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Autore: indiceindaco    06/05/2015    6 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
Capitoli:
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XXXI. Sotto pelle.
 
 
“Tornare è un'abitudine
Per quelli come te
Fedeli ancorati, all'ovile di sempre
[…]
Ma lui non deve piangere
E' vergogna piangere
Sarai tu a rispondere
Se saprai
[…]
Ma io non posso chiedere
Io non devo chiedere
Sarai tu a rispondere se vorrai
[…]
Sarai tu a rispondere
Sai sempre rispondere.”
 
L’abitudine di Tornare, Carmen Consoli.
 
 
Quando Draco varcò la soglia del Malfoy Manor, ebbe per un istante, uno soltanto, la sensazione che la porta che si chiudeva alle sue spalle non fosse semplicemente la porta di casa propria. Aveva come la sensazione di aver chiuso la porta su un tempo deviato, lontano, un tempo imperfetto, qualcosa che avesse smesso di appartenergli. Era curioso gli accadesse solo in quel momento, ma seppe, sfilandosi il mantello, che da quell’istante nulla sarebbe più stato com’era dietro quella porta. Tutto stava per cambiare, e solo una manciata di mesi prima questa constatazione lo avrebbe mandato nel panico, in un’iperventilazione emotiva incontrastabile. Adesso era diverso: tutto aveva il retrogusto dell’esattezza, e qualcosa gli diceva che non spettasse a lui opporsi alla corrente, a quel flusso inarrestabile, che prima o poi lo avrebbe travolto. Si sentiva in pace con se stesso, per la prima volta dopo tanto tempo. E che fosse merito di Potter, non riusciva ad ignorarlo, sebbene sapesse non fosse tutto lì. Qualcosa, dentro di lui, lo aveva spinto a reclamare il proprio posto sul palcoscenico di una vita alla quale aveva fino a poco prima assistito, attonito spettatore anonimo.
Lasciandosi scappare un sorriso, una volta entrato nel grande e poco illuminato salone, indovinò la figura di Blaise, sul divano. E si ritrovò a chiedersi quanta tenacia il suo migliore amico dovesse avere. Erano le due di notte, probabilmente Blaise avrebbe di lì a qualche ora cominciato il turno al San Mungo, eppure era lì: silenziosamente seduto nel suo salone, con un bicchiere di Incendiario in una mano, ed un tomo di Medimagia nell’altra, ad attendere paziente il suo ritorno. Draco si avvicinò, cautamente, e prima ancora che potesse anche solo concedersi di articolare un saluto, Blaise voltò leggermente il capo e lo guardò negli occhi, senza dire nulla. Poi il suo sguardo sembrò voler guidare quello di Draco verso il tavolino di vetro, quello di fronte al divano scuro. Draco seguì quell’impalpabile percorso, e poi la vide. Era una busta stropicciata, ingiallita dagli anni che le erano passati addosso, in alto a sinistra recava il suo nome scritto elegantemente, come solo la grafia di Narcissa poteva essere.
-L’hai trovata…- disse solo, con voce piatta.
Blaise si raddrizzò sul divano, e si scansò leggermente, di modo che Draco potesse sedersi.
-Dovresti aprirla.
-Avresti potuto farlo tu…
Blaise lo guardò inarcando un sopracciglio, sembrando alquanto divertito dall’affermazione dell’amico, che adesso gli sedeva accanto, rigirandosi la busta fra le mani.
-Ho già fatto abbastanza, ti pare?
Draco mugugnò qualcosa di rimando, troppo preso dalla busta, per poter aggiungere qualcosa.
-Sai, puoi ringraziarmi prima o dopo averla aperta, non ho preferenze. Ho già riscosso la mia ricompensa – disse Blaise, facendo un cenno verso la bottiglia di Incendiario vuota, facendo scappare un sorrisetto all’altro: - Però adesso dovresti proprio aprirla.
Draco annuì brevemente, prima di stringere tra le dita la spessa pergamena. Un attimo prima che quest’ultima si lacerasse, mormorò sommessamente:
-Grazie, Blaise.
 
