonne, durante la quale io e Regulus recitammo come una preghiera, per ore, la formazione del Puddlemere, soffermandoci a litigare su considerazioni riguardanti i singoli elementi della squadra, facendo confronti con altri campioni del passato più o meno recente, infervorandoci e azzuffandoci, liberi di farlo senza rischiare, per una volta, gli strali di nostra madre, disturbata dai nostri strepiti. Finimmo con l’addormentarci entrambi nel mio letto, con le figurine dei campioni disperse tra lenzuola e coperte, una marea di calzini blu e gialli tirati un po’ ovunque durante la nostra battaglia per la supremazia, sereni e contenti; alle prime luci del giorno, come animati da una volontà superiore, ci svegliammo di colpo, con il cuore in gola e i gagliardetti della squadra subito in mano. Alshain e Rigel ci aspettavano nel salone già vestiti per l’occasione: Alshain era stupendo con i colori della sua ex squadra, ci disse subito che saremmo partiti presto e saremmo entrati nello stadio molto prima della partita, era stato invitato, infatti, dal padrone della società e aveva strappato per noi la promessa di fare un giro negli spogliatoi, per poter parlare con i giocatori e ottenere in esclusiva degli autografi. Lo vedevo particolarmente eccitato e nervoso, troppo per una semplice partita amichevole della sua ex squadra e il mistero aumentò quando ci lasciò soli con Rigel per sparire lungo la scalinata. Il ragazzino ci confermò che era davvero agitato il padrone della società, infatti, non aveva semplicemente invitato tutti noi solo per cortesia, ma perché doveva parlare con Sherton e il suo figlio più grande del futuro di Mirzam nella squadra.

    “A quanto pare ci siamo davvero, il caro fratellino a giorni entrerà nel Puddlemere ufficialmente…”
    “È stupendo, anch’io spero di entrare un giorno in una squadra di Quidditch e diventare un vero professionista!”

Non avevo mai visto Regulus così deciso e determinato, per un attimo lo invidiai, al contrario di lui io non avevo le idee così chiare sul mio futuro, a parte quanto avevo confessato ad Alshain: vivevo anche quel preciso istante come una specie di sogno, una parentesi all’interno di quella disperazione senza scampo che era la mia vita a Grimmauld Place, anche se ormai, in quelle settimane, avevo appreso tante cose nuove che potevano gettare una luce completamente diversa su quanto potevo aspettarmi da me stesso e dalla mia vita. Poco dopo Mirzam e suo padre ridiscesero, Deidra e Meissa vennero a salutarci e ci augurarono di divertirci, io rimasi un po’ deluso dal fatto che Mei non sarebbe stata dei nostri, quel giorno, ma appena Alshain ci ordinò di afferrare tutti il lembo di un plaid sdrucito che Kreya ci aveva portato, tutti i miei pensieri molesti si annullarono di fronte alla prospettiva che presto avrei messo piede nello stadio da Quidditch. La partita si teneva sulla costa settentrionale di Fair, un’isola del Nord al largo di Herrengton: ci materializzammo ai piedi di un albero secolare mentre accanto a noi numerosi maghi e streghe apparivano continuamente, portati dagli oggetti più strani che avessi mai visto. Alshain sembrava impaziente di arrivare, per cui stranamente rivolse solo dei distratti saluti a quanti lo salutavano e non perse tempo in convenevoli o presentazioni. Arrivati in prossimità dello stadio, creato durante la notte precedente per l’occasione, un mago di colore, elegantemente intabarrato in un suntuoso mantello nero, si fece largo tra la folla e ci venne incontro, con gli occhi solo per Alshain, accelerò il passo e gli si fiondò addosso, prendendolo per i fianchi e sollevandolo in aria.

    “Ecco il mio Capitano, sei sempre in forma perfetta!!”
    “Emerson Sheppard!”

Si abbracciarono e baciarono le guance, il mago rivolse delle parole in una lingua pressoché incomprensibile a un gruppo dietro di lui e altri tre energumeni accerchiarono e portarono in gloria il nostro padrino. Mirzam rideva, a quanto pareva non era la prima volta che assisteva a quello spettacolo nello spettacolo.

    “Non fateci caso, finisce sempre così con gli ex compagni di nostro padre, sono dei pazzi!”

Ci accompagnò dentro, con Rigel che apriva il corteo e Alshain che in breve si ripresentò con Sheppard, Johnatan Fitzgerard e Digsy Cameron alle sue spalle e Rodney Stenton, il padrone del Puddlemere al suo fianco, che gli parlava fitto fitto, come per cercare di convincerlo: Sherton, dall’aria beffarda, lo teneva sulle spine con i suoi soliti modi che avrebbero fatto impazzire un santo.

    “Rod, conosci già Rigel, questi invece sono Sirius e Regulus, i figli di Orion Black!”
    “Ma che bello rivedervi, finalmente! Ci siamo conosciuti anni fa, eravate in fasce, abbiamo festeggiato la vittoria della Coppa in occasione della nascita di ognuno di voi due, vostro padre era un pazzo scatenato, tifoso di Alshain prima ancora che della squadra, naturalmente, ma ci ha lasciato fare di voi due le nostre mascotte per ben tre anni di seguito!”

Io e Reg ci guardammo, questa era un’altra informazione, un altro tassello delle nostre vite che c’eravamo persi e che nessuno, prima d’ora, ci aveva rivelato: mi risultava davvero difficile credere a una cosa del genere, iniziai a pensare che sul serio non conoscevamo per niente nostro padre.

    “Certo, vostra madre non era esattamente contenta, anzi… diciamo pure che ha fatto fuoco e fiamme per mesi, quando l’ha saputo… ma …”

Aveva la stessa espressione carica di complicità, e una certa malizia, che a volte Sherton scambiava con i propri figli.

    “Su questo ci avrei giurato…”

Mi sfuggì, in un soffio, e tutti quanti, a confermare l’idea di mia madre che stava impressa nella mia mente, non poterono fare a meno di ridere sguaiatamente. Vidi persino in Regulus un sorprendente principio di risata e in quel momento non potei fare a meno di essere fiero di mio fratello.

