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Autore: alessandroago_94    11/05/2015    7 recensioni
1837, Romagna. Giovanni è un pericoloso brigante, un fuorilegge che terrorizza tutti i nobili romagnoli. Compie furti, rapine e rapimenti, senza farsi molti scrupoli. Ha formato una sua banda di delinquenti, e pare inarrestabile. Non sa cosa sia la pace, lui combatte per sé stesso e per il bene della sua banda, in una terra martoriata dalla povertà, dalla criminalità e dalle continue insurrezioni del popolo, represse nel sangue.
Quando rapisce Teresa, la figlia di un ricco conte, pensa solo al riscatto che pagherà suo padre. Ma passerà un po’ di tempo prima che il riscatto venga pagato. Nel frattempo Giovanni resta invaghito della giovane e seducente contessina, e lei, dopo un iniziale reticenza, lo ricambia, affascinata dalla figura del forte e misterioso brigante. Il problema è che Teresa deve tornare dalla sua famiglia, e deve andare in sposa ad un giovane nobile romano. In un mondo difficile e pieno di pericoli, due persone così diverse, con destini così differenti, riusciranno ugualmente ad amarsi e ad affrontare il percorso pieno di ostacoli che la vita ha predisposto davanti a loro?
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: L'Ottocento
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Capitolo 23

CAPITOLO 23

 

 

 

Mentre la carrozza proseguiva la sua corsa verso l’abitazione del conte suo padre, Teresa smise di piangere e cercò di ricomporsi. Nella sua mente, vicende, parole ed immagini si sovrapponevano l’un l’altra, per formare un quadro alquanto disordinato, ma tenuto insieme dalla paura.

Suo padre non la guardava nemmeno, i suoi occhi erano puntati a terra e non accennavano a rialzarsi.

La ragazza voleva fuggire da quel posto. Non sapeva neppure se Giovanni stava bene, e qual’era l’origine degli spari di poco prima. Inoltre, le era stato detto che tutto era cambiato. Questo non preannunciava nulla di buono.

All’interno della carrozza regnò il silenzio assoluto, mentre Teresa continuava a frugare dentro di sé, cercando almeno di rassicurarsi, pensando che tutto in fondo sarebbe andato per il meglio e che entro pochi giorni sarebbe tornata libera. Dopo aver assaggiato la libertà, non voleva più tornare in gabbia.

Ma per affrontare il tutto non doveva piangere, mai più. Piangere era inutile e la faceva sentire nuovamente come quella ragazzina che era stata fino a pochi mesi prima. Per continuare a cercare la propria libertà, e per ritrovare il suo amore, avrebbe lottato anche con le unghie.

Dopo un periodo di tempo indeterminato, la carrozza si fermò. Il conte scese, e fece cenno alla figlia di seguirlo.

La ragazza fu presa sottobraccio dal padre, che la tenne vicina a sé con una stretta più forte del previsto. Aveva paura che lei facesse scenate in pubblico, ed aveva capito che qualcosa tra loro si era spezzato. Nulla sarebbe stato più come prima, anche se la giovane non ne aveva ancora totalmente compreso il motivo.

A passo svelto, attraversarono un giardinetto ben curato, dove qualche servo stava facendo finta di affaccendarsi, sorpreso nel dolce far nulla dal padrone di casa. In ogni caso, i servi neppure alzarono la testa, mentre il conte non li degnò nemmeno di uno sguardo ed accompagnò la figlia verso l’ingresso di casa.

L’abitazione era decisamente più piccola del normale e non era di certo una villa signorile; incastonata tra altre case simili, quella dimora non era nulla di speciale e non faceva una grande figura.

Teresa comprese che forse quel trattamento irrisorio poteva aver inacerbito ancora di più suo padre. Il conte amava il lusso, un lusso giusto però, che mettesse in risalto la sua origine nobiliare, però non poteva di certo soggiornare in una casa dall’apparenza così insignificante.

