Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh
Segui la storia  |       
Autore: Achernar    03/05/2015    3 recensioni
“Ma lui è morto, Yugi. È morto!” ormai le lacrime scorrevano senza più un freno dalle sue guance e Anzu scuoteva la testa freneticamente. Non avrei dovuto alzare la voce, non avrei dovuto alzarmi di scatto dal divano. Non avrei dovuto lasciare quel maledetto dito sulla scrivania.
“No, non è morto finché non lo dico io!” ho urlato.
Non avrei mai dovuto lasciarlo andare.
Genere: Dark, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atemu, Dark/Yami Yuugi, Yuugi Mouto
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Buonsalve! Phew, che settimana gente e se ne prospetta un'altra niente male, ma la buona notizia è che sto lavorando a un'altra oneshot in italiano (e un paio in inglese) e appena questa settimana del cavolo sarà finita potrò riprendere in mano anche le altre long, che sbraitano in lontananza per la mancanza di attenzione... 
Orbene basta con gli indugi, vi lascio a Yugi,

Buona lettura!

You will return to me.

You will.
'Cause if you don't, then this book is all lies.
If you don't, then my plans would all be ruined.
And if you don't, I just wont have a future anymore.


 
27 gennaio 2004, Domino

Me lo aspettavo. Non posso dire che non me lo aspettavo o che era qualcosa che non avrei mai pensato potesse accadere. Sin dal primo giorno, quando Atem è entrato in camera mia, ricordi? Quando ho capito che lui non aveva idea di cosa fosse successo, di chi fosse, del perché esistesse, sapevo che sarebbe potuto succedere. Anzi, era una realtà. Doveva succedere prima o poi, solo che… speravo ancora di sbagliarmi, che avrei potuto aggiustare tutto, proteggerlo, tenerlo con me… Adesso Ryou pensa che Atem sia diventato il mio animaletto: che io lo tengo in gabbia per proteggerlo dal mondo ma che in realtà l’unica persona da cui dovrei davvero proteggerlo sono io, io e tutte le bugie che continuavo a raccontargli ogni giorno, e Ryou non si è più fatto problemi a dirmelo, mi ha minacciato qualche tempo fa, ha detto che avrebbe raccontato ad Atem ogni cosa se lui glielo avesse chiesto, e sono sicuro che ha detto anche agli altri di fare così, ecco perché non si fanno più sentire: non vogliono correre il rischio di dover prendere una decisone, non vogliono avere niente a che fare con me o con Atem, non più. E adesso sono solo. Sapevo che sarebbe successo.

Ieri sera Atem mi ha parlato di nuovo dei suoi flashback, di come fosse sicuro di riuscire a sentire la mia voce nei suoi ricordi, io che lo chiamavo piano, che chiedevo scusa… Non prestavo mai davvero attenzione ad Atem quando mi raccontava dei suoi flashback, sarebbe stato come assecondarlo e quella era l’ultima cosa che volevo: se gli avessi dato corda avrei potuto incoraggiarlo a ricordare di più, a scavare di più nella sua memoria, e allora non ho idea di cosa potrebbe arrivare a scoprire. Ma anche oggi, dopo mesi che mi racconta di questi episodi, non riesco ancora a spiegarmi come sia possibile per lui ricordare visto che a quel tempo doveva essere spento. Non doveva funzionare. Non poteva. Ma in fondo, nulla è mai andato come mi aspettavo con mou hitori no boku, ogni volta che credevo di sapere come sarebbe andata a finire mi sorprendeva, tranne quella volta, quando ha deciso di lasciarmi. Sapevo che lo avrebbe fatto, ma fino all’ultimo ho sperato, inutilmente, che ci ripensasse, che si voltasse indietro, anche quando il mantello blu ha cominciato a ondeggiare alle sue spalle mentre varcava la soglia del regno dei morti, anche quando ha smesso di essere mou hitori no boku ed è diventato Atem. Lui non si è girato, eppure io sapevo che in quel momento stava sorridendo, e sorridevo anche io tra le lacrime, perché lui era contento e se lui era felice dovevo esserlo anche io. Non odio mou hitoi no boku per essersene andato così come non odio Atem per non essere mou hitori no boku. Io… amo tutti e due, in modo diverso.

