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Autore: Scottature    11/05/2015    1 recensioni
Questa storia è ispirata alla realtà, come i suoi personaggi. Ed è come vorremmo che fosse.
Sei ragazzi, sei vite, sei voci.
Un'unica storia che li unisce, mentre il tempo cerca di dividerli.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giov.1
 
 


La scuola gli si stagliava di fronte e, in quel momento, il suo metro e novanta di altezza sembrava poco in confronto all’immensa struttura di mattoni, ricordi, sofferenze e persone che la tenevano miracolosamente in piedi.
Qualche metro e sarebbe rientrato in quell’edificio che mai avrebbe voluto abbandonare, che aveva odiato e contro cui aveva imprecato tantissime volte, ma che allo stesso tempo era diventata una seconda casa.
Giov, dopo una settimana di assenza a scuola, aveva deciso di tornare in circolazione. Una settimana può sembrare un lasso di tempo molto breve quando non si ha niente da fare, ma si era annoiato così tanto che gli era mancata anche la professoressa di tedesco che alle interrogazioni non si risparmiava mai di rifilargli "un bel tre", come lo definiva lei.
Era certo che i suoi compagni si fossero rattristati senza di lui. Era una persona abbastanza modesta, ma doveva ammettere che il suo carisma e il suo fascino fossero ineguagliabili. E inoltre con una spalla rotta e ingessata le attenzioni che solitamente gli riservavano sarebbero incrementate molto.
Quell’aggeggio, che gli rendeva difficile persino rollarsi una sigaretta, era un bel problema in realtà e, ripensandoci, la colpa era tutta della sua ragazza. Precisamente la causa della ferita del ragazzo aveva come componenti un litigio, lui, non molto lucido, la sua ragazza, che continuava a lamentarsi, e una bici senza portapacchi condivisa in due. Si potrebbe descrivere come il miglior modo per farsi male senza troppa difficoltà, ma non era da lui cadere e schiantarsi violentemente sull’asfalto, anche in situazioni del genere.
E Nora, tuttavia, non si era fatta nulla: gli avrebbe dovuto ripagare i danni morali e fisici che l’incidente gli aveva causato e lui aveva già un’idea di come avrebbe potuto ottenere un riscatto molto piacevole dalla ragazza.
Osservò l’ingresso di quella che era solitamente la sua aula, dimora di grandi personaggi che avrebbero fatto la storia – pensando, per esempio, a se stesso – e di molte preoccupazioni a vuoto, tipiche di Sole, la ragazza col sorriso più bello che avesse mai visto e che da una settimana non rallegrava più le sue giornate.
Giov inspirò e si gonfiò il petto, pronto ad ricevere tutte le dovute attenzioni dei compagni di classe.
Appena varcata la porta, i presenti smisero di occuparsi di libri o cellulari e si voltarono ad osservare lui e ciò che si trasportava addosso. Di conseguenza, trovando riscontro positivo a ciò che aveva previsto, sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi strafottenti e con tranquillità disarmante si andò a sedere vicino a Sole.
Quanto le era mancata. E mai l’avrebbe ammesso senza dirlo con un po’ di ironia di fondo.
Trovava che il suo nome definisse alla perfezione quel sorriso “luminoso” che tanto amava, lo stesso che fece capolino sul suo volto appena lui le si mise vicino.
Tuttavia scomparve subito per lasciare il posto ad uno sguardo corrucciato e delle braccia incrociate, segno che l'umore della ragazza non era dei migliori. Giov si indispettì per questo, ma non lo diede a vedere: non ci avrebbe messo molto a farle risollevare gli angoli della bocca.
Mantenne quindi intatto il suo sorriso sghembo, leggermente accentuato, un po' a causa delle attenzioni, un po' per l'atteggiamento restio e apprensivo di Sole ed esplose in: 
"Me lo dai un bacio?" 
Le parole giuste con lei potevano avere l’effetto di una bomba altamente esplosiva e lui le aveva calcolate accuratamente per abbattere la muraglia eretta dalla ragazza.
Sole, inizialmente sorpresa, sbatté più volte le ciglia lunghe sgranando gli occhi: Giov aveva colpito il bersaglio. Lo sguardo corrucciato e confuso si mosse dagli occhi di Giov al gesso sulla spalla, per poi abbassarsi e fissare un punto indefinito sul pavimento. Infine, i lineamenti di Sole si addolcirono e scosse la testa, scacciando un pensiero di cui solo lei certamente conosceva il contenuto e gli occhi tornarono a puntare quelli del ragazzo.  Giov era in attesa, ma non aveva fretta: il crollo delle difese del bersaglio era imminente.
Poi, molto attenta a ciò che faceva, si avvicinò leggermente scoccandogli un piccolo bacio sullo zigomo destro.
Giov si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto. Bersaglio affondato.
La ragazza, subito dopo, ritornò ad osservare la fasciatura che ricopriva la spalla. 

