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Autore: goddessofnightmares    11/05/2015    0 recensioni
4 settembre
Caro diario,
oggi succederà qualcosa di terribile.
Non so perché l’ho scritto.
È pazzesco. Non ho nessun motivo per essere turbato, invece ne ho molti per essere felice, eppure…
Eccomi qui alle 5:30 del mattino, sveglio e spaventato.
Continuo a ripetermi che sono semplicemente sconvolto per la differenza di fuso orario tra la Francia e qua.
Ma questo non spiega perché mi sento così spaventato. Così perso.
L’altro ieri, mentre zia Jenna, Alison e io tornavamo in auto dall’aeroporto, ho avuto una sensazione stranissima. Quando abbiamo svoltato nella nostra via ho subito pensato: “Mamma e papà ci stanno aspettando a casa. Scommetto che saranno nella veranda oppure in soggiorno a guardare fuori dalla finestra. Avranno sentito tantissimo la mia mancanza”.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-1-
 
POV MICHAEL:

Il corvo si precipitò sulla cima della grande quercia, e istintivamente Michael alzò la testa di scatto. Quando vide che era solo un uccello si rilassò.
Gli occhi si posarono sulla bianca figura afflosciata nelle sue mani, e sentì il viso contorcersi per il rimorso. Non aveva avuto intenzione di ucciderlo. Avrebbe cacciato qualcosa di più grande di un coniglio se avesse saputo quanto era affamato. Ma, naturalmente, questo era proprio ciò che lo spaventava: non sapere mai quanto sarebbe stata forte la fame, o cosa avrebbe dovuto fare per saziarla. Era fortunato ad aver ucciso solo un coniglio stavolta.
Rimase sotto le vecchie querce, il sole che filtrava fino ai suoi capelli scompigliati. In jeans e maglietta, Michael Clifford sembrava proprio un normale studente del liceo.
Ma non lo era.
Era venuto a nutrirsi nel profondo del bosco, dove nessuno poteva vederlo. Ora si leccava le gengive e le labbra accuratamente, per assicurarsi che non vi rimasessero macchie. Non voleva correre alcun rischio. Questa messinscena sarebbe stata già abbastanza difficile da condurre così com’era.
Per il momento si domandò, ancora, se non fosse semplicemente il caso di rinunciare. Forse doveva tornare in Italia, nel suo nascondiglio.
Cosa gli aveva fatto pensare di potersi riunire al mondo della luce?
Ma era stanco di vivere nell’ombra. Era stanco dell’oscurità, e delle cose che ci vivevano. Soprattutto, era stanco di essere solo.
Non era certo del perché avesse scelto Mystic Falls, in Virginia. Era una città giovane, secondo i suoi standard; gli edifici più antichi erano stati costruiti solo un secolo e mezzo prima. Ma i ricordi e i fantasmi della guerra civile vivevano ancora qui, reali come i supermercati e i fast-food.
Michael apprezzava il rispetto per il passato. Pensava che la gente di Mystic Falls avrebbe potuto piacergli. E forse, solo forse, avrebbe potuto trovare un posto fra loro.
Non era mai stato completamente accettato, ovviamente. Un sorriso amaro gli incurvò le labbra all’idea. Aveva abbastanza buon senso da non sperarvi. Non ci sarebbe mai stato un posto completamente suo, dove poter essere veramente sé stesso…
A meno che non avesse deciso di appartenere alle ombre…
Scacciò il pensiero. Aveva rinunciato alle tenebre; aveva lasciato le ombre dietro di sé.
Oggi stava cancellando tutti quei lunghi anni e ricominciando da capo.
Michael si rese conto di avere ancora in mano il coniglio.
Delicatamente, lo posò sul letto di foglie di quercia marroni.
In lontananza, troppo lontano perché orecchie umane li potessero cogliere, riconobbe i rumori prodotti da una volpe.
Vieni qui, sorella cacciatrice, pensò tristemente.
La tua colazione sta aspettando.
Mentre si gettava la giacca sulla spalla, vide il corvo che lo aveva disturbato prima. Era ancora appollaiato sulla quercia, e sembrava osservarlo.
C’era qualcosa di sbagliato in lui.
Cominciò a inviare un pensiero indagatore verso l’uccello, per esaminarlo, ma si fermò.
Ricorda la tua promessa, pensò. Non devi usare i Poteri a meno che non sia assolutamente necessario. A meno che non ci sia scelta.
Muovendosi quasi senza far rumore tra le foglie morte e i ramoscelli secchi, si fece strada fino ai margini del bosco.
L’auto era parcheggiata lì.
