Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Futeki    02/05/2015    0 recensioni
Mentre la primavera si fa strada a fatica tra i vicoli di El Raval, Leya rischia la sua vita per salvare quella di qualcuno a cui tiene. Ma quando giunge la sua ora, la Morte stessa, affascinata in qualche modo da lei, si rifiuta di portarla via con sé, dandole un'altra opportunità di portare a termine il suo lavoro. Tra le strade di Barcellona, la morte e il destino si intrecciano con le virtù e i sentimenti più umani: l'altruismo, il coraggio e l'amore.
[Storia partecipante ai contest: “I’ll look after you” indetto da Chloe R Pendragon sul forum di EFP; “Shakespearian quotations contest” indetto da _juliet sul forum di EFP; “Fantasy Contest - Alternative Route” indetto da Mokochan sul forum Torre di Carta e sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Le città dei maledetti'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

DUE

 

Continuai a seguirla pensando che fosse diretta a casa sua. Invece, lei proseguì per le strade di Barcellona fino a fermarsi di fronte a un ospedale. Entrò e rivolse un cenno di saluto a due infermiere che incrociò all’ingresso. Continuò indisturbata fino al terzo piano e aprì una delle porte che davano sul corridoio, senza neanche bussare. All’interno, un uomo era steso sull’unico letto della stanza. Rispettai la sua privacy – sentii la necessità di farlo – e rimasi fuori alla camera, tenendomi a distanza. Tuttavia, la sua voce giungeva chiarissima a me attraverso un piccolo spiraglio lasciato dalla porta socchiusa.

«Ciao Ric», salutò lei. Nessuna risposta. «Oggi stavo per uccidere due uomini», disse. «Ramon mi aveva affidato l’incarico, ma qualcosa è andato storto. Mi hanno sparato e ho creduto che sarei morta», s’interruppe. Attese in silenzio per qualche istante, poi ricominciò a parlare.

«Se potessi sentirmi forse mi diresti di non farlo. Ma in effetti se potessi sentirmi non ce ne sarebbe bisogno», rise piano, ma ebbi la sensazione che in realtà stesse piangendo.

«Farò sempre tutto il necessario per prendermi cura di te», disse. «Te lo giuro.»

Avevo sempre saputo che gli esseri umani erano pieni di contraddizioni, ma quella ragazza, Leya, era un misto così ben riuscito di forza e fragilità che quasi mi spiazzò. Era… interessante. Per la prima volta, un essere umano mi stava affascinando, al punto che forse avrei scelto di seguirla anche se non mi fossi sentito responsabile per la sua vita.

«Leya», la chiamò un’infermiera. Non mi ero accorto del suo arrivo. «È tardi, credo che faresti meglio ad andare.»

«Certo», disse lei. Dal luogo in cui mi trovavo, all’angolo del corridoio, non riuscivo a vedere l’interno della stanza, ma ero sicuro che neanche lei aveva sentito arrivare l’infermiera, assorta com’era nel racconto della sua giornata.

Sentii il rumore di una sedia che si spostava e quello di una porta che veniva chiusa con delicatezza. Poi aspettai che i passi di Leya mi confermassero che stava scendendo le scale e ripresi a seguirla.

Per un attimo, mi sentii in colpa a pedinarla in quel modo, ma poi mi dissi che siccome non poteva vedermi non avrei dovuto curarmene.

Uscì all’aperto e rabbrividì, nonostante l’aria non fosse particolarmente fredda. Mi parve in grado di percepire quel gelo che avevo creduto una mia semplice suggestione.

Riprese a camminare per le strade di El Raval e procedette per quasi mezz’ora tra i vicoli bui. Ebbi paura per lei e per me. Per lei, perché una ragazza che camminava da sola a quell’ora di notte poteva facilmente essere aggredita da malintenzionati. Per me, perché non potevo di certo permettere che le accadesse qualcosa di male, anche a costo di trascinare dall’altra parte qualcuno che invece avrebbe dovuto rimanere vivo. Avevo già infranto l’equilibrio spingendo lei verso la vita, quindi non mi spaventava affatto l’idea di rifarlo per mantenere le cose come stavano.

