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Autore: shadow_sea    03/05/2015    2 recensioni
La romance fra il comandante John Shepard e Jack, narrata in pochi capitoli ambientati alla fine di Mass Effect 3, ma costituita prevalentemente da rapidi flash back. Un'interpretazione personale del finale di questa saga.
Avverto i lettori che il linguaggio utilizzato è quello di Jack.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Uomo, Jack, Liara T'Soni
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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6. Si svegliò di soprassalto

Si svegliò di soprassalto e capì di trovarsi semi sdraiata, con la testa appoggiata contro qualcosa di morbido e la faccia tutta bagnata di liquido. D'impulso cercò di asciugarsela con la manica dell'uniforme, terrorizzata dall'idea di essere ricoperta da sangue.
- Non muoverti, va tutto bene. Sei solo svenuta - fu la rassicurazione di Jack che passò ancora una volta un piccolo pezzo di stoffa inumidita sulla pelle del viso dell'asari.
- Dov'è la Normandy?
- Non è ancora arrivata - rispose l'umana, tornando a inquadrare con lo sguardo l'angolo di cielo dove pochi secondi prima aveva avvistato la sagoma agile di quello scafo.
- Provo a richiamarli.
- Sì - rispose Jack, cercando di non fissarsi sul raggio di luce rossa che aveva squarciato le tenebre esattamente là dove aveva visto sfrecciare la sagoma argentea della Normandy.
“Ha azionato il viva voce” realizzò con gratitudine, mentre la voce di IDA si spargeva nell'aria circostante.
- Siamo sotto attacco. Non riusciamo a sganciarci dal nemico, nonostante le manovre evasive. Sono in tanti, Liara. Credo siano in troppi...
- Non ascoltatela, maledizione. Tenete duro. Posso farcela. Noi possiamo farcela. Specie se IDA la piantasse di perdere tempo in chiacchiere! - ringhiò la voce di Joker.

Potevano solo aspettare. Liara prese a camminare nervosamente sull'asfalto attorno al comandante, mentre Jack rimase seduta in terra con gli occhi fissi là dove la Normandy si era mostrata brevemente. Non era più riuscita ad avvistarne lo scafo, ma sembrava che i raggi purpurei si fossero dati appuntamento in quella zona distante del cielo per dar luogo ad uno spettacolo che ricordava i giochi d'acqua di mille fontane.
Rimase con lo sguardo fisso, sollevato verso l'alto, per un periodo di tempo talmente lungo che Liara si immobilizzò e sollevò a sua volta il viso seguendo la direzione dello sguardo dell'umana.
- Per la Dea! - commentò fissando gli zampilli purpurei che sorgevano da ogni dove, rilucevano per istanti più o meno brevi e tornavano a sparire, come inghiottiti dalle tenebre. Ma il posto di quelli esauriti veniva presto occupato da raggi nuovi, diversi per intensità e durata, che sembravano intrecciarsi e poi tornare a dividersi. La prospettiva creava getti multipli tutti allineati oppure a raggiera, zampilli che sembravano inseguirsi così che uno nasceva là dove se n'era appena spento un altro. C’erano filamenti sottili che sembravano nutrirsi e crescere di spessore, fino a diventare così ampi e luminosi da eclissare i vicini più esili, ed altri che nascevano dal nulla, esplodendo con violenza inaudita per poi sfumare gentilmente come un arcobaleno che svanisca per un cambiamento nell’angolazione dei raggi solari.
- Speriamo che la Normandy non si trovi proprio lì - pregò ad alta voce Liara, riportando lo sguardo su Jack. Notò le sue labbra tremanti e i respiri affannosi del petto, la mano destra contratta sul fucile a pompa, con le nocche sbiancate, mentre l'altra grattava via l'asfalto dal terreno, spezzandosi le unghie. Notò tutto questo e smise di parlare e di pensare.
Entrambe sapevano che quella nave era l'ultima speranza e anche l'unica cosa che contasse per il comandante. Era impensabile immaginarlo su uno scafo diverso, pilotato da una persona che non fosse Jeff Moreau. Ma era quasi impossibile che potesse a scampare a quello scontro infernale. Solo la fuga poteva trarre in salvo quello scafo, ma nessun membro dell'equipaggio avrebbe mai accettato di abbandonare il comandante al suo destino, ora che lo sapevano ancora in vita. Shepard era la Normandy e la Normandy era Shepard. Era un connubio indissolubile, che nessuna entità aveva il potere di spezzare.

