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Autore: storyteller lover    01/05/2015    1 recensioni
‘Ho sempre preferito Riccardo III’, disse, accarezzando il dorso rigido del libretto, ‘ma si tratta di una predilezione personale. Credo che mio marito disapproverebbe. La regina si lascia irretire da un re malvagio, deforme, fatto a metà, venuto al mondo anzitempo, dotato solo di arte retorica e nulla più. Giulio Cesare, questo è il dramma per eccellenza. Sembra che abbia un cuore volubile, incostante. ‘Fragilità, il tuo nome è donna’, mi sento spesso dire.’ - Questa storia è stata scritta per lo 'Shakespearean Quotations Contest - Edizione II' indetto da juliet_ (scadenza: 30 Aprile 2015)
Genere: Generale, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Questa storia partecipa allo ‘Shakespearean quotations contest – II Edizione ’ indetto da juliet_ (scadenza 30 aprile 2015), di cui vi lascio il link:

http://freeforumzone.leonardo.it/d/11015282/Shakespearian-quotations-contest-II-Edizione/discussione.aspx


Autore: storyteller lover
Titolo
: Giulio Cesare
Rating: Verde
Genere: introspettivo
Avvertimenti: Originale
Citazione scelta
:

13. sorride raramente, e sorride
come se beffasse se stesso e disdegnasse il proprio animo,
perché si è persuaso a sorridere di qualsiasi cosa. (Giulio Cesare)

NdA: (facoltative) le citazioni di Shakespeare che ho inserito nella storia non sono frutto della mia traduzione, ma di altri critici e traduttori.



'Giulio Cesare'