Per fortuna, non fu necessario. Giunse sana e salva di fronte a un palazzo che sembrava sul punto di crollare e si infilò nel portone. Io rimasi in strada con lo sguardo puntato verso l’alto, aspettando che una delle finestre che affacciavano su quel lato si illuminasse, sperando che casa sua non fosse dall’altra parte. Una luce si accese al quarto piano e, senza fermarmi a riflettere, salii le scale antincendio fino a raggiungerla e lanciai un’occhiata verso l’interno. La finestra era leggermente aperta e dava su una piccola camera da letto. Da una parte, una scrivania piena di libri occupava quasi tutta la parete, mentre dal lato opposto c’erano una porta e un armadio.

Leya aveva appoggiato lo zaino in cui c’era il fucile accanto al letto, poi era rimasta in piedi di fronte a uno specchio per sciogliersi con le dita sottili i capelli intrecciati. Fui assalito dal desiderio di toccarli. Mi guardai le mani. Più mi avvicinavo ai vivi, più acquisivo i loro impulsi, i loro atteggiamenti. Perché ero salito fin lassù per seguire lei? E perché avevo usato le scale quando non ne avevo bisogno? Perché desideravo di non essere incorporeo, di poterla toccare?

Un movimento all’interno della stanza attirò nuovamente la mia attenzione. Leya si stava spogliando, sfilandosi prima la giacca e poi la maglietta.

Assurdamente, una parte di me provò imbarazzo. Ancora più incredibilmente, un’altra parte di me provò il desiderio di guardarla ancora. Ero… curioso. E interessato.

A un certo punto, si voltò verso la finestra e vidi chiaramente un segno sulla sua spalla, proprio nel punto in cui l’avevo colpita per farla tornare alla vita.

«Tu!», esclamò lei. Sollevai lentamente lo sguardo verso di lei, poi mi voltai, aspettandomi di vedere qualcuno dietro di me, ma non fu così.

«Puoi vedermi?», le chiesi attraverso la finestra.

Lei boccheggiò. «Non sono mica cieca», disse infine. Poi parve rendersi conto di essere nuda e afferrò la giacca dal letto per coprirsi.

«Scusa per l’intrusione», dissi, ma non mi mossi di un millimetro. «Credevo non potessi vedermi.»

Come se questo mi giustificasse per averla seguita fino a lì e averla fissata mentre si spogliava.

«Chi sei?», mi chiese.

Evitai la domanda. «Ti fa male?», chiesi a mia volta indicando il segno che aveva sulla spalla.

Lei si guardò e scosse la testa. «Non mi ero neanche accorta di averlo. Sei stato tu?»

«A farti quello? Sì. Mi dispiace.»

Lei inclinò la testa e parve riflettere su qualcosa. Poi mi diede le spalle, si infilò la giacca che aveva tenuto stretta al corpo fino al quel momento per coprirsi e la abbottonò. Infine, tornò verso di me e aprì la finestra.

«Entra», disse. Obbedii e lei richiuse la finestra alle mie spalle, tirando anche le tende. Spostò la sedia che stava di fronte alla scrivania e la avvicinò al letto. Mi fece cenno di sedermi e poi si sedette a sua volta sul bordo del letto.

«Chi sei?», ripeté mentre io decidevo se sedermi o meno. Non ne sentivo il bisogno, ma in qualche modo mi sembrava giusto farlo. Alla fine, feci come aveva detto, se non altro per essere alla sua stessa altezza.

Leya stava ancora aspettando la mia risposta. «Sono un mietitore», dissi.

Lei sobbalzò leggermente, poi parve tranquillizzarsi, come se tutto fosse più chiaro dopo quella rivelazione. «Sono morta?», chiese.

Io avrei voluto rispondere che no, non era morta, che stava benissimo e aveva tutta la vita davanti, ma non era la verità. «Sì», dissi, «se puoi vedermi significa che sei morta. Ma non so come sia possibile che tu riesca ancora a interagire con i vivi.»

