La giovane donna
uscì a passo incerto
dall'edificio bianco che si stagliava imponente e minaccioso nella
periferia della città di Siviglia. Con una prima occhiata,
Julia
Benitez Rojas sarebbe potuta apparire come una delle tante ragazze
che si godevano una passeggiata sotto i delicati raggi del sole
primaverile.
Osservandola meglio, però, si notavano
alcuni particolari che tradivano una sorta di tristezza immensa; una
tristezza strana per una donna all'inizio di una gravidanza, come
testimoniava la curva morbida e arrotondata del ventre, che avrebbe
dovuto vivere il periodo più felice della sua vita. Il corpo
era
aggraziato, ma decisamente troppo magro e minuto. Sul viso
innaturalmente pallido spiccavano due magnifici occhi azzurri, che
erano però circondati da ombre scure, come se la donna non
avesse
chiuso occhi per mesi. Una mano scheletrica era appoggiata sul ventre
non con un gesto affettuoso, ma come se avesse voluto proteggere il
bambino a costo della sua vita; l'altra mano stringeva convulsamente
una voluminosa busta marrone, quelle utilizzate negli ospedali.
Julia tremava visibilmente, nonostante
il clima fosse tutt'altro che freddo. Si strinse addosso la
giacchetta di jeans e si diresse verso la stazione della
metropolitana. Fino a qualche mese prima non avrebbe mai potuto
immaginare quello che le sarebbe accaduto.
La sua vita, ripensandoci, le sembrava
un sogno in cui tutto era perfetto. Non doveva preoccuparsi di
niente, a parte dei banali piccoli problemi domestici, tanto
fastidiosi quanto innocui.
Si era laureata con il massimo dei voti
in una prestigiosa università recitativa.
Era stata assunta in un cast di una
fiction con un ruolo abbastanza importante.
Aveva programmato il suo matrimonio con
Diego, suo vecchio compagno di università, nei minimi
particolari.
Aveva scoperto con somma gioia di
aspettare un bambino.
Dopo un po', però, aveva cominciato a
sentirsi stanca, come se tutta l'energia le fosse defluita dal corpo,
lasciandola come un fantoccio vuoto e inanimato. Aveva cominciato a
dimagrire visibilmente; si era allora decisa a farsi fare delle
analisi per scoprire cosa le stava accadendo.
E poi, come ogni cosa troppo
perfetta, si era spezzato tutto, il mondo le era crollato
completamente addosso e ogni suo progetto era saltato. Giusto due
settimane prima una sola parola, un'unica terribile parola, aveva
infranto la sua felicità.
Cancro.
Ma quello non era bastato. Pochi
istanti prima, il medico le aveva dato un'altra terribile notizia.
Ogni sua parola, ogni suo gesto, ogni secondo le si era marchiato a
fuoco nella memoria. Ci ripensava con angoscia, avrebbe voluto
dimenticarsi tutto. Ma non poteva.
Il dottor
Bustamante le si avvicina
con un'espressione funerea sul volto di solito bonario. Si capisce
che sta per darle una cattiva notizia.
"Signorina, purtroppo abbiamo
notato qualche complicazione nello sviluppo del tumore." le dice mostrandole una serie di radiografie che aveva scattato poche
ore prima.
Il medico inizia a spiegarle lo
sviluppo e la cura della malattia con complicati termini scientifici.
Julia vorrebbe solo scoppiare a
piangere e urlare di stringere il discorso, di dirle subito quali
sarebbero state le conseguenze di quelle complicazioni. Ma si sforza
di ascoltare, di stare calma e respirare per trattenere il pianto.
Bustamante si interrompe un attimo,
si sfila gli occhiali e riprende a parlare: "Signorina, come sa,
lei è in stato di gravidanza. Nel caso decidesse di
abortire,
potrebbe sottoporsi alla chemioterapia e avrebbe un 40% di
possibilità di sopravvivere. Altrimenti può
scegliere di portare a
termine la gravidanza -a meno che non si verifichi un aborto
spontaneo- e di far nascere il bambino, ma lei morirà
sicuramente.
Se vuole abortire può farlo entro il quinto mese, quindi in
questi
tre può decidere con calma. A lei la scelta."
Julia china la testa. Non può più
impedire alle lacrime di traboccare dai suoi occhi e di rotolarle
lungo il naso affilato. Una le entra tra le labbra. Il suo sapore
salato copre per un istante l'amaro che ha in bocca.
Deve scegliere. La sua vita. Il suo
bambino.
In
metropolitana
una donna caritatevole, probabilmente mossa a pietà dalla
sua aria
malaticcia o dalla pancia appena sporgente, le aveva ceduto il posto.
Julia vi si era lasciata cadere borbottando appena un "grazie".
Con gli occhi
chiusi pensava alla terribile scelta che l'aspettava. Poteva decidere
se uccidere se stessa o uccidere suo figlio. Fino a quel momento non
aveva avuto nulla contro l'aborto, anzi, lo riteneva giusto in casi
molti gravi. Il suo si sarebbe potuto considerare un caso molto
grave, ma questo non le toglieva la sensazione che, se avesse preso
quella decisione, sarebbe diventata un'assassina.
Dall'altra parte,
però, era troppo giovane per morire. Aveva solo venticinque
anni, e
tutta la vita davanti a sè.
Sempre che la
chemio funzioni. In fondo hai solamente il 40% di
possibilità di
vivere... le disse una vocina maligna dentro la sua testa.
Quattro possibilità su dieci erano comunque di
più che zero.
Se fosse riuscita a
sconfiggere il tumore, avrebbe potuto sposarsi con l'amore della sua
vita, avrebbe potuto avere quindici figli, avrebbe potuto diventare
un attrice famosissima, come sognava da quando aveva cinque anni.