"Come hai fatto?"

La risposta era molto semplice e Giov era certo che lei già la sapesse. 
Non era la prima volta che a causa dei litigi con la sua ragazza, Nora, e del suo modo di fare - che pure i suoi amici spesso criticavano - lui finiva per cacciarsi nei guai. 
La storia era sempre la stessa: per l'ennesima volta, Nora lo aveva tradito e si era giustificata dicendo di essere ubriaca. E ciò che infastidiva Giov non era legato alla sua infedeltà. Non poteva biasimarla da quel punto di vista, lui era il primo a non farsi sfuggire delle “occasioni”. Tuttavia, ogni volta si sentiva in colpa perché sapeva che lei ci soffriva e per questo stava veramente migliorando, impegnandosi a rinunciare e trattenere più o meno i suoi bisogni fisici. La rabbia che gli scaturiva quando veniva a sapere (molto spesso per via indiretta) che lei lo aveva tradito era dovuta al fatto che si sentiva protettivo nei suoi confronti e poteva dire di conoscerla come pochi. Nora era fragile, molto più di ciò che dava a vedere. Ci teneva a lei e il fatto che le venisse così semplice buttarsi tra le braccia di altri ragazzi la rendeva una preda facile, non solo ai suoi occhi. Era preoccupato che questo in futuro le potesse riservare una cattiva reputazione in una città come la loro dove il perbenismo dettava legge. Con una cattiva reputazione nessuno l’avrebbe più guardata con gli stessi occhi e nemmeno gli uomini più sporchi l’avrebbero desiderata. E lui non ci sarebbe stato a difenderla, a suo malgrado.
Per questo, quando Giov venne a sapere che lei ancora una volta l’aveva tradito con un altro, si era arrabbiato tanto da non volerle più parlare. Lei era tornata da lui in lacrime chiedendogli di perdonarla, ripetendogli che l’alcol le aveva offuscato, oltre alla vista e alla capacità di ragionare, anche l’amore che provava per lui, che nemmeno si ricordava di aver fatto un tale gesto e che proprio non voleva.
Per motivazioni verosimili, dopo ulteriori discussioni violente e baci rubati, una sera avevano deciso di rimettere i pezzi apposto e chiudere un capitolo di tradimenti scegliendo di stare finalmente e seriamente insieme, come ogni volta si promettevano di fare.
E quella fu la sera in cui Giov cadde e si fratturò la clavicola.
Il ragazzo non era certo che Sole sapesse tutti i dettagli di questa storia (ed era meglio così), ma certamente era al corrente della sostanza dei fatti.
Quando, quindi, Giov stava per risponderle scherzosamente che erano stati i suoi rifiuti a concedersi a lui a causare una ferita tanto grave, gli si piazzarono davanti due ragazzi che non persero tempo a deriderlo instaurando una serie di battute tra di loro. E Giov odiava essere interrotto nei pochi momenti intimi che riusciva a ritagliarsi con Sole.

"Che hai combinato, sfigato?"

"Ma come, Grow, non lo sai che quel deficiente è caduto dalla bici con la sua tipa?"

"Quindi non sai nemmeno più pedalare, Giov? Trav, mi sa che quello lì in questo modo se le fa scappare le donne!" 

