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Autore: jennifer brennan    06/05/2015    0 recensioni
C'è un giardino pieno di fiori, che poi è la mia famiglia. Piena di amori, dissapori, odio, amicizie. E poi c'è un' ortensia simbolo allo stesso tempo di amore, distacco e gratitudine. Che cambia il suo colore in base all'acidità del terreno. Quell' ortensia sono io.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Maggio 1951, confine tra Lombardia ed Emilia Romagna


Mi piacerebbe anche solamente fare l'infermiera, assistere le persone, aiutarle, chiacchierare, fare del bene come la mia fede insegna. Mi piacerebbe fare quel corso all'ospedale della città. In realtà il mio sogno sarebbe quello di andare all'Università, come tutti i miei compagni di liceo. Vorrei frequentare la facoltà di farmacia. Fantastico sul mio futuro già scritto mentre la signorina Lilia spiega Apuleio, tutti sono attenti e ascoltano affascinati la storia di Amore e Psiche, ma io ho altro a cui pensare, io non ho tempo per amare, non so nemmeno cosa voglia dire. Io voglio diventare una donna vera come mia mamma, voglio saper gestire tutto con la stessa sua rigidità e autonomia. 
La maturità è dietro l'angolo, ma io matura lo sono da un po'.
Un anno fa Maria ha perso il padre Fulvio e ricevuto una sorellina. Sembra che il suo Buon Dio non volesse abbandonarla del tutto. Fulvia ha un anno e gli stessi occhi verdi del padre oltre che il nome. Fulvio allevava cavalli ed ora nessuno può portare avanti la sua attività, il carrettiere principale è stato licenziato, i cavalli venduti, nessuno escluso, nemmeno Carlone, il grande cavallo nero a cui Maria era affezionata. Non potrà andare all'Università, dovrà imparare a fare la donna di casa, aiutare la mamma nelle faccende, a crescere la sorella e nella piccola osteria. Maria è bella, alta, molto in carne, ha lunghe trecce nere e degli occhioni azzurri. È molto credente eppure dura. Un cuore di ghiaccio, proprio come i suoi occhi.



Ottobre 1958, confine tra Lombardia ed Emilia Romagna


Pulisci il tavolo sotto la finestra, taglia le carote, stendi la pasta, farcisci i tortlitti, corri a riprendere Fulvia a catechismo. Non sopporto più nulla, a volte prendo la mia bicicletta rossa e pedalò forte forte fino alla sponda del Po, la aria che mi schiaffeggia la faccia mi ricorda che sono viva. Io sono viva e devo vivere per chi non c'è più e non può più godersi questo sole, questo fiume, questo posto. Vorrei andare a sdraiarmi sull'erba dell'argine a leggere le poesie del Montale che mi piacciono tanto e invece un ragazzo scuro e sfacciato mi si piazza sotto il naso. Vuole un tavolo. Eccolo. Vuole gli anolini in brodo e il lesso con la salsa verde. Provvedo subito. Anche il vino, signorina. Ovviamente. Se ritorno la trovo? Purtroppo. Se ritorno la sposo? Non si permetta. Se ritorno che fa? Chi lo sa. 
Enzo è un camionista. Viene da Novara e non sa nulla, non crede a nulla, non ha nulla a parte il suo camion. Con quello viaggia e vede posti bellissimi: Parigi, Düsseldorf, Amsterdam. Enzo è tornato ogni sabato successivo a quell'incontro, Maria lo trova inferiore e stupido, ma appena egli tarda un poco ad arrivare alla locanda il cuore le si spezza un pochino. Si accoccola al calorifero di fianco al tavolino di Enzo e lo guarda mentre lui le racconta tutti i posti visitati nell'ultimo periodo, in qualche modo Maria riesce a viaggiare anch'essa tramite i suoi racconti, tramite le sue parole, la sua voce, le sue labbra. Le sue labbra. Le sue labbra sono carnose e contornate da una barba sfatta, abbracciano la sigaretta forte e la lasciano andare in una nuvola di fumo. Maria vorrebbe essere una sigaretta in quel momento, dov'è finita la ragazzina che odiava l'amore? Enzo nota tutto, la prende per mano e la porta sul suo camion. 
- Perché siamo qua, signore? 
- Non lo sa, Maria? 
Maria in risposta scuote la testa china. Enzo ferma quel movimento e le alza il volto con le sue mani sporche. La guarda per un attimo negli occhi. Lo ying e lo yang. Occhi azzurri di un volto pallido dentro a quelli scuri di un volto abbronzato. Poi un bacio. Un bacio forte, appassionato, protratto, da cui Maria avrebbe voluto non staccarsi più.



Giugno 1990 , confine tra Lombardia ed Emilia Romagna


Un caldo. Un caldo ustionante. E non parlo di temperatura dell'aria. Un fuoco, rosso e vivo, che non è l'amore di Enzo.
Brucia, fa piangere, urlare. Sandro, Valentino e Giosuè ci guardavano immobilizzati. Avevano 3,2 e 4 anni, non se lo sarebbero ricordati. Me lo ricordo io. La sigaretta era finalmente spenta, il mio décolleté finalmente brasato a dovere. Enzo era ubriaco, come sempre, era contento ed ora poteva andare al lavoro. Io rimanevo qua sola, sola e incapace di fare nulla. Sono rimasta così per anni. I miei ragazzi sono grandi e Franco , l'ultimo dei quattro, ha 20 anni. Le violenze non sono finite, ma nemmeno l'amore. Ipocrisia? Omertà? Chiamatela come volete. Io amo Enzo, amo quell' uomo che mi ha ammorbidito con il suo amore ed infine bruciata con quella stessa sigaretta che avevo desiderato di poter essere le prime volte che ci siamo incontrati. Quando ami una persona più di te stessa non riesci a lasciarla andare. I miei figli però sono stanchi di vedermi così. L'hanno cacciato stamattina e a me già manca. Come farò senza? Con che coraggio divorzierò? Cosa penserà di me l'intero paese? 



Oggi, Sempre lì.


Il paese avrà anche vociferato, non avrò avuto un matrimonio perfetto, ma ho una famiglia splendida. I miei nipotini mi corrono attorno e quelli più grandi invece mi sorreggono per le braccia. Arabella, la più grande, sembra me: robusta, bella, le trecce scure, al quinto anno di liceo e l'anno prossimo, lei sì, farà uma professione sanitaria. Quando era piccola le raccontavo le storie di Carlone e i viaggi del nonno Enzo. Su quei viaggi ha inventato un motivetto "sul camion nonno Enzo sai chi c'è?" e poi ci citava tutti, tutta la sua famiglia, i suoi companiucci dell'asilo, i suoi animali, tutti. Quando diceva la nonna Mary mi prendeva un sobbalzo e tornavo con la mente a quell'ottobre, a quel nostro primo bacio. Non le ho mai raccontato nulla, l'ho sempre descritto come un uomo meraviglioso, ma lei sa. E so anche io ora: so che non mi serve un uomo per essere felice e che prima di amare qualcuno bisogna amare se stessi. So anche che lo amo ancora, anche ora, come il primo giorno.
   
 
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