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Autore: kateausten    29/04/2015    3 recensioni
A Dean non ci era voluto nulla per aggiungere Castiel Novak fra gli amici per scrivergli privatamente e insultarlo ancora meglio. E a Castiel ci era voluto ancora meno per rimetterlo al suo posto, con quelle risposte contenute, le virgole al loro posto e il lessico perfetto.
“Maledetto figlio di puttana ingessato” aveva mormorato Dean leggendo le risposte che quella sottospecie di diciassettenne californiano gli scriveva.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Famiglia Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La campanella del liceo di Lawrence suonò per la prima volta quel venerdì mattina, inaugurando, tra una serie di grugniti, la giornata scolastica.
Dean guardò Sam avvicinarsi verso il suo amico, un certo Ash, un tipo strano che sembrava aver preso la scossa ma che era un nerd addirittura più invasato del suo fratellino, e attraversò anche lui il prato per avviarsi verso l’entrata della scuola.
Mentre camminava tirò fuori il cellulare e vide che aveva un messaggio. Sorrise e lo aprì, pensando che Castiel era veramente un tipo fuori dal mondo, che usava ancora i messaggi normali, metteva le virgole al posto giusto e mandava faccine sorridenti anche quando non ce ne era bisogno.
“Perché sorridi in quel modo lascivo?”.
Una voce penetrante lo fulminò sul posto, facendolo rimettere il cellulare in tasca con una smorfia di disappunto nei riguardi della sua interlocutrice.
“Buongiorno anche a te, piccola saputella”.
Charlie Bradbury sorrise e si mise una gomma in bocca, ravviandosi i corti capelli rossi.
“Buongiorno. Comunque non hai risposto alla mia domanda”, replicò, mentre entrambi si incamminavano verso il portone d’ingresso ed entravano.
“Era una domanda priva di logica, Charlie. Per questo non ti rispondo”, affermò Dean, cercando con lo sguardo Benny, l’unico che poteva salvarlo da una conversazione di quel genere con la sua amica. “Hai visto l’ultima puntata di Game of Thrones?”, chiese poi, cercando di distrarla da tutte le sue elucubrazioni mentali.
Charlie però lo ignorò mentre arrivavano agli armadietti- li avevano uno accanto all’altro, quando si dice che la sfiga non ha mai fine-, vedendola imbronciarsi un attimo per poi sorridere.
“Non voglio sapere i tuoi affari, Winchester, se è questo che pensi. Figuriamoci. Ho una vita sentimentale molto più movimentata della tua”, disse mentre Dean alzava gli occhi al cielo e prendeva il libro di chimica dall’armadietto. “Ti volevo solo dire che quel sorriso ti dona”.
Dean la guardò un attimo sorpreso da quella inaspettata pseudo gentilezza.
“Il sorriso lascivo mi dona?”, si ritrovò a chiedere.
Charlie rise, buttando la testa all’indietro, per poi prendere anche lei il libro di chimica dall’armadietto.
“Mi sa che mi sono espressa male. Non era un sorriso lascivo, Dean”, si corresse, chiudendo di colpo l’armadietto. “E’ solo che in questo ultimo periodo mi sembri felice. E vorrei sapere chi ringraziare”.

