Questa storia partecipa allo ‘Shakespearean quotations contest – II Edizione ’ indetto da juliet_ (scadenza 30 aprile 2015), di cui vi lascio il link:
http://freeforumzone.leonardo.it/d/11015282/Shakespearian-quotations-contest-II-Edizione/discussione.aspx
Autore: storyteller lover
Titolo:
Giulio Cesare
Rating: Verde
Genere: introspettivo
Avvertimenti: Originale
Citazione scelta:
13. sorride raramente, e
sorride
come se beffasse se stesso e disdegnasse il proprio
animo,
perché si è persuaso a sorridere di qualsiasi cosa. (Giulio Cesare)
NdA: (facoltative) le
citazioni di Shakespeare che ho
inserito nella storia non sono frutto della mia traduzione, ma di altri
critici
e traduttori.
'Giulio Cesare'
La prima
moglie del dottor Harris aveva
arredato con meticolosa cura lo studio del marito al fine di farne un
luogo in
cui questi si sarebbe potuto sentire sempre accanto a sé. Chiunque vi
mettesse
piede per la prima volta non poteva non essere piacevolmente colpito
dall’armonia dei colori, dalla disposizione della mobilia e dai quadri
appesi
alle pareti. L’insieme non mancava mai di suscitare nell’ignaro
visitatore un
senso di quiete composta e ordinata, addirittura conciliante. Anche i
frequentatori più assidui non mancavano mai di rivolgere sguardi o
commenti di
ammirazione per un così spiccato gusto. Nel prendere posto alla
poltrona al
centro della stanza, era possibile contemplare il gioco di luci soffuse
delle
lampade a muro, mentre la scia di muschio bianco che emanava dalle
candele
poste tra i volumi della libreria incantava i sensi.
Inizialmente, la signora Harris
aveva scelto l’essenza di lavanda, ma si era dovuta arrendere
all’irremovibilità del marito. Insieme alla sua fragranza preferita
erano
state messe
da parte le fotografie del tanto sognato quanto breve viaggio di nozze,
i
centrotavola e persino il tavolino in mogano appositamente fatto
intagliare su
misura per lo studio. La scrivania avrebbe dovuto mostrare fieramente
una
cassettiera a doppio fondo e una regale abatjour in stile liberty,
quest’ultima
disdegnata a favore di una più funzionale lampada da tavolo
estremamente
minimalista. La cassettiera non poteva essere rimossa, o almeno era ciò
che il
fornitore aveva assicurato. Gli scaffali a muro portavano il peso di
volumi
accumulatisi sempre più prepotentemente nel corso del tempo, causando i
rientri
tardi e a volte persino inattesi di un marito alle prese con questioni
più
imminenti, se paragonati al colore dei tendaggi. Talvolta, poteva
trattarsi persino
di un romanzo così coinvolgente da trasportare l’uomo, insieme allo
scienziato,
in un altrove senza tempo e spazio.
Eppure, a quasi cinque anni di
distanza dalla separazione, non di rado accadeva che qualcuno, magari
un
parente, amico o semplice accompagnatore dei pazienti del dottor
Harris,
elogiasse la raffinata scelta della tappezzeria, l’abbinamento
cromatico o l’efficace
assetto di ogni dettaglio. Capitava a volte che dettagli evidentemente
in
risalto allo sguardo di un estraneo non fossero mai stati notati da chi
si
muoveva quotidianamente in quel comodo, ma pur sempre circoscritto,
ambiente. Ogni
riproposizione dell’effusione di ammirazione e delizia era
immancabilmente seguita
da un semplice ‘Mia moglie’, espressione volta a non suscitare
ulteriori
domande. Se, ciononostante, la conversazione di routine continuava a
muoversi
sullo stesso argomento, la strategia vincente prevedeva uno scambio di
battute
poco impegnativo, sorrisi formali ed espressioni di assenso poco
incoraggianti.
In un certo senso, era come se la signora Blanche Harris non avesse mai
messo
piede fuori dallo studio.
