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Autore: genesisandapocalypse    05/05/2015    7 recensioni
Gli occhi di Luke sono vitrei, nascosti da una nube di pensieri e ricordi. Dice di aver superato tutto, ma nessuno ci crede, Eloise per prima, che riuscirebbe a mettere da parte il suo odio colossale per Michael Clifford, se potesse aiutare.
Essere scappata nell’università al centro di Sydney è stata un po’ una salvezza, per Gioia. E che lo sia pure per qualcun altro?
Ashton ha perso fiducia nelle donne da tempo e scorbutico com’è, riesce a togliersele di mezzo, ma ogni tanto sa anche essere gentile.
A Cardiff c’è stata per soli tre anni, Eva, abbastanza per tornare a Sydney con qualcosa di troppo e far rimanere secco Calum.
E Scarlett, non sa bene come, finisce più spesso in quel bar che in camera propria.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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Home is wherever I am with you.

NOSTALGIA.
 
"Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l'avrai mai."
"Dolore e nostalgia sono pagine di un libro scritto a due mani e riletto da soli."
 
«Mi odia,» esclama, posando la tazza nel lavandino e fulminando sua madre con lo sguardo.
«Oh, tesoro, non è vero - ribatte, addolcendo gli occhioni e accarezzandole la schiena - è solo arrabbiato, è normale, ma passerà,» aggiunge, il tono amorevole di chi non ha perso le speranze.
«No, invece, mi odia, non hai visto? Non mi ha fatto nemmeno parlare, ieri, ha detto che per sistemare la macchina aveva bisogno di concentrazione e preferiva stare da solo, io lo so che voleva semplicemente che me ne andassi!» sbotta, passandosi una mano fra i capelli biondi e lunghi.
«Amore, non ti odia, stai tranquilla! - le ripete sua madre, sorridendole - è solo troppo confuso, ora, per capire bene cosa prova, sei tornata da pochi giorni, del resto, no?» le dice, passandole una mano sulla spina dorsale.
Eva sospira, è convinta che Calum la odi, ma non le va di discuterne per ore con sua madre.
«E comunque, dovresti andare a pagarlo,» aggiunge sua madre, un sorrisino sghembo sul viso e tutta l’aria di chi si sta divertendo come pochi.
Eva sgrana gli occhi, poi scuote la testa.
«No, ti prego, puoi andarci tu? Ti scongiuro, laverò i piatti per una settimana intera!» congiunge le mani in segno di preghiera e guarda la mamma a occhi disperati, ma lei scuote la testa e ridacchia.
«Assolutamente no, su, cammina, non vorrai passare per una ladra,» le dice, dirigendosi velocemente verso il bagno, facendo finta di non ascoltare le urla disperate e arrabbiate della figlia, che le corre dietro.
«Non puoi farmi questo!» Eva sbatte un pugno sul legno bianco, infine sbuffa e alza gli occhi al cielo, chiedendosi per quale dannato motivo tra tutte le madri del mondo, proprio dalla sua doveva nascere.