Nessuna scalinata portava all’ingresso, c’era solo una porta semplice che dava sul cortile, come le dimore dei contadini.

La ragazza continuò a rimanere esterrefatta dal tutto, e quando entrò nella casa, notò che dentro era anche peggio. Era composta da stanze piccole, gli spazi erano ridotti al minimo e pure i mobili erano pochi e di certo non pregiati. Nessun’opera d’arte era alle pareti, e nessun spazioso corridoio conduceva alle misere stanze. Teresa, allibita, guardò suo padre, che era scuro in volto.

‘’Ogni volta che entro in questo tugurio, mi sale il voltastomaco. Non svolgerò mai più missioni diplomatiche’’, disse il padre, quasi come se le avesse letto nella mente, lasciandola libera ed invitandola a seguirla.

‘’Questa è la tua stanza. Lo so, questo ambiente non è dignitoso neppure per un contadino che abbia due soldi in tasca, ma tanto entro un paio di giorni ce ne andremo. Ora sistemati e poi fatti subito un bagno e riposati. Questa sera ti voglio vedere in splendida forma’’, disse il padre, con fare duro.

Teresa poté solo stare ad ascoltare, travolta dagli eventi.

Non appena entrò il quella che avrebbe dovuto essere la sua camera, notò subito la ristrettezza dell’ambiente, e la scarsità di mobilia. La ragazza pensò che forse era meglio l’abitazione che le avevano dato i briganti.

Suo padre se ne andò in fretta, lasciandola momentaneamente sola. Teresa si diresse subito verso l’armadio, che trovò pieno dei suoi vestiti nuovi, che comunque erano stati gettati dentro a caso. I servi non si erano neppure presi la briga di prendersi cura dei suoi abiti. Ma alla giovane non importava più di tanto, e fece un po’ di spazio tra le vesti gettate quasi alla rinfusa per sistemare il fagotto le aveva preparato Lina.

Prima di richiudere le ante, le tornò in mente che l’amica le aveva detto di averle preparato uno spuntino, e la ragazza andò velocemente a controllare. Infatti, la donna le aveva preparato un panino.

Nonostante l’ansia a cui era sottoposta, Teresa provò una certa fame, ma prima doveva farsi un bagno. Prese una veste pulita, richiuse l’armadio ed uscì nello stretto corridoio, trovandosi faccia a faccia con suo padre, che se ne stava seduto su una scomoda sedia in legno, leggendo un libro. Lei lo guardò, spaurita.

Lui la stava controllando. Non fece in tempo a porsi altre domande, poiché le fece subito un cenno con un dito.

‘’Il bagno è là. C’è una vasca e un po’ di detergenti. Vedi di uscire da lì splendida e pulita’’, disse il conte, spingendola a proseguire verso la stanza da bagno.

Teresa, sperduta più che mai, si trovò di fronte all’ennesimo ambiente angusto e spoglio, ma almeno era ben illuminato. Una finestrella, posta piuttosto in alto, illuminava a dovere la stanza, nel cui centro era posizionata una vasca di dimensioni piuttosto ridotte.

La ragazza si tolse i vestiti, ignorando il freddo, e si diresse verso quella vasca che pareva più una tinozza, sperando in un bagno caldo.

I servi avevano l’avevano riempita per lei, ma l’acqua non era calda, era quasi fredda. La giovane ebbe un brivido, e fu in procinto di tornare indietro ma non se la sentì di affrontare nuovamente suo padre, e alla fine si immerse.

Provò un brivido gelido, l’acqua ormai era quasi fredda eppure era ancora sopportabile. Si diede una lavatina veloce, per poi uscire quasi subito dalla vasca, che aveva anche una macchia di ruggine sul bordo.