- Se mai usciremo vivi da questa guerra, cosa vorresti fare? - gli aveva chiesto appena sveglia poche ore prima, la mattina successiva all'ultima notte passata insieme nell'appartamento di Anderson, quando sapevano che quel giorno li avrebbe divisi e che solo un miracolo avrebbe potuto farli ritrovare vivi entrambi alla fine di quella guerra.
- Vorrei che fossero questi i colori di ogni mia alba futura - aveva mormorato John pigramente, passandole le dita sulla schiena e alitandole il fiato tiepido sul collo.
- Ti porterò via con me, fra i cieli infiniti, senza una meta precisa e senza battaglie disperate da combattere - aveva aggiunto con un sorriso quando lei si era girata ad abbracciarlo.
- La Normandy: il nobile destriero del mio principe azzurro... - aveva commentato, sentendosi riempire da una felicità calda e appiccicosa contro cui non si era ribellata, almeno non fino a quando lui non aveva rovinato tutto. Era stata la sua frase successiva a spezzare l'incanto.
- Magari proverei perfino a convincerti a sposarmi... Che ne dici? Avrei qualche speranza, Jaqueline? - le aveva sussurrato senza voce, continuando ad accarezzarle la pelle del collo con il fiato.
Aveva ridacchiato divertita, fino a quando l'espressione seria del suo viso le aveva fatto dubitare che si trattasse di un gioco.
- Dimmi che stavi scherzando... - lo aveva minacciato con voce tesa e poi era rimasta a fissare la sua espressione incerta, sicura che lui avesse capito di trovarsi in bilico sul ciglio di un baratro. La sua risposta si era fatta attendere a lungo, troppo a lungo.
- No - aveva ammesso alla fine, senza abbassare lo sguardo.
- Ce lo vedo proprio il mitico comandante Shepard che mette su famiglia - aveva sibilato con tutta l'ironia che le era possibile - E il mitico comandante Shepard vorrebbe fare questa stronzata proprio con me?
- Direi di sì...
- Vuoi davvero una risposta?
- No. Guardandoti bene direi di no... Magari facciamo passare qualche giorno, magari aspettiamo la fine di questa guerra...
- Sei uno stronzo bastardo! Un paladino di merda! Non ho bisogno della tua fottuta protezione. No, non provare a toccarmi, non voglio avere più nulla che fare con te! - gli aveva urlato contro, alzandosi dal letto di scatto per evitare di essere sfiorata dalle sue dita tese.
Era arrivata alla porta della stanza e si era rigirata su se stessa per sputargli addosso qualche altro insulto - E la tua Chakwas è una cagna fetente! Avete rovinato tutto, voi due figli di puttana!
Poi era corsa in bagno e aveva girato la chiave.
Lì dentro, al sicuro, si era accucciata in terra, sotto il getto della doccia, singhiozzando tutta la sua delusione. Aveva appoggiato la fronte contro le ginocchia piegate, lasciando che l'acqua continuasse a scorrerle addosso, per provare a lavar via anche tutta quella sofferenza.
La dottoressa le aveva fatto una promessa e lei si era fidata di quella cagna. E invece aveva spifferato tutto alla prima occasione. Non avrebbe mai potuto perdonarla per aver tradito la sua fiducia, né avrebbe potuto perdonare John per quella proposta 'riparatrice'. Non voleva la sua pietà. Avrebbe voluto poter continuare a credere di essere amata, non di essere compatita da un nobiluomo di altri tempi, pronto a sposarla per riparare a un errore.
Ma tutta la sua autocommiserazione non era durata a lungo, perché il comandante aveva fatto sentire la sua voce.
- Apri questa cazzo di porta. Aprila subito!
- Vaffanculo. Andate tutti a fare in culo! - aveva fatto appena in tempo a rispondere prima di vederselo piombare dentro il bagno in mezzo a frammenti di legno della porta.
L'aveva afferrata e tirata su, tenendola a mezz'aria contro la parete della doccia.
- Ora stammi bene a sentire - le aveva ordinato scuotendola come fosse una bambola nella mani di un bambino - Non me ne frega nulla se vuoi sposarmi o no. In ogni caso un semplice “no”, oppure un “no grazie” poteva bastare. Sei diventata completamente scema?
