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Autore: Lady1990    03/05/2015    3 recensioni
Archibald è un ragazzino di quindici anni quando compie la scelta che gli cambierà la vita. Col passare del tempo, accanto al suo maestro, il signor Fires, scoprirà su cosa si fondano i concetti di Bene e Male, metterà in dubbio le proprie certezze, cercherà di trovare la risposta alle sue domande e indagherà a fondo sul valore dell'anima umana. Tramite il lavoro di assistente del Diavolo, riscuoterà anime e farà firmare contratti, sperimenterà sulla propria pelle il potere delle tenebre e rinnegherà tutto ciò in cui crede.
Però, forse è impossibile odiare il Bene e l'unico modo per sconfiggerlo è amarlo. Proprio quando gli sembrerà di aver toccato il fondo, la Luce farà la sua mossa per riprenderselo, ma starà ad Archibald decidere da che parte stare. Se poi si somma un profondo sentimento per il misterioso e affascinante signor Fires, le cose non si prospettano affatto semplici.
[Revisionata]
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Le mani di Samael scivolano veloci ed esperte sul mio corpo, facendomi sospirare. Le sue dita liberano i bottoni della camicia dalle asole senza movimenti superflui, mentre la sua bocca bacia e lecca il mio collo, spedendomi scariche di piacere dritte al basso ventre. Rabbrividisco e mi lascio accarezzare, conscio che potremmo riuscire a stabilire un nuovo record: dato che sono passati mesi dall’ultima volta che lo abbiamo fatto e siamo entrambi al limite, potrebbe durare pochissimo, basterebbe uno sfregamento di troppo. Nemmeno fossimo due adolescenti con gli ormoni a mille. Samael non sarà in grado di trattenersi a lungo, l’ho realizzato poco fa, appena mi ha sbattuto sul letto con forza e si è avventato sulle mie labbra come un lupo affamato. 
Prima che io possa anche solo pensare di reagire, i miei pantaloni sono già slacciati e con gesti bruschi mi sta scostando la biancheria per impugnare la mia erezione. Adoro quando è così passionale. Lo voglio da impazzire. La sua lingua cerca la mia, il suo corpo mi schiaccia sul materasso privandomi di ogni via di fuga, le sue iridi bruciano e mi divorano, pezzo dopo pezzo, e le sue mani si arpionano ai miei fianchi per coinvolgermi nell’ondeggiare ritmico del suo bacino. È eccitato da morire, sento il suo membro ancora rinchiuso nella prigione dei pantaloni che si struscia sulla mia coscia, impaziente di trovare sollievo. Le nostre bocche si intercettano di nuovo e affoghiamo nei nostri rispettivi sapori, intraprendendo una lotta di cui conosciamo ogni singolo passo. Affondo le unghie sulla sua schiena nuda e lo graffio per fargli capire quanto ho bisogno di lui. Samael afferra al volo il messaggio e con uno strattone mi spoglia della camicia, lanciandola poi in un angolo a caso della camera. Scende a mordermi una spalla strappandomi un gemito e i segni dei suoi denti mi provocano un piacevole formicolio. 
Il desiderio ardente che ci ha travolti da pochi minuti decide di esplodere del tutto in questo momento con una potente deflagrazione nei nostri cuori e ci infiamma come rare volte è capitato. I movimenti si fanno più febbrili e disordinati, tanto che senza volerlo finiamo per ostacolarci a vicenda a causa della foga. Gemo estasiato quando si china a suggere i miei capezzoli. Intreccio le dita nella sua chioma corvina e lo spingo verso di me, smanioso di essere mangiato e dilaniato dalle zanne che solo in questi frangenti protrudono dalle sue labbra. Allora è come se l’illusione di cui si riveste di solito si sciogliesse come cera a contatto con il fuoco e parte del suo vero aspetto emerge senza che lui possa controllarlo. Amo quei denti appuntiti che penetrano nella mia carne e vorrei tanto che qualche stilla di sangue sgorgasse dalle ferite per saziare la sua fame, ma purtroppo non sanguino più. Le mie vene sono vuote e all’interno non vi scorre più alcun fluido vitale.