Ieri i ricordi di Atem si sono soffermati sul laboratorio, o meglio, sulla stanza dove era convinto che quei ricordi fossero avvenuti: lui non aveva idea che fosse il laboratorio. ‘Aveva’… questo tempo passato mi fa sorridere amaramente: adesso Atem ce l’ha e come.

Ha descritto il laboratorio come una stanza completamente buia, diceva di non poter aprire gli occhi, quindi sono arrivato alla conclusione che Atem abbia raggiunto il grado di coscienza solo dopo che io li ho ultimati e ricoperti di palpebre, richiudendoli, più o meno una settimana prima di cominciare a lavorare alla sua memoria. E forse è qui che le cose sono andate storte. Atem era già funzionante, già vivo, per questo non ha accettato i ricordi, in quanto completo li ha rigettati come si farebbe con un organo non compatibile: al loro posto aveva già le proprie percezioni, l’unica cosa che gli mancava era un nome, perfino le macchine ne hanno sempre uno, computer, automobili, navette spaziali… e ha deciso di accettare quello che io gli ho imposto: Atem. Tutto il resto per lui non è mai stato vero, non è mai esistito, e adesso lo ha finalmente capito.

Mi ha raccontato di essere sdraiato su una specie di lettino, di sentire in continuazione i miei movimenti, io che lo toccavo, io che parlavo, io che camminavo, uscivo, entravo nella stanza, io che ticchettavo al computer, che imprecavo, che parlavo con Ryou… Ecco perché è così legato a Ryou, come un imprinting. Ryou gli è stato vicino quasi quanto me, apparendo nella sua ‘vita’ più o meno nello stesso periodo in cui si è reso conto di averne una. Non contava che io avessi passato quasi sei anni accanto ad Atem, lui era consapevole solo di quelle ultime settimane, e in quelle settimane c’era stato anche Ryou.

Nulla è mai stato prevedibile con Atem, non lo è stato conoscerlo, non è stato guardarlo andar via, non lo è stato cercare di riportarlo qui, non lo è stato svegliarlo. Non dimenticherò mai il panico che ho provato il giorno in cui ho visto le mie speranze demolirsi e ammucchiarsi per terra come macerie: lui non aveva aperto gli occhi, io avevo fallito. E poi, neanche un paio di ore dopo, eccolo lì salire in camera mia, parlare con me, dirmi che si chiamava Atem ma non
che era Atem. Era prevedibile che avrebbe scoperto perché non era Atem prima o poi, ma ho fatto di tutto per impedirlo. E adesso, quando stringo la mano intorno al collo e l’unica cosa che sento attaccata alla catenina è la chiave di questo diario, so di aver fallito un’altra volta. L’altra chiave non c’è più.

Non mi ha mai chiesto a che servissero le chiavi che ho al collo, non so se mi abbia spiato per scoprirlo o se lo abbia semplicemente intuito. Mi chiedo da quanto tempo dubitasse di me senza dirmi niente per non ferirmi, o forse semplicemente per impedire che lo ostacolassi: se io non sapevo non potevo nascondergli più di quello che già gli nascondevo, no? Mi auguro che non abbia letto questo diario, anche se ormai il danno è fatto e non penso che cambierebbe le cose. A ogni modo, quando l’ho tirato fuori era esattamente al suo posto, perfettamente in ordine e senza alcun segno di essere stato toccato da giorni, esattamente come lo avevo lasciato io. E poi, la sua chiave è ancora intorno al mio collo, perché avrebbe dovuto rimettere a posto quella del diario ma non quella del laboratorio? In fondo lui non aveva idea che il mio diario esistesse, nel caso del laboratorio invece poteva andare a colpo sicuro: c’era una sola porta costantemente chiusa a chiave in casa. Deve aver capito quale delle due fosse la chiave giusta e da lì è stato facile introdursi nella stanza.

Non l’ho sentito stanotte mentre mi sfilava la chiave, non l’ho sentito aprire la porta o scendere le scale, so solo che questa mattina mi sono svegliato alla solita ora, ho tastato il materasso sotto di me e lui non c’era. Un rapido giro per la casa ha confermato i miei sospetti: Atem se ne era andato. La porta del laboratorio era socchiusa.