- Mi fidavo di te e della Chakwas. Ma non ci si deve mai fidare delle persone, perché se le fai avvicinare allora ti feriscono. Non sei diverso dagli altri, comandante, sei solo uno dei tanti stronzi che sono in circolazione. Anzi, sei peggio degli altri, con questa tua necessità del cazzo di riparare a ogni errore. Non ho bisogno di aiuto. Merda! Non siamo più nel medioevo da vari secoli, razza di idiota!
- Ma di cosa cazzo parli? Non capisco una parola. Mi vuoi spiegare?
Non gli aveva neppure risposto, limitandosi a fissarlo con disgusto e rancore, per niente divertita dall'immagine del mitico comandante Shepard che si inzuppava sotto la doccia vestito della sua uniforme migliore, quella che aveva ancora indosso dalla festa della notte prima.
Lo aveva scansato senza utilizzare i poteri biotici, pur consapevole dell'aura blu che le danzava attorno, per dimostrargli come lui non valesse neppure la pena di quel piccolo sforzo.
Era sicura che a quel punto l'avrebbe lasciata andare e così era accaduto effettivamente, fino a quando non aveva raggiunto la soglia ingombra dei frammenti di porta. A quel punto si era sentita afferrare per un braccio e tirare indietro.
- Smetti di dar fuori di matto e rispondimi - le aveva ordinato fissandola negli occhi, dopo averla spinta ancora una volta contro il muro per bloccarla, con una spalla premuta contro lo stipite della porta.
- Credo di aver finalmente capito. Guardami in faccia, Jack. Ma sei incinta?
L'uomo che aveva di fronte non rassomigliava affatto al comandante Shepard in quel momento: con i capelli bagnati, l'uniforme fradicia e i piedi nudi a mollo in una pozza d'acqua che si stava allargando sul pavimento, sembrava solo un ragazzo sperduto.
- Non è questo il momento che avrei scelto per diventare padre... - aveva commentato scuotendo la testa dopo averla guardata abbastanza a lungo da capire che la sua diagnosi era corretta.
- Mi spiace...
- Per la miseria, Jack! Come fai a dire sempre la cosa sbagliata scegliendo il modo e il momento peggiore? Spero che tu non dica sul serio e che non ti dispiaccia. A me non dispiace affatto, credo che ne sarò addirittura felice quando riuscirò a crederci, solo che... Non so. E' che il momento è un po' compl...
- E' che il momento è un po' del cazzo... - lo aveva corretto lei, tappandogli la bocca con la mano.
Lo aveva visto scuotere la testa con aria smarrita e aveva provato a consolarlo - Al momento c'è questa fottuta guerra da vincere, ma so che ci riusciremo. Perché ci guiderai tu. Però devi restare vivo, John. Per favore, non avrei nessuno con cui litigare di prima mattina - lo aveva pregato con un sorriso, sfilandogli di dosso la divisa fradicia.

Non si erano fatti domande. Sapevano entrambi quando era successo, perché una sola volta non erano stati attenti: la prima sera dopo l'attacco di Cerberus alla Grissom. Uno slancio inarrestabile di autentica impazienza e desiderio aveva colmato i primi minuti che avevano trascorso nella cabina sul ponte uno, privandoli di ogni altra sensazione e capacità, raziocinio compreso. Non si erano neppure spogliati completamente, né erano arrivati fino al letto.
E Jack ricordava bene quanto ne avessero riso, dopo, stupiti loro stessi dal bisogno impellente di ritrovarsi fusi insieme, vinti dalla necessità di cancellare in pochi istanti i lunghi mesi di lontananza e di dimenticare il resto del mondo.
- Ti ricordi cosa mi dicevi quando eri rintanata sul ponte secondario della sala macchine? - le aveva chiesto il comandante poco dopo, respirando ancora a fatica e tenendola stretta fra le braccia mentre la portava verso il letto.
- Ti dicevo un mucchio di stronzate...
- Il sesso è solo sesso - aveva continuato lui, citandola a memoria, mentre si lanciava sul materasso continuando a tenerla prigioniera in un abbraccio - Può essere dimenticato in una manciata di secondi, così come ci si dimentica di un panino mangiato distrattamente mentre si legge un libro o di una sigaretta fumata giocando a carte.