Ecco perché non doveva parlare con Charlie. Perché sapeva che gli avrebbe detto cose sbagliate e giuste insieme e lui sarebbe rimasto con una faccia da beota per tutta la conversazione, senza trovare una risposta adatta.
“Buongiorno fratello”.
Mentre apriva svogliatamente il libro di chimica, la calda voce di una delle persone a cui teneva più al mondo si fece spazio tra il chiacchiericcio di sottofondo e la figura di Benjamin Lafitte prese posto accanto a lui. Si tolse l’onnipresente cappellino e si sistemò con eleganza sulla sedia.
Dean, nonostante fosse più alto e slanciato non aveva nessun atteggiamento da piccolo lord (come Sam diceva sempre del suo amico), ne quei modi di fare così gentili ed educati che sembravano arrivare direttamente dalla Louisiana dell’Ottocento.
“Ciao Benny”, disse Dean sorridendo. “Tutto bene?”.
“Direi di si”, ammiccò l’altro, aprendo alla pagina giusta il libro.
“Che vuoi dire?” chiese.
Benny lo guardò con un ghigno e poi si girò per controllare che nessuno stesse ascoltando. Dietro di loro c’era solo Charlie, però, intenta a scaricare l’ultima diavoleria sul suo cellulare. Seriamente, Dean aveva perso il conto di quante cavolate gli aveva ordinato di scaricare (e che lui aveva scaricato, ma solo per far contenta la sua amica. E con cui poi ci aveva giocato, sempre per lo stesso motivo).
“Allora?” disse spazientito.
“Diciamo che adesso potrei uscire con te e Lisa senza fare da terzo in comodo”.
Dean sgranò gli occhi.
“Non è vero!” esclamò “Tu e Andrea..”.
“Esatto”.
Dean si lasciò andare a una risata a metà tra lo scherno e l’affetto e tirò una manata sulla schiena massiccia del suo amico.
“Quale droga hai usato per convincerla a mettersi con te?”.
“Il mio charme è stato più che sufficiente”.
Dean scosse la testa sorridendo.
“Sono felice per te amico, sul serio”.
Dean aveva visto Benny interessarsi a poche ragazze e Andrea, una sventola del penultimo anno, era stata l’unica che aveva mantenuto l’interesse di Benny per più di qualche mese.
“Grazie”.
Uno sbuffo dietro di loro li avvertì che Charlie aveva finito di incasinarsi la testa con quei giochi e che li stava ascoltando.
“Finito questo momento da ragazzine?” chiese “Perché anch’io avrei una cosa da dirvi”.
Benny alzò gli occhi al cielo.
“Quale delle ragazze che noi non avremo mai ti sei fatta?” chiese.
Dean soffocò una risata allo sguardo di Charlie, che sarebbe dovuto essere offeso ma che invece era solo compiaciuto.
“No, mio caro Benny”, replicò, sventolandosi i capelli con fare seducente. “Nulla di tutto ciò, anche se proprio vuoi saperlo stasera esco con Sarah Madden”.
Dean lanciò un fischio.
“Però. Mica male”, commentò. “E’ nella squadra delle cheerleader con Lisa. Non sapevo fosse…”.
“Oh, non lo sa”, disse Charlie con un sorriso. “Ma lo scoprirà stasera”.
Benny scoppiò a ridere mentre entrava in classe quella palla del professore Micheal Emerson.
“Sei pessima”, disse Dean scuotendo la testa.
Si girò verso l’uomo per controllare che non avesse ancora cominciato a fulminarlo con il suo sguardo laser per poi accusarlo di non prestare attenzione alla lezione (“Signor Winchester” era il suo ritornello preferito “Mi può dire a quale argomento sicuramente più interessante della chimica sta oziosamente pensando?”) e poi si rigirò verso Charlie.
“Insomma, cosa volevi dirci Catwoman?”, chiese, mentre anche Benny si rigirava verso l’amica.
Charlie sorrise.
“Oh, nulla di che”, disse con fare noncurante. “Vi volevo solo informare che sono stata accettata in posticino che si chiama Harvard. Tutto qua”.
 
*

Il resto della mattinata scolastica andò bene, anche se Dean aveva veramente il cervello scollegato dal resto del corpo.
“Attento!”.
Benny riprese al volo la bottiglietta d’acqua che stava scivolando dal vassoio dell’amico, mentre raggiungevano Sam a uno dei tavoli da pranzo.
“Oh, grazie” disse Dean, tirando fuori il cellulare e guardando lo schermo.
Benny aggrottò la fronte e abbassò la voce.
“Fratello, tutto bene?” chiese.
“Cosa? Certo”, rispose Dean dopo un attimo, facendo una smorfia nei confronti del telefono. “Tutto a meraviglia”.
Si sedettero, Dean davanti a Sam e Benny davanti a Garth, un altro amico stramboide di Sam.
“Questa pasta sembra colla”, commentò mentre si sedettero.
“Eppure questo non ti sta fermando dal mangiarla”, replicò Benny.
Garth ingurgitò alla velocità della luce il resto della pasta con un gran sorriso, mentre Benny lo guardava abbastanza disgustato.
“Dean, va tutto bene?” chiese a un certo punto Sam, guardando il fratello.
Dean voltò lo sguardo verso il suo fratellino con un sorriso.
“Ma certo Sammy”, disse, incominciando a mangiare.
Sam lo guardò ancora e poi rivolse un’occhiata a Benny, che si limitò ad alzare le sopracciglia.
“Charlie ci ha appena detto che è stata accettata ad Harvard”, disse Garth, mentre cominciava a mangiare la seconda porzione di pasta. “E’ fantastico”.
“Si, lo è”, confermò Benny.
“Ce la vedo Charlie a laurearsi tipo un milione di anni prima del tempo e a mandare in corto circuito il software dell’università come regalo d‘addio”, commentò Sam, ridacchiando.
Benny sorrise e voltò lo sguardo verso Dean, che mangiava il suo pranzo con aria meditabonda.
“Insomma, fratello! Si può sapere cos’hai?” chiese spazientito.
Dean sobbalzò e lo guardò male.
“Non ho nulla!” replicò infastidito “E’ solo che tutti stanno entrando in fantastiche università e io resterò qui a Lawrence”.
“Tutti chi?” chiese Benny “Per adesso soltanto Charlie è stata accettata”.
Dean scosse la testa e si girò verso destra, per poi alzarsi velocemente.
“Non ho fame. Penso che andrò a fare un po’ di attività fisica”.
Tutti e tre i ragazzi lo guardarono andare da Lisa Breaden, che - in divisa da cheerleader blu e capelli neri lucidi e sciolti sulle spalle-, lo stava aspettando con un gran sorriso vicino alla porta.
“Devo dire che tuo fratello ha un gran talento per le metafore” disse Garth, ma sia Sam che Benny evitarono di replicare.
 