La luce filtrava debolmente dentro quella stanza in cui avevo passato così tante ore convinto di essere da solo, di essere con qualcuno che non poteva avere alcuna consapevolezza dell’ambiente che lo circondava e adesso avevo la certezza di essermi sbagliato. Perché sarebbe entrato lì se non perché sperava di trovare delle risposte? Perché continuare a farmi tutte quelle domande se non perché aveva decine di dubbi e ricordi annebbiati?

Ho spinto la porta in avanti, quel tanto che bastasse affinché potessi entrare. C’era odore di chiuso, sentivo i ciuffi di polvere attutire il suono dei miei piedi man mano che mi inoltravo dentro, probabilmente i miei calzini avevano già assunto un colorito bruno. Non era tutto come lo avevo lasciato. I cassetti giacevano aperti, prolungandosi dalla scrivania come le mani di chi chiede la resa, fogli e carte erano ammassati disordinatamente sui tavoli; chissà quante volte erano stati toccati e letti e rimirati e odiati e poi letti e letti di nuovo, mentre lui scuoteva la testa disgustato, o incredulo. O colmo di odio.

I computer sembravano immacolati: la polvere sullo schermo era intatta, fino all’ultimo granello, nessuna impronta sulla tastiera o sull’unità centrale. Forse Atem ne era rivoltato, forse le macchine sembravano guardarlo con crudele ironia. In fondo qual era la differenza fra i due?

Mi sono precipitato in strada, pregando di essere ancora in tempo per trovare Atem, che lui non fosse andato troppo lontano e che non mi fossi svegliato troppo tardi per fermarlo. Ho preso la macchina: se ero più veloce di lui magari avrei potuto farcela ma poi mi sono accorto di quanto fosse stupido. Era come cercare un ago in un pagliaio e Atem poteva essere letteralmente ovunque e se avessi continuato a guidare come un folle in quel modo, lasciandomi trasportare solo dall’ansia e dal panico, non lo avrei mai ritrovato.

Mi sono fermato a pensare: cosa avrei fatto nei panni di Atem? Cosa avrebbe fatto mou hitori no boku? Era solo, la vita che viveva da mesi si era improvvisamente rivelata un mucchio di bugie appartenenti a qualche realtà fantascientifica e Atem non aveva più nessuno dove andare, di cui fidarsi. Probabilmente, deve aver girato per la città per un po’, provato a processare l’informazione, ad accettare… accettare che non era una persona. Dio… come si fa ad accettare di essere una macchina?

Atem era solo, aveva ancora bisogno di risposte e aveva ancora bisogno di parlare e cercare conforto in qualcuno, avrebbe cercato una persona che potesse fornirgliele, era la cosa più logica: sarebbe andato da Ryou. Ho esitato un attimo prima di girare il volante e prendere la strada per casa sua. Tamburellando nervosamente le dita sul volante mi sono chiesto se avessi il diritto di presentarmi da loro adesso: se Atem era scappato e non aveva voluto chiedere spiegazioni a me, allora forse non voleva vedermi, magari non voleva vedermi mai più, era furioso con me, io lo avevo tradito in fondo, e poi… lo avevo creato io, era tutta colpa mia, mia e di nessun altro, ero come suo padre eppure dicevo di amarlo, lui, che era una macchina. Magari era disgustato da me, non si sarebbe fidato di nessuna cosa gli avessi detto…

Ho artigliato il volante con esasperazione e ho deciso che avrei pensato a queste cose dopo, quando sarei stato di nuovo a casa, adesso l’unica cosa che volevo era ritrovare Atem, sapere che stava bene, capire l’entità del danno, capire se c’era ancora speranza, se potevo ancora riportarlo a casa. E poi… dovevo chiedergli scusa.