I suoi artigli neri mi perforano l’esterno coscia e la violenza che esercita nella pressione è un chiaro segnale della sua frustrazione. Non impiega che una manciata di secondi per divaricarmi le gambe e caricarsele sulle spalle, per poi accucciarsi in mezzo ad esse e avvicinare la faccia al mio sesso, ancora parzialmente nascosto dall’intimo, deciso a regalarmi una temporanea soddisfazione. Non distoglie mai lo sguardo ferino dal mio, quasi in un implicito e osceno invito ad osservare quello che mi farà. Mi scocca un’occhiata talmente lasciva che mi fa rimescolare peggio di una ragazzina. Mi sollevo sui gomiti ed alzo la testa per guardare meglio mentre mi lecca sotto l’ombelico e bagna quella striscia di pelle con generose lappate. Soffoco per miracolo il grido che mi sale improvviso su per la gola: sa che quella zona è il mio punto debole e basta uno stimolo assai leggero per condurmi vicino al baratro. Lo fisso con aria vacua, ma successivamente la mia attenzione si focalizza sul mio stesso torace. Con stupore mi rendo conto che è costellato di morsi a forma di ellissi: i marchi delle sue zanne sono piccoli cerchietti grigiastri, insopportabilmente bollenti, da cui si irradia un bruciore che mi fa fremere e ansimare, in preda ad una soffocante impazienza che non riesco a gestire.
“Sam… presto!”
Tuttavia, contro ogni più remota aspettativa, lui si ferma di colpo ed emette un ringhio roco.
“Così non va.” dichiara. 
Il timbro della sua voce mi paralizza di paura, perché è quello che usa quando è furioso. Negli ultimi giorni mi è accaduto di udirlo spesso e non mi piace per niente. È una voce che sembra provenire dalle viscere dell’Inferno, capace di far vibrare ogni muscolo, nervo e cellula, tanto inquietante che pare grondare potere liquido e ustionante.
“C-che…?”
Gira di scatto il capo e guarda in basso, verso la sponda del letto.
“Vattene, dannato pollo!” sputa minaccioso.
Sbigottito, seguo la direzione dei suoi occhi e mi imbatto in due iridi bianche, coperte da qualche ribelle ciocca rossa: l’angelo è accovacciato sul pavimento, con le mani strette alle lenzuola e un’espressione da cucciolo bisognoso di coccole. Solo la fronte, gli occhi e il nasino all’insù spuntano dal bordo. Con un paio di orecchie pelose e una coda potrebbe benissimo passare per un cane scodinzolante, felice di essere stato notato dal padrone, che sarei io. Al posto della coda, però, ha le ali, che sbatte giusto un pochino e in maniera frenetica: Samael mi ha detto che è il suo modo per manifestare gioia. Quasi quasi gli compro un osso, così vediamo se va a rosicchiarlo da un’altra parte e mi lascia in pace a scambiare effusioni spinte con Samael. Diavolo, mancava così poco!
Mi isso sui gomiti e mi sporgo appena, colpito da una rivelazione: quando è entrato? Sono certo che Samael abbia chiuso a chiave quando mi ha trascinato in camera, ho udito lo scatto della serratura! Bah, evidentemente, una semplice porta non è sufficiente a tenerlo fuori. Ha un futuro da scassinatore, poco ma sicuro. Forse dovrei domandare al maestro di predisporre qualche incantesimo repellente sulla soglia.
Mi accascio sul materasso con un sospiro stanco, d’un tratto svuotato, e mi sforzo di ignorare quei due che si azzuffano e distruggono l’appartamento, che è già in cattivo stato a causa loro. Torno a sdraiarmi comodo sul letto e mi incanto a contemplare le crepe sul soffitto con le mani poggiate mollemente sullo stomaco e le caviglie accavallate, chiedendomi sconsolato per quanto ancora io e Samael saremo obbligati dal fato a condurre la vita dei frati. Insomma, non ci si addice per niente.

Cammino tranquillo sui tetti delle case, buttando di tanto in tanto un’occhiata in basso, per vedere come se la passano quei quattro mortali che ancora se ne vanno a zonzo alle tre del mattino, per lo più turisti americani ubriachi fradici appena usciti da qualche pub. Scuoto la testa e sbuffo seccato. Si può sapere cos’hanno questi americani? Il novanta per cento delle volte che li scorgo per strada sono sbronzi e l’altro dieci per cento stanno scattando fotografie, facendo sciocchezze o mangiando gli hamburger di McDonald’s. Bah, quando mi capita di avere a che fare con gente così, sono fiero delle mie origini britanniche. Lunga vita alla regina!