*

“Dean..”.
La voce di Lisa era un sussurro bollente che si infilò direttamente nell’orecchio destro del ragazzo, mentre le sue mani erano occupate sul corpo della sua fidanzata.
“Sei sempre così bella?”, domandò in tono retorico Dean, mordendole li labbro inferiore, infilandole la mano sotto la canottiera dell’uniforme.
Lisa soffocò una risatina e lo baciò con entusiasmo, passandogli le mani fra i capelli, sulle spalle e infine sullo stomaco.
Dean strizzò gli occhi, cercando di eccitarsi in tutti i modi: aveva il corpo di Lisa spalmato sul suo, i capelli lunghi e profumati che gli solleticavano deliziosamente il naso, una litania di gemiti che solitamente lo facevano impazzire e in più erano in nella palestra della scuola. Ok, non c’era nessuno ma c’era comunque possibilità che li beccassero e questo, solitamente, faceva eccitare Dean più di quanto fosse lecito.
Avanti, si disse continuando a baciarla.
Avanti.
Palestra. Uniforme. Cheerleader disponibile.
Avanti. Avanti!
Lisa si scostò, ansimando leggermente.
“Tutto bene?” chiese piano.
“Certo”, rispose automaticamente.
Se, nell’arco della giornata, un’altra persona gli avesse chiesto se andasse tutto bene gli avrebbe certamente urlato in faccia.
“Dean”, cominciò, ma si dovette fermare perché lui riprese a baciarla e i baci di Dean erano qualcosa di eccezionale. Sembrava metterci tutto se stesso, sembrava perdersi in quei baci e Lisa, dopo cinque mesi, non si era ancora abituata alla lingua calda di Dean che si introfulava piacevolmente nella sua bocca.
Lisa si staccò con rammarico, ma c’era evidentemente qualcosa che non andava.
“Tesoro”, disse, bloccandosi incapace di continuare il discorso.
Gli occhi verde chiaro di Dean la fissarono.
“Che c’è, baby?”.
Lisa chinò la testa verso l’inguine di del ragazzo e poi lo riguardò dritto negli occhi.
“Non dico che in cinque minuti devi essere pronto, ma non ti era mai successo che in venti minuti..”:
Dean si scostò da lei quasi impercettibilmente.
“Non fa niente”, esclamò. “Davvero amore, non fa niente. Non mi importa”.
“Ma a me si”, rispose atono Dean, incassando la testa nelle spalle.
Lisa stette in silenzio, mordendosi il labbro inferiore.
“Questo ultimo periodo di scuola è così stressante”, disse dopo qualche minuto Dean, e lei si affrettò ad annuire.
“Certo che lo è. Con tutti questi test finali e l’ansia per le ammissioni”.
“A te è arrivata risposta dalla Brown?” chiese Dean.
Lisa scosse la testa.
“Ancora no. Vogliono farmi penare fino in fondo. Tu, invece?”,
“Per adesso solo l’Università del Kansas”.
La ragazza annuì e scese il silenzio fra loro.
“Dean”, riprese esitante. “Sai, vero, che se hai un problema potresti dirmelo. Lo sai, no?”.
Dean la guardò e Lisa ebbe veramente, veramente paura che il problema ci fosse davvero e che Dean avesse un piano, una cartina geografica dove lei non rientrava perché era così bello, simpatico e… buono, ecco, Dean era buono, e lei non poteva far parte della sua vita.
Ma poi sorrise, il solito ghigno che l’aveva fatta capitolare e si concesse di ricominciare a respirare.
“Lo so, bellezza. Certo che lo so. Ma non devi preoccuparti, non c’è nessun problema”, rispose, sentendosi un macigno sul cuore. “Mai stato meglio”.
 
