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Autore: Dusk_Moth    01/05/2015    1 recensioni
Armida aveva realizzato il suo sogno: era partita, era a Vancouver adesso, ed aveva il lavoro che desiderava da una vita.
Sei felice Armida? Le chiedevano
E lei rispondeva che sì, era felice. Presa dai ritmi frenetici del lavoro e dalle tante nuove conoscenze, non aveva motivo per pensare altrimenti.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Armida aveva realizzato il suo sogno: era partita, era a Vancouver adesso, ed aveva il lavoro che desiderava da una vita.

Sei felice Armida? Le chiedevano

E lei rispondeva che sì, era felice. Presa dai ritmi frenetici del lavoro e dalle tante nuove conoscenze, non aveva motivo per pensare altrimenti.

Ma la vita cominciò ad adattarsi alla nuova routine e i pensieri si impadronirono costantemente di quei pochi momenti liberi che poteva concedersi.

Pensava alla sua famiglia, ai suoi amici, al suo cane Thor, alla sua casa, alla sua città, alla sua collezione di fumetti dimenticata su una mensola nella confusione della partenza, alle foto che invece aveva fortunatamente ricordato di portare con se.

Armida amava fare foto, vedere come qualcosa di sfuggente ed effimero come un semplice istante di  vita potesse rimanere impresso per sempre sulla carta lucida. Se avesse potuto avrebbe fotografato ogni singolo attimo: voleva poter sempre ricordare il volto di una persona che non vedeva da tanto, un momento importante o anche solo le piccole cose di ogni giorno. Così scattava sempre un infinità di foto alle persone cui voleva bene, per poter imprimere ogni momento passato con loro.

Aprendo gli scatoloni che si era portata dietro, cominciò ad estrarle una ad una e ogni volta si perdeva ad ammirarle, ad osservare minuziosamente ogni più piccolo dettaglio, poi le riponeva con cura su di una mensola o sulla cornice del caminetto, sfoggiandole come fossero i suoi più importanti trofei.

Sulla prima che aveva trovato c’erano i suoi fratelli. Avevano litigato tanto, ma erano rimasti molto legati e cinque giorni dopo il trasloco se li era ritrovati davanti casa ed erano rimasti con lei per qualche mese. Fu doloroso separarsi, tanto che inizialmentei tre cercarono di dissuaderla dall’accettare il lavoro. Alla fine però si rassegnarono all’idea di lasciarla andare.

Altre foto, altri volti. Amici, parenti, conoscenti e un intero set di foto fatte al suo cucciolo Thor, un enorme alano che pesava molto più di lei.
Ne aveva trovate molte con i compagni di studi, fra loro anche Emile, un ragazzo francese che un estate aveva pagato per tutti i suoi amici una vacanza nella sua terra natale, facendo innamorare Armida di Parigi e anche di sè. Era durata poco fra loro.

Era stato un periodo magnifico quello, come non le capitava da tempo e si era divertita, si era divertita tanto. In una foto c’era anche Claudio, il ragazzo che lavorava con lei alla tavola calda quando nessuno dei due aveva abbastanza soldi per pagarsi gli studi e che la aiutava nelle materie noiose.

Continuò fino a quando le due grosse scatole non furono vuote. Fra tutti quei volti però ve ne era uno che non compariva mai, se non in una vecchia foto del liceo: Giuliano.

Armida non era mai riuscita a dare un nome al loro rapporto. Era iniziato tutto al terzo anno di liceo, all’inizio lei non gli dava corda ma poi poco a poco erano diventati buoni amici e si cercavano ogni giorno. Più avanti erano arrivati ad essere stretti confidenti: si raccontavano ogni dubbio, ogni paura, ogni segreto. Si consolavano a vicenda per i propri drammi e, quando tutto andava bene, amavano prendersi in giro l’un l’altro, tanto che molte volte la gente si chiedeva se stessero litigando davvero o fosse solo uno scherzo.

