CAPITOLO 22
Giovanni guardò Teresa gettarsi tra le braccia del padre, che
nel frattempo sembrava molto felice di aver ritrovato la figlia.
Il brigante non trovò la forza per soffermarsi di più, e face
partire Furia al galoppo, in modo da potersi allontanare il più possibile dalla
ragazza, se no sarebbe stato tentato di tornare indietro per riprenderla con
sé. Eppure sapeva che per quello doveva attendere.
Non si girò mai indietro, non voleva rivederla proprio in
quel momento. Guardarla gli avrebbe spezzato il cuore. Si fece forza, sapendo
che tra poco avrebbe incontrato Marco, e in ogni caso lui l’avrebbe aiutato ad
organizzare la fuga della sua amata. Era certo che tutto si sarebbe svolto per
il meglio.
Infatti, alla fine aveva deciso di mettere in pratica i
consigli del suo informatore, ed aveva preso con sé solo tre dei suoi uomini.
Però, non aveva incontrato nessuna guardia durante il viaggio, e questo l’aveva
insospettito parecchio. Stando a ciò che aveva detto Marco, avrebbero dovuto
esserci guardie ovunque, eppure non ne aveva intravista neppure una.
Mentre Furia avanzava lentamente verso la capanna dove
l’avrebbe dovuto aspettare Aldo, Giovanni ebbe un brutto presentimento, che
ricacciò subito indietro.
D’altronde, ormai era portato a pensar male della vecchia
volpe delle paludi solo per via di quei sogni che aveva fatto poco più di tre
settimane prima. In realtà, tutto era tranquillo e fino a quel momento ogni
cosa sembrava procedere nel modo più giusto. Il brigante notò il sentiero che
si inoltrava per una decina di metri nella boscaglia, e si accinse ad
abbandonare la strada principale.
Gli parve di sentire un grido straziante, in lontananza.
Fermò il cavallo, per un attimo. Era certo che Teresa avesse
gridato il suo nome. In preda ai sensi di colpa, si morse il labbro inferiore e
si abbassò leggermente sulla groppa di Furia, per poi accingersi a ripartire e
a concludere l’affare con Aldo. In quel momento, non poteva fare nulla per lei.
Eppure, tentennò ancora un attimo, continuando a pensare alla
ragazza, e all’amore che provava per lei. Avrebbe voluto tornare indietro al
galoppo sfrenato e raccoglierla al volo, per poi tenerla stretta a sé e
riportarla nel suo covo, ma purtroppo sapeva bene che questo era impossibile.
Se l’avesse fatto, i suoi tre ragazzi sarebbero morti, e la banda di Aldo
avrebbe causato disagi a non finire. Quindi, si apprestò ad entrare nella
boscaglia.
Improvvisamente, udì uno scoppio di grida, poco distante da
lui. Partì un colpo di pistola, poi un secondo. Erano uomini quelli che
gridavano. I suoi uomini.
Non riuscendo a capire, non trovò la forza di percorrere il
sentiero che gli si apriva davanti, mentre un brivido freddo percorse il suo
corpo dalla testa ai piedi. Subito dopo, altri due spari, e le grida si acquietarono
per un attimo.
Giovanni estrasse la sua pistola, la caricò e si fece
coraggio. Furia si mosse, eppure tornò a fermarsi. Infatti, dal mezzo della
boscaglia spuntò Gianni, che ruzzolò a terra. Il suo volto era una maschera di
sangue.
Il cavallo di Giovanni iniziò ad irritarsi e ad agitarsi,
mentre il brigante, sempre più sconcertato, cercò di smontare di sella per
soccorrere l’amico. Gianni tentò di rialzarsi, lasciando a terra una pozza di
sangue.
‘’Zvàn vai via! Era una trappola, li hanno uccisi, volevano
te’’, iniziò a gridare l’amico, mentre ricadeva nuovamente a terra.
Il brigante voleva fuggire, mentre ormai era certo che Aldo
lo voleva far fuori. Eppure, non poteva lasciare l’amico lì.
Mentre Gianni gli faceva cenno di andarsene, il capo dei briganti
strinse la pistola tra le mani e lanciò Furia verso l’amico, tentando un ultimo
disperato tentativo di raccoglierlo e di salvarlo. Eppure, poco distante una
decina di pistole fecero fuoco, e le pallottole volarono ovunque.