***
 
“Cambiano le correnti, cambiano gli umori
cambiano i desideri, mutano i colori
c'è da qualche parte una mano che ne afferra un'altra
c'è da qualche parte una vita che ne salva un'altra.
[…]
E correremo forte, chissà per quanto tempo
ma ci resta quel punto lontano da guardare
per non perderci del tutto
per riscoprire tutto,
per non dimenticare tutto quello
che ci ha portato salvi fino a qui.
Cambiano le correnti, cambiano gli umori
cambiano i desideri, mutano i colori
e c'è da qualche parte un amore che uccide gli inverni.”
 
La rotazione, Nicolò Carnesi.
 
Intorno a lui c’era solo un assoluto ed opprimente silenzio. Harry sedeva di fronte al fuoco, poteva percepirne il vago calore rassicurante, e riusciva ad immaginarlo scoppiettare, ma non riusciva a sentirlo. Non sentiva nulla, in realtà. Tutto aveva cominciato a vorticare, prima si trattava solo di brevi fotogrammi che avevano preso a traballare proprio nella sua mente, per poi scomporsi, disfarsi, accavallarsi. E più cercava di venirne a capo, più la matassa si ingarbugliava, si infittiva, e la confusione aumentava meschina, e spudorata. E tutto quello che riusciva a sentire davvero era quell’ammasso di pensieri disordinati: Ginny. Sirius e Remus. Poi ancora Sirius, e suo padre, sua madre, e Remus, e Tonks, il piccolo Teddy. Hermione, Ron, i Weasley. E di nuovo Ginny. E Malfoy, se ne stava un po’ in disparte, con quel suo ghigno enigmatico, ma era sempre lì, costantemente lì…sotto pelle, come una spina che non vuol andare via. Ed Harry era stanco, confuso, e terribilmente ubriaco, mentre portava alle labbra un bicchiere mezzo vuoto.
Ripensò alla lettera di Ginny, e portandosi l’indice ed il medio alla tempia, si sforzò di scoprire se almeno da qualche parte facesse male. Andava alla ricerca di un pizzico, anche il più lieve, purché potesse giustificarsi, e non sentirsi tremendamente in colpa per non aver provato nulla. Non lo trovava, ed era inutile continuare a cercare di immaginarselo. Non era stato doloroso, per nulla, ed Harry era quasi certo di poter dire che, se anche le cose fossero andate diversamente, non avrebbe comunque fatto male. La decisione di Ginny doveva essere stata sofferta, e senz’altro innescata dalla profonda ed inconcludente apatia che Harry aveva infuso in quel rapporto. Non c’era mai stato altro che quel calore, quello di un’intimità docile, confidenziale, fraterna, fra loro. Ed Harry era sicuro di non aver perso la sua Ginny, e che non l’avrebbe persa mai, perché Ginny era come una sorella per lui. Perché era prima di tutto stata sua amica, e forse non era mai stato più di quello, nonostante lo avesse travolto con il proprio sentimento, ed Harry aveva finito per convincersi di ricambiare. Tra loro era stato così, qualcosa di estremamente scontato, pilotato, come se non potesse essere diversamente. Eppure, a lungo andare, dopo un anno e un paio di mesi, dopo i primi chilometri posti fra loro, quel tanto millantato sentimento s’era svilito, sfilacciato, ed aveva finito per arenarsi, senza che nessuno dei due potesse farci nulla. Quella consapevolezza lo colpì allo stomaco, provocandogli uno sconcerto disarmante: quello che mancava fra lui e Ginny era esattamente dipinto negli sguardi che Sirius lanciava a Remus. Mancava quella scintilla, quell’istinto inspiegabile, indescrivibile. Harry l’aveva visto, l’aveva percepito distintamente, nei ricordi. Quei ricordi che tanto lo avevano sconvolto. Sirius aveva accettato Remus, senza pretendere di cambiare neppure una virgola in lui, e lo aveva accolto, nonostante i difetti, le mancanze, nonostante tutto lo aveva perdonato. Remus aveva dal canto proprio fatto altrettanto con Sirius, spendendosi senza riserve, regalandogli tutto, anche dopo la loro separazione. Remus aveva conservato quel diario, diario inaccessibile di un legame negato agli occhi di tutti, diario ermetico. Un diario