Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: EleEmerald    11/05/2015    1 recensioni
 Dal decimo capitolo:
"Io vi maledico" disse. "Maledico tutti gli uomini di questo mondo. Tutti gli uomini che si metteranno sulla strada di mia figlia e delle sue nipoti. Quando ingannereto loro, come avete ingannato me, esse vi uccideranno. Sarà l'ultima azione sbagliata che compirete perché le mie figlie vi perseguiteranno, vi inganneranno e saranno la vostra rovina. E poi vedremo, come ci si sente a stare dall'altra parte del manico."
.
Quando Matthew Williams, un tranquillo ragazzo di diciassette anni, incontra Elizabeth, di certo non si aspetta che quella ragazza lo porterà incontro a tanto dolore. Ma, dopo averla ritrovata in un bosco ricoperta di sangue, non rimanere implicato nelle sue faccende è quasi impossibile. Le prove che dovrà affrontare si riveleranno più complicate di come sembrano e, inesorabilmente, si ritroverà a perdere molto di più che la sua semplice normalità. Implicato tra leggende e antiche maledizioni, vivrà, oltre ai momenti più brutti, anche quelli più belli della sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 11: Il luna park

Il giorno dopo l'escursione al Grand Canyon passò in fretta. Visitammo alcuni musei a Flagstaff. Quando alla sera passammo di fianco ad un insegna che annunciava un luna park nella città vicina, mi avvicinai ai professori e chiesi loro il permesso di andarci quella sera. Il mio prof di lettere ce lo concesse subito e anche gli altri colleghi furono d'accordo, non vedevano l'ora di avere un minuto per loro.
- Thomas! - chiamai il mio amico che era qualche passo più avanti di me.
Lui si voltò.
- Sta sera si va al luna park.
Qualche ora dopo io e i miei amici ci trovavamo in una piazza piena di luci e di attrazioni. Alcuni bambini urlavano eccitati a bordo delle montagne russe, due ragazzi cercavano di vincere un premio per le loro fidanzate e una donna incinta e suo marito si tenevano per mano ridendo. Alla vista di quell'ultima scena pensai a Charlotte e mio padre. La prima volta che avevo visto quella donna lei era stesa sul divano di casa mia. Mio padre era chinato verso di lei e la stava baciando. Silenziosamente avevo risalito le scale e mi ero chiuso in camera mia, aspettando che tutto finisse. Sapevo che mio padre credeva che io fossi fuori casa, dovevo essere da un amico. Io come uno stupido avevo creduto di fargli una sorpresa, comparendo dalla mia stanza. Di certo non mi aspettavo che tornasse a casa con una donna. Una volta che Charlotte se ne fu andata, scesi di fretta le scale e uscii dalla porta principale. Bussai.
Iris mi riscosse da quei brutti ricordi e mi offrì dello zucchero filato blu.
Lo presi senza pensarci due volte.
Passeggiammo attraverso le attrazioni il tempo necessario per finire di mangiare il dolce.
Un signore barbuto si avvicinò a noi e ci sfidò a buttare giù tutti i bersagli con una sola pallina. Non potevamo certo rifiutare, così, io, Thomas e alcuni ragazzi che avevamo conosciuto quella mattina in hotel, offrimmo i nostri soldi al signore, che ci mise in mano una palla gialla ciascuno.
Cominciò un ragazzo che ricordavo vagamente si chiamasse Henry, che buttò giù due dei cinque bersagli posti uno dietro l'altro. Il signore barbuto rise e gli offrì di riprovare. Henry decise che era meglio lasciare perdere quando Frank, del suo nome ero sicuro, buttò giù un solo bersaglio. Una ragazza che si chiamava Margo, partecipò dopo aver scoperto che erano in palio due peluche da collezione che cercava da anni, riuscì a buttare giù quattro bersagli e riprovò. Con un po' di tristezza, il proprietario del gioco le regalò un peluche. A quel punto, fu il turno mio e di Thomas. Buttai giù quattro bersagli e mi voltai a guardare il mio amico.