Si guardò indietro, una volta, e vide che il corvo aveva lasciato i rami ed era atterrato sul coniglio.
C’era qualcosa di sinistro nel modo in cui aveva aperto le ali sul bianco corpo afflosciato, qualcosa di sinistro e trionfante.
A Michael si serrò la gola, e quasi tornò indietro per cacciare l’uccello. Eppure, aveva tanto diritto di mangiare quanto la volpe, si disse.
Tanto diritto quanto lui.
Se avesse incontrato ancora l’uccello, gli avrebbe guardato nella mente, decise. Ma per ora distolse gli occhi da quello spettacolo e si affrettò attraverso gli alberi, la mascella serrata.
Non voleva arrivare in ritardo alla Mystic Falls High School.
 

POV LUKE:

Luke venne circondato nel momento stesso in cui entrò nel parcheggio del liceo.
Erano tutti lì. Tutta la banda che non vedeva dalla fine di giugno, più quattro o cinque lecchini che speravano in qualche modo di guadagnare popolarità e attenzione aggregandosi.
Uno per uno ricevette abbracci e pacche di bentornato nel gruppo sulla schiena che quasi gli fecero perdere l’equilibrio.
Harry era cresciuto di almeno tre centimetri ed era più magro e somigliava più che mai ad un modello di “Calvin Klein”.
Salutò Luke freddamente e indietreggiò, gli occhi verdi socchiusi come quelli di un gatto.
Calum non era cresciuto affatto e, mentre gli gettava le braccia al collo, la sua testa scura arrivava a malapena al mento di Luke.
Aspetta un attimo, cos’era quel ciuffo biondo che troneggiata sulla sua testa?, pensò Luke. Allontanò il ragazzo.
«Cal! Cos’hai fatto ai capelli?»
«Ti piacciono? Penso che mi facciano sembrare più sexy» Calum arruffò il ciuffo e sorrise, gli occhi scuri che brillavano per l’eccitazione, il viso che gli ricordava particolarmente quello di un bambino tutto illuminato.
Luke andò avanti. «Ashton. Tu non sei cambiato per niente. Resti il solito coglione».
Questo sbuffò appena per poi stringerlo ugualmente in un caloroso abbraccio fraterno.
Aveva sentito la mancanza di Ashton più di chiunque altro, pensò Luke, guardando il ragazzo di qualche centimetro più basso di lui.
Si scostò poi di lato un ciuffo ribelle di capelli color miele che gli offuscava la vista.
«Ti sono cresciuti i capelli vedo… Ma dov’è l’abbronzatura? Pensavo te la stessi spassando in Costa Azzurra».
«Sai che non mi abbronzo mai, Irwin». Luke alzò le mani per ispezionarle.
La pelle era senza macchie, come porcellana, ma quasi chiara e traslucida come quella di Ashton. Invidiava non poco la carnagione olivastra di Calum.
«Aspetta un momento, ora che mi ricordo», intervenne Calum, afferrando una delle mani di Luke. «Indovinate cosa ho imparato da mio zio quest’estate?». Prima che qualcuno potesse parlare, gli informò trionfante: «A leggere la mano!».
Si sollevarono mormorii e qualche risata.
«Ridete finchè potete», disse Calum, per niente offeso. «Mio zio mi ha detto che sono un sensitivo. Ora, fammi vedere…». Guardò il palmo di Luke.
«Sbrigati o faremo tardi», disse Luke un po’ impaziente.
«Va bene, va bene. Ora, questa è la linea della vita, o è quella del cuore?».
Nella compagnia, qualcuno sghignazzò.
«Silenzio; sto cercando nel vuoto. Vedo… vedo…». All’improvviso, la faccia di Calum divenne più chiara del solito, come se fosse spaventato.
Spalancò gli occhi castani, ma non sembrava più fissare la mano di Luke. Era come se attraverso la mano vedesse qualcosa di spaventoso.
«Incontrerai uno sconosciuto alto e bruno», mormorò Ashton da dietro.
Ci fu un brusio di risatine.
«Alto, sì, e sconosciuto… ma non bruno». La voce di Calum era soffocata e distante.
«Anche se», continuò dopo un momento, con aria perplessa, « una volta aveva i capelli verdi». Sollevò i grandi occhi castani per incontrare quelli azzurri di Luke, che era a dir poco sconcertato. «Ma questo è impossibile… no?». Lasciò la mano di Luke, quasi respingendola. «Non voglio più vedere».
«Okay, lo spettacolo è finito. Andiamo», disse Luke agli altri, leggermente irritato.
Aveva sempre pensato che i trucchi paranormali fossero appunto questo… trucchi. Perché allora era così turbato?
