Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Lullaby1992    10/05/2015    1 recensioni
Una misteriosa donna, vestita con gli abiti della gendarmeria, arriva nell'ufficio di Erwin, citando una vecchio patto che ci sarebbe stato tra i due, e incitandolo a mantenere la parola data, pena, la sua vendetta.
Inoltre, tra lei, una bellissima e affascinante donna, di nome Astrid e il Capitano Levi sembra esserci una certa conoscenza, nonchè forse, vecchi rancori. è forse un amore andato a male, o solo incomprensioni dovute alla separazione delle scelte di vita?
I membri del corpo ricognitivo non conoscono per niente questo nuovo personaggio, eppure il capitano sembra conoscerla piuttosto bene. E il suo improvviso trasferimento dalla gendarmeria al corpo ricognitivo solleva alcuni sospetti, eppure il comandante sembra fidarsi di lei...
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irvin Smith, Nuovo personaggio, Rivaille, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Astrid, senza un idea di come diavolo fare a sopravvivere senza i genitori, prese a vagare senza un meta precisa per il distretto dove si trovavano.

Una cosa però era abbastanza grande e furba da capire: se erano gli uomini della gendarmeria ad averli uccisi, doveva nascondersi bene.

Non poteva più abbandonare Sina. Lo capì quando, guardando le guardie sul portone le vide sveglie e all'erta, anziché oziose, e oltre alle truppe di guarnigione c'erano anche alcuni membri della gendarmeria.

Si scervellò, girando nei vicoli laterali con i gatti randagi.

Cosa doveva fare? Di chi si poteva fidare?

Magari di un amico di famiglia. Conosceva qualche contatto di cui papà si fidava ma... no. Se la gendarmeria la cercava, l'avrebbe trovata troppo facilmente tra ex commilitoni o qualche nobilotto di basso rango parente della mamma.

Doveva sparire. Fisicamente. Dovevano crederla morta.

Aveva in tasca un coltellino multiuso che teneva con sé da quando il padre le aveva insegnato a forgiare lame. In fin dei conti, doveva coprire le apparenze, ed era meglio far credere che volesse una figlia fabbro, che non che le stesse insegnando tecniche segrete di famiglia.

Si ricordò dei bambini di strada di tanti anni prima. Tagliò i capelli, buttandoli in un bidone dell'immondizia dietro una casa. Li arruffò il più possibile, e si sporcò viso e braccia con la terra, strappandosi a tratti gli abiti. Fortuna che indossava i vestiti da lavoro, più grezzi e comuni.

Doveva sembrare un ragazzino di strada.

Si spostò verso l'interno del distretto. Cosa poteva ancora fare?

Loro temevano che avrebbe tentato di scappare verso Wall Rose.

Con un po' di temerarietà entrò dentro Sina, verso la capitale, accodandosi ad un gruppo di mercanti, vicino ad un carro, cercando di mimetizzarsi tra gli uomini di fatica.

Forse l'avrebbero scambiata per un'apprendista.

Nonostante i quattordici anni, era ancora secca, senza troppo seno, e aveva le braccia abbastanza muscolose per via degli allenamenti da poter sembrare un qualche lavoratore.

Con un po' di fortuna, riuscì ad entrare.

Ma ora non sapeva cosa fare. Se non altro aveva più posto per nascondersi.

Era ancora un po' troppo pienotta per essere uno di quei piccoli pezzenti sul bordo della strada. Valutò.

Ma, pensandoci razionalmente, si disse che non lo sarebbe stata ancora a lungo.

Sapeva cacciare, papà glie l'aveva insegnato. Ma dentro le mura di Sina, c'erano solo industrie e fattorie. Era quasi impossibile trovare appezzamenti boscosi abbastanza ampi o poco sorvegliati da poter passare inosservata.

Cosa diamine doveva fare?

Verso sera riuscì a trovare un luogo asciutto tra la spiovenza di un tetto e le radici di un albero e decise di accucciasi lì.

Finalmente scoppiò a piangere, sebbene lo fece quanto più piano riuscì.