Gianni venne colpito una, due e tre volte, e il suo corpo si
accasciò a terra senza vita, mentre Furia scartava di lato e si gettava al
galoppo sfrenato verso la pianura interna. Subito dietro di lui, spuntò Aldo,
seguito da una decina dei suoi migliori scagnozzi. Impugnavano pistole scadenti
ma micidiali, ed erano pronti ad inseguirlo per ucciderlo. Quella volta
facevano sul serio, e parevano ben organizzati.
A Giovanni tornò in mente l’ultimo agguato che aveva subìto,
mentre gli parve che la vecchia cicatrice alla spalla fosse tornata ad aprirsi.
Tutto ad un tratto il dolore si fece insopportabile, e il brigante ruggì,
mentre le pallottole sibilavano attorno a lui, colpendo tronchi d’albero o il
suolo.
Il brigante cercò di pensare razionalmente, e capì che i suoi
aggressori stavano solo giocando con lui; probabilmente ce n’erano altri sparsi
per tutta la pineta, pronti ad aggredirlo, sfruttando la loro conoscenza del
territorio. Ben presto gli aguzzini lo avrebbero colpito, e non valeva più la
pena seguire la strada principale, poiché avrebbe significato solo una morte
più dolorosa. Meglio morire con un solo proiettile conficcato in testa che con
decine di pallottole disseminate per tutto il corpo.
Giovanni riconobbe che doveva correre il rischio di
inoltrarsi nel fitto sottobosco, che avrebbe potuto nascondere altri banditi ma
che gli avrebbe anche fornito una piccola protezione, e non lo avrebbe lasciato
esposto al tiro dei nemici, nonostante il fatto che i banditi delle paludi non
avessero una buona mira.
Per un istante solo, il brigante si girò indietro, e vide
Aldo che, ghignante, si accingeva a sparagli. Aveva già caricato la sua
pistola, ed aveva preso la mira corretta. Lo avrebbe ucciso, da lì a poco.
Giovanni tentò la sua ultima mossa, e spinse Furia a saltare
nella boscaglia, abbandonando definitivamente la strada principale. L’animale
era fuori controllo, terrorizzato dall’odore del sangue e dagli spari, eppure,
all’ultimo, scartò e si gettò tra gli sterpi.
Lo sparo di Aldo partì in ritardo, forse il bandito era stato
colto di sorpresa dalla mossa estrema di Giovanni, eppure la pallottola sibilò
a poca distanza dall’orecchio destro del brigante, perdendosi poi tra gli
alberi. Fortunatamente, non era stato colpito.
Mentre Furia si gettava tra le sterpaglie rinsecchite e
pungenti, sembrò vacillare per un attimo. Anzi, sembrò proprio che stesse per
azzopparsi. Eppure, per miracolo, il cavallo riprese la sua corsa, piuttosto rallentata
fintanto che non raggiunse un sentiero in terra battuta, probabilmente
utilizzato dai raccoglitori di pinoli.
Furia continuò a correre nel bel mezzo della pineta, mentre
Giovanni si abbassava sulla schiena dell’animale per proteggersi da possibili
proiettili. Per fortuna, dopo poco, gli spari cessarono, inghiottiti dalla
boscaglia.
Il brigante fece rallentare il suo cavallo, che obbedì
subito, e cercò un qualche punto di riferimento. Ormai era pomeriggio
inoltrato, e doveva uscire dalla pineta prima che facesse buio.
Quello era il territorio di Aldo e della sua banda, era quasi
la loro casa. Sicuramente, avrebbero organizzato qualche battuta di caccia
all’uomo, per poterlo ritrovare e finire. Doveva uscire da quella trappola. Ormai
era diventato solo un grande ostacolo per i banditi; sapevano che se fosse
riuscito a sopravvivere avrebbe potuto vendicarsi. Quindi, avrebbero cercato di
ucciderlo ad ogni costo.
Giovanni iniziò a guardarsi attorno con più attenzione. I
grandi pini erano molto alti, e la loro chioma rigogliosa adombrava il
sottobosco, che era composto da altissimi sterpi che in quel periodo dell’anno
erano gialli e rinsecchiti, per via del freddo e delle gelate notturne.