Afferra la borsa con stizza, inarca le sopracciglia verso il basso e non ci vuole proprio andare lì, a sentire gli occhi furiosi del ragazzo su di lei come se fosse una bastarda assassina.
Esce di casa e sbatte la porta, giusto per far intendere il suo estremo nervosismo.
E lo becca proprio mentre sta aprendo la saracinesca del garage, la canotta che lascia scoperte le braccia tatuate e definite, la schiena che si contrae nel movimento e la fronte aggrottata per il sole che gli sbatte sul viso.
Si avvicina a passo lento, fino ad arrivargli dietro, e lo vede bloccarsi al rumore dei suoi passi.
«Che ci fai qui?» le dice, senza girarsi.
Eva sbatte le palpebre più volte, incredula. Come ha fatto a capire che è lei?
«Come diavolo hai fatto?» si acciglia, mettendosi le mani sui fianchi e aggrottando la fronte.
Calum si gira lentamente, fino a scontrare gli occhi scuri con quelli di lei, e alza le spalle.
«Hai lo stesso profumo da anni,» dichiara, lasciandola interdetta.
Eva rimane in silenzio, lo osserva con un’espressione stupita, prima di abbassare lo sguardo e stringersi nelle spalle, toccata da tali parole.
Come fa a ricordarsi del suo profumo? Come fa a riconoscerla solo per quello?
Cerca di ricomporsi e alza gli occhi verso di lui.
«Sono venuta qui per pagarti,» dice, poco dopo, tirando fuori dalla borsa i dollari precisi, che lui guarda per qualche secondo, senza decidersi a prenderli.
«Non li voglio,» le risponde, portando nuovamente lo sguardo su di lei e scuotendo il capo.
«Perché?»
«Non li voglio e basta.»
«Non me ne vado da qui finché non li avrai presi, Calum,» dice, decisa, inarcando le sopracciglia verso il basso e facendogli intendere che non la smuoverà facilmente.
«Ma sei sorda o cosa? Non li voglio!»
«E mi hai riparato la macchia gratis? Per favore, smettila e prendili, sono tuoi,» gliele porge ancora di più, mettendoglieli sotto il naso e alzando le sopracciglia di scatto.
«Dio mio, sei così testarda,» esclama, afferrando i dollari e scontrando la mano con le dita di lei, che le ritira, come scottata.
Si lascia sfuggire una risatina, poi, prima di allontanarsi di un passo.
«Dovresti saperlo,» commenta.
«Non ricordavo lo fossi a tal punto.»
Eva sorride, alza le spalle e abbassa lo sguardo.
«Magari lo sono più di prima.»
«Oh, sicuramente, prima lo sapevi accettare un no,» risponde lui, sorridendo, prima di accorgersi di quanta confidenza stia dando alla stessa ragazza che è sparita per ben tre anni.
Torna serio, ricomponendosi, e raffredda lo sguardo.
Eva si accorge del cambiamento, sospira, ci aveva quasi sperato, poi si morde un labbro e infine gli sorride leggermente.
«Beh, immagino che tu debba lavorare - dice, sistemandosi la borsa sulla spalla - allora ti lascio, grazie ancora per la macchina,» gli dà le spalle e se ne va.
Intanto, Calum si morde l’interno guancia, senza distogliere gli occhi dallo stesso corpo che per anni ha assaggiato tra le lenzuola del suo letto.
 