Iris venne verso di noi. - Thomas! - esclamò. - Se vinci quel peluche - disse indicando un orsetto, - ti passo tutte le risposte della verifica di matematica.
Thomas sorrise, fece roteare il braccio e vinse l'orso.
- Prenderò una B! - urlò di gioia.
Poco dopo Elizabeth propose di andare sulle montagne russe. Frank, il forse Henry, la ragazza collezionista e altri annuirono.
Insieme ci dirigemmo verso l'attrazione mal messa. Era composta da una decina di vagoni da quattro posti ciascuno. Ci sedemmo tutti e partimmo, d'apprima andavamo piano e poi, dopo aver raggiunto una salita, ci buttammo in picchiatta nel vuoto. Il vento scompigliava i capelli alle ragazze sedute davanti a me e non riuscii a vedere nulla. Per essere un'attrazione del luna park, fu piuttosto divertente.
Passeggiammo ancora per un po' prima di entrare nella casa della paura. Era un'attrazione a forma di villa, sicuramente difficile da montare, al cui interno c'erano tre diversi percorsi da seguire. In ciascuno di essi si doveva camminare per la casa al buio e cercare di non rimanerci secchi quando qualcosa ti toccava la spalla. Il signore che ci vendette i biglietti ci avvisò che all'interno della villa ci avrebbero diviso a coppie.
Entrammo tranquillamente nella prima stanza della villa, che era illuminata. C'era un grosso lampadario al centro e due insegne indicavano di sederci per terra, vicino ad una freccia. Dopo aver fatto come ci dicevano e aver azionato la freccia, essa iniziò a ruotare e si fermò vicino a Frank. Riprese a ruotare per poi indicare un altro ragazzo. I due amici si batterono il cinque e una porta si aprì, indicando che dovevano entrare.
- Vi aspettiamo fuori, alla biglietteria - dissero prima che la porta si chiuse dietro di loro.
La seconda coppia a partire fu quella formata da Henry e Margo. Velocemente andò via metà gruppo, tra cui Hannah, Iris e Thomas.
La freccia ruotò velocemente e si fermò davanti a me. Sorrisi e attesi che mi venisse indicato con chi dovevo andare. La freccia fece per fermarsi davanti a un ragazzo ma, dopo aver incespicato un attimo, andò dritta davanti ad Elizabeth.
Presi per mano la ragazza e attesi che una porta si aprisse. La seconda.
Davanti c'era solo buio e silenzio. Dopo aver fatto un passo, la porta dietro di noi si chiuse e ci ritrovammo nell'oscurità più completa. Udimmo un urlo ed Elizabeth strinse la mia mano.
- È buio - disse.
Annuii, poi, sapendo che non poteva vedermi, lo dissi ad alta voce: - Si.
Avanzammo lentamento e sentii qualcosa toccarmi una spalla. Mi voltai e una luce rossa illuminò uno scheletro. Chiusi gli occhi, spostai la mano dello scheletro e incitai Elizabeth ad avanzare.
La ragazza urlò un paio di volte di terrore finché decise di chiudere gli occhi e farsi guidare da me.
- Scusa Matthew. Sono un peso morto. Ma non avrei mai pensato che questo posto fosse così inquitante - si scusò.
- Non fa niente - dissi.
Era strano che Elizabeth, dopo aver visto un uomo morire davanti ai suoi occhi, avesse paura di quei manichini, anche se erano piuttosto realistici.
Passammo davanti ad una bara. Iniziò ad agitarsi e si aprì davanti a noi. Il morto urlava e sentii Elizabeth aggrapparsi alla mia maglietta con forza, se non l'avessi avuta addosso mi avrebbe probabilmente graffiato.
Mi ritrovai a toccare un gradino con la punta delle scarpe.
- C'è una scala - dissi più a me stesso che ad Elizabeth.
Lei confermò.
- Aggrappati alla ringhiera perché in queste case le scale finiscono sempre per rivelarsi tranelli. Può darsi che si trasformerà in uno scivolo dopo cinque gradini.