Nel raggio del visibile, il brigante non riuscì ad
individuare nessun punto di riferimento che avrebbe potuto aiutarlo ad uscire
da quel labirinto di sterpaglie e alberi. Giovanni, solo più che mai, si
premette la ferita alla spalla, che sembrava essersi risvegliata a causa dello
spavento, mentre il suo cuore batteva così tanto forte nel petto che sembrava
stesse per esplodere. Doveva prendere una decisione, e soprattutto doveva
riprendere a muoversi subito, se no lo avrebbero rintracciato.
Scese un attimo da Furia, cercando di organizzare al meglio i
propri pensieri, e bevve un sorso d’acqua, più che altro per cercare di
calmarsi e rinfrescarsi un attimo.
E il senso di colpa arrivò subito, più forte della paura.
Gianni e altri due dei suoi ragazzi erano morti a causa sua. Il brigante si
lasciò prendere dallo sconforto, ma capì che quello non era il momento giusto per
ragionare.
Salì di nuovo in sella al suo cavallo, che ora respirava più
regolarmente e si era riposato un attimo, e lo fece ripartire.
Giovanni decise di seguire le piste dei raccoglitori di
pinoli, che erano le uniche vie percorribili nel bel mezzo di quel disordine.
Di certo quella era la scelta più logica, e i suoi nemici avrebbero preso a
percorrere quei suoi stessi sentieri, quindi doveva uscire da lì in fretta.
Nonostante sapesse che la maggior parte della pineta era
tenuta custodita e pulita dagli uomini, sempre pronti raccoglierne ogni possibile
frutto commestibile, quell’area era ancora allo stato selvaggio, e nessun
cavallo poteva riuscire a muoversi in fretta nel bel mezzo di quegli arbusti
rinsecchiti e pungenti.
Spronò Furia a velocizzare il passo. In lontananza, un
cavallo nitrì. I banditi di Aldo erano già sulle sue tracce.
Zigzagando tra quel caos primordiale, pensò che quel sentiero
avrebbe dovuto portare da qualche parte, e che prima o poi sarebbe sbucato al
di fuori di quel territorio selvaggio. Ma non c’era molto altro tempo per pensare.
Mentre il suo cuore batteva all’impazzata, sentì un grido
poco distante. Altri banditi, sempre più vicini a lui. Spinse Furia alla
massima velocità percorribile in un sentiero così malmesso, ma il cavallo
sembrava già sul punto di cedere. Sfiancato dalla lunga cavalcata che lo
impegnava già da più di mezza giornata, l’animale ansava e a breve non sarebbe
riuscito più a mantenere un passo costante.
Giovanni prese ad imprecare, ed ogni tanto si girava
indietro.
Ben presto si accorse che forse non sarebbe uscito più da
quella maledetta boscaglia, d’altronde i sentieri si snodavano dappertutto e
lui ne sceglieva sempre uno a caso, quello che forse avrebbe avuto più
probabilità di portarlo fuori dal labirinto di sterpi e alberi.
Altre grida giunsero fino a lui, sempre più vicine.
Giovanni cercò di mettere da parte la paura e si preparò al
confronto. Non aveva intenzione di farsi uccidere dai nemici senza aver prima
combattuto. Impugnò al meglio la sua pistola, mentre Furia rallentava
ulteriormente.
E fu proprio in quel momento che il brigante si accorse che,
poche decine di metri di fronte a lui, la pineta terminava, ed iniziavano i
campi coltivati della pianura interna. Quasi perdendo il controllo di sé, cercò
di spronare il cavallo a riprendere la corsa, senza alcun risultato.
Dietro di lui, poté udire il rumore degli zoccoli dei suoi
aguzzini. Giovanni continuò a guardarsi intorno, mentre Furia finalmente usciva
fuori dalla pineta, mantenendo un passo stanco e lento.
Infatti, non fece in tempo neppure ad attraversare il primo
campo arato che i banditi di Aldo uscirono allo scoperto, e presero a far
fuoco.
Era finita. Le pallottole presero a sfrecciare ovunque, una
lo colpì di striscio alla testa ed il sangue iniziò a colare, copioso, sul suo
volto, annebbiandogli la vista.