La prima moglie del dottor Harris aveva arredato con meticolosa cura lo studio del marito al fine di farne un luogo in cui questi si sarebbe potuto sentire sempre accanto a sé. Chiunque vi mettesse piede per la prima volta non poteva non essere piacevolmente colpito dall’armonia dei colori, dalla disposizione della mobilia e dai quadri appesi alle pareti. L’insieme non mancava mai di suscitare nell’ignaro visitatore un senso di quiete composta e ordinata, addirittura conciliante. Anche i frequentatori più assidui non mancavano mai di rivolgere sguardi o commenti di ammirazione per un così spiccato gusto. Nel prendere posto alla poltrona al centro della stanza, era possibile contemplare il gioco di luci soffuse delle lampade a muro, mentre la scia di muschio bianco che emanava dalle candele poste tra i volumi della libreria incantava i sensi.
Inizialmente, la signora Harris aveva scelto l’essenza di lavanda, ma si era dovuta arrendere all’irremovibilità del marito. Insieme alla sua fragranza preferita erano state messe da parte le fotografie del tanto sognato quanto breve viaggio di nozze, i centrotavola e persino il tavolino in mogano appositamente fatto intagliare su misura per lo studio. La scrivania avrebbe dovuto mostrare fieramente una cassettiera a doppio fondo e una regale abatjour in stile liberty, quest’ultima disdegnata a favore di una più funzionale lampada da tavolo estremamente minimalista. La cassettiera non poteva essere rimossa, o almeno era ciò che il fornitore aveva assicurato. Gli scaffali a muro portavano il peso di volumi accumulatisi sempre più prepotentemente nel corso del tempo, causando i rientri tardi e a volte persino inattesi di un marito alle prese con questioni più imminenti, se paragonati al colore dei tendaggi. Talvolta, poteva trattarsi persino di un romanzo così coinvolgente da trasportare l’uomo, insieme allo scienziato, in un altrove senza tempo e spazio.
Eppure, a quasi cinque anni di distanza dalla separazione, non di rado accadeva che qualcuno, magari un parente, amico o semplice accompagnatore dei pazienti del dottor Harris, elogiasse la raffinata scelta della tappezzeria, l’abbinamento cromatico o l’efficace assetto di ogni dettaglio. Capitava a volte che dettagli evidentemente in risalto allo sguardo di un estraneo non fossero mai stati notati da chi si muoveva quotidianamente in quel comodo, ma pur sempre circoscritto, ambiente. Ogni riproposizione dell’effusione di ammirazione e delizia era immancabilmente seguita da un semplice ‘Mia moglie’, espressione volta a non suscitare ulteriori domande. Se, ciononostante, la conversazione di routine continuava a muoversi sullo stesso argomento, la strategia vincente prevedeva uno scambio di battute poco impegnativo, sorrisi formali ed espressioni di assenso poco incoraggianti. In un certo senso, era come se la signora Blanche Harris non avesse mai messo piede fuori dallo studio.
‘Dovresti assumere qualcuno così da non doverti occupare in prima persona della questione,’ disse Edward, esperto di letteratura e amico fidato del dottor Harris. Sposato con una moglie di diversi anni più giovane, dispensava consigli sul ménage domestico altrui, alternandoli a proposte di lettura piuttosto raffinate. Era in quest’ultimo campo che i suoi suggerimenti risultavano essere più idonei. Sperava di raggiungere il successo, un giorno, non più come critico ma da vero cultore della scrittura. Era sempre stato un attore poco promettente, dunque perché non dirigere la scena con la penna invece che sul palcoscenico? La sua graziosa consorte lo incoraggiava, anche se a costo di vedergli fare la spola da un editore all’altro, da una città all’altra anche per tre fine settimana al mese.
‘Non ci vorranno più di due o tre settimane per i lavori, al massimo quattro.’
Il dottor Harris finì di riporre al proprio posto alcuni volumi, prestando attenzione a non urtare nessuna delle bomboniere o i vari ninnoli e ricordi di viaggio accumulatisi nel corso di circa dieci anni da quando aveva aperto lo studio.
Dall’estate di qualche anno prima, aveva iniziato a tenere corsi di teoria della critica psicanalitica per gli studenti lettere, lingue, traduzione. Era necessario che leggesse, pertanto, di letteratura sia straniera che non, contemporanea e moderna, e che programmasse un percorso logicamente strutturato dove a essere indagata non era la mente dell’uomo comune ma l’inconscio del testo e i suoi traumi. Non negava a se stesso di trarre maggior piacere dalla lettura che dall’insegnamento, pur dovendo necessariamente conciliare le due cose.
‘Non credo che lo studio abbia bisogno di essere arredato di nuovo.’
Il dottor Harris sembrava non aver davvero preso in considerazione la proposta dell’amico, la quale si ripeteva ormai ciclicamente da qualche mese.
‘Il paziente non si trova nelle condizioni di sapere ciò di cui avrebbe bisogno,’ lo incalzò Edward con mal celata ironia. ‘È un principio che persino le studentesse più inesperte saprebbero citare senza alcuna esitazione, Richard’.
Il dottor Harris si limitò ad ascoltare, fingendo di non aver colto la malcelata allusione sottesa dalle parole di Edward. Poco tempo prima di firmare i documenti per il divorzio, Blanche aveva palesato la convinzione di essere stata sostituita, probabilmente da qualcuno di più giovane, forse un’amante di libri e psicanalisi, magari una persona che avrebbe sicuramente condiviso l’interesse, a lei sconosciuto, della pagina stampata. Nonostante qualche rinvio, la separazione era stata siglata per via di profonde e insuperabili inconciliabilità di temperamento. Ciò che restava era un leggero alone di muschio che aleggiava in una stanza dalle pareti spoglie, nascoste da quadri e giochi di luce.