Solo perché quel mattino era quasi andato in paranoia lui stesso…
I ragazzi si avviarono verso la scuola, ma il rombo di un motore messo bene a punto li fermò.
«Be’, dico», esclamò Harry, guardando. «Questa sì che è una macchina».
«Questa si che è una Porsche», lo corresse Ashton asciutto.
L’elegante 911 Turbo nera attraversò silenziosa il parcheggio alla ricerca di un posto, muovendosi pigramente come una pantera che si avvicina alla preda.
Quando l’auto si fermò e la portiera si aprì. Intravidero il guidatore.
«Oh mio dio» sospirò Harry.
«Puoi ben dirlo», sussurrò Calum.
Da dove si trovava, Luke scorgeva un fisico asciutto e leggermente muscoloso.
Jeans sbiaditi che bisognava probabilmente scrollarsi di dosso la sera, una maglietta attillata e una giacca di cuoio di taglio insolito.
I capelli erano leggermente scompigliati… e blu.
Non era molto alto, però. Solo di altezza media.
Luke emise un sospiro.
«Chi era quell’uomo mascherato?», chiese Ashton. E l’osservazione era appropriata; degli occhiali scuri nascondevano completamente gli occhi del ragazzo, coprendogli la faccia come una maschera.
«Lo sconosciuto mascherato», disse qualcun altro, e cominciarono a parlottare.
«Vedi quella giacca? È italiana, come Roma».
«Come fai a saperlo? Non ci sei mai stato più in là di Rome, nello Stato di New York, in vita tua!».
«Oh-oh. Luke ha ancora quello sguardo. Lo sguardo da cacciatore».
«Basso-Blu-e-Bello farebbe meglio a fare attenzione».
«Non è basso; è perfetto!».
Ormai tutti sapevano della sua innegabile omosessualità e nessuno se ne preoccupava particolarmente.
Fra le chiacchiere, echeggiò all’improvviso la voce di Harry. «Oh, dai, Hemmings. Hai già James. Cos’altro vuoi? Cosa puoi fare con due persone che non puoi fare con una?».
«La stessa cosa, solo più a lungo», replicò Ashton, e il gruppo scoppiò a ridere.
Il ragazzo aveva chiuso l’auto e si dirigeva verso la scuola.
Con nonchalance, Luke si avviò dietro di lui, gli altri ragazzi subito dietro in gruppo compatto.
Per un istante, fremette di irritazione. Non poteva andare da nessuna parte senza una parata alle sue calcagna?
Ma Ashton colse il suo sguardo, e lui sorriso suo malgrado.
«Noblesse Oblige», disse Ashton a bassa voce.
«Cosa?»
«Se vuoi diventare il re della scuola, devi accettarne le conseguenze».
Luke si accigliò, mentre entravano nell’edificio.
Un lungo corridoio si estendeva di fronte a loro, e una figura in jeans e giacca di pelle stava sparendo oltre la porta dell’ufficio, più avanti.
Man mano che si avvicinava all’ufficio Luke rallentava, per fermarsi infine a dare una seria occhiata ai messaggi sulla bacheca di fianco alla porta. Lì c’era una grande finestra, attraverso la quale si vedeva l’intero ufficio.
Gli altri ragazzi guardavano apertamente attraverso la finestra, e ridacchiavano.
«Bella vista posteriore». «Quella è decisamente una giacca di Armani». «Pensi che venga da un altro stato?».
Luke drizzava le orecchie per sentire il nome del ragazzo.
Sembrava che ci fosse qualche problema là dentro: la signora Clarke, la segretaria amministrativa, esaminava una lista scuotendo la testa.
Il ragazzo disse qualcosa, e la signora Clarke alzò le braccia come a chiedere “Che posso farci?”.
Scorse con il dito la lista e scosse ancora la testa, in maniera risoluta.
Il ragazzo fece per andarsene, poi tornò indietro.
E quando la signora Clarke lo guardò, la sua espressione era cambiata.
Il ragazzo aveva ora gli occhiali da sole in mano.
La signora Clarke sembrava spaventata da qualcosa; Luke la vide sbattere gli occhi diverse volte.
Apriva e chiudeva la bocca come se cercasse di parlare.
Luke avrebbe voluto vedere qualcosa di più che la nuca del ragazzo.
La signora Clarke armeggiava con le pile di carte ora, e sembrava frastornata.
Alla fine, trovato un qualche modulo lo compilò, poi lo capovolse e lo spinse verso il ragazzo.
Dopo aver scritto qualcosa sul modulo, firmandolo probabilmente, il giovane lo resitituì.