    “Ragazzi, so che siete rimasti accesi tifosi, anche se ormai la passione di vostro padre si è stemperata parecchio, per cui ho dato disposizioni affinché possiate girare con comodo per lo stadio, parlare con i miei ragazzi e fare anche una partitella di allenamento con loro se volete, sono sicuro che vi divertirete! Rigel per favore, occupatene tu, io ora rapisco tuo fratello e tuo padre per un discorsetto un poco impegnativo…”

Rigel sorrise e fece un cenno d’assenso, era ben felice di farci da tata se significava avere quel bellissimo stadio tutto per noi per le successive tre ore, così ci allontanammo dagli altri, diretti verso il cuore dello stadio, mentre Stenton prendeva sottobraccio Sherton padre e figlio e si avviava con loro negli uffici, con l’aria di un lupo che ha appena messo gli occhi su un succulento agnellino. Tra di me pensai che probabilmente in quel momento non c’era al mondo un lupo meglio travestito da pecora di Sherton e risi tra me. Fu una delle giornate più belle della mia vita. C’era un sole stupendo e un’aria di primavera impregnata dell’odore dei prati fioriti che circondavano lo stadio e della salsedine del mare che rumoreggiava ai piedi dell’altura su cui ci trovavamo: la Scozia e le sue terre del profondo Nord ci rivelavano per l’ennesima volta il loro animo deciso e selvaggio. Per un po’ mi estraniai dalle meraviglie che stavo vivendo, per godermi quella monumentale spazialità che poco aveva a che vedere con il mondo fatto di scorci rubati, che era la mia vita a Londra. Una morsa mi prese allo stomaco e quasi mi venne da piangere, pensando che mi restavano appena dieci giorni prima di tornare a casa, allora mi ridestai, e cercai di adeguarmi alle risate liberatorie di mio fratello, che stava discutendo con Ketty Fulltown, il vecchio cercatore del Puddlemere, convincendolo a farsi prendere con lui sulla scopa per un giro. Rigel mi mise un braccio attorno alla spalla e mi accompagnò un po’ in giro, aveva la stessa capacità di comprendermi che aveva suo padre e doveva aver percepito che qualcosa mi aveva turbato, si adoperò pertanto per distrarmi, presentandomi il cacciatore McCrown e mettendomi sulla sua scopa per fare un giro dello stadio dall’alto. Ero così elettrizzato ed euforico da sembrare ubriaco, in volo incrociai mio fratello e vidi che era preso dalla mia stessa esaltazione. Era l’ennesima giornata stupenda, che non avrei dimenticato mai, mi sentivo a casa, in pace con me stesso e desideroso che quel periodo della mia vita non finisse più. A mezzogiorno, trascinati via praticamente a forza, lasciammo in pace i giocatori e, stanchi ed elettrizzati, ritornammo con Rigel da Alshain e Mirzam, per affrontare un pranzo degno di un re: Mirzam sembrava la felicità incarnata, era appena stato deciso che da settembre il posto da cercatore era ufficialmente suo. A pranzo il signor Stenton ci raccontò alcuni aneddoti degli anni passati da Sherton nella squadra: per tanto tempo avevo pensato che Alshain avesse giocato solo a scuola, solo per caso avevo capito, a casa, che era stato un vero giocatore professionista, scoprendo qualcosa di più, però, soltanto in quelle settimane a Herrengton, visto quanto mio padre fosse restio a parlarci di lui. Facendo i conti, Alshain aveva lasciato la carriera a circa trent’anni, quando era ancora giovane e in piena forma, il che faceva presumere che qualcosa d’importante l’avesse costretto al ritiro, eppure osservandolo, vedevo che non c’era ombra di rimpianto sul suo viso, anzi era straordinariamente affascinante e solare come al solito, tutti quanti pendevano dalle sue labbra quando parlava e appariva decisamente felice per l’avventura di Mirzam, quasi fosse un prolungamento di se stesso. Proprio durante quel pranzo venni a capo del mistero della sua rinuncia: l’amore per Deidra aveva vinto anche quello per il Quidditch, Alshain aveva interrotto il suo sodalizio col Puddlemere all’apice della carriera proprio per passare più tempo con la sua famiglia, e con sua moglie in particolare.

    “E voi ragazzi? Siete portati per il Quidditch o siete solo tifosi?”

Rigel s’affrettò a fare le lodi di Regulus, dicendo che nel giro di pochi anni probabilmente sarebbe diventato il più giovane cercatore ingaggiato dal Puddlemere, Reg si scherniva, ma io ero felice per lui, felice che finalmente fosse entusiasta sul serio per qualcosa, invece di agire solo per compiacere i nostri genitori come sempre faceva… speravo solo che, il giorno in cui avesse dovuto sul serio prendere la sua strada, non si sarebbe lasciato influenzare dalla volontà di nostra madre, capace di annientare qualsiasi nostro sogno, almeno fino a quel momento.

    “E tu Sirius? Non sei portato per il Quidditch?”
    “Io? Mi piace, certo, ma le levatacce non sono adatte alla mia indole…”

Tutti risero, Alshain mi guardò intensamente, consapevole di quanto la mia non fosse solo una battuta, ma non ribatté, poi portò il discorso su aspetti più seri che, di fatto, tagliarono fuori dalla conversazione sia noi sia i suoi figli, sia l’atmosfera goliardica che c’era stata fino a quel momento. Mirzam e Rigel si guardarono, esterrefatti, per lo strano comportamento di Alshain, finchè questi e Stenton non si alzarono e andarono a proseguire in privato la conversazione, parlando nella lingua del Nord.

    “Cosa pensi gli sia preso?”
    “Non lo so Rigel… lo sai, ogni tanto papà si stranisce e segue delle strade tutte sue…”
    “Perché?”

Mirzam mi rispose con una semplice alzata di spalle.