Continuo sul mio percorso, una mano in tasca a giocherellare distrattamente col portachiavi di Marco. I miei pensieri volano a Samael e all’angelo, che ho lasciato a litigare a casa. Infatti, dopo l’ennesima colluttazione, qualcosa come la quarta della giornata, ho sbottato e li ho rimproverati come farebbe una mamma con i figlioletti discoli. È stata una reazione che ha sorpreso anche me, a dire la verità, perché mai mi sarei sognato che un giorno avrei redarguito il maestro per qualcosa. Cioè, è stata una cosa alquanto surreale. Pure lui ci è rimasto di stucco ed è ammutolito di colpo, con le mani ancora ben strette sul collo dell’angelo. Non ha risposto, mi ha solo fissato con tanto d’occhi, ascoltando la mia sclerata senza battere ciglio. E nel momento in cui ho afferrato cappotto e valigetta e sono uscito lui non mi ha fermato. Non ce la facevo più a stare in mezzo al caos. Sono contento che Samael non mi abbia seguito, ho bisogno di restare da solo per un po’ per sfogare lo stress e l’unico modo per farlo è riscuotere qualche contratto: gettare le anime dannate nella bocca dell’Inferno mi rilassa e mi appaga in una maniera che non so descrivere.
Per esempio, circa un paio d’ore fa, ad un certo punto mi sono ritrovato coinvolto in una rissa con due teppisti adolescenti, che proprio non ne volevano sapere di arrendersi e consegnarsi all’Inferno. Hanno continuato per un bel pezzo a blaterare roba del tipo che non erano pronti, che erano ancora giovani, che erano disposti a pagare qualsiasi somma per essere risparmiati, che non poteva finire proprio adesso che avevano ottenuto il rispetto di altre bande rivali, che dovevo sparire o mi avrebbero impallinato, eccetera eccetera. Quindi, come da prassi, ho proposto ad uno di sacrificare la fidanzata, di cui era molto innamorato, e all’altro di fare la medesima cosa col fratellino di sette anni. Quello con la fidanzata ha accettato ed ha ricevuto una proroga, mentre il secondo si è rifiutato ed è stato risucchiato dentro il portale. Ma insomma, se sai che il periodo in cui potevi spassartela è giunto al capolinea, perché intestardirti a imbastire scuse talmente ridicole da suscitare pietà? Seppur non quella pietà che è sinonimo di compassione. Cioè, ci fai solo una figura patetica. Accettalo e basta, cavolo, e poi… beh, poi vai all’Inferno! 
Non importa, ora ho decisamente questioni più urgenti di cui occuparmi, come scoprire chi è quell’angelo che ci è piombato fra capo e collo. Il comportamento del maestro è sospetto e non posso che pensare che lui sappia qualcosa che io non so, anche se finora non sono mai riuscito a scucirgli di bocca informazioni utili. E poi perché il pennuto ha detto di conoscermi? E, notare, l’ha detto a Samael, non a me. A me non parla, non mi rivolge la parola, solo cenni. Comunque, sono più che sicuro di non averlo mai visto in vita mia, mi ricorderei di una faccia così singolare.
Sospiro e sollevo la valigetta, per vedere quanti contratti restano da riscuotere. Con mio sommo stupore mi accorgo che non ce ne sono più. Ho finito e nemmeno me ne sono reso conto, assorto com’ero in riflessioni filosofiche. Magari Samael sarà fiero di me e per premiarmi mi comprerà un’altra torta, che, giuro, proteggerò a costo della vita dalle grinfie del pollo. Va bene una volta, ma la seconda lo azzanno se solo osa avvicinarsi.
Spicco un salto e atterro su un altro tetto, quando avverto un improvviso spostamento d’aria alle mie spalle. Mi volto di scatto, con i sensi vigili e pronti all’azione. Non mi farò infilzare di nuovo da un maledetto bastone come uno spiedino.
“Ciao, Alastor!”
Mi rilasso e restituisco il saluto: “Ciao, Andras. Come stai?”
“Bene, grazie. Tu? Come ti senti?”
“Bene. Sono in piena forma.” sorrido nervoso.
“Fantastico.”
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, senza sapere cosa dire. D’altronde, Samael mi ha riferito di aver raccontato ad Andras la verità su di me e non so come un “esterno” potrebbe prendere una notizia simile. Un conto è il maestro, che conosce i fatti sin dall’inizio, un conto è un demone estraneo, che magari ha delle idee… conservatrici sulla propria razza. Non so se Andras mi guarderà con disprezzo d’ora in avanti. E se tentasse di uccidermi? O di mangiarmi?