Avevo salito i gradini fino alla porta di Ryou con agilità, quasi correndo, eppure una volta di fronte all’uscio mi sono paralizzato con la mano a mezz’aria fra il campanello e me: Ryou non mi avrebbe chiuso la porta in faccia vero? Ero suo amico, ero preoccupato per Atem, avevo il diritto di vederlo, avevo il diritto a un’altra possibilità. E se fosse stato Atem ad aprire invece? Lui mi avrebbe richiuso la porta in faccia? Che gli avrei detto? Non avevo un discorso, non mi ero preparato niente eppure ero lì davanti pronto a implorare perché mi facessero entrare. E se Atem non fosse stato lì da Ryou? Se mi fossi sbagliato… il panico stava per impossessarsi di nuovo di me così ho suonato il campanello, il suo tintinnio metallico mi ha distratto dai miei pensieri. Concentrandomi sulle note squillanti potevo evitare di pensare, concentrandomi sui passi che sentivo avvicinarsi dall’altro lato della porta potevo fingere che fosse tutto a posto. Di chi erano quei passi? Di Ryou o di Atem? Di chi volevo che fossero?

La porta si è aperta con un cigolio sinistro, quasi un lamento, e il volto di Ryou ha fatto capolino, impassibile, da dietro la porta. Ha letto la domanda nei miei occhi e ha annuito lentamente.

«È qui» ha mormorato. Ma ha alzato una mano per fermarmi proprio mentre stavo per precipitarmi in casa.

«Ryou-».

«Non vuole parlarti, Yugi».

«Ma io-».

«Non dovrei parlarti neanche io, gli ho promesso di non aiutarti a trovarlo». Ryou ha tirato un sospiro appoggiandosi le mani ai fianchi «Ma immaginavo che il mio aiuto non ti sarebbe servito». Mi sono carezzato il braccio con la mano. Se Atem era lì in casa magari poteva sentire le nostre voci, potevo fargli capire che ero preoccupato, che per me lui era una persona a tutti gli effetti, forse potevo ancora convincerlo a tornare a casa.

«Da quanto tempo è qui?».

«È arrivato stanotte» Ryou evitava il mio sguardo, la conversazione lo metteva a disagio. «Lui…» un lampo di malinconia gli ha attraversato il volto, gli occhi erano appesantiti dalle occhiaie: appariva molto più vecchio della sua età. Mi chiedevo in quale parte la responsabilità fosse di Bakura e in quale mia. Ryou ne aveva viste così tante. Troppe forse. Come me. Ha scosso il capo rimangiandosi le parole che aveva intenzione di dirmi, un’altra promessa fatta ad Atem? 
«Perché sei qui?».

«Perché sono qui? Perché lui è qui. Perché è colpa mia, perché voglio parlargli, voglio riportarlo indietro!»

«Non credo sia più possibile per nessuno tornare indietro, adesso si va solo avanti, lo sapevi».

«Che vuoi dire…».

«Lui non vuole vederti Yugi, è stato molto chiaro su questo. Va’ via».

«Non me ne vado finché non gli avrò parlato, ho il diritto di vederlo! Ero preoccupato a morte: quando mi sono svegliato lui non c’era più! Poteva essergli successa qualunque cosa! Come sta? Dimmi che sta bene». Ryou ha emesso una debole risata.

«Tu come staresti al posto suo?».

«Non…».

«Sta bene, fisicamente è a posto… tu stesso mi avevi parlato di quanto fosse resistente qualche tempo fa». Non mi è sfuggito il fatto che l’unico momento in cui Ryou era parso sussurrare le parole, soppesandole, fosse proprio adesso. Atem stava sicuramente ascoltando la nostra conversazione e Ryou stava evitando di ferirlo ricordandogli che era una macchina. «Ma non vuole parlare con te, te l’ho già detto».

«Ma devo vederlo Ryou, lui è il mio-».

«La tua creatura?».

«Smettila! Mi preoccupo per lui! Lo amo, non voglio che soffra!».

«Se non avessi voluto che soffrisse avresti dovuto darmi retta, avresti dovuto dare retta a tutti noi quando ti dicevamo che questa era una pessima idea e che avrebbe finito per distruggere tutti e due!».

«Non siamo distrutti, possiamo ancora-».

«No, Yugi, non potete».

Il tono di Ryou era lapidario e anche se normalmente avrei obiettato a una risposta del genere, ho sentito la forza di replicare abbandonare completamente le mie ossa.