Disgustata, Teresa dovette asciugarsi e rivestirsi da sola e in fretta  e furia, per non prender freddo, mentre al di là del muro, nel giardinetto, alcuni servi schiamazzavano. Invece di servire il conte, la servitù se ne stava a fare gli affari propri, con evidente maleducazione. Quando udì una tremenda imprecazione, la ragazza si trovò a fuggire dal bagno, allibita.

Trovò suo padre nella postazione dove l’aveva lasciato poco prima. L’uomo inarcò un sopracciglio, vedendola.

‘’Ci hai messo poco. L’acqua non l’avrai nemmeno vista’’, le disse il padre, sempre mantenendo un tono di voce scontroso. Teresa impallidì.

‘’Padre, chiedo scusa, ma l’acqua era gelida’’, disse la giovane, con toni concilianti. Il conte si mosse subito sulla sedia.

‘’Caspita, questi servi sono odiosi e dispettosi. Sembra che il nostro amato Arcivescovo ce li abbia scelti su misura per noi, per renderci la vita impossibile’’, sbottò, sempre più irritato.

In quel momento, uno scoppio di grida improvviso interruppe la conversazione. Alcuni servi si stavano azzuffando nel cortile, dove pareva fosse scoppiata una rissa, mentre le imprecazioni erano assordanti. Il conte balzò subito in piedi, con un diavolo per capello.

‘’Ora mi sentiranno! Ma che razza di gente è questa, che non ha rispetto per nessuno, neppure per gli inviati del loro signore! Fino a vent’anni fa, fintanto che ho vissuto in questa città, la situazione non era così disperata come ora. Se vogliono il pugno di ferro, lo avranno! Parola mia!’’, sbottò suo padre, che si diresse velocemente verso il cortile, dando l’occasione a Teresa per chiudersi nella sua camera ed evitare ulteriori discorsi con il genitore.

Mentre la giovane si pettinava i capelli, rendendoli belli e voluminosi, la voce autoritaria di suo padre risuonava per tutta l’abitazione, mentre i servi smettevano di azzuffarsi. Ma non appena il conte fu tornato in casa, le grida ripresero a risuonare ovunque, anche se in modo più debole.

Teresa non riusciva a capire cosa fosse andato storto. Quella doveva essere una missione diplomatica, suo padre doveva portare solo alcune informazioni all’Arcivescovo, eppure non era stato neppure trattato come un ospite di un certo grado, anzi, era stato sbattuto in una bettola ed era rimasto vittima dell’insubordinazione della servitù. La giovane in quel momento capiva appieno la rabbia del genitore, che prontamente aveva sfogato su di lei.

E capì anche perché la controllava; non sospettava una fuga d’amore, ma che qualcuno la importunasse.

Ora era tutto più chiaro, eppure desiderava sapere il significato di quei spari di poco prima. Dentro di sé, sentiva che qualcosa era andato storto anche a Giovanni, e in cuor suo sperava che non gli fosse successo nulla di grave. Lui era rimasto la sua unica ancora di salvezza.

Con il cuore che batteva forte, afferrò il panino di Lina e lo divorò avidamente. Era ottimo, come sempre.

Mentre nel giardinetto ormai i servi si erano acquietati, Teresa si sdraiò sul suo letto, un lettino piccolo, stretto e parecchio scomodo, e si mise a guardare il soffitto della camera. Fortunatamente, era in buono stato.

Sospirando, la ragazza si lasciò andare, addormentandosi.

 

 

 

Un forte tonfo la risvegliò.

Teresa, spaventata, balzò su dal letto, mentre il suo cuore batteva all’impazzata. All’inizio pensò che si fosse trattato di un qualche scherzo di Giovanni, ma purtroppo la realtà era che il brigante non era più lì vicino a lei, pronto a proteggerla.

Si voltò verso la porta della stanza e vide una serva impacciata alle prese con un bicchiere, che si era frantumato a terra.

La giovane, che doveva avere più o meno la sua stessa età, alzò lo sguardo dal pavimento e le lanciò uno sguardo di sfida. Teresa riconobbe che quella ragazza aveva veramente una faccia da impertinente, e si chiese se la serva che le avrebbe mandato Giovanni avesse avuto lo stesso volto.