Non poteva cercare lavoro: la gendarmeria l'avrebbe trovata, e comunque lì c'erano per lo più residenze di nobili altolocati e dei loro più stretti servitori.

E... mamma e papà non c'erano più. Nessun bacio gentile a confortarla la sera quando tornava a casa dalle fatiche giornaliere, nessun sorriso con l'invito di lavarsi le mani e raggiungere la tavola. Nessuna guida da seguire. Nessun sostegno. Nulla.

Un vuoto così grande e intenso da sembrare una voragine infinita all'altezza dello stomaco, che stava pian piano allargandosi e risucchiare anche la sua stessa anima.

Si ritrovò a pensare che non aveva mai dato valore a quelle piccole cose, sino ad oggi. Che le erano venute a mancare.

Pianse la dolcezza della madre, la gentilezza del padre. Pianse per tutte le cose che le sarebbero mancate, il loro affetto, il loro sostegno, i loro consigli. Tutto.

Ma quello che le rintronava nella mente di più di tutto era... per cosa vivo ancora a fare?

I mesi che seguirono furono i più duri della sua vita. Non sapeva bene neppure lei come, ma si ritrovò nella città sotterranea. Forse mentre scappava a rotta di collo dalla gendarmeria.

Lì se possibile la vita era ancor più dura, ma almeno non c'era gendarmeria. Già, perché sembrava che pure loro si fossero rassegnati all'idea che lì era inutile qualsiasi tentativo di ripristinare l'ordine.

La gente viveva selvaggia, usando la semplice legge del più forte.

La fregatura del vivere lì è che... ti passa anche la voglia di vivere, e di lottare. Lì, dove si viene privati di tutto, anche della luce del sole.

Astrid era già sul bordo del baratro. In condizioni psichiche e fisiche allo stremo. Non sapeva nemmeno cosa l'avesse spinta a vivere fino ad oggi a continuare.

In fin dei conti non era meglio lasciarsi morire? Era come spegnere una candela. Semplice. Ti addormentavi, te ne andavi e puf... tutto finito. Non era più semplice?

Avrebbe finalmente raggiunto i suoi genitori. Avrebbe smesso di patire la fame.

Uno non si rende conto di ciò che ha finché non lo perde.

Non potersi più lavare quando lo si voleva. Dover bere a volte addirittura dalle pozzanghere, poiché non sempre le fontane pubbliche funzionavano, e per “quelli di sopra” non era certo una priorità che “quelli di sotto” avessero da bere acqua pulita.

Per cui i più sfortunati si dovevano accontentarsi delle pozzanghere create da macchie di condensa e umidità che colavano giù dalle stalattiti sul soffitto.

Astrid, se all'inizio era stata schizzinosa e aveva evitato di mangiare alcune cose che vedeva poco igieniche, con il passare dei giorni, si rese conto che era una fortuna trovare delle bucce di patata nei cestini dell'immondizia. Rosicchiare radici poi, era sempre un azzardo. Ne beccò un paio una volta non molto commestibili che gli diedero mal di pancia per diversi giorni. Però era anche vero che la fame aguzzava l'ingenio. Per cui imparò in fretta a evitare ciò che era proprio del tutto inutilizzabile e a godere di tutto ciò che poteva essere mangiato senza sprecare assolutamente nulla.

Però là sotto, non era la sola a essere in quella condizione, e le poche risorse non bastavano per tutti.

Venne cacciata da un gruppo di bulli dalla zona migliore, e presto, il susseguirsi dei giorni la indebolì sempre più. Finché, ormai si rese conto di non avere più neppure le forze per alzarsi.

Era davvero giunta la fine? Si chiese.

Guardò le mani, sporche, le unghie spaccate e mangiucchiate. Erano sempre state così lunghe o erano solo magre?

Guardò il dorso, dove le ossa sporgevano, la pelle tesa, pallida e smunta.

No. Era semplicemente giunta al suo limite.

Guardò verso l'alto, rimpiangendo di non poter vedere il sole.

I pensieri fluivano, lenti, come se anche loro fossero talmente senza carburante da non riuscire a scorrere.