“Beh?” lo esorto con un cenno del capo, costringendo i miei piedi a restare ben ancorati sulle tegole.
Mi sto facendo violenza per reprimere l’impulso di scappare come un coniglio, ma non voglio mostrarmi debole. 
“Quindi…” si fa serio, distoglie lo sguardo e infila le mani nelle tasche dei jeans, “eri umano, eh?”
Rilascio un profondo sospiro e mi gratto la nuca.
“Per me non c’è problema, Alastor, davvero.” mi rassicura, “E capisco perché tu mi abbia mentito. Se fossi stato nei tuoi panni, avrei fatto lo stesso. Sei sempre stato sulla difensiva con me e finalmente adesso ne comprendo la ragione. Non ti farò del male, l’ho promesso a Samael.”
Le sue parole mi provocano un’insperata onda di sollievo, ma nonostante ciò non riesco ad abbandonare la posa rigida che ho assunto.
“Mi dispiace, Andras, non potevo fare altrimenti.”
“Lo so.” accenna un sorriso.
“Ci sono ancora molte cose che ignoro sui demoni e non ho mai idea di come debba comportarmi con gli sconosciuti, cosa dire, cosa fare… a parte non accettare caramelle.” ghigno appena, “Insomma, non mi sento mai del tutto a mio agio. Ah, però sto facendo un discorso in generale quando in realtà, oltre a te, ho conosciuto solo un altro demone, tanti anni fa. Perciò, ecco, io…”
“Alastor, non devi scusarti.” dice con fermezza mentre si avvicina, “Capisco, accetto e dimentico. Ok?”
“Non ti mette a disagio? Il fatto che la mia matrice sia umana, intendo.” insisto.
“No, per nulla. Non nascondo che sono molto curioso, ma non ti temo. Non ti considero neanche una preda. Cioè, se ti divorassi, mi attirerei addosso l’ira di Samael e senza dubbio ci rimarrei secco. Però non è che non ti mangio solo perché ho paura di Samael. Piuttosto non lo faccio perché siamo diventati amici, mi piace chiacchierare con te, ridere con te e salvarti da morte certa.” scrolla le spalle e stavolta mi scocca un sorriso gentile, che mi aiuta a sciogliere i muscoli contratti per via della tensione.
Sbuffo con l’intenzione di apparire scocciato, ma non riesco a mascherare il divertimento.
“Alastor… siamo amici, vero?” domanda titubante.
“Sì. O meglio, adesso lo siamo veramente, dato che conosci il mio segreto.” abbozzo un sorrisino.
Fa una smorfia soddisfatta: “Bene. E l’angelo? Ci sono novità? Lo avete ucciso?” 
“Sam vuole fare delle sue ali dei cuscini.”
“Approvo. Saranno morbidissimi.” annuisce solenne, poi sembra registrare il significato della mia frase, “Aspetta, è ancora vivo?!”
“Già. Abbiamo deciso di tenerlo con noi e aspettare la sua Caduta.”
“Oh, capisco.”
“Andras, permetti una domanda?”
“Certo.”
“Che diavolo ci fai qui?”
“Niente, bighellonavo un po’ in giro.” risponde di getto, forse troppo velocemente.
“A-ha. Certo. Fammi indovinare: Samael ti ha ordinato di farmi da guardia del corpo.” affermo sicuro, con le palpebre a mezz’asta e un’aria seccata.
“Scusa. Non posso oppormi, lo sai.” 
“Tch.”
“È preoccupato per te.”
“Grazie, lo so.” borbotto incrociando le braccia sul petto.
“No, non capisci. Sei una preda facile, Alastor, non avresti possibilità contro gli Spennati e ne hai avuto la prova concreta. Sei più forte di qualsiasi umano, non posso darti torto, ma sei anche assai più debole di qualsiasi demone degno di questo nome. Non puoi difenderti da solo.”
“Ho ucciso un Exurge Domine a Notre-Dame, qualche anno fa. L’ho incenerito con un vortice di fiamme nere.” lo correggo, ma non posso fare a meno di mettere il broncio, “Non sono così inutile.”