"Signorina,
sta bene?" Julia aprì gli occhi e sollevò lo
sguardo sulla
signora che le aveva ceduto il posto. Appariva lievemente
preoccupata.
La ragazza si
sforzo di sorridere: "Certo, tutto ok, grazie". Gettando
un'occhiata al cartellone delle fermate e scoprendo che avrebbe
dovuto scendere alla successiva, pensò a quella piccola
bugia appena
pronunciata. Voleva scoppiare a piangere e urlare a tutti che no, lei
non stava affatto bene. Le sembrava che un tarlo stesse scavando una
voragine nel suo cuore. Tutto a causa di quella fatidica e terribile
scelta.
Ma sarebbe sempre
vissuta nel rimpianto di non avere mai conosciuto quel bambino mai
nato. Sarebbe assomigliato più a lei o a Diego? Avrebbe
avuto gli
occhi neri e profondi come quelli del padre? E i capelli, sarebbero
stati rossi come i suoi? Quali sarebbero state le sue passioni, che
cosa gli sarebbe piaciuto fare? Quali ideali avrebbe avuto? Che
futuro avrebbe riservato la vita per lui?
Girando la chiave
nella toppa della porta di casa, la vocina maligna si fece di nuovo
strada nella sua mente: Se anche decidessi di farlo nascere,
non
potrai comunque conoscerlo fino in fondo: pochi mesi
dopo la sua nascita, se ti va bene,
sarai fredda e dura nella terra...
Be', ma almeno
Diego avrebbe potuto crescere suo figlio. E magari lei avrebbe
ottenuto il permessso di far loro una visita sotto forma di fantasma.
Avrebbe sussurrato a suo figlio parole dolci prima di andare a
dormire, per farlo dormire tranquillo. Gli sarebbe apparso in sogno,
lì l'avrebbe stretto tra le braccia e cullato delicatamente.
Julia si diresse
verso il bagno, accese la manopola dell'acqua calda nella doccia, si
spogliò e s'infilò sotto il getto d'acqua
bollente, che le
ustionava la pelle. Era stanca, probabilmente a causa della malattia,
quindi si sedette e si raggomitolò con le braccia strette al
petto e
la schiena appoggiata alla fredda parete piastrellata della doccia.
Fu così che Diego
la trovò due ore dopo, tornando dal lavoro. La pelle della
sua amata
era diventata color aragosta e tutta raggrinzita. La prese
delicatamente tra le braccia e l'avvolse nell'asciugamano di spugna,
strofindandola con dolcezza.
"Julia...
Julia... Che succede, Tesoro?"
La ragazza si
strinse al suo petto e sussurrò con voce flebile: "S-sono
s-sorte complicazioni nel cancro... D-devo decidere se tenere il
bambino o no. E nel caso in cui lo facessi nascere, morirei
sicuramente. I-io non so..."
"Be', è
chiaro, no?"
Julia, stupita,
guardò negli occhi Diego.
"Tu abortirai,
ti curerai e guarirai. Ti amo troppo, non posso sopportare di
perderti!"
La ragazza annuì
delicatamente: non aveva voglia di discutere. Nel frattempo,
però,
senti il cuore farsi più pesante. Il suo amore per Diego e
per il
bambino la portavano in due direzioni opposte, la vita (forse) e la
morte certa. Avrebbe avuto ancora tre mesi, tre mesi per quella
terribile e gravosa scelta.
Due
mesi...
Solo
più due mesi
per decidere se tenere la piccolina. Giusto il giorno prima aveva
scoperto tramite l'amniocentesi che si trattava di una femminuccia.
L'avrebbe voluta chiamare Felicitas, come avrebbe voluto che fosse
sempre. Felice.
Un
mese...
Perchè
stava
succedendo a lei? Si immaginava una lunga vita felice con Diego,
insieme avrebbero allevato Felicitas e magari un altro figlio, o
anche altri due o tre.
Ma non poteva.
Doveva scegliere.
La sua vita.
Felicitas.
Aveva litigato con
Diego su questo. Odierò questa bambina, mi
ricorderò sempre che è
per colpa sua che morirai. Aveva pronunciato quelle terribili parole,
ma Julia sapeva che non ci credeva veramente. Avrebbe di certo amato
sua figlia, in lei avrebbe trovato tante somiglianze con la ormai
defunta moglie.
Una
settimana...
Mancava una
settimana all'incontro con il medico dell'ospedale.
Doveva scegliere.
Doveva scegliere.
Doveva scegliere.
Aveva sentito il
cuore di Felicitas innumerevoli volte. Fin dall'inizio sapeva
inconsciamente che
cosa avrebbe scelto.
Non poteva
ucciderla.
La sua piccolina.
La sua Felicitas,
la sua felicità.
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Angolo dell'autrice
Buonsalve
a tutti! Mi sono cimentata nella scrittura di questa storia per il
contest "Un'idea, più storie".
Sono
in gruppo con: cimmucimmu e beatrice94 (perdonatemi, non so taggare).
La
consegna era di scrivere una storia nella quale un personaggio deve
rinunciare a qualcosa a cui tiene per fare del bene. Io l'ho
estremizzata un po'; infatti la protagonista è una giovane
donna
incinta malata di tumore che deve scegliere se tenere il bambino e
morire o se abortire e cercare di curarsi. Alla fine (con grande
dispetto della mia migliore amica) sceglie di far nascere suo figlio.
La
vicenda è ambientata in Spagna giusto perchè
volevo mettere alla
bimba il nome Felicitas. E sempre a proposito di nomi: in Spagna
c'è
la legge del doppio cognome, il primo della madre e primo del padre.
Per questo Julia si chiama Benitez Rojas.
Spero
solo che vi piaccia...
Alla
prossima
Sara