- Dimmi ora, Jack, quanto ci metterai a dimenticare un amplesso durato una manciata di secondi? - le aveva chiesto con aria divertita.
- Lo sai che non era sesso, brutto bastardo. Ma non mi freghi, non riuscirai a farmi pronunciare quelle stupide parole - gli aveva risposto sorridendo mentre gli baciava le labbra e sganciava i fermagli del colletto dell'uniforme.

La voce di Shepard che chiese distintamente – Cosa?... Dove sono? - riscosse le due donne che lo fissarono a lungo, sperando che fosse tornato cosciente. Ma presto scossero la testa scambiandosi un'occhiata delusa.
- Ok. Credo di potercela fare o almeno devo provarci - rispose Liara alla domanda inespressa presente nello sguardo di Jack.
- Abbraccia l'eternità.

Era certo che il bambino stesse provando a raggirarlo, forse addirittura a manipolarlo: l’antitesi fra i colori verde e blu da un lato e rosso dall’altro, insieme alle sue parole, tentavano di fargli cambiare la decisione che aveva preso fin dal primo momento, fin dall'inizio di quella guerra.
Quegli esseri, le Antiche Macchine, erano consce dell’avversione innata di ogni razza vivente al colore rosso, perché riflesso antico ed istintivo di un generalizzato processo di adattamento evolutivo al quale dovevano aver assistito fin dal primo ciclo di mietitura. Il rosso va evitato perché è sinonimo di minaccia, di pericolo.
La scelta blu voleva invece apparire rassicurante: richiamava il silenzio e la tranquillità dei cieli tersi. Era il colore della contemplazione e della spiritualità. Per alcune razze era il colore associato all'immortalità dell’animo. E proprio l’immortalità era il premio che lo aspettava per quella scelta, unita al potere assoluto di comando su ogni Razziatore. Ma non era affatto convinto: avrebbe dovuto credere alle parole di quel bambino, ma non aveva alcun motivo di fidarsi. Avevano manipolato Saren e l'Uomo Misterioso, ora stavano manipolando lui.
E più potenti ancora delle immagini evocate dal blu erano quelle associate al verde, che richiamava la natura e la rinascita, l’essenza interiore della vita stessa. Era il colore della speranza, dell’onestà e dell’equilibrio. Era il colore che permetteva di passare, di andare oltre, e che voleva suggerirgli la liceità di trasformare il mondo intero, giocando con gli esseri che abitavano la galassia stravolgendone l’essenza. Era la scelta che permetteva di creare una razza nuova, sintesi degli aspetti positivi di organici e sintetici. O magari degli aspetti peggiori di entrambi...
Proprio quel contrasto fra bene e male, fondato sul dissidio stridente fra quei tre colori, lo rendeva certo di un tentativo di indottrinamento da parte dei Razziatori.
Avevano già provato a spezzare la sua volontà appena qualche minuto prima, quando lo avevano costretto a uccidere Anderson. Non era stato l’Uomo Misterioso a costringerlo a sparare, erano stati i Razziatori.
Ma era lì che avevano commesso un errore, sbagliando a valutare le conseguenze di quell’atto che aveva compiuto contro volontà. Ora non si sarebbe lasciato abbindolare, non si sarebbe fatto distrarre, non avrebbe più abbassato la guardia.
- Si può sopportare solo un certo numero di morti - aveva confessato a Garrus in un momento di scoraggiamento profondo. E troppe altre si erano andate ad aggiungere al triste elenco, da allora: compagni d’arme e amici. Anderson era l'ultima goccia in un vaso già troppo colmo.
“Sono stanco. Troppo stanco per continuare a portare sulle spalle tutta questa sofferenza. Mi avete piegato e spezzato dentro. Mi avete vinto, ma trascinerò voi tutti all’inferno insieme a me”.
Passò in rassegna i tanti amici perduti e quelli che ancora combattevano e rimase assorto in quelle memorie così a lungo che il bambino lo esortò a prendere una decisione.
Lo fissò con odio, ricordando quante volte aveva provato a convincerlo che non sarebbe mai riuscito a salvare la galassia. In quel dannato incubo che aveva avvelenato le sue notti fuggiva sempre lontano da lui, rifiutando il suo aiuto, e alla fine gli moriva sotto gli occhi, senza lasciargli mai alcuna possibilità.