Lei si rifiutava anche solo di pensare che fosse successo qualcosa di male al suo amato, lui era troppo coraggioso per lasciare che qualcuno lo ingannasse. Forse era stato il brigante stesso a far fuori i banditi rivali e ad essersi ripreso tutto il bottino. E lei era certa che il suo amato glielo avrebbe restituito tutto, ormai lo conosceva troppo bene.

‘’Mi scusi signorina, vostro padre mi ha dato l’ordine di venire a svegliarla, e ad invitarla a scendere per la cena. Mi ha detto di dirle che si deve vestire bene, poiché il vostro promesso sposo vi attende. Oh, mi scuso per aver rotto il suo bicchiere, provvederò subito a procurarne un altro’’, disse la giovane, con toni decisamente poco cortesi.

Teresa fu in procinto di aprir bocca e di dirgliene quattro, ma ci ripensò. Quei servi sembravano istigati da qualcuno a dare il peggio di sé, e se li avesse insultati, loro avrebbero provato piacere, notando che stavano causando disagi.

La contessina quindi si alzò dal letto, come una vera signora si risistemò al meglio il suo vestito e, a passi veloci lasciò la stanza, non senza aver lanciato un piccolo sorriso alla servetta che, nel frattempo, se n’era stata con le mani in mano a guardarla. La giovane rimase stupita dal suo gesto, e Teresa ne fu felice, anche se solo per un attimo.

Infatti, ben presto si trovò di fronte a una tavola imbandita, mentre suo padre era già seduto a capotavola ed invitava Alfonso a fare altrettanto. La contessina lo maledì.

Il giovane, non appena vide Teresa, parve perdere la ragione. Prontamente, le fece un piccolo cenno con la mano destra, quasi ad invitarla a prender posto a fianco a lui, poi ne approfittò per spostare leggermente la sedia e per far sedere la contessina, che sorrise cortesemente al suo pretendente.

‘’Alfonso! Non c’è alcun bisogno di scomodarsi così tanto per Teresa, per ogni cosa c’è la servitù’’, disse il conte, sorridendo.

‘’Oh, signor conte, per me è un piacere poter far posto alla sua magnifica figlia. E poi, la servitù non è proprio ottima. Quando sono arrivato, una serva sgarbata non voleva neppure farmi entrare. Ed ha pure imprecato, appena mi ha lasciato passare’’, disse il ragazzo.

‘’Immaginavo. Questa è la servitù appropriata a questa casa, se così si può chiamare. Preferirei chiamarla tugurio’’, disse il conte, nuovamente.

‘’Ho notato. Insomma, qui è tutto così squallido, non è di certo un luogo adatto ad ospitare un grande signore ed ambasciatore come lei. Potrei chiederle chi gliel’ha affidato?’’, chiese il giovane conte, affabile come sempre.

Teresa si sentiva già esclusa da ogni genere di conversazione, e abbassò il suo sguardo. Avrebbe voluto annoiarsi e chiudersi in sé stessa, ma non poteva proprio deconcentrarsi in quel momento. Presto, i due uomini avrebbero potuto parlare degli spari del pomeriggio nella pineta.

‘’Me l’ha affidata l’Arcivescovo in persona, con il suo solito modo di fare signorile e galante’’, disse il conte, con un tono di voce tranquillo ma che non ammetteva altre domande. Fece un cenno con la testa ad indicare le giovani servette che si stavano affaccendando poco distante. Logicamente, potevano far la spia di possibili discorsi disdicevoli e malevoli rivolti alle eminenti figure di quella città, e creare discussioni inutili. Alfonso capì subito.

‘’Ma certo, dovevo arrivarci da solo. Ma, se posso permettermi, chiederei di elevare un po’ di più il nostro discorso, soprattutto a riguardo alle nuove scoperte che si stanno avvicendando ormai ovunque al di là dei nostri confini’’, disse il ragazzo, saccente come al solito.

