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Autore: Eleanor S MacNeil    28/04/2015    1 recensioni
C'è stato un tempo in cui gli uomini temevano le tenebre; un tempo oscuro e colmo di terrore. Ogni rumore notturno era il diavolo che cercava di prendere le anime degli innocenti. Ogni sibilo del vento era il serpente primordiale che tentava gli animi umani con le sue false promesse.
In quel tempo alcune donne lasciarono Salem per fuggire all'odio dell'Inquisizione e stabilirsi in un luogo sicuro e, sulle rive del fiume Mystic, fondarono Stone River's. Ma la storia non è tutta qui, secoli dopo la fondazione qualcosa sta per accadere.
A Stone River's il male è stato rinchiuso e qualcuno vuole liberarlo per far piombare il mondo nell'oscurità. I nemici diverranno amici e l'oscurità incomberà sugli uomini.
Una famiglia nata per custodire un segreto.
Un amore senza tempo.
Il male sta per risorgere.
Genere: Generale, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 1

Douglas







Tutto quello che si poteva raccontare su Stone River's era poco più di una favola. Non c'erano molti turisti, solo qualche passante che, da Boston, era in viaggio verso Salem. Non era famosa, era una cittadina come tante, di noto aveva solo le mele.

Stone River's vantava floridi frutteti da secoli. Il primo melo era stato piantato pochi anni dopo la fondazione della città e, da allora, le mele erano diventate il simbolo della comunità. Era la famiglia Douglas a possedere i frutteti. Il sindaco della città non era altri che Siusan MacNeil Douglas, matriarca della famiglia e donna di ferro, come gli uomini l'avevano definita.

Le Douglas erano note per essere non solo le ultime discendenti delle cinque fondatrici di Stone River's, ma anche per essere una famiglia a struttura matriarcale. Erano le donne a comandare e a trasmettere il nome e, stranamente, i mariti o morivano oppure venivano estromessi tramite un divorzio.

Cosa strana per molti, ma per gli abitanti era un fatto comune. Stone River's era stata fondata da cinque sorelle a dispetto dei canoni dell'epoca, era come normale che a condurre la città, a distanza di secoli, fossero donne.

Il fatto curioso non era la struttura gerarchica o la scomparsa prematura dei mariti delle Douglas, ma la strana assenza di figli maschi. Nel corso dei secoli le donne Douglas avevano dato alla luce solo figlie femmine. Alcune voci maligne raccontavano di aborti volontari e uccisioni di neonati, ma nulla era vero. Chi conosceva la famiglia Douglas vedeva in loro solo semplici donne che gestivano una città e l'attività di famiglia: il frutteto.

Le mele erano l'oro di Stone River's. Il frutteto si estendeva per diversi acri e delimitava uno dei confini della città, oltre il quale c'era solo un bosco a separare Stone River's dalla statale. Al centro del frutteto sorgeva il primo albero di mele, piantato molti secoli prima e, proprio accanto ad esso, avvolto dalle radici sporgenti e dai rami dell'albero, si ergeva un masso riportante strane incisioni runiche. I braccianti quando vi passavano accanto facevano un segno di riverenza, come per salutare qualcuno. Si diceva che la pietra, alta quasi come un uomo, un tempo era stata utilizzata come altare o idolo da qualche strega; altri pensavano fosse una specie di monumento antico dedicato alle cinque fondatrici della città, i più scettici dicevano che, anticamente, quel masso era stato una meridiana. Non importava, i lavoratori del frutteto portavano rispetto sia verso il melo che verso la pietra, tanta era la suggestione che entrambi infondevano. Era proprio alle spalle di casa Douglas che quel frutteto tanto prezioso sorgeva e loro, le donne della famiglia, ne erano le custodi e proprietarie.

«Mammina, mammina!»

Ci si poteva confondere tra le risate dei bambini nel parco cittadino, ma Avalon riconosceva ovunque la vocetta squillante di sua figlia Cassandra. Aveva quattro anni, cinque ad ottobre, ma era un vero concentrato di energie e vivacità.

«Cassie, è ora di tornare a casa.» Ma la piccola non sembrava voler dare ascolto alla madre, troppo presa sull'altalena. «Sai che nonna Siusan odia i ritardatari!»

Cassandra sbuffò, dirigendosi verso la madre con il broncio. «Ma io voglio giocare!»