che avrebbe potuto essere letto solo tramite il sangue dei Black. Perché il sangue, poi? Non aveva potuto far a meno di chiederselo, Harry. Perché Remus avrebbe dovuto usare un incantesimo antico e oscuro, che sottendeva una parte della vita di Sirius, qualcosa che nel bene e nel male faceva di lui quello che più detestava di se stesso: un Black? Forse era solo un altro dei muti gesti di Remus, un voler dimostrare che per lui non c’era nulla di sbagliato in Sirius, che nulla avrebbe potuto impedirgli di amarlo, per com’era. Ognuno con i propri demoni, ognuno con lo sfacelo che era. Come per riflesso, gli occhi di Harry tornarono lucidi. Poi pensò a Tonks ed al piccolo Teddy. Remus era andato avanti, ancora una volta facendosi del male, imponendosi di essere forte, perché era quello che Sirius avrebbe voluto. Remus s’era regalato un instante di pace, perché sapeva che Sirius non avrebbe chiesto altro per lui. S’erano amati, e persi, e odiati, e amati ancora, fino al punto di sorpassare qualsiasi regola, legge, gelosia, convenzione, rancore…da sorpassare ognuno l’esistenza dell’altro, avevano vissuto l’uno per l’altro, ed entrambi erano l’anima di uno stesso cuore. E tutto nel più rispettoso e sommesso silenzio, lontano dagli sguardi del mondo, lontano da tutto. Harry pensò ai suoi genitori, al sentimento che li legava, e non poteva immaginare che qualcosa di diverso potesse aver legato Sirius a Remus. Era qualcosa che andava aldilà dell’affetto, del mero desiderio. Era quel distruttivo bisogno di completezza, quel sapere di non poter essere se non negli occhi di un altro. Una lacrima scappò alle sue ciglia, mentre si chiedeva se per tutti dovesse esistere un amore così, alla fine. Pensò a Ron ed Hermione, a quanto fossero diversi, a quanto si dessero sui nervi a vicenda alle volte, a quanto spesso litigassero. Eppure, Harry aveva la sensazione che non ci fosse altro posto al mondo, dove Hermione avrebbe potuto appoggiare la testa se non sulla spalla di Ron.
E poi, puntuali come le lancette di un orologio, ad Harry tornarono alla vista un paio di occhi grigi, cristallini, e la voce sommessa e strascicata di Malfoy, che lo insultava bonariamente, che lo aggrediva severa, che gli sbraitava contro, che lo rassicurava. Una voce che semplicemente stava in silenzio, quando aveva esaurito le cose da dire, perché non aveva la smania di colmare quel vuoto con parole insensate. Una presenza laconica e burrascosa allo stesso tempo, un presenza effimera ma straordinariamente ostinata, tangibile. Ad Harry tornarono alla mente le parole di Pansy, e non poteva che trovarsi d’accordo, adesso. Malfoy nascondeva dietro quella sua aria superiore, un vastità di sfaccettature accecanti, impossibili da indovinare a causa di quel muro che aveva eretto intorno a sé, per proteggersi dalle bruttezze del mondo. Giocava ad essere infrangibile, ma era estremamente fragile, ed aveva finito per infrangersi. Proprio come lui.
Eppure, nonostante la paura gli chiudesse la gola, nonostante dovesse aver chiaramente sentito le crepe stridere dentro di sé, aveva abbattuto la barriera, s’era spogliato di quella corazza rassicurante, della scatola che lo faceva sentire al sicuro, ed era uscito allo scoperto. Si era raccolto e messo tra le mani di Harry, come si fidasse ciecamente, per la prima volta, di qualcuno in vita propria. E qualcosa diceva ad Harry che se da una parte avesse mollato la presa, Malfoy avrebbe finito per rovinare sul fondo della propria esistenza, chiudendosi per sempre. Dall’altra parte, se Harry avesse stretto troppo forte, Malfoy sarebbe avvizzito, estinguendosi. In quell’instante, complice l’Incendiario, non poté far a meno di negarlo, avrebbe solo desiderato raggiungere Malfoy, e sentirlo vicino. Gli sarebbe bastato per capire, per intrecciare le dita nel modo giusto…quello per non lasciarlo cadere, senza però soffocarlo.
 