‘’Assolutamente sì, raccontaci qualcosa a riguardo. Io e mia figlia ascolteremo tutto con attenzione. Purtroppo, i miei ultimi impegni mi stanno portando via anche la voglia di leggere…’’, disse il conte, quasi come scusa.

Alfonso iniziò a brillare come una stella in quella stanza semibuia, illuminata solo da flebili candele, mentre la situazione pareva precipitare. Pian piano le candele andavano spegnandosi, mentre nessuno le sostituiva, e le pietanze continuavano ad avvicendarsi sul tavolo. Pietanze da poveri, e pure semifredde.

Mentre Alfonso continuava a parlare con foga, più che altro per cercare di ignorare la situazione ridicola nella quale si trovavano, il conte iniziò a diventare sempre più scuro in volto, mentre Teresa perse totalmente interesse, ed iniziò a lasciare le pietanze nei piatti. Lina era certamente più capace in cucina di tutte quelle cuoche.

Lentamente, tutto quel parlottare e quel cibo poco gustoso l’avevano nauseata, e si accinse a chiedere il permesso al padre per alzarsi e ritirarsi in camera. Avrebbe detto di non sentirsi bene, cosa che tra l’altro era vera. Non aveva più senso stare lì ad ascoltare un ragazzo altezzoso che raccontava le sue stupidaggini.

D’altronde, fu chiaro che nessuno avrebbe detto qualcosa di importante proprio in quel momento, la serata era sfumata già da un po’.

La giovane si accinse ad aprir bocca, approfittando di un breve momento di silenzio del suo promesso sposo, ma dovette fermarsi. Infatti, Alfonso si alzò dal tavolo, indignato, quasi gettando a terra la sua sedia, mentre il conte se ne stava immobile, quasi pietrificato.

Teresa tornò subito attenta, e ben presto capì cos’era successo. Una servetta sbadata era riuscita a sporcare gli abiti di Alfonso, mentre cercava di mettergli nel piatto una porzione di un qualche cibo sgradevole.

‘’Ora basta. È tutta la serata che ci mancate di rispetto! Vi voglio qui subito, tutti! Vai a chiamare anche le altre serve!’’, ruggì il giovane conte, con gli occhi fuori dalle orbite dalla rabbia.

La giovane, quasi impassibile, se ne rimase immobile, mentre alcune cuoche dall’aria sfacciata si mettevano a braccia conserte all’ingresso della stanza. Non c’era neppure stato bisogno di farle chiamare, se ne stavano tutte lì in orecchio.

‘’Oh, vedo che siete già tutte qui presenti. Moto bene. Voglio subito i vostri nomi e i vostri cognomi, compresi quelli dei vostri mariti, e le rispettive professioni. Nei prossimi giorni, i gendarmi verranno a farvi visita, e a perquisire le vostre abitazioni. Chiedo prima il permesso di procede al padrone di casa. Signor conte, in qualità di inviato papale, e detenendo il potere di guidare le guardie in momenti di crisi, vorrei solo far punire tutte le insolenze che stanno macchiando la vostra condizione di vita da ormai un mese’’, disse Alfonso, mentre il conte, sorpreso dalla reazione del giovane, si limitò ad annuire.

Le serve parvero impaurirsi, tutte tranne una, un donnone grosso e robusto, dall’aria volgare.

‘’E lei chi è per poterci fare accuse così gravi e per denunciarci?’’, chiese la donna, per nulla impaurita.