“Quello è stato un caso isolato. Samael me lo ha raccontato, so come sono andate le cose. Magari hai le potenzialità, ma sei ben lungi dall’essere in grado di affrontare un nemico di quel calibro. Quindi smettila di fare il bambino e accetta il mio aiuto. Al massimo, pensala come un amico che ti tiene compagnia, qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere leggere. Non ti intralcerò durante il lavoro, anzi, se me lo chiedi potrei aiutarti come ho fatto l’altra volta.”
Esalo un sospiro stanco: “No, hai ragione. Sono uno stupido. È che… mi pesa non essere capace di difendermi. Ho sempre bisogno della balia, per intenderci. È frustrante. Vorrei imparare ad essere più indipendente, così da non essere più un fardello per Samael, ma non so come fare per liberarmi della mia umanità. L’ho respinta in una parte remota di me, però non sono riuscito ad eliminarla del tutto. È ancora presente, lo sento.”
Artiglio la stoffa del cappotto all’altezza del cuore e mi stringo nelle spalle.
“Forse è solo questione di tempo.” cerca di consolarmi Andras, “Forse tra qualche anno potrai vantarti di essere diventato un demone completo.”
“Lo spero tanto.” mormoro a capo chino.
Una raffica di vento gelido mi scompiglia i capelli e mi accarezza le falde del cappotto, facendo mulinare nell’aria qualche sacchetto di plastica e qualche cartaccia abbandonata sul marciapiede. C’è silenzio, tranne che per delle deboli risate provenienti da qualche parte, in lontananza. Le porte delle case sono sigillate, le finestre sprangate e buie. È uno scenario monotono, il medesimo di ogni notte. Ammirando questo paesaggio desolato mi sento un po’ abbattuto, soprattutto se lo metto a confronto con quello parigino e londinese, pieni di stimoli e distrazioni interessanti. Firenze non è una metropoli, sempre in fermento a qualunque ora, e la differenza si vede. Confesso che mi manca passeggiare accanto alla gente, ascoltarne l’allegro cianciare e confondermi tra la folla come un normale cittadino. La mia esistenza è diventata quella di un emarginato, alla stregua di un barbone rivestito da uno spesso mantello magico, che lo rende invisibile e lo ripara dallo sguardo delle persone come una madre iperprotettiva. Mi sento escluso dal mondo. A conti fatti, checché se ne dica, l’uomo è un animale sociale e, nonostante io non lo sia più, ho conservato qualcosa della mia perduta umanità, come un irriducibile baluardo a cui, forse, non ho mai davvero voluto rinunciare. Voglio calore, contatto, voglio essere parte di un gruppo, di una comunità. Ne ho piene le scatole di starmene per conto mio, anche se Samael riesce a stemperare puntualmente questa sensazione di angoscia senza fare alcunché, è sufficiente che entri nel mio campo visivo. È il mio irriducibile faro, che risplende nel mare di tenebra che mi circonda, e come un naufrago mi aggrappo a lui con le ventose, mi abbarbico con la stessa virulenza di un polpo che arrotola i tentacoli intorno al braccio e non si stacca più, allo stesso modo di una colla super appiccicosa o di un adesivo che rifiuta di staccarsi dalla superficie che ha scelto. 
Ho paura della solitudine, eppure non dovrei sentirmi così. C’è Andras, adesso, e Samael è sempre con me, non mi lascerà mai. Poi è arrivato anche l’angelo a movimentare la nostra routine, perciò è assurdo credere di essere solo. Tuttavia, non è una solitudine legata alla materialità, è piuttosto un concetto astratto. Mi sento solo in senso lato, direi, tipo l’ultimo sopravvissuto della mia specie, benché io non abbia una specie di appartenenza.
Beh, per oggi non mi va più di lavorare. Sono esausto, psicologicamente parlando. E, non meno importante, sono in astinenza, la qual cosa mi provoca stress, malumore e nervi a fior di pelle. In breve, divento scontroso, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Appena torno a casa voglio fare sesso con il maestro, a tutti i costi. Mi manca terribilmente condividere un po’ d’intimità con Samael e il minuscolo assaggio di poche ore fa non mi è bastato. Sì, chiuderò l’angelo in bagno e dirò a Samael di erigere una barriera magica, in modo che quel maledetto polipo piumato non esca neanche per sbaglio per venire a romperci di nuovo le uova nel paniere. 
“Alastor?”
“Mh?” mi riscuoto dai miei pensieri.