«É quasi il tramonto, cucciola, dobbiamo andare.» Avalon prese la figlia da sotto le ascelle, facendola sedere sul seggiolino posteriore della bicicletta, cominciando a pedalare verso casa.

Entrambe adoravano girare per la piccola cittadina in bici, soprattutto in primavera. Tra marzo e maggio Stone River's si trasformava in una specie di giardino fiorito, pieno di profumi e di colori. I glicini addobbavano il gazebo della piazzetta, le magnolie abbellivano i marciapiedi e i ciliegi profumavano il parco pubblico.

Era come tuffarsi in un mondo fatto di sole e felicità. Le giornate più lunghe, la vita che riprendeva come animata da una danza, gli animali che si risvegliavano dal letargo e gli stormi di airone azzurro tornavano per la stagione degli amori.

Con i capelli castani mossi dal vento e gli occhi pieni di meraviglia, Cassandra guardava il mondo con quel sorriso infantile e gioioso che non svaniva mai. Somigliava a sua madre, chiunque la guardasse per la prima volta vedeva in lei Avalon, gli stessi capelli, la stessa fossetta sul mento, il sorriso dolce, persino le mani dalle dita lunghe e affusolate. Solo gli occhi differivano da quelli della madre. Mentre Avalon possedeva iridi verdi dalle pagliuzze ambrate, tipiche delle Douglas, le sue erano castane scure, come le castagne. Erano gli occhi di suo padre, uomo che la piccola non aveva mai conosciuto.

Avalon suonò il campanello della bicicletta, avviandosi lungo il viale alberato che conduceva verso la residenza delle Douglas.

«Suonare quel campanello è una sorta di rito scaramantico?»

«Ciao zia Ellen» Avalon sorrise, alzando lo sguardo sulla donna dai capelli castani, in piedi, appoggiata alla balaustra del patio. «Che succede?»

«Tua nonna, alias mia madre, nonché sindaco, ha appena telefonato dal municipio, dicendo...anzi, ordinando, di andare a controllare al pietra.»

La giovane strabuzzò gli occhi, facendo scendere la figlia dalla bicicletta. «Ancora? Ci siamo state stamattina!»

«Dice di avere un cattivo presentimento.»

«Fammi indovinare, vuoi che ci vada io.»

«Sarebbe fantastico.»

Era sempre così. Ogni volta che bisognava andare alla pietra, Ellen si defilava; guardava gli altri con occhi imploranti, di quel verde tipico delle Douglas, e se ne andava lasciando ad altri il compito.

«Posso venire anch'io, mammina?» cantilenò Cassandra, dondolandosi in avanti.

Avalon sospirò, raccogliendo i capelli in una coda bassa, per poi prendere per mano la figlia e avviarsi verso il frutteto. Adorava camminare tra i meli, ma ogni volta che si avvicinava alla pietra sentiva quello strano senso di angoscia e terrore che le ricordava chi era stato sigillato in quel masso.

Se Siusan aveva uno strano presentimento, bisognava darle retta. Era la matriarca, ma prima di tutto la strega più potente della famiglia, non si poteva passare oltre le sue sensazioni. Avvolta dalle radici e dal tronco del grande melo, l'albero di Deana, la roccia si ergeva al centro del frutteto, cupa e imponente. A volte, quando le si avvicinava, era come se dei sussurri provenissero da essa, come un richiamo, una specie d'invocazione arcana e misteriosa. Non sempre avveniva, ma quando Avalon avvertiva quelle voci, percepiva uno strano senso di potenza e oscurità. Era il motivo primario per cui sua zia le stava alla larga, il monolito sapeva corrompere l'animo umano, o forse era meglio dire che la strega sigillata al suo interno ne era in grado.

Quando era piccola sua nonna le aveva raccontato di come Willow fosse in grado di risvegliare il lato oscuro di ogni uomo, corrompendolo e portandolo a commettere atti di assoluta malvagità. Se le sue antenate non fossero riuscite a sigillarla, probabilmente la strega oscura si sarebbe fatta strada nel mondo, distruggendo tutto il buono che esisteva.

«Tu resta qui.» Con passo incerto, le girò attorno, tenendo la figlia a debita distanza. Sembrava tutto normale poi, qualcosa attirò l'attenzione di Avalon. Uno strano bagliore proveniente da una piccola crepa sulla superficie liscia.