***
“Sarebbe bello non lasciarsi mai,
Ma abbandonarsi ogni tanto è utile,
O necessario alla sopravvivenza
 Di animali in estinzione come noi,
Che non siamo gli alberi.
 Non siamo gli alberi,
Che stanno fermi li.
 
E tutto quello che voglio da te è illegale,
Niente che si può cercare,
 Che si può trovare,
In questa parte di universo disponibile.
Niente che si può comprare
 Con i soldi di mio padre.”
 
Non siamo gli alberi, Dimartino.
 
 
Draco rilesse velocemente quelle poche frasi, soffermandosi più del dovuto sulla firma di sua madre. Per quanto le rileggesse, non riusciva ancora a credere alla veridicità di quelle parole. Guardò Blaise, che in silenzio lo studiava, con un’espressione lievemente preoccupata.
-Sono buone notizie…- smozzicò a mezza voce.
-E allora perché hai quella faccia?
Draco si sforzò di immaginarsi che faccia potesse avere. Doveva sembrare sorpreso, indicibilmente esterrefatto persino, e turbato ovviamente. Era stato un’idiota, s’era arreso senza lottare, e come sempre aveva lasciato che fossero gli altri a preoccuparsene, recitando la parte del povero erede in rovina. Non immaginava  potesse esserci altra posa da assumere, non immaginava la lungimiranza della madre, né l’accortezza del padre. Era stato più facile e più comodo adagiarsi nella tragica incompiutezza della sua situazione, piangersi addosso, maledicendo quella guerra, e le scelte che i suoi genitori avevano fatto. Era stato sconsiderato, infantile e tremendamente egoista, nel dubitare di suo padre. Lo aveva etichettato, relegandolo al ruolo del padre menefreghista e incapace del più semplice atto di apprensione nei confronti del figlio. Era stato spietato anche con la madre, considerandola una debole, una docile anima in pena per l’amore della sua vita, che le era stato strappato. No, Lucius e Narcissa erano più di quello, valevano più della condanna che Draco aveva scagliato sopra le loro teste, sebbene senza cattiveria. S’era rassegnato nel vedere un padre innamorato dei propri ideali più che del proprio figlio, s’era rassegnato nell’accettare una madre glaciale e stoica, che pendeva dalle labbra di quell’uomo, al quale mai Draco avrebbe voluto assomigliare. E nonostante Draco, fin da bambino, avesse vissuto il rapporto con i suoi genitori con distacco e apatia emozionale, come si addice ad un Malfoy, ecco che scopriva adesso come loro fossero sempre stati lì. Scopriva che l’affetto non poteva misurarsi con il numero di carezze, scopriva che preoccuparsi di un figlio non significa tenerlo sotto una campana di vetro, al riparo dalle intemperie. Lucius e Narcissa avevano capito quale sarebbe stato l’epilogo della guerra, sapevano cosa li aspettasse, ma non avevano tradito i propri ideali, e Draco s’era spesso chiesto se nel farlo avessero considerato il proprio figlio, il suo futuro. Adesso aveva la risposta. Suo padre e sua madre lo avevano fatto, perché a dispetto di qualsiasi ideale, per un Malfoy la famiglia veniva prima di tutto.
Lucius sapeva, prima ancora che la guerra fosse finita, che il Wizengamot non lo avrebbe assolto e Narcissa sapeva che, senza Lucius, trovare una ragione per resistere, ed essere forte per se stessa e per suo figlio, gli sarebbe stato impossibile. Entrambi erano ben consapevoli dei propri limiti, eppure non avevano scrollato le spalle, accettandoli, no. Avevano trovato una soluzione, ponderandola, per aiutare Draco, anche quando non avrebbero fisicamente potuto.
-Avevano previsto tutto.- disse, abbassando la testa, sentendosi incredibilmente colpevole, gli sembrò di non conoscere affatto i propri genitori… Per tutti quegli anni, s’era limitato a guardare la superficie, specchiandovisi, senza preoccuparsi di andare fino in fondo. Era convinto fossero pozzanghere, e adesso scopriva degli oceani. Quante volte ancora avrebbe scoperto di aver riposto male il proprio affetto?
-Il fondo per le emergenze, non è altro che l’eredità dei Black. Mia madre è una Black, l’ultima con questo cognome. L’eredità sarebbe dovuta passare al figlio maschio, dunque mio cugino Sirius all’inizio, prima che fosse diseredato. Poi mio cugino Regulus. Alla morte di Regulus, l’eredità è passata a mia zia Bellatrix, senza considerare mia zia Andromeda, dato che lei aveva perso il diritto, avendo sposato un Babbano. Quando zia Bella è morta, l’eredità è passata a mia madre.- spiegò Draco ad alta voce, più parlando a se stesso che a Blaise.
-Ok, d’accordo…ma quindi…?
-Mia madre, durante la guerra, ha firmato la rinuncia all’eredità, in mio favore. Stabilendo che, al compimento dei diciassette anni, io avrei avuto il diritto di riscossione sull’intera eredità dei Black. In qualsiasi momento, quando ne avessi avuto bisogno, avrei potuto far valere tale diritto, e appropriarmi dell’eredità alla quale mia madre ha rinunciato. Lucius sapeva che il patrimonio dei Malfoy sarebbe stato razziato, qualora la guerra, com’è stato, non avesse avuto esiti a nostro favore. In questo modo, si hanno tutelato la mia sicurezza economica, sfruttando il diritto di successione magico, e garantendomi l’accesso ai fondi della famiglia Black.
-Sta a vedere che alla fine tuo padre ha sempre avuto ragione…- mormorò Blaise divertito, e abbondantemente sollevato
-Già…Com’è che diceva sempre? ”Il sangue non si lava via”. Immagino si riferisse anche a questo.- concedendosi un sorriso amaro, Draco rialzò il capo, quel tanto che gli consentisse di spiare l’espressione di Blaise.
-C’è solo un piccolo problema…
Blaise si lasciò sfuggire una mezza risata, prima di poggiare una mano sulla sua spalla.
-Ma non mi dire! Per caso questo piccolo problema si chiama Potter?
 