    “Nostro padre è fatto così, con noi non racconta di certo quello che davvero gli passa per la testa…”

Non sembrava l’Alshain che conoscevo, ma era evidente che, in appena due mesi, non potevo aver appreso che gli aspetti più superficiali di quella famiglia: già mi ero reso conto che c’erano dei momenti in cui serpeggiava una certa inquietudine in quella casa, soprattutto quando Alshain tornava da Londra o raccontava di eventuali incontri con amici e parenti. E ora avevo anche capito il perché di quelle inquietudini, il perché delle strane occhiate che moglie e figli si scambiavano quando Alshain parlava di suo cugino o di altri come Lestrange e Avery. Anche Mey non sembrava molto felice quando si parlava di alcuni di loro, soprattutto dei Malfoy, ma ero ancora troppo giovane e ingenuo per comprendere la natura di quei malumori, anche perché Alshain faceva di tutto per alleggerire subito le atmosfere, in genere invitandoci tutti attorno al fuoco e iniziando a raccontare una storia. A metà del pomeriggio ci sistemammo ai nostri posti in tribuna, ospiti del signor Stenton, che continuò a confabulare con Alshain tutto il tempo: avevo il sospetto che avesse organizzato lì quella partita soprattutto per attirare Alshain e averlo per sé tutto il giorno. Io e Reg eravamo tra Mirzam e Rigel, nella fila subito dietro, e per tutta la partita non facemmo che ululare di gioia a ogni centro del Puddlemere, incitando il cercatore alla caccia al boccino. La partita fu densa di emozioni, con la squadra di casa che, nei primi quindici minuti, riuscì a pescare in difficoltà il Puddlemere più e più volte, rifilandogli diversi centri, poi i “nostri” fecero il loro dovere, vendicandosi senza pietà di quei primi minuti: sembravano averli ipnotizzati, sfrecciavano in ogni direzione, tramortendo l’avversario, e infine colpirono pesantemente, quando il cercatore salì fino oltre le nuvole, inseguendo quel tenue luccichio dorato, e scese col boccino a un palmo dalle sue mani, fino a recuperarlo proprio di fronte al viso di mister Stenton, a pochi centimetri dal nostro naso. L'incontro si concluse in nemmeno un paio d’ore, l’euforia all’interno dello stadio era massima, vincitori e vinti si festeggiarono e applaudirono a vicenda, il pubblico cercò d’invadere il campo per entrare in contatto con i giocatori e strappare loro magliette e autografi.
Ero completamente preso da quell’aria di festa quando all’improvviso sentii un brivido gelido sulla schiena e mi voltai verso il mare: il tempo era cambiato mentre eravamo presi dalla partita, oscurandosi sopra la vastità dell’oceano, a Nord, con un fronte di nuvole arcigne che calarono velocemente verso l’isola, come centinaia di cavalli selvaggi e imbizzarriti.

    “Forse è meglio tornare subito a Herrengton, padre, quelle nubi sembrano piuttosto… agguerrite!”

Mirzam sembrava preoccupato, anche se non capivo perché temesse quelle che erano solo nuvole: in fondo, al massimo, ci sarebbe stato l’ennesimo temporale.

    “Già sembrano un groviglio di dissennatori fuggiti da Azkaban!”

Rigel aveva un’espressione altrettanto preoccupata. Alshain, fino ad allora impegnato a confabulare con Stenton, volse l’attenzione a Nord, mentre già le prime correnti iniziavano a sferzare l’isola, scompigliandoci i capelli e sollevando turbini di foglie secche, arricciate dal sole: la sua espressione s’incupì di colpo, quasi meccanicamente portò la mano sinistra sull’anello serpentesco e il suo viso si fece più pallido.

    “Mirzam, prepara la coperta, partiamo subito! Stenton, noi ci vediamo a Londra nelle prossime settimane…”
    “Stammi bene Alshain…”
    “Anche tu…”

Si baciarono le guance e subito Alshain chiuse il cerchio, ghermendo un lembo di coperta, mi sentii sollevato per aria, arpionato allo stomaco, esattamente come le altre volte, ma il viaggio fu breve, raggiungemmo subito il salone della villa, dove Deidra e Meissa stavano sedute a leggere davanti al caminetto.

    “Vi aspettavo non prima di mezzanotte. Che cosa succede?”

Deidra era preoccupata, mentre si avvicinava al marito e lo baciava con tenerezza, come li avevo visto fare mille volte.

    “Dobbiamo chiudere la tenuta, subito!”
    “Che cosa?”

Gli occhi di tutti loro ormai erano allarmati, come se avesse annunciato l’inizio di una guerra.

    “Qualcosa sta scendendo da Nord: è meglio che la famiglia si riunisca e che completiamo subito i nuovi incantesimi del Sigillo…”

Alshain aveva già iniziato ad armeggiare con la testa di serpente del suo bastone e stava srotolando un rotolo di lino preso da una cassettina d’avorio, posta sulla mensola del caminetto.

    “Ma chi sono Alshain?”

Deidra aveva già materializzato la sua riserva di erbe magiche per le pozioni e armeggiava accanto al marito, attorno al caminetto.