Lei si fermò a riflettere. Era affascinante il modo in cui inclinava la testa quando era perplessa o sovrappensiero. «Quando una persona muore, tu cosa fai?», chiese infine.

Sospirai. «Quando un’anima lascia il suo corpo, io la porto dall’altra parte, ma solo se succede qui a Barcellona. Nelle altre città ci sono altri mietitori.»

Lei sembrò affascinata. «Cosa c’è dall’altra parte?»

«Non lo so», risposi. «Non ci sono mai stato.»

«Hai detto che porti le anime lì», fece notare lei. «Non hai mai visto com’è?»

Non ci avevo mai pensato. Avevo sempre immaginato l’altra parte come qualcosa che in realtà non c’era. Era la non esistenza.

«No», risposi. «Io sono il tramite, ma le anime ci vanno da sole. Io resto a metà tra la vita e la morte.»

«Come ti chiami?», chiese lei ingenuamente.

Sorrisi. «Sono solo un mietitore», risposi.

«E se volessi distinguerti dagli altri? Hai detto che ci sono altri mietitori nelle altre città.»

Scrollai le spalle. «Sono la Morte di Barcellona.»

Lei tacque e io lasciai che riflettesse in silenzio.

«Vuoi uccidermi?», disse alla fine. «Cioè, portarmi dall’altra parte?»

«No, certo che no», mi affrettai a dire. «Ti hanno sparato su quel tetto, avrei dovuto farlo in quel momento.»

«E perché non l’hai fatto?», chiese lei.

«Perché tu hai detto che non potevi morire.»

«Immagino che lo dicano in tanti», replicò.

«Veramente no. Non mi era mai capitato che qualcuno mi rivolgesse la parola.»

Lei inarcò un sopracciglio. «Perché?»

«Quando arrivano da me, le anime di solito sono già… spente. Più morte che vive. Tu eri viva e non volevi morire. Per questo ti ho spinto. Mi dispiace per quello», mi scusai ancora indicando la sua spalla.

Lei scosse la testa. «Devo ringraziarti, invece», disse. «Non potevo proprio permettermi di morire.»

Io sorrisi. «Non potevi permettertelo

Lei annuì, ma non aggiunse altro.

«Com’è possibile che tu mi creda?», le chiesi. «Ho un aspetto umano, mi presento alla tua finestra dicendoti che sono un mietitore… e tu mi credi. Com’è possibile?», ripetei.

«Io ho sentito di essere morta», rispose.

Rabbrividii a quelle parole. C’era mancato così poco…

«Mi è facile crederti», concluse. Poi allungò una mano verso di me.

Il panico mi assalì. «Non toccarmi!», gridai.

Lei si ritrasse spaventata.

«Scusami», dissi. «Ho solo paura di quello che potrebbe succedere se mi tocchi. Di solito quando un’anima viene da me, mi basta toccarla per portarla dall’altra parte.»

«Ma tu mi hai rimandato indietro», disse lei. «E per farlo mi hai toccato.»

«Non so come ci sono riuscito», confessai. «Non sono sicuro di poterlo rifare.»

«Che mi succederà?», chiese.

Scossi la testa. «Non lo so.»

«E quando morirò?»

«Non so neanche questo. Non so nemmeno se morirai. Forse mi sono giocato l’unica possibilità che avevo di portarti dall’altra parte», confessai con una nota di disperazione nella voce.

«Potrei vivere per sempre?», chiese preoccupata. Era abbastanza saggia da sapere che non era un vantaggio.

«No, la morte del corpo arriva per tutti», la tranquillizzai.

«E la mia anima? Che succede se non la porti dall’altra parte?»

«Rimane sospesa», risposi, «tra la vita e la morte.»

«Come te?», chiese lei.

«Sì, ma è molto diverso. Io sono cosciente e posso muovermi, anche se sono incorporeo. Gli umani morti che non vanno dall’altra parte svaniscono come fumo e restano sospesi per sempre.»

«Ti è mai capitato?»