Quel venerdì pomeriggio la sala d’attesa emanava un’ atmosfera di calma quiete. Se qualcosa si udiva indistintamente, si trattava dell’assenza del chiacchiericcio sommesso che solitamente fa da sottofondo alle corsie ospedaliere. Tuttavia, non così era quel pomeriggio. Il silenzio immobile delle pareti bianche ammirava se stesso in tutta la sua trasparenza. Era come un’antica torre deserta, infestata da uno spiritello per il momento preda del sonno più profondo.
‘Anne’.
La mano destra del dottor Harris si schiuse in un gesto di cortese invito.La figura si mosse solo allora, insinuandosi silenziosamente in quel confessionale senza grata. Prese posto al centro della camera, fissando il proprio sguardo sui molteplici volumi sugli scaffali. Raramente accadeva che si rivolgesse subito al proprio corrispettivo in carne e ossa. Traeva, invece, un certo conforto nel constatare che nulla era cambiato dalla sua ultima visita. Qualche volume era stato aggiunto di recente, ma il tutto era sostanzialmente identico a come lo aveva lasciato il venerdì precedente.
‘Come procedono le tue letture?’ provò a chiedere il dottor Harris. I libri suscitavano sempre un interesse profondo nella giovane donna che gli stava di fronte. La sua attenzione aveva scelto come soggetto d’osservazione un libretto un po’ consunto, il quale sarebbe facilmente passato inosservato, non fosse stato per la evidente differenza rispetto ai più spessi compagni, dalle copertine fiammanti e più accattivanti. Sembrava essere stato riletto di recente, dal momento che sporgeva dalla fila di libri alla quale il genio ordinatore del dottore l’aveva destinato.
Giulio Cesare,’ disse, ‘se è il teatro che ti interessa, consiglio vivamente Otello o Riccardo III. Amleto è quasi d’obbligo…’
‘Se io fossi il Moro, non vorrei esser Iago. Stando al suo servizio, servo me stesso. Lo sa il cielo, non è né per amore né per dovere, ma solo in apparenza per i miei fini particolari. E quando le mie azioni esteriori riveleranno l'intima natura e intento del mio animo, allora sì mi mostrerò col cuore in mano per darlo in pasto alle tortorelle. Io non sono quel che sono.’
Lo sguardo della ragazza si rivolse ora al suo interlocutore come a lanciare una tacita sfida.
‘Vesto così la mia nuda perfidia, con vecchi stracci carpiti a casaccio dai sacri testi e…'
‘Mostro d'esser pio quanto più mi comporto da demonio,’ concluse il dottor Harris, ‘sarebbe il mio turno, questo. Devo sempre ricordati di rispettare i turni. Uno alla volta’.
L’imperturbabilità del volto di Anne non fu scalfita da quel piccolo ammonimento e il suo silenzio valse come un assenso.
‘Mentre passeggi, leggi questo libro,’ iniziò il dottore, avvicinandosi agli scaffali, ‘L'ostentazione d'un tale esercizio può dar colore alla tua solitudine... Troppo spesso noi siamo biasimati in questo, ma è provato, arciprovato: viso compunto e atteggiamento pio riescono ad addolcire il diavolo,’ concluse, porgendole il volumetto come in segno di pace. Un’espressione compiaciuta gli rugò il volto, un tempo non appartenente a un uomo solo.
‘Egli legge molto; è un grande osservatore, e riesce a inquadrare bene le azioni degli uomini; non ama il teatro, come fai tu, Antonio, non ascolta musica; sorride raramente, e sorride come se beffasse se stesso e disdegnasse il proprio animo, perché si è persuaso a sorridere di qualsiasi cosa.’
Così dicendo, la paziente accolse il volumetto tra le mani. Iniziò a cercare fra le pagine ingiallite qualcosa, un verso, un dialogo, forse un’intera scena.
‘Tali uomini sono a proprio agio quando vedono qualcuno intorno superiore a loro e sono quindi molto pericolosi. Ti dico ciò che è da temere piuttosto che ciò che temo, perché sono sempre Cesare’.
Richiuse il libro, soppesandone il peso reale e il valore letterario. Non soddisfatta, ritornò a studiarlo. Aprì la prima pagina, recava come di consueto il titolo, il nome dell’autore, la casa editrice.
‘Ho sempre preferito Riccardo III’, disse, accarezzando il dorso rigido del libretto, ‘ma si tratta di una predilezione personale. Credo che mio marito disapproverebbe. La regina si lascia irretire da un re malvagio, deforme, fatto a metà, venuto al mondo anzitempo, dotato solo di arte retorica e nulla più. Giulio Cesare, questo è il dramma per eccellenza. Sembra che abbia un cuore volubile, incostante. ‘Fragilità, il tuo nome è donna’, mi sento spesso dire.’
‘Io mi sono ingannato fino ad oggi sopra la mia figura; s'ella mi trova, al contrario di me, un uomo di straordinario fascino. M'accollerò, costi quel che costi, la spesa d'uno specchio,’ recitò abilmente il dottor Harris, prendendo posto accanto alla sua ospite. Pochi istanti di muta attesa e le loro mani si strinsero, come anche i loro sguardi, e la scena ha inizio:

RICCARDO — Chi ti privò del marito, signora,
lo fece perché tu potessi averne
uno migliore.
ANNA — Migliore di lui
non ce n’è che respiri sulla terra.
RICCARDO — Vive e respira invece sulla terra
chi t’ama meglio ch’egli non sapesse.
ANNA — Dimmi il nome.
RICCARDO — Plantageneto.
ANNA — Ebbene,
era lui quello.
RICCARDO — Ha lo stesso nome,
ma è uno di natura superiore.
ANNA — Dov’è costui?
RICCARDO — È qui davanti a te.