“Piccolo stronzetto falso e ipocrita” pensò, mentre la sua mano destra accarezzava la pistola.
Si era comportato in quel modo fin dalla prima volta, il bastardo, quando gli si era presentato davanti come un bambino in carne e ossa, apparentemente reale, ma solo a lui visibile. Era iniziato su Vancouver l'indottrinamento che stava ormai subendo da troppi mesi.
Se ancora non aveva fatto il primo di quei pochi passi che lo avrebbero portato al condotto energetico sulla sua destra, era solo a causa di Jack. Era più facile sacrificare se stessi che non un altro membro dell’equipaggio. Era sempre stato così per lui, e continuava a essere così anche in quegli ultimi attimi di vita.
Avrebbe voluto avere l’occasione per dirle un paio di frasi prima di sacrificarsi, anche se poteva immaginare quali reazioni avrebbero causato. Non sarebbe stata in grado di capire e probabilmente avrebbe dichiarato il suo amore e la sua disperazione affibbiandogli degli epiteti irripetibili.
Si sarebbe sentita tradita e non avrebbe mai potuto perdonarlo: le aveva promesso di tornare. La ferita che stava per infliggerle avrebbe lasciato una cicatrice che nessun tatuaggio avrebbe mai potuto nascondere, ma forse avrebbe potuto farlo la creatura che le cresceva in grembo. Sognò un bambino dagli occhi azzurri, un discolo che l'avrebbe fatta dannare perché avrebbe ereditato il carattere dei suoi genitori.
“Mi sarebbe bastato sapere che tutto quanto ho fatto finora renderà libera la galassia, ma sapere che questo mio ultimo sacrificio ti farà vivere come madre di mio figlio mi riempie di una gioia così immensa che non credevo avrei mai potuto provare”.
Strinse la pistola fra le dita e si avviò, finalmente felice, libero da rimpianti o desideri. La morte era facile, come il gesto di premere un interruttore che avrebbe posto fine ad ogni sofferenza.


Accadde tutto in pochi istanti, mentre l'attenzione della asari e tutti i suoi sensi erano monopolizzati dall'unione con il comandante, così che Liara non si rese conto di quanto stava accadendo.
Il suo factotum brillò nel buio e la voce di IDA avvertì che la Normandy era stata colpita. La sua ultima frase - Stiamo precipitando - risuonò nitidamente alle orecchie di Jack che istintivamente fissò lo sguardo verso il cielo buio.
Una stella cadente brillò alla sua sinistra, disegnando un arco lucente che si allungò morbidamente da sud verso nord. Splendida, nel suo colore rossastro, sfavillò a lungo, come volesse regalare il tempo necessario a formulare qualunque desiderio, anche il più complesso.
Inizialmente Jack immaginò che fosse stato il fragore assordante con cui quella stella aveva concluso la sua lunga corsa ad aver spinto Liara a interrompere il contatto con il comandante, poi notò l'espressione del suo viso e abbassò lo sguardo sul ferito, senza riuscire a vederlo all'inizio, con gli occhi ancora pieni dei riverberi dell'esplosione.
Il faretto che aveva sconvolto le due donne si era alla fine spento e restava solo buio e silenzio. Erano solo i singhiozzi dell'asari e i suoi respiri stentati a turbare la pace silenziosa di quella notte che già sfumava in un nuovo giorno.
Un'alba rossastra illuminava masse inconsistenti di esalazioni diverse all'orizzonte, facendone risplendere i bordi irregolari. Il sole terrestre continuava il suo percorso, del tutto indifferente alla tragedia che si stava ancora consumando sul suolo di uno dei tanti pianeti che gli giravano attorno.

Fu la prima luce incerta del mattino a illuminare il viso del comandante Shepard. Aveva gli occhi spalancati verso il cielo e un'espressione rilassata in volto. Un sorriso lieve, ma ben delineato, aleggiava sulle sue labbra pallide.
- Sembra sia felice - commentò Jack sistemando e ripiegando il giubbotto sulle sue cosce per farne un cuscino su cui appoggiò delicatamente la nuca del comandante.