‘’Non si risponde così ad un nobiluomo! Terrò conto anche di questo, poiché io non devo dirvi proprio nulla. Però, visto che insistete, io sono il conte Alfonso Cappellari, nonché nipote di Papa Gregorio XVI e suo fedele servitore. E ora, fuori nomi, cognomi e indirizzi, sia i vostri sia quelli degli altri servi che lavorano in questa casa; dovete essere perfettamente rintracciabili, tutti quanti. Tra qualche giorno la gendarmeria verrà a controllare che non siate ribelli o persone pericolose per il mantenimento della quiete all’interno del nostro Stato, visto il comportamento alquanto strano che state sfoggiando già da un po’. Avete macchiato indelebilmente un messo papale, e ne pagherete le conseguenze’’, disse il giovane, sempre più arrogante, mentre con un tovagliolo cercava di togliere un residuo di cibo rimasto appiccicato al suo abito nuovo.

Le serve sbiancarono, diventarono remissive ed una ad una si fecero avanti, pregando ed implorando perdono.

Alfonso annotò meticolosamente i loro dati su un piccolo taccuino tascabile che si portava sempre dietro, senza lasciarsi impressionare dalla scenata. Tutti avevano paura dei gendarmi, sempre duri e spregiudicati, e probabilmente chi aveva istigato i servi a comportarsi male non aveva detto loro che il conte avrebbe avuto eminenti ospiti a cena.

‘’Ho concluso. Fintanto che le vostre case non saranno ispezionate, siete invitate caldamente a non lasciare la città di Ravenna per alcun motivo, né voi né le vostre famiglie. In caso contrario, sarete ricercate su tutto il territorio del nostro Stato, e sarete considerate rivoluzionarie. Per ora, l’importante è che continuiate a servire in questa casa e in modo decisamente più delicato di come avete fatto finora. Riferite anche agli altri servi che ora non sono presenti’’, concluse Alfonso, il tono di voce pacato ma freddo, in grado di raggelare anche chiunque.

‘’E ora andatevene, e tornate domattina. Per questa notte non abbiamo bisogno di voi. Via!’’, sbottò il conte.

Subito, le serve sparirono, senza neppure tentare di replicare.

I tre nobili rimasero in silenzio fintanto che non furono sicuri che tutte le donne avessero abbandonato la casa. Poco dopo, infatti, la porta d’ingresso si richiuse, gettando le servette nel buio della notte.

‘’E’ poi vero quello che hai detto, Alfonso?’’, chiese il conte, lievemente divertito.

‘’Certo che no. Tutti noi sappiamo molto bene che, per ora, non ci sono risorse necessarie per controllare il popolo in modo così meticoloso. Inoltre, sono certo che la maggior parte dei nomi qui scritti sono falsi. Eh beh, comunque mi sembrava giusto spaventarle. Vedrete, signor conte, che d’ora in poi, la servitù non vi darà più alcun problema’’, aggiunse Alfonso, sorridendo.

‘’L’importante è che non mi disturbino più. Ora le ho cacciate, finalmente’’, disse il conte, sollevato.

‘’E’ stata una scelta giusta, la sua?’’, chiese con cortesia il giovane nobile.

‘’Meglio soli che mal accompagnati, mi dicevano. Ora che se ne sono andati tutti, potrò chiudere per bene la mia porta e dormire sonni tranquilli’’, ribadì il conte, per nulla dispiaciuto del trattamento inflitto alla servitù.

‘’Signor conte, lei ha indubbiamente ragione. Sta di fatto che questa è stata solo una messa in scena per metterla in ridicolo, glielo dico io. In queste terre ribelli, tutti tramano contro il potere del santo pontefice. Tutto questo sarà riferito a mio zio, lo farò io stesso in persona, non appena tornerò a Roma’’, disse il ragazzo, borioso.

‘’Non ne dubito. Però, sarebbe meglio tralasciare, d’altronde ormai il nostro amato pontefice ha tanto a cui pensare. Io, invece, ho dovuto solo far fronte a un po’ di indisciplina della servitù’’.