‘Dovresti assumere qualcuno così da
non doverti occupare in prima persona della questione,’ disse Edward,
esperto
di letteratura e amico fidato del dottor Harris. Sposato con una moglie
di
diversi anni più giovane, dispensava consigli sul ménage domestico
altrui, alternandoli
a proposte di lettura piuttosto raffinate. Era in quest’ultimo campo
che i suoi
suggerimenti risultavano essere più idonei. Sperava di raggiungere il
successo,
un giorno, non più come critico ma da vero cultore della scrittura. Era
sempre
stato un attore poco promettente, dunque perché non dirigere la scena
con la
penna invece che sul palcoscenico? La sua graziosa consorte lo
incoraggiava,
anche se a costo di vedergli fare la spola da un editore all’altro, da
una
città all’altra anche per tre fine settimana al mese.
‘Non ci vorranno più di due o tre
settimane per i lavori, al massimo quattro.’
Il dottor Harris finì di riporre al
proprio posto alcuni volumi, prestando attenzione a non urtare nessuna
delle
bomboniere o i vari ninnoli e ricordi di viaggio accumulatisi nel corso
di
circa dieci
anni da quando aveva aperto lo studio.
Dall’estate di qualche anno prima,
aveva iniziato a tenere corsi di teoria della critica psicanalitica
per gli studenti lettere,
lingue, traduzione. Era necessario che leggesse, pertanto, di
letteratura sia
straniera che non, contemporanea e moderna, e che programmasse un
percorso
logicamente strutturato dove a essere indagata non era la mente
dell’uomo
comune ma l’inconscio del testo e i suoi traumi. Non negava a se stesso
di
trarre maggior piacere dalla lettura che dall’insegnamento, pur dovendo
necessariamente conciliare le due cose.
‘Non credo che lo studio abbia bisogno
di essere arredato di nuovo.’
Il dottor Harris sembrava non aver
davvero preso in considerazione la proposta dell’amico, la quale si
ripeteva
ormai ciclicamente da qualche mese.
‘Il paziente non si trova nelle
condizioni di sapere ciò di cui avrebbe bisogno,’ lo incalzò Edward con
mal
celata ironia. ‘È un principio che persino le studentesse più inesperte
saprebbero citare senza alcuna esitazione, Richard’.
Il dottor Harris si limitò ad
ascoltare, fingendo di non aver colto la malcelata allusione sottesa
dalle
parole di Edward. Poco tempo prima di firmare i documenti per il
divorzio, Blanche
aveva palesato la convinzione di essere stata sostituita, probabilmente
da
qualcuno di più giovane, forse un’amante di libri e psicanalisi, magari
una
persona che avrebbe sicuramente condiviso l’interesse, a lei
sconosciuto, della
pagina stampata. Nonostante qualche rinvio, la separazione era stata
siglata per
via di profonde e insuperabili inconciliabilità di temperamento. Ciò
che
restava era un leggero alone di muschio che aleggiava in una stanza
dalle
pareti spoglie, nascoste da quadri e giochi di luce.
Quel venerdì pomeriggio la sala
d’attesa emanava un’ atmosfera di calma quiete. Se qualcosa si udiva
indistintamente, si trattava dell’assenza del chiacchiericcio sommesso
che
solitamente fa da sottofondo alle corsie ospedaliere. Tuttavia, non
così era
quel pomeriggio. Il silenzio immobile delle pareti bianche ammirava se
stesso
in tutta la sua trasparenza. Era come un’antica torre deserta,
infestata da uno
spiritello per il momento preda del sonno più profondo.
‘Anne’.
La mano destra del dottor Harris si
schiuse in un gesto di cortese invito.La figura si mosse solo allora,
insinuandosi silenziosamente in quel confessionale senza grata. Prese
posto al
centro della camera, fissando il proprio sguardo sui molteplici volumi
sugli
scaffali. Raramente accadeva che si rivolgesse subito al proprio
corrispettivo
in carne e ossa. Traeva, invece, un certo conforto nel constatare che
nulla era
cambiato dalla sua ultima visita. Qualche volume era stato aggiunto di
recente,
ma il tutto era sostanzialmente identico a come lo aveva lasciato il
venerdì
precedente.
‘Come procedono le tue letture?’
provò a chiedere il dottor Harris. I libri suscitavano sempre un
interesse
profondo nella giovane donna che gli stava di fronte. La sua attenzione
aveva
scelto come soggetto d’osservazione un libretto un po’ consunto, il
quale
sarebbe facilmente passato inosservato, non fosse stato per la evidente
differenza rispetto ai più spessi compagni, dalle copertine fiammanti e
più
accattivanti. Sembrava essere stato riletto di recente, dal momento che
sporgeva dalla fila di libri alla quale il genio ordinatore del dottore l’aveva destinato.