- La ringhiera è viscida - disse la ragazza dopo averla toccata.
Posai la mano sul ferro che fungeva da corrimano e mi accorsi che Elizabeth aveva ragione. Una sostanza bagnata e viscida non permetteva che ci aggrappassimo ad essa. Sospirai nel buio e controllai se c'era qualcos'altro che potessimo usare. Non trovai nulla a parte un grosso cranio che evitai di far toccare ad Elizabeth.
Non credevo che la scala sarebbe diventata uno scivolo dopo davvero cinque gradini, ma indovinai. Il legno sopra cui stavo camminando si appiattì e si inclinò per sbalzarmi all'indietro.
Sebbene misi avanti la mani, battei comunque la testa mentre Elizabeth scivolava su di me.
- Aia! - esclamai.
- Scusa! - Si voltò e riuscii a vedere i suoi occhi verdi ad un passo dai miei. Il suo respiro era sulla mia guancia.
Si mosse di nuovo, per cercare di rialzarsi, e sentii i suoi capelli sul mio collo, i quali, invece di darmi fastidio, strisciarono sulla mia pelle facendomi provare un piacevole solletico.
- Cosa stai facendo? - chiesi.
La ragazza si scusò di nuovo mentre appoggiava una mano alla mia coscia e si tirava su.
Qualcosa di grosso strisciò sulla mia mano.
- Elizabeth, ce la fai a tirarti su? - Doveva sembrare una lamentela, ma le parole che uscirono dalla mia bocca avevano un tono dolce e preoccupato.
- Sono in piedi - rispose lei.
Il corpo passò ancora una volta vicino a me.
Mi alzai di scatto mentre Elizabeth si irrigidiva.
- Non preoccuparti è un manichino.
Un ringhio.
Quello che doveva essere un grosso cane iniziò ad abbaiare.
- È lui. - Elizabeth si lasciò sfuggire un grido. - Va-t'en!
Il cane smise di abbaiare qualche secondo, permettendo ad Elizabeth di prendere il suo cellulare e di illuminare la stanza.
L'essere che ci trovavamo davanti era simile al cane che mi aveva attaccato la settimana prima, ma più grosso e più scuro.
Cominciai a sudare, sapendo che non avevamo modo di scappare da lì. Quel mostro ci avrebbe ucciso e si sarebbe divertito con i brandelli dei nostri corpi.
- Elizabeth! - urlai. - Dobbiamo fermarlo.
- Credi che sia facile? Non mi ascolta. Lui non sa chi sono, non mi teme come il cane che abbiamo visto a casa tua.
Quel cane aveva paura di lei? Perché?
Non capivo, ero paralizzato dal terrore. In confronto a quel cane, i manichini di quella casa avrebbero potuto essere presi per far ridere dei neonati.
Il mostro ringhiò di nuovo, ancora e ancora. Aspettava il momento giusto per attaccare.
In un gesto disperato, afferrai Elizabeth per il polso e iniziai a correre. Non sapevo quanto potevamo andare lontani considerato che quel cane era anche veloce, viste le zampe che aveva. Sentii un grido provenire da sinistra e per poco non mi fermai. Era la voce di Iris, che era entrata nel percorso alla nostra destra. Possibile che avessi perso il senso dell'orientamento, che le scale non fossero state dritte o che stavamo tornando indietro? Correre al buio era davvero difficile.
Inciampai nel sarcofago di una mummia ed Elizabeth iniziò a tirarmi. - Più veloce, forza. Non voglio vederti morire a causa mia.
Allora era davvero così. Se quel cane mi avesse preso non sarebbe rimasto nulla di me, solo un ricordo.
- Non è dignitoso morire in un'attrazione del luna park. Poi tutti crederanno che sono un fifone - dissi per cercare di infondermi un po' di coraggio.
Svoltammo a destra, questa volta per davvero, e corremmo ancora qualche metro.