«Perché…» ho chiesto debolmente «Lui non, dimmi che…» sentivo la sensazione di umido accumularsi agli angoli dei miei occhi, una volta tanto desideravo piangere, desideravo versare tutte le lacrime accumulate negli ultimi mesi, sentirmi libero come quel primo giorno, accanto ad Atem, quando ho pianto stringendolo a me.

«Mi ha chiesto… vuole che lo aiuti a morire. Dice che parlerà con te solo per scoprire come fare. Ieri notte dice di aver provato ma…» Ryou si è passato una mano tra i capelli.

«Provato a fare cosa?» ho sussurrato, la voce ancora miracolosamente ferma.

«Si è riempito le tasche di sassi, si è gettato in acqua al molo. Dio…» Ryou sospirava «Era ancora bagnato quando è arrivato qui, non ha funzionato». Scuotevo la testa mentre un insano senso di orgoglio mi riscaldava il cuore per un secondo: lo avevo costruito troppo bene.

«Io non lo aiuterò a morire».

«E lui non parlerà con te» Ryou mi rimise davanti i fatti, in tutta la loro cruda semplicità. Ci siamo fissati per un secondo: Ryou non poteva cedere, aveva già scelto il suo schieramento mesi fa, era un uomo di parola.

«Voglio parlare con lui».

«Ha chiesto a me di ucciderlo».

«Ma tu non avrai-» adesso il mio tono si era fatto minaccioso, non poteva… Ryou poteva tradirmi, poteva aver raccontato ad Atem tutto quello che ancora non sapeva, poteva dirgli che faceva bene a odiarmi ma non poteva, non poteva ucciderlo. Non avrebbe osato.

«Non saprei come fare» quindi lo farebbe, se solo lo sapesse lo farebbe, ucciderebbe il mio Atem.

«Voglio parlare con lui, Ryou» era una supplica, l’ultima mano di una partita che era durata troppo a lungo. Avrei dovuto accettare la sconfitta sei anni fa. «Digli quello che vuole sentirsi dire, ma io devo parlargli. Non mi importa quello che succederà dopo…»

«Ok» ha annuito con un sospiro lentissimo, stringendomi la spalla in segno di saluto. «Gli parlerò adesso, verrà lui da te».

«Ok».

«Ok».

Era un silenzio strano, c’erano tante cose da dire ancora: cosa aveva scoperto Atem di preciso? Perché voleva morire? Cosa c’entrava Ryou? Cosa potevo fare per fargli cambiare idea? Cosa avrei fatto se Atem fosse morto? Ma nessuno di noi ha detto niente, siamo rimasti lì, sul pianerottolo, per un minuto buono, finchè, quasi in sincronia, non ci siamo girati: io per dirigermi giù per le scale e Ryou per chiudere la porta. Avevo il piede sul secondo gradino quando ho pensato di tornare indietro e attaccarmi al campanello un’altra volta: magari stavolta sarebbe stato Atem ad aprire, oppure avrei potuto attaccarmi alla porta con l’orecchio, chissà cosa si stavano dicendo lui e Ryou adesso… Ho messo il piede sul terzo gradino, poi sul quarto. Chissà se Atem aveva ripreso in mano le bamboline dell'RPG ora che era di nuovo in casa di Ryou. Chissà se adesso gli parlavano in modo diverso, se si sentiva… uno di loro.




Lyrics da You will. You? Will. You? Will. You? Will. (Bright Eyes)

Se solo per questa volta mi concedete un appunto sulla canzone? *Adoro* il ritornello, ma come tutte le canzoni di Bright Eyes è parecchio malinconica. Io consiglio di ascoltarla ugualmente ovviamente, come le altre, ma Pictures of You può reggere anche senza canzoni perciò non preoccupatevi se non è il vostro stile. Colgo l'occasione anche per ricordare che la maggior parte delle canzoni usate più qualche altra la potete trovare qui, accanto ai fanmixes delle mie altre WIP.

Anyway, grazie come sempre per il supporto e per continuare a seguire questa storia: siamo quasi alle battute finali! Ci vediamo domenica per uno dei miei capitoli preferiti,

Ache
 
 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh / Vai alla pagina dell'autore: Achernar