‘Giulio Cesare,’ disse, ‘se è il teatro che ti
interessa, consiglio
vivamente Otello o Riccardo III. Amleto è quasi
d’obbligo…’
‘Se io fossi il Moro, non vorrei
esser Iago. Stando al suo servizio, servo me stesso. Lo sa il cielo,
non è né
per amore né per dovere, ma solo in apparenza per i miei fini
particolari. E
quando le mie azioni esteriori riveleranno l'intima natura e intento
del mio
animo, allora sì mi mostrerò col cuore in mano per darlo in pasto alle
tortorelle. Io non sono quel che sono.’
Lo sguardo della ragazza si rivolse
ora al suo interlocutore come a lanciare una tacita sfida.
‘Vesto così la mia nuda perfidia,
con vecchi stracci carpiti a casaccio dai sacri testi e…
‘Mostro d'esser pio quanto più mi
comporto da demonio,’ concluse il dottor Harris, ‘sarebbe il mio turno,
questo.
Devo sempre ricordati di rispettare i turni. Uno alla volta’.
L’imperturbabilità del volto di Anne
non fu scalfita da quel piccolo ammonimento e il suo silenzio valse
come un
assenso.
‘Mentre passeggi, leggi questo
libro,’ iniziò il dottore, avvicinandosi agli scaffali, ‘L'ostentazione
d'un
tale esercizio può dar colore alla tua solitudine... Troppo spesso noi
siamo
biasimati in questo, ma è provato, arciprovato: viso compunto e
atteggiamento
pio riescono ad addolcire il diavolo,’ concluse, porgendole il
volumetto come
in segno di pace. Un’espressione compiaciuta gli rugò il volto, un
tempo non
appartenente a un uomo solo.
‘Egli legge molto; è un grande
osservatore, e riesce a inquadrare bene le azioni degli uomini; non ama
il
teatro, come fai tu, Antonio, non ascolta musica; sorride raramente, e
sorride come
se beffasse se stesso e disdegnasse il proprio animo, perché si è
persuaso a
sorridere di qualsiasi cosa.’
Così dicendo, la paziente accolse
il volumetto tra le mani. Iniziò a cercare fra le pagine ingiallite
qualcosa,
un verso, un dialogo, forse un’intera scena.
‘Tali uomini sono a proprio agio
quando vedono qualcuno intorno superiore a loro e sono quindi molto
pericolosi.
Ti dico ciò che è da temere piuttosto che ciò che temo, perché sono
sempre
Cesare’.
Richiuse il libro, soppesandone il
peso reale e il valore letterario. Non soddisfatta, ritornò a
studiarlo. Aprì la
prima pagina, recava come di consueto il titolo, il nome dell’autore,
la casa
editrice.
‘Ho sempre preferito Riccardo III’,
disse, accarezzando il dorso rigido del libretto, ‘ma si
tratta di una predilezione personale. Credo che mio marito
disapproverebbe. La
regina si lascia irretire da un re malvagio, deforme, fatto a metà,
venuto al
mondo anzitempo, dotato solo di arte retorica e nulla più. Giulio
Cesare,
questo è il dramma per eccellenza. Sembra che abbia un cuore volubile,
incostante. ‘Fragilità, il tuo nome è donna’, mi sento spesso dire.’
‘Io mi sono ingannato fino ad oggi
sopra la mia figura; s'ella mi trova, al contrario di me, un uomo di
straordinario fascino. M'accollerò, costi quel che costi, la spesa
d'uno
specchio,’ recitò abilmente il dottor Harris, prendendo posto accanto
alla sua
ospite. Pochi istanti di muta attesa e le loro mani si strinsero, come
anche i loro sguardi, e la scena ha inizio:
RICCARDO —
Chi ti privò del marito,
signora,
lo fece perché tu potessi averne
uno migliore.
ANNA — Migliore di lui
non ce n’è che respiri sulla terra.
RICCARDO — Vive e respira invece
sulla terra
chi t’ama meglio ch’egli non
sapesse.
ANNA — Dimmi il nome.
RICCARDO — Plantageneto.
ANNA — Ebbene,
era lui quello.