“Fino a un attimo fa avevi uno strano sguardo assente. Tutto ok?”
“Sì… ascolta, torno a casa. Non disturbarti ad accompagnarmi.”
“Sai benissimo che ti seguirò comunque da lontano.”
“D’accordo, fai come vuoi.” 
Liquido Andras con un gesto vago della mano e comincio a correre in direzione dell’appartamento, senza badare alla sua presenza costante che mi sta incollata alle costole. Non è che mi dispiaccia averlo intorno, sia chiaro, ma mi dà noia sapere che è stato Samael ad ordinargli di pedinarmi e non perdermi mai di vista. Questo implica che Samael in persona non ha fiducia nelle mie capacità, che mi reputa un novellino buono a nulla. Beh, anche se fosse, perché dovrei fargliene una colpa? Sono consapevole dei miei limiti e delle mie debolezze. Però il rimarcarle in questo modo mi fa sentire inadeguato. Forse non riuscirò mai veramente a fare parte del mondo di Samael, questo mondo fantastico, sovrannaturale e incredibile in cui sono stato trascinato di mia volontà. Avevo giurato che lo avrei reso orgoglioso di me, ma mi sembra di avergli procurato più delusioni che soddisfazioni. Sono un inetto, un ibrido senza un dannato posto in questo altrettanto dannato universo. Non sono niente di definito e questo non essere non fa che sospingermi verso un abisso di disperazione.
A dispetto delle mie speranze, ad accogliermi a casa trovo solo il pennuto, che mi salta addosso e si avvinghia come una piovra appena varco la soglia. La delusione fa precipitare il mio cuore sottoterra, così come il mio umore. Se Samael non c’è, significa che verrò fagocitato inesorabilmente dalla valanga di domande e pensieri cupi che mi frulla nel cervello. So già che darò loro corda, perché solo il maestro è in grado di distrarmi e alleggerirmi la coscienza, e ci riesce sempre con un semplice sorriso o una carezza.
L’angelo, forse percependo la mia tristezza, mi stritola in un abbraccio soffocante, avvolgendo il mio corpo anche con le sue ampie ali.
“Sì, sì, ora basta.” lo blocco.
Molla la presa e rimette i piedi sul pavimento. Poi mi prende le mani e mi sorride, entusiasta come un bambino. Vorrei che fosse Samael a darmi un simile bentornato…
“Sam?” mi informo.
Lui scuote la testa.
“Di’ un po’, perché non parli? È noioso chiacchierare con uno che si finge muto, anche perché, al contrario, dovresti spiegarmi un sacco di cose.”
Alza le spalle, continuando a sorridere.
“Perché perdo tempo con te?” mugugno seccato, “Vado a farmi una doccia, guai a te se provi a spiarmi.” lo ammonisco.
Vado in bagno e inizio a spogliarmi, posando i vestiti ripiegati con cura su uno sgabello. Apro il getto dell’acqua e aspetto che si scaldi, mentre occhieggio la porta chiusa a chiave con la vaga impressione che l’angelo sia appostato proprio là fuori. Forse sta sbirciando dalla serratura. Maniaco. Se continua così, la Caduta giungerà prima di quanto immagino.
Entro nella doccia e per i minuti successivi tento di estraniarmi dalla realtà e non pensare a niente, perché sono davvero sfinito. Desidero soltanto un attimo di quiete, nulla di più. Per questo non sento la chiave nella toppa scattare e la porta del bagno aprirsi. 
Proprio quando termino di insaponarmi, una matassa di piume bianche entra nel mio campo visivo, mi viene sbattuta in piena faccia e mi schiaccia su una parete del box. L’angelo fa il suo ingresso, nudo e con quello stupido sorriso da ritardato dipinto sulle labbra.
“Che… che cacchio fai?! Esci!” sbraito.
Non ci stiamo, le sue ali occupano tutto lo spazio disponibile e lui non riesce a piegarle o a distenderle come vorrebbe. Si gira e si rigira in cerca di una posizione comoda, mi sale in braccio per vedere se così risparmia qualche centimetro, ma ancora l’ingombro delle ali gli impedisce di cessare di divincolarsi come un’anguilla e ritagliarsi un posticino tutto per sé. Ciò che segue è una lotta senza esclusione di colpi per cacciarlo via e riguadagnare l’angusto spazio vitale, ma ogni sforzo risulta presto vano e mi arrendo.