Scarlett apre gli occhi lentamente, sente la schiena intorpidita e la testa le gira un poco.
Si alza, scostandosi le coperte di dosso, e nota subito che la stanza in cui si trova non è affatto la sua e che porta ancora i vestiti del giorno prima, a parte i tacchi, buttati ad un angolo.
In un attimo, varie immagini della sera prima le scorrono per la testa, facendole ricordare perfettamente ogni avvenimento.
I due ragazzi, la notte buia, la sua paura, il suo pianto isterico, Ashton.
Ashton.
È a casa di lui, probabilmente, ma non si ricorda nient’altro che un suo abbraccio.
Cammina verso la porta, aprendola e uscendo, ritrovandosi a poggiare i piedi nudi sul parquet in legno e osservando attentamente il corridoio, ricoperto di foto e quadri.
Sente il rumore di pentole e passi a una stanza lontana, oltre il corridoio, e si avvia piano, cercando di essere il più delicata e silenziosa possibile.
Entra nella cucina e lo trova lì, intento a sciogliere del cioccolato a bagno-maria, con la fronte aggrottata e una canotta a scoprirgli le braccia e le spalle, un paio di pantaloni che gli staranno trenta volte e i piedi totalmente nudi.
Lui si gira di scatto, appena lo scricchiolio del parquet la tradisce, e le sorride smagliante, lasciando per un attimo la cucchiarella e il pentolino, avvicinandosi a lei.
«Ehi, bella addormentata, come stai?» ride, le porta una sedia lontana dal tavolo e la invita a sedersi. Su di esso, vi è una ciotola ripiena di fragole e due tazze, ancora vuote.
Scarlett si siede, si sente in imbarazzo e non può negarlo, le guance le si colorano di rosa e lo sguardo corre verso il marmo del tavolo, dove poggia le dita e le picchietta.
«Sto, hm, bene, credo,» non lo è davvero sicura, alla fine ciò che è successo la sera prima l’ha scossa sul serio e si sente tremendamente intontita, per non pensare che avrà il viso impiastricciato per il trucco che non si è tolta e dei capelli scombinatissimi.
Un mostro, in pratica.
Ashton mette il cioccolato fuso all’interno di un’altra ciotola, per poi posarla sul tavolo e sedersi anche lui al suo fianco, sorridendole con una gentilezza che, Scarlett, non gli aveva mai visto.
«Mangia, credo che tu sia affamata, dopo ieri sera,» le dice, porgendole le fragole.
Titubante, ne afferra una e la immerge interamente nel liquido scuro, prima di portarselo alle labbra e assaggiarlo con gusto.
In poco tempo, ne spolvera la metà, sotto gli occhi divertiti del ragazzo, che la osserva di sottecchi, incurante dell’aspetto poco curato.
Scarlett allontana la ciotola, poi, sazia e piena, si gira verso Ashton, che le sorride, prima di passarsi la lingua sulle labbra, per togliere ogni residuo di cioccolato.
«Aspetta - Scarlett salta sulla sedia, sgranando gli occhi - ma che ore sono?»
«Le dieci e mezza.»
«Oh mio Dio! Ma io dovrei essere a lavoro,» ed è già pronta a scattare, prima che il polso venga circondato dalle dita affusolate di lui, che scuote la testa e ridacchia.
«Tranquilla, hanno già chiamato e io mi sono permesso di rispondere, dicendogli che sei malata,» e sa, Scarlett, che non è buona educazione rispondere al telefono di altri, soprattutto se non si ha tanta confidenza, ma non può che essergli grata, ‘ché dopo la serata di ieri, di andare a lavoro proprio non ne ha voglia.
«Grazie - mormora, tornando seduta e sorridendogli flebilmente - e tu, non hai il bar?» aggiunge, sbattendo le palpebre più volte, al che lui annuisce.
«Ho detto agli altri di aprire senza di me, hanno tutti le chiavi, non potevo di certo lasciarti sola, dopo ieri,» risponde, nascondendo il proprio viso dietro la tazza.
Scarlett rimane per qualche secondo stupita, poi sorride, grata.
Non si immaginava tanto interesse da parte sua, del resto.
«Grazie di nuovo, allora,» si lascia sfuggire, stringendosi nelle spalle e osservandolo attentamente, con occhi ancora un po’ offuscati dal sonno.
Ashton sorride e basta.
E le basta.
 