    “Magari non è nulla, anzi, di sicuro non è nulla, ma facciamolo per sicurezza, Herrengton si è sempre protetta da sé, ma sai… c’è un’alta concentrazione di prezioso sangue Slytherins qui, in questi giorni, con tutte queste giovani promesse del mondo magico…”

Ci sorrise, forse perché percepiva la nostra paura, ci fece cenno d’avvicinarci, e ci descrisse tutto quanto stava facendo, per rassicurarci e renderci partecipi, così che ci distraessimo dall’idea di quel magma oscuro che stava calando da nord e imparassimo qualcosa. Una volta preparato un calderone di pozione magica, lo fecero levitare e lo portarono al centro del chiostro; qui, lasciati noi due al riparo sotto le volte di pietra che collegavano il maniero al chiostro, i cinque Sherton si presero per mano e recitarono una strana litania nella lingua del Nord, rimanendo immobili attorno al calderone. Sherton prese il bastone col serpente, ne immerse la testa nella pozione, la risollevò e parve quasi che del sangue stillasse dai denti del serpente d’argento. Alshain si rivolse a est e disegnò a terra la runa che portava al colo, a sud dove disegnò la runa che aveva sul petto, quindi a ovest dove tracciò la runa che gli avevo visto al centro delle spalle e infine a nord, dove tracciò la runa che portava sulle gambe: le nuvole che scendevano dal Nord ormai lambivano le coste di Herrengton e iniziavano a sovrastare il maniero, ma appena le quattro rune furono disegnate a terra, la tempesta scivolò come su una superficie non visibile che correva al largo della tenuta, ricomprendo tutti noi e la terra degli Sherton sotto una specie di campana invisibile. Sentimmo solo parzialmente gli effetti della tempesta, il cielo era diventato color della notte e fulmini lo straziavano dallo zenit fino a lambire il mare, il vento sembrava volerci strappare le vesti di dosso e, se non ci fossimo ancorati bene alle pietre del chiostro, avrebbe potuto sollevarci e trascinarci via. Alshain aveva dato le spalle a tutti noi, aveva sollevato il bastone del serpente in alto, sopra la propria testa, in orizzontale, stava con gli occhi chiusi, concentrato, pronunciando una litania a fior di labbra, immobile, mentre la tempesta gli scompigliava i capelli e le vesti. Poi tutto finì, com’era iniziato, e Alshain tornò nel cerchio dei suoi familiari.

    “Appena in tempo, abbiamo evitato un’altra notte di pioggia!”

Rigel era sollevato, ma Mirzam si era staccato dagli altri, aveva attraversato la cintura esterna del chiostro e si era diretto verso lo strapiombo che avevo sperimentato la mattina dopo il nostro arrivo: indagava ancora la nube fluida che ora continuava la sua folle corsa verso sud e si dimenava ai margini della tenuta, come se volesse stringerci d’assedio con le sue ultime retroguardie. All’improvviso il giovane estrasse il pugnale che portava sempre alla cintola, si prese la lunga coda di capelli che gli arrivava a metà schiena e con un colpo secco la tagliò, lasciandola cadere di sotto nel burrone. Alshain assentiva: aveva incrociato le braccia al petto, le gambe leggermente divaricate, con la mano sinistra si teneva il mento, giochicchiando con la barba, col pollice destro accarezzava l’anello serpentesco mentre continuava a non staccare gli occhi dalla nube, come a scrutare qualcosa a tutti noi invisibile.

    “Perché sospettavate dei dissennatori?”

Regulus riprese la parola, dopo quella che mi parve un’eternità, dando voce ai dubbi che erano anche i miei.

    “Mmm, come dire… non siamo molto simpatici a qualcuno al Ministero…”

Ci guardò e sorrise ma si capiva che non era affatto tranquillo, faceva battute solo per noi. Deidra rimise a posto la bacchetta, che di solito teneva infilata nelle ampie maniche della sua veste e che aveva tirato fuori nel momento in cui la cupola invisibile aveva intercettato la nube, si accostò a suo figlio sullo strapiombò, osservandola ancora, quasi volesse sincerarsi che era tutto finito. Dopo pochi minuti il sole riemerse dietro agli ultimi lembi di quella tempesta fittizia e gli Sherton tornarono a chiudersi a cerchio al centro del chiostro.

    “Possiamo andare a darci una sistemata e prepararci per la cena…”

Alshain cinse col braccio il fianco di Deidra, che gli porse una lettera, e insieme salirono di sopra, parlottando fitto fitto tra loro, Mirzam, i suoi fratelli e noi rimanemmo al centro del chiostro, un po’ confusi.

    “Andiamo su anche noi…”

Mirzam prese per mano Meissa, che era rimasta silenziosa e attenta per tutto il tempo, e rientrò in casa, noi e Rigel rimanemmo lì ancora un po’, incerti se rientrare a nostra volta, quando sentii la mano di Reg che mi arpionava l’avambraccio.

    “Diceva sul serio? Qualcuno al Ministero sarebbe capace di attaccare sua moglie e la figlia in sua assenza? Ma è da vigliacchi…”

Rigel ci guardò con un sorriso triste e rassegnato.

    “La storia della mia famiglia è tutta così, da quando Salazar ha fatto di noi i suoi prediletti: un grande potere attira odio e invidia, per questo mio padre ci tiene tanto al vostro, perché Orion Black è l’unico che gli sia stato sempre vicino per amicizia, e per nient’altro. Venite dentro, si sta facendo freddo…”

Lo seguimmo, poi ci separammo per tornare nella nostra camera.

    “Stai bene Regulus?”
    “Sì, Sirius, non ti preoccupare…”

Si spogliava lentamente, come se ogni gesto gli costasse una grande fatica.

    “Credi che nostra madre ci lascerà tornare dagli Sherton dopo che avrà saputo questo?”
    “Questo cosa? Nostra madre, da noi, non saprà nulla di questo “equivoco”, hai capito? Giuramelo Reg! O ci chiuderà nelle nostre stanze e butterà via la chiave… è questo quello che farà, se mostriamo di esserci spaventati per un rischio… inesistente…”
    “Lo saprà comunque, Sirius, saprà che qui… e noi resteremo per sempre a Grimmauld Place!”

Si buttò sul letto, semi nudo, si tirò le coperte sopra la testa e sparì alla mia vista: intuivo che stava singhiozzando dai tremiti del plaid e capivo quanto fosse preoccupato e spaventato, perché lo ero anch’io. Come lui, avrei preferito dover affrontare la morte di persona, quel preciso istante, piuttosto che tornare a casa. E mai e poi mai avrei messo fine al nostro periodo di libertà per delle stupide nuvole! Quella sera, complice la paura, la stanchezza e il pasto abbondante assunto a pranzo, non scendemmo a cena nessuno dei due. Verso le dieci, Alshain venne in camera nostra a verificare come stessimo, appurato che Reg stava dormendo sereno, m’invitò a seguirlo nel patio, per parlare e nuotare un po’: Sherton si spogliò rimanendo in pantaloncini e si tuffò con maestria, percorse rapidamente con ampie bracciate la vasca e riemerse dopo averla percorsa alcune volte, prima di riemergere accanto alla scaletta da cui lo stavo ammirando.