‘’No, qui si sbaglia; lei ha dovuto affrontare l’indisciplina della Chiesa stessa, che è mal radicata in questo territorio. I prelati preferiscono tenere i piedi in due staffe, trattando amabilmente gli inviati papali durante gli incontri privati ma servendoli male in maniera indiretta, in modo da mostrare al popolino che anche loro sono dalla stessa parte dei repressi. È una strategia ormai diffusa nei luoghi lontani dalla nostra eterna capitale.

Ma d’altronde, i nostri cari chierici non possono far molto di fronte ai barbari che vivono in queste terre; a volte, dico a me stesso che sarebbe meglio abbandonare queste zone, e cercare di consolidarci al meglio più a sud, dove la gente è meno incline alle idee rivoluzionarie. Eppure, il mio amato zio continua la sua lotta, inviando contingenti in questa terra aspra e dai modi di vivere brutali, sempre in procinto di ribellarsi.

Però, ammetto che il nostro pontefice ha ragione nel voler tenersi questi territori, poiché se li lasciassimo un attimo incustoditi, e dico un attimo solo, qui succederebbe il finimondo. Questa gente è spinta da impulsi pagani, quasi primordiali…’’.

‘’Alfonso, non esageriamo, ora. Sono perfettamente d’accordo con le tue tesi, però ti garantisco che quello che il clima che si è formato qui ora è profondamente diverso da quello che c’era solo vent’anni fa, quando sono venuto a vivere a Roma. La gente era cordiale e remissiva, nessuno si sarebbe mai immaginato che ben presto tutto sarebbe cambiato. Ora questa gente vuole la libertà a tutti i costi, e, tenaci come sono, sarà difficile far cambiar loro idea. La loro mente è stata annebbiata dai falsi valori che nell’ultimo periodo stanno scuotendo anche gli altri Stati della nostra penisola’’, disse il conte, interrompendo con educazione il giovane istruito.

Teresa tornò nuovamente a chiudersi in sé stessa, mentre i due uomini continuavano a far salotto, incuranti della tavola ancora da sparecchiare che avevano di fronte. Ma d’altronde, quell’abitazione non aveva alcuna comodità migliore.

‘’Lei indubbiamente sa, signor conte, che dopo le grandi rivolte di alcuni anni fa qui è cambiato tutto. Si dice che, poco più a nord di qui, grosse bande di banditi armati girovaghino tutto il giorno, passando d’in paese in paese, corrompendo i pensieri del popolo ignorante.

Nei nostri monti, centinaia di fuorilegge tessono la loro tela, mentre noi non abbiamo le capacità per sistemare tutto. Almeno, per ora. Appena ritornerò a Roma, ho intenzione di richiedere a mio zio l’affidamento di un buon contingente di austriaci. Ora sono abbastanza maturo per poter guidare la mano armata della Santa Chiesa e per poter riportare un po’ d’ordine in questi luoghi ribelli’’, affermò Alfonso, sempre più zelante.

Teresa sospirò, mentre il conte si preparava di nuovo a ribattere. Ormai si era arresa ad ascoltare le chiacchiere degli uomini, più che altro per non irritare ancora di più suo padre con una sua possibile fuga.

‘’Certo Alfonso, faresti un grande favore al nostro grande pontefice, ne sono certo. Se ce ne fossero di più di ragazzi come te, ora non saremmo arrivati a questo punto’’, continuò subito il conte.

‘’Lei mi lusinga. Beh, cercherò di fare del mio meglio. Comunque, oggi pomeriggio c’è stata un’altra grave dimostrazione di quello che può succedere se non proteggiamo meglio le nostre città’’, aggiunse Alfonso.

Teresa, quasi addormentata sulla sua sedia, aguzzò le orecchie.

‘’Cos’è successo? Riguardo a quegli spari che abbiamo sentito anche noi?’’, chiese suo padre. A quel punto, la ragazza era perfettamente vigile.

‘’Proprio riguardo a quello. Quei briganti che hanno riportato Teresa sono morti. Sono stati uccisi in un agguato preparato da un’altra banda rivale, che è poi stata lungamente inseguita dalle guardie, che ne hanno uccisi parecchi, prima che riuscissero a nascondersi nelle pinete’’, disse il ragazzo che, in preda alla foga del racconto, arrossì lievemente in volto.