***
 
 
“Mostrarti i ricordi di quello che io sono stato
Mostrarti la statua di quello che io sono adesso
[…]
Vorrei conoscerti, ma non so come chiamarti
Vorrei seguirti, ma la gente ti sommerge
Io ti aspettavo quando di fuori pioveva
E la mia stanza era piena di silenzio per te
 
Vorrei incontrarti proprio sul punto di cadere
Tra mille volti, il tuo riconoscerei
[…]
Vorrei incontrarti ma non so cosa farei
Forse di gioia, io di colpo, piangerei”
 
Vorrei incontrarti, Colapesce.
 
 
Harry si svegliò di soprassalto, e la prima cosa che raggiunse la sua coscienza fu un forte dolore alla testa, unito ad un indolenza nel non sentire il tipico peso sul naso, costatando di aver perso gli occhiali, scivolati chissà dove.
-Sei proprio un disastro.
Per un attimo era quasi convinto si fosse immaginato quella voce, la sua voce. La sua mente, ancora intorpidita, doveva avergli giocato uno scherzo. Scosse la testa, passandosi una mano sul viso, come per costringersi a svegliarsi, per poi aprire finalmente gli occhi e mettere a fuoco la scena davanti a sé. Poi una mano, docilmente, gli poggiò gli occhiali sul naso, spingendoli perché fossero inforcati per bene, picchiettando. Abbassò le palpebre per riaprirle subito dopo, questa volta riuscendo, grazie alle lenti, a mettere a fuoco. Malfoy era accovacciato lì accanto a lui, e lo guardava con un’espressione a metà tra il divertimento e la disapprovazione. L’ex Serpeverde si fece sfuggire una risatina, mentre Harry cercava di raddrizzarsi, con la schiena contro la poltrona, e di ricostruire la notte precedente.
La sera prima Malfoy se n’era andato, no? Sì, Harry lo ricordava. Come ricordava di aver appellato una nuova bottiglia di Incendiario, esser tornato in salotto, aver preso il diario tra le mani, aver acceso il camino, e…s’era messo a bere, inseguendo i pensieri, forse cercando di scacciarli, ed aveva finito per ubriacarsi, come un’idiota. Poi doveva essersi addormentato, senza neanche rendersene conto, lì per terra. Sì, doveva essere andata così. E si spiegava tutto: il mal di testa, gli occhiali che non erano al loro posto, e quel vago senso di nausea. Non si spiegava però che diavolo ci facesse Malfoy lì.
-Sembri anche meno intelligente del solito appena sveglio, lo sai Potter? Non credevo fosse possibile.
Stava piegato sulle ginocchia, a pochi centimetri da lui, la testa reclinata di lato, e la faccia di chi s’è fatto una dormita colossale e pacifica. Harry cercò di ribattere qualcosa, maledicendolo mentalmente, ma ne venne fuori una frase sconnessa e priva di senso:
-Cosa…Chi ti ha aperto? Perché…ho bisogno di un caffè.
-Questo lo vedo.- disse Malfoy con quel suo tono beffardo, per poi porgergli una tazza fumante: -Bevi, Potter, e vedi di ristabilire un contatto col mondo esterno.
Harry prese tra le mani la tazza, e la portò alle labbra, senza un attimo d’esitazione, per poi rendersi conto che Malfoy aveva architettato tutto al solo scopo di avvelenarlo. Il liquido scuro e aromatico gli andò di traverso, trafiggendogli il palato senza pietà, ed Harry prese a tossicchiare, respirando a fatica.
-E adesso che ti prende?
Malfoy, preso alla sprovvista, s’era avvicinato ancora di più, mettendogli una mano sulla spalla, e sembrava sinceramente preoccupato, mentre Harry si copriva la bocca e cominciava a respirare normalmente. 
-Disgustoso…è disgustoso! Bleah…- disse Harry, trattenendo un poco raccomandabile conato di vomito. Malfoy sembrò risentirsi, e si alzò stizzito, sbuffando.
-Un grazie era più che sufficiente, davvero….- borbottò.
-Avresti potuto zuccherarlo, almeno!- si lamentò Harry, mettendosi in piedi, mentre continuava a deglutire per scacciare via quel saporaccio.
-Dico, ti sembro un elfo domestico?
Harry sospirò, prima di portarsi una mano ai capelli, più incasinati del solito, e per un attimo ponderò la risposta, decidendo poi di rinunciare. Era decisamente troppo provato per riuscire ad affrontare qualsiasi tipo di discussione, non senza un caffè almeno. Optò quindi per dirigersi verso la cucina, seguito silenziosamente da un Malfoy ancora fintamente offeso.