    “Che cosa fai ancora lì? Tuffati!”

Mi tuffai al meglio delle mie capacità, sapendo che mi stava osservando come io avevo fatto con lui, ma non nuotai a lungo, subito mi riavvicinai a lui.

    “Non vorrai farmi credere che dopo quasi due mesi di allenamenti continui, questo è il massimo della tua resistenza!?”

Sorrisi, scostandomi i capelli bagnati dalla faccia.

    “Preferirei parlare con te…”
    “Salazar, Sirius, sei proprio il figlio di tuo padre, uomo di mille chiacchiere e pochi fatti! E terribilmente pigro come lui!”

Rise, poi s’issò con le braccia muscolose fuori dalla vasca, rimanendo a grondare sul bordo, mentre mi dava la mano per aiutarmi a uscire.

    “Ora parliamo, mi sta bene, ma poi, caro mio, mi dimostrerai di sapermi stare dietro, altrimenti ti trascinerò fino alla spiaggia a forza tutti i restanti giorni che ti fermerai qui…”

Sapevo che l’avrebbe fatto davvero, quindi feci un segno d’intesa, mi sedetti accanto a lui, mentre si allungava a prendere un asciugamano con cui mi avvolse e un altro con cui avvolse se stesso.

    “Che cosa c’è che non va?”

Gli dissi le nostre preoccupazioni e Alshain cercò di infondermi coraggio, ma si capiva benissimo che era dispiaciuto per lo stato di prostrazione in cui ci aveva trovato.

    “Non vi farei mai correre rischi, Sirius, state tranquilli, e quello che è successo, o meglio, non è successo, nel pomeriggio, non impedirà che continueremo la nostra vacanza qui e che ci vedremo anche ad Amesbury, vedrai, vi divertirete anche laggiù, in fondo c’è ancora del tempo prima della scuola, posso invitarvi… ci sono parchi e boschi, anche lì, come ben sai…”
    “Quando mia madre saprà… Non ci lascerà più venire da te, è questa la verità, ed è per questo che oggi Regulus è crollato… non l’avevo mai visto così entusiasta in vita sua, sono sicuro che si dispererà anche più di me se non riuscirà più a starti vicino… E quest’anno io partirò per la scuola e lui resterà solo con la mamma…”
    “Non lo lascerò solo, Sirius, non temere!”

Alshain sospirava, conosceva abbastanza mia madre da sapere che quelle settimane erano state una concessione pazzesca che eravamo riusciti a strapparle, e che non sarebbe stato altrettanto facile convincerla in seguito, soprattutto se avesse avuto motivi reali per dirci di no.

    “Per quale motivo credi che non volesse lasciarvi partire? I tuoi lo sanno che esiste questa eventualità, è remota, ma esiste… Ma io ho dato precise garanzie a tuo padre, l’ho rassicurato, a voi non capiterà mai nulla… Su, non fare quel musetto afflitto, lo sai che mantengo sempre le promesse, se ti dico che verrete ad Amesbury, lo farete… Hai sentito il signor Stenton: tu non lo ricordi, ma io e tuo padre vi abbiamo fatti mascotte della squadra, anche se Walby non ne era entusiasta…”

Mi sorrise.

    “Eravate davvero buffi sai? Eravate piccoli così e vestivate delle minuscole divise blu e gialle, le divise del Puddlemere…”

Si guardò le mani mentre faceva il segno di due esserini minuscoli.

    “Tu non ti rendi conto quanto mi manca tuo padre, quanto mi manca quel tempo della nostra vita… E quanto sia stato felice di avervi qui da me quest’estate…. Non permetterò mai a nessuno di mettersi in mezzo, di rendere per voi pericolosa la mia presenza. Di questo puoi essere certo, Sirius…”

Aprì le braccia verso di me ed io mi avvicinai, appoggiando la testa sul suo petto, era quel tipo di abbraccio che sognavo sempre, a casa, e che non riuscivo a ottenere mai. Mi scese una lacrima, forse per la tensione, o per la tristezza, perché ogni giorno che passava, mi riavvicinava a Londra.

    “Già mi accontenterei di sentirti promettere che non sparirai di nuovo, come hai fatto negli ultimi anni…”

Ricacciai altre lacrime e lo guardai diritto negli occhi, cercando di mantenere tesa la voce.

    “Non sparirò più, Sirius, te lo prometto…”
    “Ma cosa vogliono quelli del Ministero da te?”
    “Non credo c’entrino quelli del Ministero, Sirius, e comunque, anche loro, come tutti, vogliono Herrengton, ma vedi, sono quasi mille anni che tutti ci provano, eppure non sono mai riusciti in nulla: se la mia famiglia è stata chiamata a questo compito, qualcosa per difendersi l’avrà pure… non credi? E, infatti, abbiamo dei trucchi, che ci siamo guardati bene dal rendere noti, come quel piccolo gioco che abbiamo fatto nel chiostro stasera. Difenderemo con i denti e il sangue Herrengton, come abbiamo sempre fatto, e la passeremo ai nostri discendenti, com’è sempre avvenuto. Ma ora basta, mi farai vedere come nuoti un’altra sera, ho paura che prendi freddo… Poi chi la sente tua madre, se ti rimando a casa col naso rosso?”

Rise.