“Aaaargh! Piantala! Sta’ fermo!” ringhio in preda alla rabbia.
Si pietrifica, si accuccia sui talloni e mi guarda dal basso come un cucciolo indifeso. L’acqua scorre, schizza sui muri e imbratta le mattonelle del pavimento, poiché l’anta della doccia è rimasta spalancata. Grugnisco esasperato, mi scanso, aggiro a fatica le sue ali e la chiudo.
“Seduto.” ordino.
Obbediente, l’angelo si siede sotto il getto e l’acqua calda gli infradicia le piume.
Agguanto la boccetta del bagnoschiuma, ne spremo un po’ sulle mani, mi accovaccio alle sue spalle e comincio a insaponare la sua chioma rossa. Lo vedo serrare le palpebre e assumere un’aria sognante.
“Sì, goditela finché puoi. Appena abbassi la guardia, ti raso a zero.” lo minaccio, ma in realtà non lo farei mai.
I suoi capelli sono morbidi e serici, sarebbe un peccato tagliarli e lui lo sa, perché non fa una piega e continua a lasciarsi massaggiare la cute con espressione beata. Mi fa rabbia. E anche tanta tenerezza. Suppongo che sappia come usare le sue armi a proprio vantaggio, è più subdolo di quanto pensassi.
È così che ci scopre Samael, di ritorno da qualsiasi cosa sia andato a fare. Spalanca bruscamente l’anta della doccia e resta allibito, con la bocca semiaperta e gli occhi sgranati, senza parole.
Non mi scompongo e bofonchio: “Storia lunga.”
L’angelo gli fa una linguaccia.
“Ho incontrato Andras, stanotte.” dico in tono neutro mentre risciacquo lo shampoo, curandomi di non farlo colare sugli occhi del pennuto.
“Oh.”
“Ho saputo che gli hai ordinato di seguirmi.”
“Non è sicuro per te, Alastor. Voglio proteggerti.” mormora dispiaciuto.
“Posso cavarmela per conto mio.”
“Sei in gamba, non ho dubbi, ma fallo per me. Ti prego, accetta Andras come guardia del corpo in mia assenza. Sarà discreto. Non posso sopportare l’idea di saperti solo là fuori e non voglio sottovalutare la situazione. Al momento non ci sono Exurge Domine in città, ma potrebbero ricomparire all’improvviso e…” lascia la frase in sospeso e si morde il labbro inferiore.
Resto in silenzio per un minuto scarso, che però pare dilatarsi all’infinito. Le mie mani accarezzano e lavano i capelli dell’angelo, ma con la testa sono altrove.
“Non voglio farti preoccupare, Sam.”
Mi squadra confuso, poi annuisce: “Collaborerai con Andras?”
“Se è ciò che desideri…”
Mi accingo a lavare anche le ali, perché non ho intenzione di farmi sfuggire l’occasione per toccarle e saggiarne la consistenza, sebbene le circostanze attuali non siano affatto rilassanti. Avverto ancora lo sguardo di Samael su di me, ma mi impongo di mantenere il mio focalizzato sulle piume dell’angelo.
“Hey, tu, stendi un po’ le ali.” intimo al pennuto.
“Alastor.” mi chiama il maestro.
Sospiro esasperato e alzo il capo, scontrandomi con la sua espressione imbronciata: “Che c’è?”
“Non abbiamo mai fatto la doccia insieme.”
Arresto i movimenti e lo scruto basito dal basso. Questa non me la sarei mai aspettata.
“Perché tu non ti lavi mai.”
“Non ne ho bisogno! I demoni sono puliti.” protesta.
“È comunque rilassante. Dovresti provare.”
L’angelo prende a mugolare, estasiato per il trattamento che gli sto riservando. Emetto una risatina e gli do un buffetto affettuoso sul collo. A questa scena il maestro schiocca la lingua ed esce a passo di marcia dal bagno, sbattendosi la porta alle spalle con troppa foga, tanto che si formano altre crepe intorno agli stipiti.
“Che dici,” mi rivolgo allo spirito celeste, “è geloso?”
Lui si gira e ghigna sornione.
“Mi farai impazzire.” sbuffo divertito.
Di rimando sbatte le ali con enfasi, sprigionando una marea di bolle che invadono tutto il bagno. Mi paro con le braccia ed emetto un ringhio.
“A cuccia!”










 

  
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