Beh, se non altro, era così affamata da non sentirne neppure più i dolorosi morsi. Sebbene la cosa non sembrasse avere alcun senso logico.

La schiena le scivolò lungo la parete a cui era appoggiata, non ebbe neppure la forza di opporsi, e cadde sulla schiena.

Guardò il soffitto, in attesa di morire, rincrescendosi solo di non vedere nemmeno un barlume di luce. Doveva essere giorno no? Doveva esserci un po' di luce...

Non sa di preciso quanto tempo passò , ma ad un certo punto vide spuntare di fronte a sé due occhi grigio tempestoso che la fissavano con curiosità e incertezza.

Li riconobbe. Voleva salutarlo, voleva dirgli qualcosa... ma era troppo stanca. Aveva sonno.

Una voce gli parlava, ma il suo cervello era troppo stanco persino per capire cosa quella voce le stesse dicendo.

Gracchiò solo una parola prima di svenire “...Levi...”


Levi non voleva credere di aver rivisto, a distanza di anni, la bambina che viveva nel wall Sina, ora, tra la sporcizia e gli affamati nella città sotterranea.

Non era possibile. Non poteva essere lei.

Eppure...

La ragazza, o almeno, quella che sembrava essere una ragazza, poiché era così magra, smunta e sporca che poteva appartenere a qualsiasi genere senza poterla riconoscere molto, si accasciò sulla schiena.

Stava fissando il soffitto.

Si decise ad andare a indagare, ignorando le chiacchiere di Isabel e Farlan che gli risuonavano nelle orecchie.

No. Quegli occhi blu... non li aveva mai rivisti da nessuna parte.

Provò a chiamarla, a chiederle come si chiamava, ma sembrava non rispondere più agli stimoli esterni.

Poi con voce rauca, appena udibile bisbigliò “...Levi...”

Era lei. Doveva essere lei. Anche se non capiva come potesse esserlo.

I suoi occhi si chiusero.

Farlan, Isabel aiutatemi. Dobbiamo portarla al rifugio”

I tre si dovettero dare da fare, poiché lei era svenuta, ma nessuno dei tre voleva portarsi in casa il lerciume che aveva addosso.

Levi e Farlan recuperarono secchi d'acqua pulita e Isabel ci diede sotto a lavarla il meglio possibile, constatando con orrore che le si potevano contare non solo le costole, ma anche tutte le vertebre una a una, tanto era magra.

Come sta?” chiese Farlan che l'attendeva assieme a Levi nella stanza comune.

Il loro “rifugio” che era anche la loro casa, era poi solo diviso in “sala comune” e “bagno”, ma per lo meno si curavano di non invadere gli spazi intimi altrui. Volevano essere diversi da quella marmaglia che viveva sotto. Loro, sognavano una vita migliore. E questo lo iniziavano tenendosi puliti, lavando spesso sé stessi e i loro pochi abiti. E cercando di essere cortesi almeno tra di loro.

è viva. Per ora. È solo più un mucchietto d'ossa con un po' di pelle sopra. Ha dei segni di graffi e lividi qua e là. Deve aver tentato una zuffa con quelli della zona buona”

Chiamavano “zona buona” una semplice macchia di terreno dove un minimo di luce che filtrava faceva crescere qualcosa di commestibile.

Levi si alzò.

Tienila d'occhio e prova a darle un po' d'acqua da bere. Io e Farlan cerchiamo qualcosa di commestibile”

I ragazzi come loro sapevano quanto il nutrimento fosse legato alla vita.

Per chi saltava troppi pasti consecutivi, si indeboliva sino a non avere più nemmeno le forze per cercarne altro.

Loro infatti tenevano sempre una 'riserva d'emergenza' composta da radici e altri cibi essiccabili e facilmente conservabili.

Ma per quella volta optarono a cercare qualcosa di sostanzioso. Magari un pezzo di pane decente, o se riuscivano a sgraffignarlo anche un pezzo di carne. Meglio ancora qualche verdura per fare un brodo. In quelle condizioni dubitava che sarebbe riuscita a inghiottire qualcosa di solido...