*

I messaggi con Castiel erano diventati più frequenti che mai.
Letteratura era stato un enorme buco nero, storia un sottofondo noioso e a biologia si era salvato giusto perché il professore aveva un debole per Charlie (tutti i professori avevano un debole per quel genietto malefico) ed, essendo seduto accanto a lei, evitava tutte le domande a trabocchetto che il signor Smith faceva durante la lezione.
Adesso quella giornata, quella incresciosa, lunga, tediosa giornata era finita ed era sdraiato sul letto con un braccio sotto la nuca e l’altro sugli occhi. Si sentiva stremato.
Tutti a chiedergli se stava bene, Charlie che lo lasciava per andare ad Harvard e, ciliegina sulla torta, neanche mezza erezione di fronte alla ragazza più arrapante della scuola.
Una vera giornata di merda.
Cosa gli prendeva?
Dean odiava psicanalizzarsi. Quello solitamente era Sam, che si faceva domande anche sul perché gli uccellini cinguettassero; a lui bastava veramente un po’ di buona musica di sottofondo e lavorare alla sua bambina per sentirsi meglio, qualunque fossero le ansia che lo affliggevano.
Ma la sua Impala era praticamente finita e non aveva voglia di ascoltare musica.
Quindi la faccenda era grave.
Forse, ma solo forse, proprio perché non sapeva cosa fare, pensò che la colpa fosse di Castiel se lui era in quello stato.
Indirettamente, d’accordo. Ma colpa sua.
E per quale motivo?, chiese la coscienza di Dean, forse la parte ancora sana e obiettiva che gli era rimasta.
Quale era la colpa di Castiel, oltre al fatto di vivere a quasi duemila miglia di distanza? Lo aveva aggiunto lui, Dean, su Facebook. Ed era stato sempre lui a chiedergli il numero di telefono.
Cosa erano quelle, pene d’amore? Perché il suo ragazzo era lontano e voleva vederlo?
A quel pensiero balzò a sedere sul letto, con le guance che gli ardevano e un leggero principio di nausea.
Suvvia, a lui non piacevano i ragazzi.
Lisa ne era la dimostrazione vivente. Anche se quel pomeriggio il suo amico non si sarebbe smosso neanche se la ragazza avesse cominciato a fare una lap-dance.
Dean sospirò e guardò lo schermo del cellulare. Doveva sfogarsi, quindi poteva chiamare…
Ma no, la cosa era assurda.
Castiel lo avrebbe ignorato.
Non gli avrebbe risposto e magari lo avrebbe bloccato su tutte le piattaforme elettroniche esistenti.
Eppure le sue dita andarono sul numero di Castiel e poi sull’icona accanto, cliccandola per avviare la chiamata.
Dean era terrorizzato.
Cosa stava facendo?
Cosa. Diamine. Stava. Facendo.
Avrebbe riattaccato e poi sostenuto che la chiamata era partita per sbaglio. Bobby affermava che quelle diavolerie elettroniche fossero il demonio in persona e che potevano mettere nei guai le persone.
Pronto?”.
Dean fece quasi cadere il cellulare.
Non rispose subito. Il battito del cuore doveva ancora rallentare un po’ per fargli pensare a una risposta decente da dare.
Dean?”.
Così quella era la voce di Castiel. Era bella, si sorprese a pensare. Era roca, come quella di una persona che si era appena svegliata, ma chiara e piacevole.
Dean, ci sei?”.
Castiel avrebbe attaccato presto, lo sapeva. Non poteva aspettare in eterno. Strinse forte il telefono nella mano sudata.
Ho avuto veramente una giornata di merda”, biascicò velocemente.
Si diede mentalmente dello stupido, dell’imbecille e del cretino perché quello era la frase peggiore che poteva dire. Smise di auto insultarsi solo perché Castiel rispose.
E, non sapeva come, nella sua voce percepì un vago sorriso.
Beh. Potremmo parlarne”.
  
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