«Che cosa vuol dire, mammina?»

«Non lo so, Cassie, ma sono certa che non è nulla di buono» disse Avalon, guardando con terrore quella spaccatura. «Andiamo a dirlo alla nonna.»


***


Connor aveva atteso per anni di riabbracciare Avalon, di rispecchiarsi in quegli occhi verdi e brillanti. Aveva sognato il suo volto ovale con la fossetta sul mento, i capelli castani e mossi, il suo sorriso così dolce e amorevole. Aveva aspettato.

La fuga dalla sua cella non era stata facile; aveva utilizzato una forchetta, piegata e rimodellata, non sapeva quanti tentativi era stato costretto a fare, per riuscire ad aprire la porta, ma alla fine ce l'aveva fatta. Con il favore della notte era sgattaiolato fuori dalla sua prigione, muovendosi silenziosamente e sempre con la schiena contro le pareti di pietra. Grazie al maggiordomo, l'unico di cui si fidava, aveva eluso la sorveglianza, rubando una delle tante auto del padre e recuperato alcuni suoi abiti, fuggendo finalmente dalla villa. Appena fuori Salem aveva abbandonato l'auto e preso l'autobus per Stone River's.

Aveva fantasticato sui modi di avvicinare Avalon, una volta giunto in città, ma quando l'aveva vista in sella alla sua bicicletta, sorridente come sempre, era rimasto in disparte, preferendo seguirla.

Le era stato alle costole, non troppo vicino per non farsi scoprire, ma mai si sarebbe aspettato di vederla insieme ad una bambina. In un primo momento aveva immaginato fosse la figlia di Ellen o di Lauren, ma poi la piccola aveva chiamato Avalon “mammina” e il suo cuore si era fermato.

Lei era andata avanti, si era rifatta una vita, ma con chi? Poi la sua mente aveva iniziato quel ragionamento matematico che l'aveva portato a calcolare gli anni della bambina, Cassie l'aveva sentita chiamare. Doveva avere poco più di quattro anni e lui aveva lasciato Avalon cinque anni prima.

Sdraiato sul letto della stanza che occupava del bed and breakfast, osservò la fotografia di lui ed Avalon, scattata sotto il gazebo la settimana prima della sua dipartita. Guardò quella foto, sfiorandone la superficie. Cassie somigliava incredibilmente ad Avalon, ma erano gli occhi che l'avevano portato a fare quel ragionamento. Occhi di un castano scuro, come le castagne che sua madre raccoglieva per lui il giorno di Halloween.

Se i calcoli erano giusti, Cassie doveva essere nata pochi mesi dopo la sua partenza e, questo, poteva voler dire solo una cosa: era sua figlia.


***


«Ne sei sicura?» Lauren guardò la figlia preoccupata, sperando che si fosse sbagliata, ma Avalon era seria. Quando Siusan aveva chiamato dal municipio, aveva pensato alle sue solite manie di controllo, ma Avalon aveva visto la crepa e ciò non prometteva nulla di buono.

«Il sigillo si sta indebolendo.» Ellen si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, guardando la nipote preoccupata. «Nostra madre aveva ragione.»

«Avevo ragione riguardo a cosa?» Siusan entrò in cucina, posando la borsa sul tavolo e guardando le tre donne di fronte a lei. «Ebbene?»

Possedeva un portamento quasi regale, sempre con lo sguardo arcigno e freddo, come se stesse sul punto di rimproverare qualcuno. Era una donna caparbia, spietata, calcolatrice e potente, dall'aspetto nordico reso più evidente dai capelli biondi, proprio come la figlia maggiore. Siusan MacNeil Douglas era la matrona della famiglia, una tra le streghe più potenti del mondo e quando entrava in una stanza era come se quella forza interiore, quei poteri, irradiassero dal suo corpo rendendola maestosa. Per fortuna nessuno sapeva che le streghe esistevano veramente, altrimenti chiunque si sarebbe fatto di lato al suo passaggio.

«Sono stata alla pietra poco fa» cominciò Avalon. «C'era una crepa, piccola, ma c'era.»

Il volto severo di Siusan si contrarre in un'espressione di preoccupazione e allerta, mentre spostava lo sguardo sulla figlia maggiore. «Stamattina non c'era?»