- Sì, lo è - confermò brevemente Liara. Poi, nonostante le interruzioni dovute alle lacrime e ai singhiozzi, raccontò la favola del bambino fantasma che aveva affermato di essere il catalizzatore e delle proposte che aveva fatto al comandante.
Non usò molte parole per esporre le possibilità che aveva avuto a disposizione Shepard, ma si dilungò a raccontare le sensazioni che lei aveva provato di riflesso, nel vederlo estrarre la pistola dalla cintura e puntarla contro il condotto energetico alla sua destra, quello illuminato in colore rosso. Raccontò come i primi spari del comandante, incerti e faticosi, fossero diventati decisi e sicuri e come un senso di completezza l'avesse pervaso, colmandolo di una soddisfazione così pura e assoluta da assorbire in sé qualunque altra sensazione o emozione. E raccontò i visi che erano passati davanti ai suoi occhi prima della fine: Joker, al comando della sua nave, Anderson, se stessa e infine lei.
- Sei stata tu il suo ultimo ricordo, l'unico che ha fatto nascere una lacrima e procurato uno spasmo di dolore, ma anche di gioia pura. Ti ha visto con un bambino fra le braccia e in viso avevi un sorriso triste. Poi sono arrivate le visioni della galassia. Ogni cosa si è colorata di rosso e ogni Razziatore è stato distrutto. E il mondo è rinato dalle proprie ceneri, più forte e sicuro che mai. Prima di cessare di respirare ha immaginato tutte le razze esistenti unite nello sforzo di ricostruire tutto ciò che era andato distrutto.
- E la Normandy? Dov'era in tutto questo? - chiese Jack alla fine di quel racconto, rivedendo nella mente l'immagine della stella cadente.
- E' riuscita ad atterrare su un pianeta sconosciuto con due lune.
- E così hai avuto la tua fiaba, John, con il suo finale di rito - gli sussurrò all'orecchio, chinandosi su di lui.
- E la Normandy vera? Ci sono notizie? - chiese Liara.
- E' andata. E' caduta lì - rispose senza alzare il viso, rendendosi conto che non sentiva più alcun dolore; indicò con la mano la zona, poco lontana, dove la stella aveva concluso la sua traiettoria. Nonostante la luce dell'alba, spiccava nitidamente, illuminata dalle fiamme che avvolgevano il relitto dello scafo.
- Per la Dea! Non è possibile! Sono tutti morti... Tutti, tranne noi due?
Jack scosse solo la testa e sussurrò un breve - Non lo so.
- Cosa facciamo adesso? - fu la domanda successiva dell'asari a cui l'umana non rispose, restando con il viso nascosto contro la spalla di Shepard.
- Non riesco a credere che tutto quello che abbiamo fatto finora non sia servito a nulla. E' davvero possibile che sia tutto finito? Che ogni battaglia che abbiamo combattuto per giungere fino a qui sia stata vana? - chiese con un tono che dichiarava la sua incredulità. Vedendo che Jack continuava a non rispondere, né dava segno di averla ascoltata, le posò una mano sulla spalla e la scosse leggermente.
- Hai parlato di batterie, prima... Credi davvero che Shepard possa tornare a vivere? Credi che qualcuno possa ancora salvarlo? Forse posso controllare se qualche membro dell'equipaggio si è salvato, magari qualcuno ha fatto in tempo a usare una capsula di emergenza... Forse posso cercare aiuto, ma non so se sia il caso di lasciarti qui da sola...
Questa volta Jack sollevò il viso e scandì chiaramente - Fai quello che ti pare, Liara, ma maledizione... Stai zitta.
Poi tacque e tornò a chinare il viso sulla spalla del comandante.
L'asari avvicinò il suo factotum a quello della ragazza, trafficò su entrambi per qualche secondo e poi tornò a scostarsi - Così resteremo sempre in contatto. Appena tu parlerai io ti sentirò e viceversa.
- Allora... io vado - concluse infine alzandosi da terra, capendo che Jack non le avrebbe risposto.
Aspettò ancora per un po' un segno qualunque, poi si girò, cercando di non pensare al dolore che le martellava nel petto, e si incamminò verso il bagliore lontano, lasciandosi alle spalle una donna minuta, vestita di tatuaggi, che teneva in grembo un giubbotto di pelle sul quale sembrava dormisse l'uomo che entrambe avevano amato.
  
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