- Una luce! - sentii urlare Elizabeth quando le gambe mi fecero davvero male.
Non sapevo se quel cane avrebbe smesso di seguirci una volta fuori di lì, ma era giusto tentare. Uscimmo ancora correndo e non ci fermammo neanche quando una donna si parò davanti a noi per scattarci una foto.
- Nuovo record! - la sentimmo gridare eccitata, ma eravamo già lontani.
- Ragazzi! - esclamò Thomas correndo verso di noi. - Cosa state facendo?
Ci fermammo di colpo e, dopo esserci scambiati uno sguardo veloce, io ed Elizabeth ci voltammo a vedere se il cane ci seguiva. Fortunatamente, non ce n'era traccia.
Ci avvicinammo alla donna con la macchina fotografica, che ci informò che avevamo fatto un nuovo record. Nessuno era mai stato così veloce. Insistì quindi per scattarci una foto e noi accettamo. Elizabeth si mise di fianco a me e notai che il suo cuore batteva ancora a mille, le feci passare un braccio dietro le spalle e la strinsi. Il flash ci indicò che la foto era stata fatta.


 

Era quasi mezzanotte quando ci mettemmo sulla strada dell'albergo. Io ed Elizabeth camminavamo lentamente e in silenzio dietro agli altri. La strada diventava sempre più buia man mano che ci allontanavamo dalle luci del luna park. Hannah si accorse di noi e si fermò, aspettando che la raggiungesimo, poi si mise a camminarci a fianco.
- Stai bene? - chiese alla sua amica.
Lei annuì. - Si.
- Mi sembri triste - disse.
- Non sono triste. Sono... - Si voltò a guardarmi - ...confusa.
Hannah mi chiese cos'era successo con gli occhi. Io scossi la testa.
- D'accordo. Mi racconterai in camera. - Poi si mise a sussurrare sperando che non la sentissi , ma senza successo. - Hai ragione sul bacio di me e Thomas. Sono stata troppo avventata e lui non meritava quello schiaffo. Ne parliamo dopo.
Si allontanò lasciandoci nel silenzio per diversi minuti, poi Elizabeth sbuffò.
- Dopo oggi, hai diritto alla tua parte di storia - disse.
Mi misi in ascolto senza dire una parola.
- Dopo che Beth fu bruciata, sua figlia venne lasciata in strada a morire. Una donna sterile si era mostrata interessata a portarla con sé ma, dopo che la voce della maledizione prese piede, nessuno volle più una bambina destinata ad essere un'assasina. Il fato portò una donna del paesino confinante a passare di lì quella notte. Vide la bambina e, non essendo a conoscenza della maledizione, le salvò la vita, scaldandola dal freddo e sfamandola con il latte del suo vero figlio. Anne Lemoine tornò a casa da suo marito, Lucian, con la bambina e insieme decisero di crescerla insieme a Maxime, come se fosse la sua gemella. Suzanne crebbe forte e coraggiosa al fianco del fratello. Ma la maledizione era ancora lì e lei non poteva scappare al suo destino. Tre mesi dopo il diciannovesimo compleanno di Maxime, i suoi genitori le dissero che avrebbe dovuto sposarsi con un amico di famiglia. Suzanne non approvava una scelta del genere e scappò di casa, rifugiandosi nel paese della sua nascita. Non servì molto tempo perché la ragazza conoscesse la storia di Beth e di sua figlia e capii. Comprese che quello che poteva fare era vero, vivo, che aveva della magia dentro di lei, che doveva smettere di considerarsi un mostro per i sentimenti che provava per il fratello. -
La interruppi. - Era innamorata di Maxime?
Elizabeth annuì.
- È spaventoso - dissi.
- Non era suo fratello.
- Era come se lo fosse.
Elizabeth scosse la testa e io invece ripetei di si.
- Matthew fammi finire.
- È terribile! - esclamai.
Elizabeth cercò di zittirmi altre tre volte e alla fine si arrabbiò. - Se non sei disposto ad ascoltare in silenzio allora non ti racconto niente.