RICCARDO — Ha lo stesso nome,
ma è uno di natura superiore.
ANNA — Dov’è costui?
RICCARDO — È qui davanti a te.
[…]
dove tu non sperar d’andare mai.
RICCARDO — Sia dunque grato a me
che l’ho aiutato ad andare lassù
se più a quel luogo egli era
congeniale
che alla terra.
ANNA — Sì, come congeniale
ad altro luogo tu sei che
l’inferno.
RICCARDO — Oh, un luogo diverso ci
sarebbe,
se posso dirlo…
ANNA — Sì, una prigione,
o che altro?
RICCARDO — La tua stanza da letto.
ANNA — Non conosca riposo quella
camera
ove giaci.
RICCARDO — Così sarà, madama,
finché io non mi giaccia insieme a
te.
ANNA — Lo spero bene.
RICCARDO — Io ne sono certo
[…]
quello che hai nel cuore…
RICCARDO — Il cuore mio
è tutto quanto nelle mie parole.
ANNA — Temo siano bugiardi l’uno e
l’altre.
Il suono del campanello fu
seguito
da un incedere di rapidi passi. Il silenzio dello studio fu interrotto
dall’entrata di Edward, così come la lettura mattutina del dottor
Harris. Percorreva
avanti e indietro la stanza, dimenandosi impazientemente.
‘È inconcepibile, Richard,
assolutamente inammissibile’, ripeteva e andava su e giù, sedendosi e
alzandosi, sbottonandosi la camicia e sciogliendo la cravatta.
L’ennesimo incontro con un regista
del quale il dottor Harris ignorava il nome era la causa di tanta
agitazione.
Tutte le volte era così.
‘Stanno cercando qualcosa di più
innovativo, meno accademico… troppo retorica, troppe parole…’.
Il dottor Harris ascoltò con
benevola pazienza l’esplosione di insoddisfazione dell’amico. Lo fece
accomodare, recuperò la sua giacca e anche la cravatta e nel mentre non
cessava
di seguire quella corrente inarrestabile di parole, l’una dietro
l’altra. Il
dottor Harris conosceva bene quella scena. Dopo una mezzora di
concitate
riflessioni sull’incompetenza di registi e produttori teatrali, Edward
si
abbandonava alla comodità della poltrona. Raramente necessitava di
conforto, un
conforto che trovava lentamente, guardando intorno a sé, ripercorrendo
ogni
singolo dettaglio dell’arredo. Era in quelle occasioni che riusciva
pienamente
ad apprezzare la sensazione di stabilità suscitata da una stanza sempre
uguale
a se stessa, mai diversa, immutata.
Eppure, qualcosa di inaspettato in
fondo poteva sempre rivelarsi a uno sguardo più attento. Era il
volumetto del Giulio Cesare, chissà come fuori posto,
lì sul tavolino in vetro, che spiccava come un cimelio recuperato dopo
molto
tempo.
‘Shakespeare, eh?’ disse dando le
spalle al suo interlocutore, ‘Lui sì che non mi delude mai. Potrei
metterlo in
programma l’anno prossimo. Anne me ne vorrà. Odia i drammi romani e
questo
testo in particolare. A tal proposito, sostiene sia io da biasimare dal
momento
che ne parlo continuamente.’
Iniziò a giocherellare con le
pagine del libro, commentando il colore giallastro della carta, ma
lodando
comunque le condizioni del suo contenuto. Nemmeno una sottolineatura o
un’annotazione fuggevole. Il libretto era immacolato, non fosse stato
per un
breve messaggio inserito a penna sul foglio di guardia: ‘Per Richard,
A.’.
Anche questa dedica concisa fu debitamente commentata. Una calligrafia
poco
attraente, minuta eppure irregolare, quella di una donna.
‘Ti invidio. Avere qualcuno col
quale discutere del Giulio Cesare.
Potrei seriamente chiedere a Anne di rivedere i termini della nostra
vita
coniugale?
Le citazioni desunte da 'Riccardo III' sono state prese dalla
traduzione di Liber Liber, di cui vi lascio il link:
http://www.liberliber.it/mediateca/libri/s/shakespeare/riccardo_iii/pdf/shakespeare_riccardo_III.pdf
Le restanti sono desunte dalle traduzioni di G. Raponi ai testi di
Shakespeare.