Lauren negò col capo. «E neanche nel primo pomeriggio.»

«Il sigillo si sta indebolendo» disse Siusan, accendendosi una sigaretta. «Se quella crepa si allargasse...»

«Lo sappiamo, madre, Willow potrebbe liberarsi.»

«E con lei tutte le forze oscure che le cinque matriarche hanno imprigionato in quella pietra maledetta» disse a denti stretti Siusan, arricciando le labbra. «Il male dilagherebbe e il mondo che noi conosciamo finirebbe per sempre!»

Ellen sentì un brivido correrle lungo la schiena. Willow Corey, di tutte le streghe che il mondo avesse visto, lei era la più potente e la più spietata. Ricordava le storie che sua nonna le raccontava da bambina, storie di oscurità e sangue. Si diceva che Willow fosse sulla terra da molti secoli, quando le matriarche Douglas giunsero a Stone River's. Si diceva che avesse il corpo glabro e coperto di segni, alcuni scritti la descrivevano come un mostro assetato di sangue, ma sapeva che le storie spesso venivano travisate e riscritte nel corso degli anni, ma di una cosa era certa, Willow era una strega oscura dai poteri troppo grandi per essere uccisa senza complicazioni. Deana Douglas, la madre delle cinque matriarche, era morta nel tentativo di sigillarla e, le sue figlie, furono maledette.

«E se fosse la luna di sangue?» domandò all'improvviso una voce alle loro spalle. In piedi sulla porta della veranda, Phoebe le stava fissando impaurita, stringendo sotto il braccio la cartelletta del corso di arte.

Lauren deglutì, la figlia più giovane aveva menzionato l'evento che ogni strega temeva o attendeva con impazienza. «Non può essere!»

«Ma potrebbe» disse la ragazza, avanzando verso il tavolo, aprendo la cartelletta e mostrando uno dei disegni. «Questo l'ho disegnato stamattina, appena sveglia. All'inizio è stato come se a guidare la mia mano fosse una forza superiore, poi ho capito che non era la prima volta che lo sognavo.»

Avalon deglutì, sbarrando gli occhi a quella vista. Una luna rossa come il sangue spiccava in un cielo notturno senza stelle e, illuminata dalla luce scarlatta, la pietra di Willow spaccata a metà e l'albero di mele sanguinante. I sogni profetici di sua sorella non sbagliavano mai e se lei aveva visto il futuro, quello che si prospettava era una vera e propria apocalisse.


***


La notte doveva portare consiglio, secondo il vecchio detto, ma quello che portava con sé non era altro che il timore di una guerra e la consapevolezza della fine di un'epoca di pace.

Gli occhi di Willow apparsi come una visione nel fuoco, la luna di sangue nei sogni di Phoebe, quel senso d'inquietudine, tutto faceva presupporre ad una tempesta di arrivo. Siusan sentiva e sapeva che tutto stava per cambiare, quella pace ottenuta con il sacrificio presto sarebbe finita nel sangue e nella guerra che le sue antenate avevano già combattuto.

In piedi sul balcone della sua camera, poteva vedere la cupola del municipio cittadino, la torre dell'orologio e gli ettari di foresta che circondavano metà Stone River's. Dalla villa poteva sentire perfino lo scrosciare le fiume Mystic, ma per lei gli occhi non servivano, lei vedeva con la mente, con l'istinto, non c'era nulla che poteva sfuggirle. Come un falco lei scrutava e attendeva.

Poi guardò verso il frutteto, osservando l'oscurità avanzare con passo lento, l'incedere di quella malvagità antica e lontana. La foresta, custode di antichi e immemori segreti, brulicava di verità nascoste. Le vie vecchie urlavano ancora i nomi delle vittime innocenti di Salem che loro non avevano dimenticato; ciò che aveva portato a quelle morti si stava risvegliando, più forte e infuriato che mai, portando con sé l'oscurità e le tenebre. Un'antica forza voleva tornare per rivendicare ciò che non era suo, e Siusan avrebbe combattuto, era pronta al sacrificio per proteggere quel segreto e la sua famiglia.

Alzò lo sguardo ed i capelli biondi vennero sferzati da una folata di vento gelido. «Che gli dei ci proteggano!»