Quando poi ebbe agguantato una zolletta di zucchero dalla credenza, e mescolato il caffè, si voltò di nuovo. Dopo una fugace occhiata all’orologio, che gli notificava fosse mezzogiorno passato, prese ad osservare Malfoy, che s’era accomodato sulla sedia che era ormai solito occupare. Ad Harry quella scena diede il solito retrogusto di quotidianità, come se quella sedia e quella porzione di tavolo, non potessero essere mai appartenute a qualcun altro se non a Malfoy. Dopo quella considerazione, portò di nuovo la tazza alle labbra, risoluto nel mettere fine a quei deliri sconnessi. Malfoy lo osservava quieto, studiandolo pazientemente. Quando Harry svuotò la tazza e la abbandonò sul tavolo, l’altro ruppe il silenzio.
-Adesso sarebbe troppo ambire ad avere una conversazione normale?
Harry schioccò la lingua, per poi sedersi di fronte a lui.
-Non dirmi che è una morale sul non venire a lezione. 
-Potter è domenica.- disse Malfoy, e con il tono di chi stesse rimarcando l’ovvio continuò: -E sai cosa significa…?
-Che non c’è posta la domenica?- disse Harry titubante.
-Sai, non credo che questa fosse la cosa più stupida che tu potessi dire. So che puoi fare di peggio, e ti sono grato per avermi risparmiato.- rispose Malfoy, annoiato, poi si alzò, avvicinandosi al piano cottura. Mentre armeggiava con la teiera, completamente a proprio agio, continuò:
-Significa che non c’è lezione, la domenica. Quindi non ci saranno morali su assenze non fatte. Sono venuto a parlarti di altro.
Harry guardò oltre la propria spalla, vedendo Malfoy dare un colpo di bacchetta alla teiera appena riempita d’acqua, poi il ragazzo si voltò, verso di lui, e poggiò i fianchi contro la superficie di marmo, incrociando le braccia al petto.
-Altro…?- disse Harry titubante. Pensava che Malfoy gli avesse detto ciò che doveva la sera prima, ma percepiva che ci fosse qualcosa di diverso nel tono dell’altro, quella mattina.
-Ricordi quando ti ho chiesto di parlare con Shackebolt?- Malfoy attese che Harry annuisse prima di continuare: -Non occorre. Come non occorre tentare di chiedere un prestito a quei maledetti folletti. Come non occorre affittare quella casa che ti ho mostrato.
Harry strabuzzò gli occhi, aggrottando la fronte.
-Malfoy, credimi…non ti seguo.
-Io una casa ce l’ho. L’ho sempre avuta, ma ne sono venuto a conoscenza solo ieri notte. E questo risolve quasi tutti i miei problemi. C’è solo un dettaglio.- disse l’altro, voltandogli le spalle, per agguantare una tazza e riempirla con il contenuto della fischiettante teiera. Harry non sapeva come spiegarlo, ma aveva come il sentore che qualcosa di poco positivo sarebbe stato detto di lì a poco.
-In quella casa ci vive già qualcuno…- continuò Malfoy, voltandosi nuovamente, e fronteggiandolo, mentre portava la tazza alle labbra. Harry non poté far a meno di notare che questa volta Malfoy non aveva aggiunto né zucchero né limone al proprio thé.
-E di chi si tratta…?- chiese Harry, nonostante non fosse sicuro di voler sapere la risposta. Malfoy deglutì, poggiando poi la tazza di fianco a sé, sul marmo consumato del piano cottura. Poi lo guardò negli occhi, fece uno dei suoi tipici ghigni, che non presagivano nulla di buono, e si sporse un poco verso di lui. Per un attimo, ma solo per un attimo, Harry pensò che lo avrebbe raggiunto, si sarebbe chinato sulla sedia e lo avrebbe baciato di nuovo. Forse fu quella posa predatoria, o forse il fatto che lo sguardo di Malfoy fosse scivolato sulle sue labbra, o forse Harry si stava ingannando di nuovo, reprimendo quel desiderio inconscio. L’altro restò dov’era, fissandolo ancora intensamente negli occhi, con uno sguardo che sapeva di una nuova sfida, che Malfoy lanciò non appena disse:
-Si tratta di te.
 