Poi, altri spari. Di fucile, questa volta. Giovanni si pulì
il volto in fretta e tornò a girarsi indietro, pronto a far fuoco, ma si
accorse che stavano spuntando guardie ovunque.
I gendarmi, armati di fucile, fecero fuoco sui banditi di
Aldo, arrestandone l’avanzata. Alcuni di loro caddero a terra, feriti o morti,
mentre tutti gli altri si affrettarono a tornare a rifugiarsi nella pineta,
dove le guardie avrebbero fatto più fatica a rintracciarli. Qualche contadino
doveva esser corso a Ravenna dopo aver udito gli spari e il trambusto, avvisando
i custodi della legge, che avevano agito di conseguenza.
Furia scattò, terrorizzato dal rumore, e riprese a galoppare
al massimo delle sue capacità mentre le guardie non parevano intenzionate ad
inseguire il brigante solitario, preferendo di occuparsi di finire i banditi
rimasti feriti.
Giovanni si accasciò nuovamente sulla schiena del suo cavallo,
sperando che nessuno tentasse di inseguirlo, e fortunatamente fu così. Il cuore
poté rallentare il suo battito. Mai un intervento della gendarmeria era stato
così tanto gradito.
Ben presto si trovò disperso nelle campagne ravennati,
cavalcando lentamente. Forse si era perso, ma non voleva pensarci, poiché in
quel momento realizzava che nulla aveva più senso.
Giovanni riconobbe che neppure la sua stessa vita ormai era
rovinata. Si chiese come avrebbe potuto spiegare ai suoi compagni che aveva
sbagliato tutto, che aveva portato i loro compagni alla morte e che era stato
ingannato due volte.
Il brigante sapeva che i capi, dopo sconfitte così dure, venivano
facilmente rimpiazzati. Aveva dato due schiaffi alla sua banda, uno dopo
l’altro; il primo quando li aveva cacciati nei guai facendoli cadere in un
agguato solo per il fatto che lui pensava a Teresa e non gli andava di
organizzare da solo le sue rapine, e il secondo glielo aveva dato ora, portando
al mattatoio tre dei suoi uomini più fedeli. Avrebbe dovuto organizzarsi in un
modo migliore e prendere con sé più uomini, in modo da poter sventare ogni
possibile sotterfugio del nemico, ed invece si era fatto raggirare.
Ora il fedele Gianni non ci sarebbe stato più a dargli una
mano. Era morto per nulla.
Per un attimo, i suoi pensieri scivolarono verso Teresa, e
capì che aveva perso anche lei. Marco e Aldo erano avevano organizzato
l’ennesimo agguato, e lui ci era caduto in pieno, perdendo il suo amore e la
sua dignità. Nessun servo avrebbe aiutato la sua amata a fuggire, loro due non
si sarebbero più rivisti. Quella era la fine di tutto.
Immerso nel bagliore rossastro di un tramonto maledetto, il
brigante trovò le forze per chiedere indicazioni ad un contadino del luogo, lasciandogli
una moneta e facendosi indicare la strada che aveva perso di vista da quando si
era gettato tra gli sterpi della pineta.
Furia aveva ripreso a muoversi in modo stanco e lento, ma non
aveva più importanza, ormai. Giovanni arrivò a sperare che i gendarmi lo rintracciassero,
e che lo fucilassero sul posto.
Si chiese con quale coraggio si sarebbe ripresentato ai suoi
compagni, e come avrebbe fatto a spiegare l’accaduto.
Con la mano destra, si grattò via un po’ di sangue raggrumato
da una guancia. La ferita di striscio alla fronte non faceva particolarmente male,
ma il cuore sì.
Pensò che era meglio fuggire, andarsene lontano, magari verso
sud, rifarsi una vita e cercare di rintracciare Teresa, ma era troppo leale per
farlo. Avrebbe affrontato il suo gruppo, ed avrebbe accettato la loro
punizione.
Mentre calava la sera, il brigante si ritrovò a cavalcare
solo, stanco e dolorante verso il luogo che per lui ormai non sarebbe stata più
una casa, bensì il luogo dove forse avrebbe riposato il suo sonno eterno. I
briganti non erano avvezzi a perdonare certe colpe dei loro capi.
Teresa se ne stette con le ginocchia a terra per un po’.