Dopo avergli dato una rapida scorsa, la signora Clarke armeggiò con una nuova pila di carte, e infine gli consegnò quello che sembrava un programma delle lezioni.
I suoi occhi non abbandonarono mai il ragazzo mentre questi lo prendeva, chinava la testa per ringraziarla, e
si voltava verso la porta.
Luke era ormai fuori di sé dalla curiosità. Che cos’era appena successo là dentro? E com’era la faccia di questo sconosciuto? Ma come uscì dall’ufficio, lui si rimise gli occhiali. E Luke restò deluso.
Eppure, riuscì a vedere il resto del viso quando lui si fermò sulla soglia.
I capelli lisci e colorati incorniciavano lineamenti così fini che avrebbero potuto essere presi da un’antica moneta o medaglia romana. Zigomi alti, naso classico e diritto… e una bocca che ti teneva sveglio di notte, pensò Luke. Il labbro superiore era splendidamente scolpito, un po’ delicato, decisamente sensuale.
Il chiacchiericcio dei ragazzi nel corridoio era cessato come se qualcuno avesse girato l’interruttore.
La maggior parte di loro voltava le spalle al ragazzo ora, guardando ovunque tranne che nella sua direzione.
Luke rimase al suo posto vicino alla finestra e scrollò leggermente la testa, passandosi poi nervosamente una mano tra i capelli.
Senza guardarsi intorno, il ragazzo proseguì lungo il corridoio. Un coro di sospiri si levò nell’istante stesso in cui fu fuori portata d’orecchio.
Luke non lo sentì nemmeno.
Lui gli era passato accanto, pensò, frastornato. Proprio accanto senza neanche degnarlo di un’occhiata.
Vagamente, si rese conto che la campanella stava suonando.
Ashton lo tirava per un braccio.
«Che c’è?»
«Ho detto: ecco il tuo programma. Abbiamo trigonometria al secondo piano adesso. Muoviti!»-
Luke lasciò che Ashton lo spingesse lungo il corridoio, su per una rampa di scale, e dentro l’aula.
Scivolò automaticamente su una sedia vuota e fissò gli occhi sull’insegnante davanti a lui senza nemmeno vederlo.
Lo shock non era ancora svanito.
Gli era passato proprio accanto. Senza neanche dargli un’occhiata. Non riusciva a ricordare da quanto tempo i ragazzi non facevano così. Tutti guardavano, come minimo. Alcuni fischiavano. Alcuni si fermavano a parlare. Altri si limitavano a fissarlo.
E questo era sempre andato bene a Luke.
Dopo tutto, cosa c’era di più importante dei ragazzi e delle ragazze? Erano il segno indicatore della tua popolarità e della tua bellezza. E potevano rendersi utili per un sacco di cose. A volte erano eccitanti, anche se di solito non durava a lungo. A volte erano dei mascalzoni fin dall’inizio.
La maggior parte dei ragazzi, Luke riflettè, erano come cuccioli.
Adorabili quando stavano al loro posto, ma sacrificabili.
Davvero pochi potevano essere più di questo, potevano diventare veri amici. Come James.
Oh, James. L’anno prima aveva sperato che lui fosse proprio quello che cercava, il ragazzo che poteva fargli provare… be’ qualcosa di più. Più che una sensazione di trionfo nella conquista, e orgoglio nell’esibire il nuovo acquisto ai suoi amici. E lui era arrivato a provare un forte affetto per James. Ma durante l’estate, quando aveva avuto tempo per riflettere, aveva capito che era l’affetto di un cugino o di un fratello.
La signora Halpern stava consegnando i libri di trigonometria. Luke prese il suo meccanicamente e vi scrisse sopra il nome, ancora immerso nelle sue riflessioni.
Matt gli piaceva più di qualsiasi altro ragazzo avesse mai conosciuto. Per questo doveva dirgli che era finita.
Non aveva saputo come dirglielo per lettera. Non sapeva come dirglielo ora. Non perché temesse storie da parte sua; semplicemente lui non avrebbe capito. Nemmeno lui capiva davvero.
Era come se cercasse sempre di raggiungere… qualcosa. Solo che, quando pensava di averla raggiunta, non c’era. Non con Matt, Né con nessun altro dei ragazzi che aveva avuto.
E poi doveva ricominciare tutto da capo.
Per fortuna, c’era sempre carne fresca. Nessun ragazzo era ma riuscito a resistergli, e nessun ragazzo l’aveva mai ignorato. Finora.
Finora. Ripensando a quel momento nel corridoio, Luke si accorse che aveva le dita serrate intorno alla penna. Ancora non riusciva a credere che lui gli fosse passato accanto in quel modo.
   
 
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