[…]

ANNA — Egli è in cielo,
dove tu non sperar d’andare mai.
RICCARDO — Sia dunque grato a me
che l’ho aiutato ad andare lassù
se più a quel luogo egli era congeniale
che alla terra.
ANNA — Sì, come congeniale
ad altro luogo tu sei che l’inferno.
RICCARDO — Oh, un luogo diverso ci sarebbe,
se posso dirlo…
ANNA — Sì, una prigione,
o che altro?
RICCARDO — La tua stanza da letto.
ANNA — Non conosca riposo quella camera
ove giaci.
RICCARDO — Così sarà, madama,
finché io non mi giaccia insieme a te.
ANNA — Lo spero bene.
RICCARDO — Io ne sono certo.

[…]

ANNA — Vorrei poter discernere
quello che hai nel cuore…
RICCARDO — Il cuore mio
è tutto quanto nelle mie parole.
ANNA — Temo siano bugiardi l’uno e l’altre.

Il suono del campanello fu seguito da un incedere di rapidi passi. Il silenzio dello studio fu interrotto dall’entrata di Edward, così come la lettura mattutina del dottor Harris. Percorreva avanti e indietro la stanza, dimenandosi impazientemente.
‘È inconcepibile, Richard, assolutamente inammissibile’, ripeteva e andava su e giù, sedendosi e alzandosi, sbottonandosi la camicia e sciogliendo la cravatta.
L’ennesimo incontro con un regista del quale il dottor Harris ignorava il nome era la causa di tanta agitazione. Tutte le volte era così.
‘Stanno cercando qualcosa di più innovativo, meno accademico… troppo retorica, troppe parole…’.
Il dottor Harris ascoltò con benevola pazienza l’esplosione di insoddisfazione dell’amico. Lo fece accomodare, recuperò la sua giacca e anche la cravatta e nel mentre non cessava di seguire quella corrente inarrestabile di parole, l’una dietro l’altra. Il dottor Harris conosceva bene quella scena. Dopo una mezzora di concitate riflessioni sull’incompetenza di registi e produttori teatrali, Edward si abbandonava alla comodità della poltrona. Raramente necessitava di conforto, un conforto che trovava lentamente, guardando intorno a sé, ripercorrendo ogni singolo dettaglio dell’arredo. Era in quelle occasioni che riusciva pienamente ad apprezzare la sensazione di stabilità suscitata da una stanza sempre uguale a se stessa, mai diversa, immutata.
Eppure, qualcosa di inaspettato in fondo poteva sempre rivelarsi a uno sguardo più attento. Era il volumetto del Giulio Cesare, chissà come fuori posto, lì sul tavolino in vetro, che spiccava come un cimelio recuperato dopo molto tempo.
‘Shakespeare, eh?’ disse dando le spalle al suo interlocutore, ‘Lui sì che non mi delude mai. Potrei metterlo in programma l’anno prossimo. Anne me ne vorrà. Odia i drammi romani e questo testo in particolare. A tal proposito, sostiene sia io da biasimare dal momento che ne parlo continuamente.’
Iniziò a giocherellare con le pagine del libro, commentando il colore giallastro della carta, ma lodando comunque le condizioni del suo contenuto. Nemmeno una sottolineatura o un’annotazione fuggevole. Il libretto era immacolato, non fosse stato per un breve messaggio inserito a penna sul foglio di guardia: ‘Per Richard, A.’. Anche questa dedica concisa fu debitamente commentata. Una calligrafia poco attraente, minuta eppure irregolare, quella di una donna.
‘Ti invidio. Avere qualcuno col quale discutere del Giulio Cesare. Potrei seriamente chiedere a Anne di rivedere i termini della nostra vita coniugale?


storyteller lover

Piccola precisazione in chiusura:

Le citazioni desunte da 'Riccardo III' sono state prese dalla traduzione di Liber Liber, di cui vi lascio il link:
http://www.liberliber.it/mediateca/libri/s/shakespeare/riccardo_iii/pdf/shakespeare_riccardo_III.pdf

Le restanti sono desunte dalle traduzioni di G. Raponi ai testi di Shakespeare.


   
 
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