Teresa, invece, si sentì improvvisamente male. Giovanni poteva essere morto.

‘’Che significa? Sono morti tutti?’’, chiese la giovane, allarmata, non badando più al galateo. Suo padre la guardò male, mentre Alfonso fece finta di nulla.

‘’Sì, Teresa, sono morti tutti. Tre di loro sono stati uccisi lungo la strada principale, con loro c’era anche il capo’’, disse il giovane, fissandola con fare incuriosito.

‘’Erano quattro in tutto’’, disse Teresa, con un filo di voce. Forse qualcuno si era salvato. Forse Giovanni non era morto.

‘’Sono morti tutti, ti dico. Ho parlato con il gendarme che ha diretto la sortita poco più a nord della città, e mi ha detto che il capo, quel montanaro chiamato Giovanni, diventato piuttosto famoso nella regione per le sue rapine, è morto, ed era a terra, riverso lungo la strada principale, mentre gli altri due suoi compagni erano vicino ad una capanna disabitata, sempre senza vita. Insomma, è stato riconosciuto. Il quarto sarà sicuramente morto durante l’inseguimento successivo; mi hanno assicurato che nessuno dei banditi è riuscito ad inoltrarsi nella pianura interna’’, continuò Alfonso, non togliendole gli occhi di dosso.

La ragazza abbassò lo sguardo, mentre la fortezza di sicurezza che si era costruita attorno nell’ultimo periodo crollava come se fosse di sabbia. Giovanni era morto, e senza il brigante lei non era più nulla. Non avrebbe amato più nessuno, e non sarebbe mai più stata libera.

Un piccolo barlume di speranza le fece credere per un attimo che il brigante fosse riuscito a fuggire dall’agguato, e che le guardie avessero sbagliato nel riconoscerlo, d’altronde lui e Gianni erano fisicamente molto simili. Però anche quel barlume morì quasi subito in lei. Se c’era stato un inseguimento e una successiva carneficina, il brigante ancora parzialmente malmesso dallo scorso scontro a fuoco non avrebbe avuto possibilità di esserne uscito vivo.

‘’Ma, mia cara Teresa, sono venuto fin qui per dirti altro, non per parlare di banditi. Ecco, vorrei comunicarti che io e tuo padre abbiamo concluso un accordo, e che ben presto saremo marito e moglie. Ho richiesto la tua mano a tuo padre, e lui ha gentilmente acconsentito. Ci sposeremo dopodomani, presso la basilica di sant’Apollinare Nuovo, qui a Ravenna. E non preoccuparti di nulla, tutto è già stato preparato durante la tua assenza’’, aggiunse il giovane, sorridendo con fare spavaldo.

Teresa lo guardò, stralunata, mentre perdeva il controllo di sé e dei suoi sentimenti.

Si alzò lentamente dalla sua postazione, guardò con fare colpevole suo padre e quello che avrebbe dovuto diventare il suo sposo, e pensò a Giovanni. Tutto era cambiato così in fretta che non aveva avuto neppure il tempo di accorgersene.

Nessuno l’avrebbe più salvata da quell’incubo, il suo amore era morto nel peggiore dei modi. Era tutto finito, per lei.

Mentre Alfonso le rivolgeva uno sguardo interrogativo, lei si sentì mancare le forze e perse i sensi.

Ciò che ricordò in seguito fu solo la sua botta contro il pavimento gelido, lievemente attutita da suo padre, che era riuscito ad afferrarla per il bordo della veste.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Grazie a chi continua a seguire il racconto, e un grandissimo grazie a chi continua a sostenermi con delle bellissime recensioni. È sempre un piacere leggere i vostri pensieri sul racconto J

Grazie a tutti J a lunedì prossimo J

   
 
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