Iniziò a correre verso il resto del gruppo e io la lasciai andare.
Raggiungemmo in fretta l'albergo e Thomas e io andammo in camera a dormire.


 

Mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte con il cuore che mi martellava nel petto. Nel sogno un grosso cane mi aveva assalito ed io ero riuscito a scappare dopo qualche minuto, poi qualcuno aveva iniziato a picchiettarmi sulla spalla. Mi ero girato e avevo visto una ragazza senza volto, mi aveva parlato in francese e poi era tornata a picchiettarmi sulla spalla. Anche da sveglio, sentii quel rumore.
Mi voltai a guardare Thomas ma lui dormiva tranquillo. Così, dopo le esperienze fatte, immaginai che ci fosse qualcuno alla finestra e mi alzai dal letto a vedere. Quando l'aprii, sentii di nuovo il ticchettio. Proveniva da qualcos'altro.
Sfregai le mani sul pigiama e andai al bagno. La luce si accese e mi bruciarono gli occhi. Feci scorrere l'acqua e mi guardai allo specchio.
Il mio solito viso, i miei soliti capelli ricci e corti, i miei soliti occhi castani. Tutto normale. Non ero neanche sudato. Mi sciaquai comunque e poi tornai verso il mio letto.
Ancora il ticchettio. Mi avvicinai alla porta e proprio in quel momento il rumore si trasformò in un bussare, molto più forte.
Aprii e la ragazza davanti a me sussultò. Non si aspettava che fossi dietro la porta. Aveva i capelli biondi raccolti con una spilla, lasciando cadere alcuni ciocche mosse più lunghe. I suoi occhi avevano qualcosa di strano. Soltanto guardandola bene notai che non era truccata. Elizabeth non si truccava molto, soltanto una linea leggera e del mascara. Se metteva altro non me ne ero mai accorto. Non era in pigiama.
- Ehi - mi salutò.
- Ehi. Che ci fai qui... - cominciai.
- Alle quattro del mattino? - finì per me. - So che non posso andare avanti così: fare qualcosa e poi scusarmi. Ma lo devo proprio dire questa volta: scusa.
Non capii subito a cosa alludeva, nonostante questo accolsi le scuse.
La luce del corridoio era tenue, adatta alla notte.
Abbassai il capo e mi fissai il pigiama. In quello stesso istante mi pentii di non dormire in jeans come altri milioni di ragazzi americani.
- Vieni con me - disse Elizabeth con dolcezza.
Provai l'impulso di fare come mi diceva. Gli adulti rimproverano spesso i bambini che copiavano gli amici in bravate dicendo "Se lui si fosse buttato giù da un burrone lo avresti fatto anche tu?". Lo giuro, se in quel momento lei me l'avesse chiesto lo avrei fatto senza guardarmi indietro.
L'istinto non sbaglia mai, giusto? Le chiesi un momento per cambiarmi, infilai una maglietta rossa e un paio di jeans e la seguii.
Lei mi afferrò la mano. Quel giorno ce l'eravamo tenuta per così tanto tempo, per paura in quella casa spettrale e durante la corsa, che non avrei mai immaginato di sentire un forte calore e tutta quella felicità al contatto.
Elizabeth aveva la mano sudata ma non intendevo lasciargliela andare.
Mi portò verso l'acensore e lo chiamò. Dopo essersi fermato davanti a noi, spinsi dentro Elizabeth che sembrava indecisa sul da farsi e chiusi le porte con il tasto.
Lei mi guardò con aria interrogativa.
- Piano? - chiesi.
- Sesto - disse Elizabeth.
Premetti il bottone con il numero sei.
- Mi vuoi dire dove stiamo andando?
- Al sesto piano c'è una saletta dove potremo parlare senza svegliare nessuno.
- Parlare di cosa?
- Devo terminare la storia di Suzanne - spiegò.