***


La luna di sangue. Avalon non ne aveva mai vista una. Gli studiosi chiamavano con questo nome il fenomeno dell'eclissi di luna, poiché il satellite si tingeva di rosso. Un evento usuale, ma quella a cui si riferiva sua sorella Phoebe non era la luna rossa, bensì era un evento astronomico molto raro, durante il quale la luna non solo diveniva scarlatta, ma entrava in allineamento con il pianeta saturno, proiettando sulla terra una luce talmente nefasta da nascondere le stelle. Gli astronomi non riuscivano a spiegarsi un tale fenomeno, talmente raro e poco documentato, l'ultima si era verificata nel 1693 e, da allora, non era più accaduto.

Non era ciclico, a volte trascorrevano cento anni, altre cinquecento dall'ultima luna di sangue, ma di una cosa le streghe erano certe: il fenomeno rendeva i poteri più forti e le streghe oscure ne approfittavano per lanciare i loro malefici sul mondo. Fu durante una luna di sangue che Willow venne sigillata nella pietra, poco prima che riuscisse nel suo intento di dominio e oscurità.

Avalon si strinse nello scialle, rientrando in camera e chiudendo la finestra che dava su uno dei balconi, sentendo i piccoli passi di Cassandra correre per il corridoio. La porta si aprì lentamente e la testolina castana della figlia fece capolino timidamente.

«Ti ho messa a letto un'ora fa!»

Cassandra si dondolò sui piedi, tenendo le mani dietro la schiena. «Le mie trecce si sono disfate.»

Con un sospiro rassegnato, Avalon fece segno alla figlia di sedersi sul letto. Ogni sera le intrecciava i capelli prima di andare a dormire e sua figlia non era di certo una bambina tranquilla, aveva il sonno agitato e si muoveva come una trottola, era naturale che le trecce si disfassero, ma solitamente Cassandra si addormentava subito e si risvegliava solo la mattina seguente.

Iniziò a rifarle le due trecce, canticchiando la ninna nanna che, a suo tempo, sua madre aveva cantato a lei. Era così dolce e innocente, avrebbe voluto metterla sotto ad una teca di cristallo, lontana dal mondo e dal male, ma non era possibile.

«Perché il mio papà non è qui?» domandò all'improvviso Cassandra, facendo sussultare Avalon. «É per colpa della maledizione?»

«Chi ti ha detto questo?» Non aveva mai parlato a sua figlia della maledizione, del pesante fardello che le streghe Douglas portavano, tanto meno del perché suo padre non era lì a crescerla insieme a lei.

«Ho sentito zia Ellen dire a nonna Lauren che tu e la nonna siete state fortunate. Diceva che se non aveste mandato via il papà ed il nonno anche loro sarebbero morti come tutti gli altri.»

Peccato che non era stata lei a mandare via Connor. Era stato lui ad andarsene senza dirle nulla, senza un biglietto, senza una motivazione. A differenza di suo padre, Connor non sapeva della maledizione o che lei fosse una strega. Lui era all'oscuro di tutto. Magari se n'era andato perché aveva scoperto la verità, potevano esserci svariati motivi, ma una parte di lei era grata della sua dipartita, almeno era vivo, salvo, da qualche parte. Non aveva avuto il tempo d'innamorarsi e questo era un bene.

Sua madre aveva agito in modo diverso. Lauren aveva cacciato di casa Marcus quando era incinta di Phoebe. A dirla tutta, aveva lasciato che fosse Siusan a mandarlo via, ma era stata lei a scegliere di allontanarlo da Stone River's. Si stava innamorando di lui e non poteva permettersi di perderlo. Chissà dov'erano adesso, suo padre e Connor.

«Purtroppo, piccola mia, tuo padre è andato via prima di sapere che ti aspettavo. La maledizione non perdona ed io non potevo permettermi di soffrire.» Mentì. Non sapeva perché, ma mentì. Dire a sua figlia che il padre se n'era andato per sua scelta poteva spezzarle il cuore e non voleva. Non poteva.

Connor forse un giorno sarebbe tornato, oppure no, ma in qualsiasi circostanza, lei non voleva più vederlo. Non perché aveva scelto la fuga, ma per i suoi sentimenti, per quell'amore che lei avrebbe provato rivedendolo e che, se fosse rimasto, l'avrebbe portato alla morte certa.

Amare un uomo voleva dire ucciderlo e lei non voleva macchiarsi le mani del sangue di un innocente.












   
 
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