    “Vai in camera tua, Sirius, e sveglia pure tuo fratello, così vi faccio portare qualcosa da mangiare da Kreya, non va bene che due ragazzini della vostra età digiunino…”
    “Signore…”
    “Ancora con signore, Sirius? È tardi, dai, è stata una giornata intensa ed io devo finire di leggere un vecchio libro sulle Antiche Rune… Domani parleremo di tutto quello che vorrai…”

Mi spettinò un poco e mi diede un bacio sulla fronte, poi si alzò e si allontanò, dandomi le spalle, riprese i suoi vestiti da terra e se ne andò con l’asciugamano annodato ai fianchi e i capelli che ancora grondavano acqua.

    “Anche Abraxas Malfoy è uno dei maghi pericolosi, vero?”

Alshain si fermò sull’ingresso, appoggiò la mano sullo stipite della porta, ma non si voltò.

    “Le solite facili domande dei Black!”

Rise, una risata tirata e nervosa.

    “Non lo so, Sirius, purtroppo non lo so… Io sono un legilimens, ma mio cugino è un abile occlumante…. Io posso solo sperare che non lo sia… almeno che non sia pericoloso… per me…”

Attraversò la porta, senza più voltarsi verso di me. Non gli avevo mai sentito una voce così stanca e questo mi convinse che, di nuovo, stesse mentendo, solo per farmi coraggio… O forse, stavolta, per farne a se stesso…

***

Alshain Sherton
Godric's Hollow, West Country - giov. 12 agosto 1971

Era da molti anni che non andavo a Godric Hollow, da quando, appena adolescente, avevo accompagnato mio padre per visitare la tomba di Ignotus Peverell: con tutti quei matrimoni celebrati per secoli solo tra Purosangue, la mia famiglia era rimasta legata anche a loro, ma oramai non ricordavo più in che secolo, né quale fosse l’attuale grado di parentela esistente, almeno non senza consultare gli arazzi di Herrengton. Ricordavo invece che secondo la leggenda, l’uomo che era stato sepolto lì era il più giovane dei tre fratelli che avevano ricevuto i tre Doni della Morte. Non avevo mai capito quanto ci fosse di vero in quella leggenda, ma il fascino dei tre doni era notevole e per alcuni anni, durante la mia giovinezza, avevo pensato di dedicarmi a quella ricerca: chiunque avesse riunito quelle tre meraviglie sarebbe stato il più potente tra tutti i maghi, anche senza servirsi della Magia Oscura. La bacchetta più potente, un mantello dell’invisibilità e una pietra capace di riportare in vita i morti: non riuscivo nemmeno a immaginare quanto potere nascesse dall’avere in mano tutto questo. La mia vita, però, aveva poi preso una piega diversa: quando avevo compreso di amare la ragazza che sarebbe diventata mia moglie, i famosi Doni della Morte erano scomparsi dal mio immaginario, il sogno del potere era diventato un nulla, in confronto alla conquista di quegli occhi, verdi come smeraldi. Mi riscossi da quei pensieri e mi guardai intorno: ero di nuovo lì, in quel cimitero, in una notte di metà estate. Avevo detto a tutti che sarei stato tutta la notte nel mio studio a leggere le Antiche Rune, avevo anche parlato con i giovani Black di Quidditch, per rassicurarli, come avevo fatto tutte le sere, dopo quel pomeriggio sfortunato. Avevo mostrato un volto tranquillo, in quegli ultimi giorni, come mio solito, avevo rincuorato mia moglie e i miei figli, ero stato nel Wiltshire, dove avevo minacciato mio cugino, perché la smettesse di forzarmi la mano in quel modo. Ero convinto che ci fosse lui dietro a tutto questo, sapevo che stava facendo di tutto perché provassi con mano cosa poteva succedere se non mi fossi mostrato più accorto: ormai avevo recepito il messaggio, era inutile continuare su quella strada.

    Voglio incontrare faccia a faccia Tom Riddle, finirla una volta per tutte con questo stillicidio.

Mi sistemai meglio il cappuccio sul viso e mi avvolsi nel mantello, non perché temessi di essere riconosciuto, ma perché non sopportavo quello strano vento gelido che mi sferzava il viso e mi asciugava gli occhi, non volevo apparire in qualche modo debole quando lui sarebbe arrivato. Ero in collera con me stesso, in fondo all’anima poco convinto di quello che stavo per fare, avevo una strana ansia nel corpo, che mi portava a riflettere sull’opportunità di smaterializzarmi di nuovo, prima che lui arrivasse; alla fine, nonostante quei mesi d’insistenza e di velate minacce, era stata la lettera di Orion Black a farmi decidere, mi ero lasciato convincere, visto quanto gli argomenti di Voldemort erano stati convincenti con i Duncan. Ora l’avrei avuto davanti a me, l’avrei affrontato di persona. Volevo vedere con i miei occhi quale bastardo arrivasse a colpire con una maledizione senza perdono un bambino appena nato per ottenere la collaborazione di suo padre: era questo che quello schifoso Mezzosangue aveva fatto a Hernie Duncan, questo c’era scritto nella lettera di Orion che Deidra mi consegnò al termine di quel dannato pomeriggio. E il timore di mettere a rischio la vita dei miei figli allo stesso modo con la mia ostinazione, mi aveva tolto il sonno, nei giorni seguenti, finché non avevo ceduto… E avevo invitato per un incontro quel maledetto.
Mi sforzai di riappropriarmi della mia classica calma, e soprattutto mi concentrai, perché non fosse possibile leggermi nell’anima, dovevo recitare al meglio la mia parte, fingere di aver ripensato alle teorie di Riddle, di aver capito che erano identiche alle mie, di aver deciso di fondere le nostre forze per ottenere prima gli obiettivi che entrambi avevamo a cuore. Avrei solamente ribadito il mio no alla mia partecipazione attiva a certe pratiche, se avessi accettato anche quelle non sarei stato più credibile... E non sarei più riuscito a guardarmi allo specchio, a baciare mia moglie, o accarezzare il viso di mia figlia. In fondo non era un problema, era noto a tutti che la mia famiglia teorizzava a tal punto l’inferiorità della razza Babbana da pensare che perfino dar loro la morte comportava una macchia sulla nostra purezza. Quindi sarebbe stato semplice far passare per puro disgusto verso i Babbani quello che invece era ben altro.