«Sì», risposi. «Qualche volta è successo. Alcune anime si sono voltate a guardare il mondo che si stavano lasciando alle spalle per troppo tempo, perdendo l’occasione di afferrare la mia mano e andare dall’altra parte. Quelle sono svanite semplicemente. Sono rimaste a metà.»

Ma perché le stavo raccontando quelle cose? Probabilmente la stavo solo spaventando. Quando sarebbe giunta la sua ora avrei fatto in modo che lei raggiungesse serenamente l’altra parte. Fino a quel momento, il mio obiettivo primario sarebbe stato tenerla al sicuro in vita.

«Succederà anche a me?», chiese. «Di restare… sospesa?»

«No», risposi convinto. «Non lo permetterò.»

Lei parve tranquillizzarsi.

«Oltre a me, chi altro può vederti?», chiese.

«Nessuno.»

«Devi sentirti molto solo.»

«Non ci avevo mai pensato prima d’ora», risposi sinceramente.

«Puoi aiutarmi?», mi chiese alla fine. «A uccidere quelle persone.»

Il candore con cui aveva pronunciato quelle parole contrastava incredibilmente con il loro significato.

«Proveranno a farmi fuori di nuovo, sono certa che uno degli uomini di Ramon fa il doppio gioco e ha avvisato Juan che lui ha mandato me a dare la caccia a due dei suoi.»

«Perché lo fai?», le chiesi. Lungi da me qualsiasi forma di moralità (restavo comunque un mietitore), ma visto che stava rischiando la vita doveva avere un motivo più che valido per farlo.

Lei distolse lo sguardo. «Mio fratello è in coma, ha bisogno di cure molto costose», spiegò.

«Mi dispiace», dissi, incapace di aggiungere altro.

Lei non replicò.

«Oggi ti ho vista in ospedale. Sei andata a far visita a tuo fratello, giusto?»

«Sì», disse lei. «Ho davvero bisogno di quei soldi. Mi aiuterai?»

Sospirai. «Come?»

«Puoi tenermi al sicuro impedendo che mi uccidano?»

«L’unico modo sarebbe quello di uccidere loro prima che feriscano te.»

E questo non avrei esitato a farlo anche se lei non me l’avesse chiesto. Quella ragazza mi aveva mandato completamente fuori di testa.

«Non vorrei arrivare a tanto», dichiarò. «Ma non ho altra scelta che provarci. Il tempo scorre e la vita di Ric è appesa a un filo.»

Non replicai. Qualunque decisione avesse preso, io avrei seguito il mio proposito di tenerla al sicuro, a qualsiasi costo.

«È meglio che ti lasci riposare», dissi a quel punto, alzandomi dalla sedia su cui ero rimasto seduto. «Se avrai bisogno di me ti basterà chiamarmi. Sarò qui nei paraggi.»

Lei sorrise. «Come potrei chiamarti se non hai neanche un nome?»

Non ci avevo pensato. Mi venne da ridere al solo pensiero. «Chiamami come vuoi.»

«Morte non mi piace.»

«Ma è quello che sono.»

«Per me sei stato la vita.»

Mi lasciò senza parole. Quanto avrei voluto poterla toccare…

«Resta qui e basta», disse lei.

«Hai bisogno di dormire», replicai.

«Tu no?»

«No.»

Lei rimase in silenzio. «Resta comunque», disse alla fine.

Sospirai e mi sedetti di nuovo sulla sedia di legno. Le sorrisi. «Dormi.»

Lei sparì in bagno per qualche minuto e ne riemerse con addosso una tuta, poi si infilò sotto le coperte e spense la luce.

«Puoi vedermi?», chiese lei al buio.

«Sì», risposi.

«Non è giusto», replicò riaccendendola.

Sorrisi. «Devi dormire e quando chiuderai gli occhi non mi vedrai comunque.»

«Promettimi di non sparire», disse.

Come avrei potuto? Non si rendeva conto di quanto aveva cambiato la mia esistenza?

«Te lo prometto», dissi.

Lei spense la luce.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Futeki