Suo padre la guardava senza capire cosa poteva averla spinta
a compiere quel gesto dall’apparenza insensata. Eppure, dopo poco, il conte le
andò vicino e la strattonò, costringendola a rialzarsi.
‘’Figlia, tirati su. Di chi è quel nome che hai appena
invocato?’’, chiese l’uomo, con toni pacati.
‘’Padre, Giovanni è…’’, iniziò a dire la ragazza, ma subito
dopo si rese conto che non poteva dirlo al padre. Se avesse sospettato di una
possibile follia della figlia, di certo avrebbe alzato la guardia e l’avrebbe
controllata continuamente. Quindi, in un attimo decise di non rivelargli nulla.
‘’Non è nessuno, padre. Perdona il mio comportamento, sono
molto stanca’’, disse infine la ragazza, con un tono di voce forzatamente
tranquillo.
‘’Non mi sembra che la signorina sia particolarmente stanca,
signor conte. Mi sembra piuttosto triste’’, disse una voce proveniente da
dietro di lei.
Teresa riconobbe subito quella voce. L’aveva sentita tante
volte, forse troppe, e l’aveva sempre odiata. Un brivido gelido la percosse,
per poi lasciare spazio al panico e alla paura.
La ragazza si girò indietro appena in tempo per vedere il
giovane che si stava muovendo verso di loro. Si trattava proprio di Alfonso, il
suo promesso sposo.
Subito, Teresa rivolse uno sguardo smarrito ed implorante al
padre, che fece finta di non aver visto nulla e si mosse verso il giovane. La
ragazza non poté far altro che chiedersi cosa ci facesse lui lì. Di certo non
era portatore di buone notizie per lei.
‘’Alfonso, Teresa è davvero stanca ora. Tieni presente che ha
viaggiato a lungo’’, disse il conte, affiancandosi al giovane e parlandogli con
toni confidenziali, nello stesso modo in cui un padre si rivolgerebbe ad un
figlio.
Non era una novità, la ragazza aveva sentito più volte dire
da suo padre che Alfonso era come un figlio per lui, il figlio maschio che non
aveva mai avuto. Alfonso accettava di essere trattato in modo cortese e
confidenziale, ma si rivolgeva sempre al conte con il dovuto riguardo. Il loro
era un rapporto strano. Anzi, Alfonso era di per sé molto strano.
Teresa non poté non notare quanto fosse elegante quel giorno;
era vestito come un vero signore. In mano aveva un bastone da passeggio tutto
intarsiato e con magnifiche decorazioni minuziose, che gli faceva assumere un’aria
decisamente signorile e matura. I suoi vestiti erano sontuosi e magnifici.
Il ragazzo aveva ventiquattro anni, ed era piuttosto alto e con
un fisico asciutto e attraente. Ogni volta che sorrideva, metteva in mostra una
dentatura bianca e perfetta, che faceva da sfondo ad un bel viso rotondeggiate
e ben rasato. I capelli erano tagliati non troppo corti, in modo da poter
essere tirati all’indietro, ed erano di colore castano chiaro.
Era indubbiamente un ragazzo molto bello, ma che non aveva
mai convinto Teresa. Sembrava nascondere dei segreti.
Il suo comportamento in genere era subdolo, aveva delle buone
doti oratorie e raccontar bugie era all’ordine del giorno. Ma d’altronde, se
non poteva farlo lui non poteva farlo nessun altro.
Alfonso, infatti, non era altro che il nipote prediletto di
papa Gregorio XVI. Era anche per quello che suo padre voleva consegnarla a lui;
era uno degli uomini più privilegiati del periodo che vivevano nello Stato
della Chiesa. Si diceva che Gregorio, nei momenti vuoti delle sue impegnative
giornate, lo ascoltasse sempre e tendesse ad esaudire ogni sua piccola
richiesta.
Mentre il suo promesso sposo la fissava, Teresa non poté far
altro che restare pietrificata a guardarlo senza neppure riuscire a celare la
sua espressione stupita. Il giovane, scaltro come sempre, si accorse del suo
imbarazzo e si affrettò a prenderle la mano tra le sue e, inchinandosi
leggermente, le diede un soffice bacio.
‘’Teresa, è un piacere rivederti sana e in forze’’, disse il
giovane che, dopo il baciamano aveva tirato su la testa, e le sorrideva
affabilmente.