    La mia totale incapacità di fare del male a un essere vivente.

Il sangue mi si gelò al pensiero di cosa poteva capitare se mio cugino o quel mostro avessero scoperto questa verità. Per fortuna le nubi stavano coprendo la luna, rendevano la notte completamente oscura, come la mia anima. Sentii uno schiocco dietro di me, poi un altro: Voldemort era arrivato con Malfoy, ma non mi voltai, non ero certo lì per omaggiarlo.

    “Passano gli anni ma sei sempre lo stesso, sempre straordinariamente puntuale, Sherton…”

La voce odiata parlò sibilando in serventese: dovevo immaginarlo, voleva ribadire la sua parentela con Salazar, ma anche gli Sherton conoscevano quella lingua oscura, era stato un dono dato con il bacio di Salazar Slytherin al discepolo prediletto.

    “Sì, Riddle, sono puntuale come la morte…”

Mi voltai parlando la lingua del rettile a mia volta e lo vidi in tutta la sua magnificenza. Alto e nero come la notte più oscura, pallido, con occhi che quasi fiammeggiavano dell’odio e del sangue di cui si nutriva, proprio come l’orrenda visione che mi aveva quasi strappato Meissa: alla fine le avevo fatto dire tutta la verità, avevo scoperto cosa era accaduto a Spinner's End, e cosa aveva sentito la sua mente quel giorno a casa di Cygnus. Per fortuna l’avevo scoperto tardi, o mi sarei piegato a quel verme il giorno stesso, svelando quale fosse l’unica cosa davvero importante nella mia vita.

    “Questa notte non morirà nessuno, Sherton, anzi, siamo qui per festeggiare…”

Mi sorrideva viscido, sembrava un serpente anche lui. Mi sfilai il cappuccio, mostrando alla luna che, ridotta a un quarto calante, occhieggiava tra le nubi che correvano rapide nel cielo estivo, i capelli corvini, il volto fiero e gli occhi di ghiaccio. Sul viso non avevo alcuna espressione, la bocca era atteggiata a un sorriso di circostanza, mentre nel mio cuore un senso di timore e di disgusto lottavano per non emergere. Ero grato a mio padre per essere stato un ottimo maestro in Occlumanzia e di avermi trasmesso con il sangue e la disciplina tale abilità.

    “Non siamo ancora al punto di poter festeggiare, Riddle, ho detto chiaramente a mio cugino che avrei gradito vederti solo per capire meglio alcune cose: sulla carta ci sono alcune condizioni per celebrare questo patto, ma sai, sono una persona prudente, non amo sbilanciarmi se non sono più che convinto che sarà garantita sempre e comunque discrezione e incolumità per me e per la mia famiglia, nel caso qualcosa non andasse nel verso giusto… oltre che, naturalmente, il mio tornaconto…”
    “Naturalmente Sherton, naturalmente… Come sai, sono mesi che ti chiedevo di incontrarci proprio per parlare, sono convinto che quello che ho da dirti ti piacerà. E’ indubbio che nessuno tra i maghi sia un abile affarista come te, e che il tuo aiuto, così importante per noi, ha un valore davvero non indifferente, insomma... Riconosco che sei molto importante per la causa, tanto che se mi sostenessi, non potrei negarti mai alcuna richiesta. So che t’interessa una certa area delle attività del Ministero e soprattutto la scuola di Hogwarts: se ti unirai a noi, puoi considerarle già tue, non potrei immaginare un miglior direttore di te per quella scuola, una volta che fosse istituito il nuovo regime nel mondo magico… ma naturalmente se avessi progetti diversi per te e la tua famiglia, avrai tutta la mia disponibilità e il mio sostegno…”

Finsi di essere compiaciuto e feci un cenno di assenso, guardai mio cugino Malfoy con occhi fintamente avidi e Abraxas mi rispose con un sorriso pieno: Voldemort percepì quello scambio di parole non dette e una smorfia compiaciuta gli apparve sul viso viscido, forse pensava di aver fatto centro al primo colpo, immaginava che anche un uomo tutto d’un pezzo come me avesse un prezzo e sicuramente gli stavo mostrando un conto contenuto, rispetto ai benefici che avrebbe apportato, alla sua causa, il mio ingresso nella sua cerchia. Così decise che non era ancora sufficiente, voleva sollecitare ancora di più la mia cupidigia.

    “In attesa che l’impresa si compia ed io possa offrirti concretamente quanto ti ho appena promesso, vorrei dimostrarti la mia gratitudine per aver ripensato la tua posizione iniziale, una specie di ringraziamento per avermi fatto dono della tua compagnia e attenzione questa sera. Come saprai, da giovane, ho lavorato presso Sinister, quel lavoro mi ha permesso di fare molte ricerche interessanti, durante le quali ho scoperto dove si trova qualcosa che appartiene a te, alla tua famiglia, qualcosa di utile e prezioso, qualcosa di storicamente importante…”

Finsi di cedere alla curiosità: buona parte dei cimeli della mia famiglia era stata dispersa ai quattro angoli del mondo durante le guerre magiche e le cacce ai maghi avvenute a Herrengton Hill prima del Trattato di Segretezza, ma negli ultimi anni avevo riportato a casa buona parte di quei tesori. Avevo anche un’idea piuttosto chiara di dove fossero gli altri, ma finsi di essere colpito e interessato da quanto aveva da dirmi. Voldemort si avvicinò, sussurrandomi all’orecchio il nome dell’antico villaggio magico irlandese di Ffynnon Garw, che non era evidentemente nella lista dei luoghi che tenevo d’occhio e questo mi colpì più di quanto avrei voluto.