L'ascensore si fermò al piano con il solito suono che sembrava prodotto da un triangolo. Elizabeth mi guidò verso una stanzetta con la porta a vetro dove un cartello indicava "Area Relax" e in piccolo "aperta a tutti i residenti dell'hotel", poi chiuse la porta dietro di noi, cliccò l'interruttore e abbassò la tendina sulla porta per evitare che filtrasse troppa luce. Era una stanzetta moderna, con un televisore e alcuni divani azzurri e blu. Mi sedetti su uno di essi ed Elizabeth si mise di fronte a me con le gambe incrociate.
- Pronto? - chiese.
Le feci cenno di partire.
- Dopo aver compreso che non era figlia di quelle persone che l'avevano cresciuta, Suzanne decise di trovare il suo vero padre. Clémant Guibeux viveva ancora dove un tempo Beth lavorava. Credeva che sua figlia fosse morta la notte stessa in cui Beth era stata bruciata e, per questo motivo, si stupì molto quando una ragazzina identica alla madre si presentò davanti alla sua porta. Suzanne cominciò a spiegare al padre come aveva capito di essere sua figlia e Clémant iniziò a temere per la maledizione. Suzanne però non sembrava interessata, era convinta che, nonostante suo padre fosse stato un uomo orribile, si era sicuramente pentito. Appena due settimane dopo il loro primo incontro Clémant si mostrò di nuovo l'uomo orribile che era, accusando anche la figlia di stregoneria, per cercare di fuggire al suo destino. Si trovò quindi a litigare con Suzanne e lei afferrò un pugnale. Iniziò ad urlare contro suo padre e il pugnale si riempì di magia nera, creando un marchio sull'impugnatura. La figlia tirò il pugnale, che si conficcò dritto nel cuore di Clémant, uccidendolo all'istante. Impaurita e spaventata, Suzanne tolse il pugnale dal corpo del padre e si rifugiò in paese. - Elizabeth si fermò un attimo a scrutarmi.
- Maledizione compiuta. Tutto qui? - chiesi.
- No. - Elizabeth si stese sul divano e appoggiò la testa vicino a me, facendo penzolare le gambe da sopra il bracciolo. - Beth non sapeva che con le parole che aveva pronunciato aveva condannato sua figlia e tutte le donne della sua famiglia nell'infelicità. Tutte infatti vennero ingannate dall'uomo che le aveva fatte innamorare e crebbero da sole una figlia. Sempre una femmina, nata per uccidere e soffrire. Suzanne fece compiere la maledizione, non solo uccidendo il padre, ma anche facendo la fine della madre. Due anni dopo l'omicidio che aveva compiuto decise di tornare a casa. I genitori l'accolsero con dolcezza e le perdonarono la fuga quando disse loro che aveva scoperto che l'avevano adottata. Quando chiese di Maxime, il fratello comparve alla porta di casa e corse ad abbracciarla. - Alzò lo sguardo verso di me. - Sai perfettamente cosa succede ora.
Annuii.
- La sera stessa, Suzanne rivelò al fratello adottivo i sentimenti che provava per lui e Maxime ne approfittò. Quando la ragazza si svegliò la mattina e chiese di lui, i genitori le dissero che era a casa con sua moglie. Fu un duro colpo per Suzanne che corse alla casa del fratello per chiedergli spiegazioni. Ad aprirgli la porta di casa fu una donna che sorreggeva un bambino di un anno al massimo. Suzanne non ebbe il coraggio di fare altro se non scappare. Per estraniarsi da i suoi genitori adottivi iniziò a farsi chiamare con il suo vero cognome, non quello di suo padre ma quello della madre: Lane. Non c'è bisogno di dire altro se non che nove mesi dopo partorì la piccola Thalie. Come tutte le altre donne Lane dopo di lei, morì solo dopo aver visto sua figlia soffrire a sua volta e uccidere Maxime con lo stesso pugnale con cui lei aveva assassinato Clément. -
- Ma è orribile! - esclamai.
- Si. Lo è - sussurrò Elizabeth. Quindi si alzò e si mise davanti a me.