Teresa non trovò la forza per dire nulla, strinse a sé il
fagotto di Lina ed abbassò lo sguardo. Dentro di lei, i suoi sentimenti erano
in tumulto.
‘’E’ rimasta muta sua figlia, signor conte?’’, chiese Alfonso
dopo un po’, sempre col sorriso sulle labbra.
‘’Sai com’è fatta, caro Alfonso. Teresa è una ragazza molto
timida, e poi ha appena vissuto la fine di un incubo, è comprensibile che ora
non se la senta di parlare’’, provò a giustificarsi il conte, imbarazzato dal
mutismo della figlia.
‘’Beh, Teresa, è molto scortese da parte tua non parlarmi,
non dopo il lungo viaggio che ho fatto per vederti’’, aggiunse il ragazzo, con
toni tranquilli.
‘’Solo per vedermi? O c’è dell’altro?’’, chiese Teresa tutt’a
un tratto, rompendo il suo mutismo e gettandosi in una situazione quanto mai
imbarazzante.
‘’Teresa! Chiedi subito perdono al tuo futuro sposo per la
tua insolenza’’, la riprese subito suo padre, con toni che non ammettevano
repliche.
‘’Alfonso, ti prego di perdonarla. Non voleva offenderti,
sono sicuro che anche lei sia felicissima di rivederti, però ora è molto stanca
e confusa…’’, riprese a dire il conte, con toni di scuse.
‘’Ma certo, non c’è bisogno di nessuna scusa, signor conte. È
tutto comprensibile’’, continuò a dire il ragazzo, sempre mantenendo il sorriso
stampato sul viso. Eppure, Teresa fu certa di aver visto un lampo d’ira nei
suoi occhi. E fu per quello che non se la sentì di rispondergli.
‘’Comunque, mia cara Teresa, sono venuto fin qui non solo per
vederti, ma anche per darti una buona notizia, probabilmente la più bella che
tu abbia mai udito. Mi permetterò di dirtela subito, se tu almeno avrai la
cortesia di farmi vedere cosa ti sei portata dietro in quel fagotto’’, continuò
a dire Alfonso, fissandola da capo a piedi e con un’espressione lievemente
disgustata sul volto. Teresa comprese subito che voleva metterla in imbarazzo
con suo padre, e temette di sapere già quale sarebbe stata la bella notizia.
‘’Figlia cara, non tentennare. Non hai sentito cosa ti ha appena
chiesto Alfonso? Avanti, esaudisci la sua gentile richiesta’’, continuò suo
padre, fulminandola con lo sguardo.
La ragazza stava per mettersi a piangere. Quel ritorno si
stava rivelando il peggior incubo della sua vita. Ma, nonostante tutto, aprì il
fagotto di Lina e ne mostrò il contenuto. Fortunatamente, il sacchetto con le
erbe era nascosto sotto i vestiti,e nessuno lo vide. Comunque, la mano sinistra
di Alfonso corse a coprirsi la bocca, mentre metteva in scena un’espressione
talmente tanto disgustata da poter lasciare sconvolto chiunque. Il conte rimase
leggermente perplesso, inarcò un sopracciglio ma cercò di mantenersi rigido in
volto.
‘’Stracci da contadino. Gettali via subito, Teresa, è roba
sporca e totalmente inadatta per una ragazza nobile e bella come te. E poi,
quelle bestie là, che vivono nascoste tra i monti, chissà quante malattie
hanno. Signor conte, sa che secondo i più recenti studi sulle malattie…’’.
‘’Non ora Alfonso, per favore. Sei molto gentile a fornire
tutti questi consigli a mia figlia, si vede che la ami molto e che vuoi già
proteggerla da ogni possibile insidia del mondo, però prima di tutto avremmo
bisogno di tornare alla nostra dimora, in modo che Teresa possa darsi una
ripulita e riposarsi un attimo. Se vorrai, ti attenderemo a cena. Sarai il
benvenuto al nostro desco, così potrai dare a mia figlia la buona notizia di
cui parlavi poco fa. La situazione, così, sarà più consona al nostro grado’’,
disse il conte, molto affabile ma non nascondendo un vago rimprovero.