Non ci pensa più di tanto, mentre cammina a passo svelto nella sua direzione, con i capelli sconvolti dal vento e lo sguardo deciso.
Ai suoi amici ha raccontato una balla, ‘ché l’unica volta che l’hanno vista parlare con lui le hanno fatto  troppe domande, per poi scuotere il capo e dirle che non c’è da fidarsi, di uno che non ride mai.
Ma Gioia se ne frega di ciò che dice la gente, sa quel che fa e sa che Luke non fa nulla di male, non ha nulla di male, e il suo comportamento deriva sicuramente da qualcosa che è successo, tempo addietro.
Si ricorda le parole di Paola, una volta lui era amatissimo, circondato da tanta gente, cosa mai è successo che l’ha reso così? Chiuso, spento, triste.
Scuote la testa, non è il momento per pensarci, alla fine si ferma di fronte a lui.
Luke è poggiato al muro, un foglio in mano e la fronte aggrottata, lo sguardo concentrato nel leggere le righe nere sul bianco.
Si schiarisce la voce, allora, per attirare la sua attenzione, e lo vede alzare gli occhi cerulei verso di lei, prima di ricomporsi e rizzarsi con la schiena, infilandosi il foglio nella tasca.
«Oh, Gioia,» borbotta, a mo di saluto.
«Ehi, Luke, come va?» sorride smagliante, illuminando maggiormente lo sguardo e scoprendo i denti perfettamente bianchi e dritti.
«Hm, va bene, sì, e a te?» le chiede lui, di rimando, passandosi una mano sulla nuca, visibilmente in soggezione.
Gioia riesce a intimidirlo con poco, è così solare e piena di vita che non lo sa proprio come mai, ogni tanto, ci spende del tempo per chiacchierarci, con uno come lui.
«Una meraviglia, sì - ridacchia, lo fa sempre, poi addolcisce il sorriso - hai programmi per pranzo?» chiede, poi, sperando vivamente che le dica di no, che ha l’ora libera.
Ha voglia di passare del tempo con lui, conoscerlo, magari rubargli qualche sorriso.
Luke sbatte le palpebre più volte, poi sembra pensarci per qualche secondo, infine scuote la testa.
«No, sono libero, perché?» è quasi ingenua, come domanda, ma ha come paura che non sia quella la richiesta. Perché dovrebbe spendere altro tempo con lui?
«Mi chiedevo se volessi venire a mangiare con me - si stringe nelle spalle e svaga lo sguardo - sì, insomma, io sono totalmente sola,» e poi non è vero, ma buttarla lì aiuta sempre.
Luke la guarda, poi si lecca il labbro inferiore e si gratta la nuca nuovamente.
«Sì, è ok.. insomma, mi va bene,» cerca di sorriderle, è felice della richiesta e non aveva proprio voglia di starsene da solo per un’ora intera.
Gioia sorride smagliante.
«Perfetto, c’è qualche posto in particolare dove ti piacerebbe andare?» gli chiede, incrociando le braccia.
Luke sembra pensarci su, svaga con lo sguardo a destra e a sinistra, aggrottando leggermente la fronte, poi si illumina, facendo brillare per qualche secondo quegli occhi un po’ troppo spenti.
«Andiamo a prendere un paio di panini, poi so io dove andare,» le dice, iniziando a camminare verso il bar.
Fanno una fila di sette minuti, ripiena di sbuffi e sorrisini divertiti dalla situazione, poi Luke paga per entrambi, sotto le proteste di Gioia.
«Tu mi hai offerto un tramezzino, l’altro giorno, ho solo ricambiato il favore,» e lei sospira, perché non può dirgli nulla.
Luke, poi, inizia a incamminarsi a passo svelto all’interno dell’università, facendo lo slalom tra gli studenti e accertandosi che lei gli sia dietro.
Gioia sorride, vede il ragazzo mostrare segni di vita - vita vera, intende - e, sebbene ora abbia appena iniziato una rampa di scale che sembra non finire più e lei sente già i polmoni esplodere, non può evitare di rimanere in silenzio, non vuole rovinare il momento.
Alla fine, Luke apre una porticina di metallo, arrugginita, che porta alle terrazze e la lascia passare, e sebbene Gioia pensa sia finito, Luke le afferra un braccio e la costringe a seguirlo, fino ad arrivare in un punto preciso.
È un angolo, nascosto dalle mura della sporgenza dell’entrata, totalmente coperte di edera, e nessuno riuscirebbe a vederli, lì dietro.
Luke si siede, lascia penzolare le gambe e la invita a fare lo stesso e, sebbene Gioia di solito avrebbe paura, lo segue senza obiezioni, notando che sotto di lei non c’è altro che un tettuccio a proteggere eventuali cadute.
Quando alza lo sguardo, poi, rimane senza fiato.
Tutta Sydney è prostrata ai suoi piedi.
«Come hai trovato questo posto?» gli chiede, spalancando le labbra e sgranando gli occhi.
Luke sorride, si stringe nelle spalle e non la guarda.
«Quando si cerca la solitudine, si trovano sempre bei posti.»
 