Notai che stava stringendo gli occhi e pensai che lo stesse facendo per non piangere. Mi venne l'impulso di accarezzarle il viso e così feci.
- Non piangere - dissi.
Elizabeth si ritrasse. - Matthew...non sto piangendo. - Rimase in silenzio per un po'. - Sono furiosa. La mia intera vita é costruita su un odio di una donna vissuta seicento anni fa. È un odio che non provo! Che non ho mai avuto l'opportunità di provare. Come faccio ad essere arrabbiata con i ragazzi, se non mi è permesso parlarci?
- Thomas...
- L'unico ragazzo che conosco davvero e non lo odio affatto - disse. - Vorrei solo...avere una vita normale.
Mi sentii un po' offeso perché non mi aveva calcolato.
- Elizabeth, hai appena ammesso che quello che mi hai raccontato è vero.
- Certo che lo è. Non ha senso nasconderlo, tanto sai già tutto. E poi ogni parola del quarto racconto te l'avrebbe fatto capire.
- Ci sono altri racconti? - chiesi.
- Si - rispose. - E uno di questi è la mia unica opportunità di essere felice.
Udimmo dei passi nel corridoio ed Elizabeth mi fece segno di zittirmi.
Il professore di lettere aprii la porta.
- Williams. Lane - disse irritato senza alzare troppo la voce. - Cosa ci fate qui alle cinque?
Guardai l'orologio che portavo sempre con me. Era molto tardi.
- Noi... - Elizabeth si voltò per chiedere aiuto.
- Non riuscivo a dormire prof, così sono venuto qui per guardare qualcosa. - Indicai la televisione.
- Tu, Lane? - Il professore spostò lo sguardo su Elizabeth.
- Stessa cosa. Non volevo svegliare Hannah. Matthew era già qui quando sono arrivata.
- Spero che mi stiate dicendo la verità. Non voglio vedervi in giro. A letto, forza! - esclamò accompagnandosi con un gesto della mano.
Tornammo alle nostre rispettive camere attraverso l'ascensore.
- Buona notte - dissi ad Elizabeth per salutarla quando arrivammo davanti alla mia stanza.
Thomas aprì la porta all'improvviso.
- Forse dovresti dire "buon giorno".
Elizabeth sgranò gli occhi e scappò via.
Il mio amico mi trascinò dentro.
- Aiuto! - esclamai ridendo.
La stanza era illuminata, i nostri letti sfatti.
- Cosa le hai fatto? - chiese agitato Thomas.
- Cosa? - Feci un sorriso da cretino.
- Cosa le hai fatto? - ripeté.
- A chi? - domandai facendo il finto tonto.
- Elizabeth.
- Elizabeth, chi?
Thomas mi mandò a quel paese e se ne tornò a letto.
- Non le ho fatto niente - dissi rassicurandolo. - Ti preoccupi come un fratello.
- È come se lo fossi.
Rabbrividii a quell'affermazione. Tanto simile a quella che avevo fatto io quella sera riferendomi a Maxime e Suzanne.
Thomas si voltò verso di me, che nel frattempo mi ero seduto sul letto.
- Lei ha soltanto me.
Mi infilai sotto le coperte e pensai a quella frase e a mio fratello. Charlotte e mio padre erano figli unici, non avrebbe avuto nessuno tranne me. Improvvisamente mi sentii triste, non potevo far rimanere mio fratello da solo. Lui o lei non aveva colpe. Chissà se aveva poche settimane o già due mesi, se mio padre mi aveva informato subito della sua esistenza o aveva aspettato. Iniziai a formulare un discorso da poter fare ma, dopo la prima frase, Morfeo mi chiamò tra le sue braccia.




Angolino dell'autrice: SCUSATE! Scusate l'enorme ritardo, ho avuto un sacco di problemi questa settimana. Mi faccio perdonare con il capitolo più lungo che ho scritto per ora. Fatemi sapere cosa ne pensate. Alla prossima :)
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: EleEmerald