Tornarono a casa con un magro bottino, ma era meglio di nulla.

Isabel stette sveglia tutta la notte a cacciare briciole di pane tra le labbra della giovane e piccoli cucchiaini di minestra, che però, a poco a poco riuscì a inghiottirle solo in parte, ma era già meglio che niente.

Non so se supererà un altra notte...” disse la ragazza dispiaciuta.

Se non fosse stato per Levi, né lei né Farlan probabilmente l'avrebbero notata. La città sotterranea era piena di gente che moriva di fame. Né tanto meno l'avrebbero riconosciuta. Anche se, lo stesso Levi ammetteva che fosse stata una pura coincidenza, notare i particolari occhi blu di lei. Se no, non l'avrebbe riconosciuta neppure lui.

Credo che ora come ora, il problema non sia tanto la sua forza, quanto la volontà” commentò Levi.

Isabel e Farlan non capirono, ma obbedirono al suo ordine di andare a dormire.


Astrid si risvegliò in piena notte, stupita di essere ancora viva. Le budella le si torcevano impietose nella pancia, lamentandosi di essere vuote.

Ohi... sei sveglia”

Uhm...” si guardò in cerca di chi aveva parlato, rendendosi conto nel frattempo di essere sotto una coperta, e di non sentire il freddo.

So-sono ancora viva?” domandò lei, trovando finalmente il viso del suo interlocutore, fiocamente illuminato da una candela.

Per ora”

Riconobbe nella bruschezza dei modi e da quegli occhi grigi... “Levi?”

Quindi sei davvero Astrid?”

Io... si” aveva difficoltà a concentrarsi. E poi non sapeva se essere delusa o meno di essere ancora viva. Proprio ora che si era rassegnata, che aveva creduto di aver finito le sue sofferenze... eccola di nuovo lì, con male allo stomaco e alla pancia e una fame che avrebbe potuto masticare pure il lenzuolo che la ricopriva, o staccare un morso al braccio del suo salvatore. Che poi era davvero un salvatore, visto che l'aveva strappata dal pacifico riposo della morte per riportarla in quell'inferno dei vivi?

Merita davvero la pena?”

Lui comprese la vera domanda “Merita davvero la pena di vivere?”

Rimase incerto su come risponderle.

Si era sentito colmo di tristezza nel vedere quei luminosi occhi blu, così spenti. Come se al cielo gli si fossero improvvisamente spente le stelle. Rimaneva sempre il cielo, ma ora era piatto e monocromatico, privo della sua bellezza luminosa.

Ora stava a lui rinfocolare quella luminosità o spegnerla del tutto. Qual'era la cosa giusta da fare? Quali erano le parole giuste da dire?

Non lo so”

Rimasero in silenzio a lungo.

Come la pensi tu?” le chiese lei.

Lui di nuovo rifletté prima di rispondere.

Che la morte è definitiva. Il domani no. Domani porta sempre nuove possibilità. Diverse scelte, diverse vie, mai uguali. Non è quasi mai semplice, ma c'è sempre l'opportunità di cambiare mentre... una volta morti è tutto finito, senza nessuna possibilità di rimando”

Le parole rimasero sospese qualche istante, mentre Astrid, a occhi chiusi, contava i respiri. Cosa doveva fare? Qual'era la scelta giusta?

Sospirò. “D'accordo. Proviamoci. Hai qualcosa da mangiare? Sto letteralmente morendo di fame...” provò a fare ironia lei.

A Levi si storse appena la bocca, tentando di dissimulare un sorriso.

Alla fine non era stato così difficile allora. D'altra parte, aveva capito che era una bambina con un'indole forte. Era bastata una piccola pioggia di scintille per dare subito fuoco alla paglia.

Considerò di chiamare Isabel, ma poi si disse che non era il caso di svegliarla per una simile cavolata, per cui imboccò lui stesso la giovane, che era così debole da riuscire a muoversi a stento.

Fu così, che guadagnò il quarto membro del suo piccolo gruppo.


  
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