Michael si sdraia sul letto e incastra le mani dietro la nuca, mentre guarda ridacchiando Eva, intenta a osservarsi allo specchio.
«Dio mio, sto diventando una balena - piagnucola, guardandolo il labbro inferiore all’ingiù - sono orribile,» aggiunge, prima di sedersi delicatamente al lato del ragazzo, che è venuto a trovarla all’improvviso.
Le è mancata, e ora che c’è non vuole far altro che starle spiccicato.
«Smettila, non sei affatto una balena, sembra che ti sei nascosta un palloncino sotto il vestito, al massimo - risponde lui, ridendo e alzando gli occhi al cielo - e sei splendida,» sorride, è sempre stato un amore con lei, facendola sentire bella più di quel che già è.
Eva non è mai stata una ragazza poco curata, aveva sempre gli occhi di tutti addosso - poi, perché tra tanti bei ragazzi, lei abbia scelto proprio Calum, questo ancora è unmistero - ma non è mai stata una che si vanta, di come appare.
Non lo sa nemmeno, in realtà, di possedere una bellezza al di fuori del normale.
«Dici così solo perché siamo amici,» ribatte, incrociando le braccia sotto il seno e aggrottando la fronte.
«Sai meglio di me che non dico bugie, Eva, costi quel che costi,» alza un sopracciglio e ride, dandole una manata sul braccio.
«Già, quante volte ti è costata cara?» gli da una gomitata e aspetta che risponde, sa che Michael, con la lingua biforcuta che si ritrova, per quanto dicesse solo verità, ha dato più problemi di quel che ci si aspetta.
«Parecchie - ride, scuotendo la testa - ma odio i bugiardi,» aggiunge, stringendosi nelle spalle.
 Eva si sistema sul letto, incrocia le gambe e lo guarda, con lo sguardo divertito.
Ecco perché lo adora, sa che non le mentirebbe mai e questo è ciò che chiede, Eva:verità.
Bussano alla porta, ed Eva grida un “avanti” a chiunque sia, mentre Michael sbadiglia sonoramente e con un occhio chiuso, ritrovandosi di fronte la figura della madre della ragazza, con in mano un enorme scatolone.
«Guarda un po’ che ho trovato in cantina - dice, con un entusiasmo esagerato, buttando la scatola sul letto, prima di girarsi verso il ragazzo - oh, ciao tesoro, come stai?» gli sorride dolcemente.
«Una pacchia, signora Palmer, e lei?» si sistema fino a sedersi anche lui, stendendo le labbra in un sorriso gentile ed educato.
Ha sempre amato la madre di Eva, così amorevole con tutti.
«Sto bene, sto bene - poi guarda la figlia, sorridendo - hai capito cosa sono?» congiunge le mani e intreccia le dita, con gli occhi luminosi e divertiti.
Eva scuote la testa, poi apre la scatola e, appena capisce, sgrana gli occhi e la bocca.
«Oh mio Dio, ma sono tutte le foto che ho lasciato qui!» mormora, sprofondando la mano all’interno e tirandone fuori alcune, sotto lo sguardo curioso di Michael.
La donna annuisce, poi esce dalla stanza e li lascia soli, sicura che avranno tanto da dirsi.
Eva svuota l’intero scatolone sul letto e osserva attentamente foto per foto.
Michael ne afferra una e gliela mostra, con un sorriso.
«Guarda quanto eravamo piccoli, io non mi ero ancora tinto - ride, indicandosi nella foto, dove sono solo loro due, seduti sul divano e con una smorfia buffa in viso - quanti anni avevamo? Tredici? Quattordici?»
«Non ne ho la più pallida idea, ma probabilmente avevamo appena fatto amicizia,» ride, mentre si gira tra le mani tutte le foto che trova, soffermandosi a guardare quelle del loro gruppo, che man mano maturano di aspetto.
E lei, in tutte, è stretta a Calum, con gli occhi che brillano di una felicità che per tre anni si era scordata esistesse.
Alla fine ne prende una, dove dietro ci sono scritte delle frasi, con la scrittura confusionaria di Calum.
Raffigura loro due, le labbra a contatto, ostacolate dal sorriso di entrambi. Eva ha le mani affondate nei capelli di lui e Calum la stringe a sé, dai fianchi.
Sono sporchi da cima a fondo di pittura, un misto di colori che rende la foto speciale.
Avevano diciassette anni, si ricorda di quel giorno. Eva ha sempre avuto la fissa del disegno e lui le aveva comprato le tempere, eppure non erano mai finite su una tela.
Quella foto è sicuramente la più bella, tra tutte le loro.
La gira e legge attentamente ciò che c’è scritto.
And so kiss me, kiss me, kiss me
And tell me that I’ll see you again
‘Cause I don’t know,
If I can let you go

Un sorriso nostalgico.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccoci con un nuovo capitolo, che ne dite?
Abbiamo Eva che è costretta ad andare a pagare Calum, che per un attimo si scorda della sua rabbia verso di lei.
Scarlett si risveglia a casa di Ashton e per una volta riesce a scambiarsi quattro parole con lui senza scannarcisi.
Poi Gioia che cerca un approccio con Luke, chiedendogli di andare a mangiare insieme, e lui la porta nel suo posto, che ha trovato in cerca di solitudine e ora si ritrova a spartire con lei.
E infine Eva e Michael se ne stanno a casa della ragazza, a chiacchierare tra loro, e la signora Palmer se ne esce con uno scatolone di foto, dove Eva ritrova quella con Calum, fatta molti anni prima.
Beh, non ho granché da dire, se non che spero vivamente vi sia piaciuto!
Bye bye,

Judith.
  
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