‘’Ma certo, signor conte. Accetto volentieri il vostro
invito’’, ribadì il giovane, ripetendo frasi come un uccelletto ammaestrato.
Teresa se ne stette in rigoroso silenzio, sapeva che suo
padre non avrebbe gradito un altro suo intervento non richiesto, ma non poté
far a meno di provare dispiacere per tutto ciò che Alfonso le aveva detto.
Aveva dato a Giovanni, a Lina e a Mario delle bestie, ed
aveva chiamato stracci i suoi ricordi. Solo allora iniziò a rendersi conto che
la realtà in cui era tornata a vivere era orribile, per lei.
Avrebbe voluto spiegare che quei briganti che lei aveva avuto
modo di conoscere non erano esseri così feroci e spietati come pensavano tutti,
ma che erano persone con un cuore, costrette a rubare per sfamarsi e restare in
vita. Eppure, non voleva spingersi troppo in là e lasciare indizi su una sua
possibile fuga. Perché lei sarebbe fuggita al più presto da quella situazione,
e Alfonso non l’avrebbe mai avuta.
In quel preciso istante, numerosi spari riecheggiarono per
tutta la pineta. Teresa ebbe da subito un brutto presentimento.
‘’Che succede?’’, chiese il conte, allarmato.
‘’Saranno quei briganti che litigano tra loro, non sarebbe la
prima volta. Si sa, per prendersi certi bottini quelle bestie sarebbero pronte
ad uccidere i loro stessi familiari’’, affermò Alfonso, saccente.
Il brutto presentimento si trasformò in panico, dentro
Teresa. Sentiva che Giovanni era in pericolo.
Mentre suo padre e Alfonso si congedavano l’un l’altro, la
ragazza fu tentata dal girarsi indietro e fuggire. Eppure, una mano forte e
decisa la afferrò prima che avesse potuto fare un solo passo.
‘’Vieni, Teresa. Sei stata anche troppo scorbutica, per
oggi’’, le disse suo padre, che quasi la costrinse ad entrare dentro la loro carrozza.
‘’Padre…’’, tentò di dire la ragazza, notando il suo
improvviso cambiamento d’umore. Alfonso, intanto, se n’era già andato, a dorso
del suo magnifico destriero.
‘’No, non dire nulla. Le cose sono cambiate, e anche di
molto. Ti spiegherò meglio tra un po’, quando ti sarai riposata’’, le disse,
accompagnandola dentro, senza lasciare la presa neppure per un istante.
Teresa fu quasi sul punto di opporre resistenza, ma alla fine
lasciò fare.
Non appena fu all’interno della carrozza, la ragazza non poté
far altro che affondare il suo volto tra i vestiti e piangere come una bambina,
sotto lo sguardo rigido e severo di suo padre, che non le chiese nulla ma si
limitò a fissarla, sempre più adirato.
‘’Teresa, non ti riconosco più. Sembri una pazza. Che fine ha
fatto l’educazione che ti ho impartito? E perché ti disperi tanto? Dovresti
essere felice. O, almeno, fingere felicità quando vedi Alfonso’’, le sibilò tra
i denti, la voce dura che non esprimeva alcun tipo di comprensione.
La ragazza non disse nulla, e si limitò ad asciugarsi le
lacrime.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J
Devo fare una precisazione; come tutti gli altri personaggi
del racconto, anche Alfonso è frutto della mia immaginazione. In poche parole, da
quel che so, Gregorio XVI non ha mai avuto un nipote talmente tanto prediletto
da poter finire nelle sue grazie. Quindi, la figura di Alfonso non è mai
esistita nella realtà.
Detto questo, spero che il racconto in sé risulti abbastanza
verosimile e gradevole da leggere.
Mi farebbe molto piacere leggere i vostri pareri sulla
storia, che come avrete capito, sta prendendo una certa piega. Ma non
disperate, anzi, ricordate che il racconto non è in procinto di concludersi, ed
è ancora piuttosto lungo e complesso.
Per ora posso solo dirvi che sono piuttosto soddisfatto di
essere riuscito, fino a questo momento,
ad aggiornare con puntualità ogni lunedì.
Grazie a tutti coloro che continuano a seguire il racconto, e
in modo particolare a chi continua a sostenerlo con gentili recensioni J grazie!!
A lunedì prossimo J