 
 
Note:
 
Ed eccomi di ritorno, meglio tardi che mai, no?
Spero che il capitolo sia valsa la vostra attesa, e che non abbia ancora una volta combinato un disastro! Detto ciò, è mio dovere farvi notare che le citazioni di questo capitolo hanno ben 3 cose in comune:
  1. sono canzoni;
  2. sono cantautoriali;
  3. gli autori sono tutti siciliani.
 
Così, per ricordarmi della mia bella terra, sempre più lontana, e un po’ così per omaggiare il genio conterraneo, che è molto spesso sottovalutato. Per cui, se tra di voi ci sono dei siciliani, sentitevi liberi di ritenere un po’ vostro questo capitolo, perché l’ho inconsciamente dedicato proprio a voi.
Detto ciò, non me ne vogliano tutti gli altri, e adesso siete veramente tanti a seguire questa storiella (76? Siamo proprio sicuri?). Ringrazio come sempre chi legge, chi legge e mi fa arrivare il proprio parere, e soprattutto le 32 persone che hanno pensato valesse la pena considerare “Les Choix” come storia preferita.
 
Se qualcuno avesse tempo e voglia di prendersi la briga di ascoltare le canzoni, e volesse approfondire, ne approfitto anche per dire che i DiMartino hanno (ad aprile) lanciato il nuovo album, che è un capolavoro –purtroppo non disponibile su youtube-. Ad ogni modo, smetto di divagare, e mi dileguo prima di fare promesse che non posso mantenere circa gli eventuali prossimi aggiornamenti.
May the 4th be with you all! (Anche se lievemente in ritardo.)
 
  
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