Purtroppo poi, come fu prevedibile, per Giuliano si trasformò in qualcos’altro e, se all’inizio lei si convinse che non era così, arrivò un momento in cui era inutile continuare a fingere. Le loro strade si separarono e Armida ebbe un tuffo al cuore. Qualcosa dentro lei si incrinò  quando si rese conto che non potevano più avere quello che c’era stato prima. Quando si erano rivisti, avevano stipulato un tacito accordo per provare a recuperare qualche briciola di quello che avevano perduto. Non fu facile, e sapevano bene che non sarebbe mai più stato lo stesso. Si erano spezzati il cuore a vicenda quella fatidica sera di agosto.

In un modo o nell’altro riuscirono a restaurare una parte del loro legame. Non si vedevano mai con costanza, a volte capitava che stessero insieme ogni giorno, altre volte non si sentivano per settimane intere, ma a loro andava bene così. Quando si vedevano parlavano e parlavano, solo che stavolta soppesavano bene ogni parola e un lieve timore sembrava aleggiare sulle loro conversazioni, per paura che anche una sola distrazione avrebbe potuto soffiare via quel sottile equilibrio.

Ma la crudele ironia del destino volle che stavolta fosse il cuore di Armida ad esigere qualcosa di più. La ragazza andò nel panico. Non voleva ferirlo di nuovo e non voleva ferire se stessa. Così, dopo mesi passati a struggersi fu il tempo a decidere senza che nessuno dei due se ne rendesse conto: gli anni del liceo erano finiti.

Come sempre succede, furono inutili le promesse di non perdersi di vista. Si scambiavano messaggi una o due volte l’anno, ma Armida non era ancora riuscita a sopire tutte le sensazioni che provava e così ogni volta che scorgeva il suo viso tra la gente, cercava di ignorarlo e cambiava strada. Tre anni dopo, Armida aveva già le valigie pronte per Vancouver. Giuliano non l’accompagnò all’aereoporto ma lei non se ne dispiacque; sapeva che non l’avrebbe fatto e sapeva anche che forse, agli occhi del ragazzo, le emozioni contrastanti che la divoravano da dentro erano fin troppo trasparenti, ma ormai aveva deciso e non avrebbe cambiato idea.

Si erano scambiati poche parole in quell’ultima serata, trascorsa a sorseggiare birra ghiacciata sulla spiaggia.

-          Non abbiamo nessuna foto insieme. – disse rompendo il pesante silenzio che si era creato.

-          Abbiamo quella vecchia foto di classe. – le aveva risposto lui fissando il mare.

Armida scosse la testa: non aveva smesso di pensarci un attimo.

-          Ho centinaia di foto con ognuno dei miei amici... solo conte non ne ho nessuna. –

-          Ma noi non siamo amici. – disse lui.

-          Cosa siamo allora? – 

Non ebbe mai una risposta a quella domanda.

-          Ti voglio bene. Non c’è bisogno di fotografie, lo sai meglio di me. Cosa credi, che dimenticherò tutti i tormenti che mi hai fatto passare solo perché non ho una foto? – Le sembrò di vedere un mezzo sorriso sul suo volto mentre lo diceva.

Armida accennò una risata a sua volta, quelle parole l’avevano un po’ rincuorata, anche se non sapeva bene come interpretarle.

-          Ti voglio bene anche io. – disse prima di alzarsi per tornare a casa.

Avrebbe voluto aspettare ancora un po’, parlare ancora con lui, abbracciarlo e dirgli che le dispiaceva e che non sapeva come avrebbe fatto senza averlo più accanto, ma non ci riuscì. Giuliano era l’unico che la conoscesse meglio di tutti, forse anche meglio di se stessa. Non c’era persona di cui si fidasse di più; mai a nessuno aveva voluto bene quanto ne voleva a lui e forse mai più ci sarebbe riuscita...

Le sarebbe piaciuto poter cambiare le cose, ma non aveva avuto il coraggio allora né lo avrebbe avuto mai. Avrebbe per sempre portato con sè questo rimorso.  Quando le lacrime premettero per scendere dai suoi occhi non si sforzo nemmeno di trattenerle. E una voce nella sua testa continuava a sussurarle crudelmente:

Sei felice Armida?

Beh, era tanto che non pubblicavo... Anche questa è una vecchia storia rimasta nascosta per anni! Non sono molto convinta quindi recensite per favore, ho bisogno di consigli! :D

   
 
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