    “In questo luogo troverai ciò che ti appartiene, la bacchetta d’argento e smeraldi data da Salazar a Hifrig il giorno dell’investitura, quella da cui è stato preso lo smeraldo che ora vi tramandate di padre in figlio… Per quanto riguarda i nostri affari, mi vedrò con Malfoy, Lestrange e gli altri il primo di settembre, a Malfoy Manor, spero che ti unirai a noi, per convincerti delle nostre buone intenzioni. Per te sarà un incontro informale, ma se ti deciderai, in seguito comunicheremo con questo…”

Prese il braccio sinistro di Abraxas e sollevò il mantello, mostrando l’orrido marchio nero a forma d teschio che avevo già intravisto sulla pelle bianca di mio cugino.

    “Se sarai dei nostri lo avrai anche tu, è rapido e discreto, e…”
    “Non credo sia possibile per me portare quel marchio…”

Voldemort mi guardò incredulo, pensava di avermi assoggettato e già ponevo in dubbio la sua autorità, strinse la mascella, per reprimere un evidente attacco di rabbia, io a mia volta repressi a stento un ghigno ironico e dissacrante, poi con la massima calma e razionalità espressi meglio i miei dubbi.

    “Certo saprai che noi maghi del Nord abbiamo precisi doveri, a cui sono legati dei riti particolari, che prevedono tra l’altro ogni cinque anni l’esposizione in pubblico dei nostri corpi per l’incisione dei tatuaggi. Tra meno di un anno devo farmi incidere dei tatuaggi, se mi mostrassi in pubblico con quel marchio, prima della nostra vittoria… Non credo riuscirei a sostenerti molto, dalle segrete di Azkaban…”

Riddle annuì: non era ribellione quello che mi portava a negargli quell’atto di fedeltà, ma raziocinio, una delle capacità di noi Sherton che più ammirava e di cui più aveva bisogno: si era già legato a numerosi pazzi sanguinari, lui stesso non era altro che uno di loro, aveva quindi bisogno di qualcuno che sapesse usare l’autocontrollo, che non fosse drogato di sangue e di perversione.

    “Non c’è problema, posso aspettare, non ti chiederei qualcosa d’inutile e che mi priverebbe del tuo sostegno indispensabile…”

Era di fronte a me, in silenzio, sembrava davvero un serpente, così viscido, fluido e invitante, ricordai quando durante i primi anni a Hogwarts l’avevo visto per la prima volta: era un bel giovane, con, già da allora, quell’espressione pericolosa nel viso. Mi aveva attratto subito, avrei dato qualsiasi cosa per carpire la sua attenzione, per me stesso, non per la mia famiglia… Poi seppi… Era figlio di un Babbano, il disprezzo fin da allora superò ogni cosa, tranne quello che avevo provato per me stesso, per aver desiderato l’amicizia di un inferiore.

    “Allora non avrò problemi ad assumere quel marchio, a tempo debito…”

E quanto mi costava ancora oggi non vomitargli addosso il mio disprezzo… Mi stava promettendo di tutto, quando l’unica cosa che avrei preteso da lui sarebbe stata che lasciasse in pace me e la mia famiglia, ma ero consapevole che ormai questo non sarebbe mai potuto accadere, perché io, l’erede di un discepolo, era un purosangue, mentre Tom, l’erede del fondatore era solo un mezzosangue: per quanto avesse parlato e promesso, quella era la realtà e prima o poi su questo ci saremmo scontrati e combattuti. Una volta conclusa la guerra ai Babbani e ai Mezzosangue, sarebbe arrivato il momento di far fuori i rivali, per il potere personale, per il potere assoluto. Era quello il momento atteso da Malfoy e da Lestrange. Sarebbe stato quello il momento in cui Herrengton sarebbe caduta nelle loro mani. Sorrisi tra me, avrei fatto credere a Voldemort di essere il suo più fedele e avido alleato, avrei preso tempo e avrei atteso il momento giusto per colpirlo: standogli accanto, conoscendolo, avrei scoperto i suoi punti deboli e ne avrei approfittato, intanto avrei controllato i miei nemici e messo al sicuro i miei cari. Potevo anche cadere, o finire ad Azkaban, ma non prima di aver portato i miei piani a compimento, Herrengton e i miei cari sarebbero stati al sicuro a quel punto. Potevo farcela, dovevo solo mentire, e sporcarmi un poco le mani: c’era stato un tempo in cui avevo imparato tutto questo, poi gli occhi di Deidra mi avevano distolto dagli insegnamenti di mio padre; ora dovevo allontanarmi dalla strada che aveva intrapreso, tornare per un po’ indietro, mostrare i lati più oscuri della mia anima, se volevo la salvezza di tutto ciò che amavo. Presi per l’avambraccio Voldemort, gli lasciai prendere il mio, ci abbracciammo e un bacio alla guancia decretò quell’iniziale alleanza: Abraxas era soddisfatto, aveva esaudito una richiesta del suo Oscuro Signore e per questo sarebbe stato opportunamente ricompensato. Probabilmente Riddle gli aveva promesso la mia testa per tutto questo. Sorrisi. Lord Voldemort si staccò dall’abbraccio e mi osservò.

    “Finalmente riuniti Sherton, il figlio del discepolo, e il figlio del maestro… Per la gloria di Salazar Slytherin…”
    “Per la gloria…”

Voldemort e Malfoy si smaterializzarono in un vortice di foglie secche frustate dal vento, io mi voltai sulla tomba di Ignotus Peverell, ammirai il simbolo dei Doni della Morte e rimasi a riflettere per ore sui fatti di quella notte, su quanto avevo percepito negli sguardi di Riddle, sul ricordo di mio padre. L’ansia che mi accompagnava dal mio arrivo era ancora lì, avevo una maggiore sicurezza, certo, ma anche la convinzione che Riddle non sarebbe mai stato tanto pazzo da fidarsi completamente di me. Oramai ero in campo, avrei combattuto. Mentre all’orizzonte si profilava la prima luce di un’altra alba estiva, mi dissolsi, diretto al bosco e al capanno di Amesbury.
Orion Black, come sempre, mi aspettava.


*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).

Valeria



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