I due scoppiarono in una fragorosa risata, seguita dallo sguardo truce di Giov, non contento dell'accoglienza di quelli che sarebbero stati i suoi amici, Grow e Trav e che così facendo avevano appena ricevuto la possibilità di ottenere un occhio nero e qualche osso rotto. Mentre quelli sghignazzavano, a Giov venne in mente una piccola vendetta più interessante e raffinata da attuare contro coloro che, oltre ad interromperlo, avevano tentato di metterlo in ridicolo di fronte alla sua Sole.
Gli era venuto in mente, infatti, che, pochi giorni prima, proprio quel chiacchierone di Grow aveva bevuto troppo per poi finire a litigare con la sua Astra davanti agli occhi di tutti durante la festa al Cavour: Giov non avrebbe potuto sfruttare occasione migliore per rinfacciarglielo, contornando il tutto con il suo tono sfacciato e arrogante.

"Non avete idea di come Nora si sia presa cura di me dopo e, Grow, mi pare che invece con Astra le cose non vadano così bene, ricordando, per esempio, ciò che è successo al Cavour."

Grow non se l'aspettava, abbassò gli occhi e assunse uno sguardo cupo per qualche secondo. Anche se si riprese subito, Giov sapeva che l’amico ci era rimasto male per quello che era accaduto. Dopo gli avrebbe risollevato il morale, ma prima doveva vendicarsi.

"Ancora con questo discorso? Ma hanno fatto pace quasi subito..."

A interromperli era stata una voce femminile leggermente svogliata e dal tono irritato per la conversazione che avevano intrapreso i ragazzi. 

"E aggiungo che quando fate questi discorsi sembrate delle quattordicenni che litigano per vantarsi di chi ha il fidanzatino migliore."

"Ehi Nene, buongiorno anche a te! Com'è che difendi Grow oggi?" 

Nene roteò gli occhi e ignorò la frecciatina del ragazzo. Giov aveva notato che tra i due amici c'era qualcosa, come qualunque altra persona a cui fosse concessa la capacità di vedere avrebbe colto, e per questo si divertiva a sottolinearlo puntualmente con una delle sue solite battutine. Eppure quelli negavano sempre ogni allusione al fatto che potessero essere qualcosa più di due semplici amici e sembravano ingenuamente molto sicuri del fatto che le cose fossero normali tra di loro.
Giov ci avrebbe scommesso su quei due e su certe cose non sbagliava mai.
Grow cogliendo la battuta e dando un ulteriore conferma ai sospetti dei loro amici, con un sorrisetto malizioso stampato in faccia, abbracciò la ragazza soffocando il volto nei suoi capelli corvini e bofonchiando una specie di "Perché mi vuole bene."
Nene arrossì violentemente, ma reagì prontamente guardando male il ragazzo e cercando di scacciarlo spingendolo via con una mano senza troppa convinzione.
Giov, dunque, poté finalmente riportare la sua attenzione sulla ragazza al suo fianco: stava disegnando un mandala molto complicato e ogni tanto si fermava ad osservare il suo lavoro con uno sguardo abbastanza soddisfatto, talvolta arricciando il labbro superiore o appoggiandovi sopra la matita. 
Aveva delle labbra così piene, carnose e maledettamente invitanti che Giov aveva ormai perso il conto delle volte in cui si era imbambolato a fissare anche solo semplicemente quella parte del suo corpo.
In quei momenti, non poteva trattenersi dal pensare quanto lei fosse bella.
E quanto –purtroppo - non potesse farla sua.
E la questione non riguardava solo il fatto che lui era impegnato, anche se “impegnato” forse non era il termine corretto per definire il suo ruolo nella relazione con Nora. 
Lui e Nora si conoscevano dalla fine delle scuole medie e stavano insieme da tre lunghi anni in cui si erano mollati circa una volta al mese, se non di più e ogni volta i pretesti erano futili. Lei lo tradiva e lui si arrabbiava e si stancava, ma poi lei tornava e a lui non sembrava più una buona idea distruggere tutto per delle nottate che lei diceva di non ricordare.
Per quanto ci tenesse a Nora, Giov stentava a parlare di amore, quello che tanti film o libri cercano di rappresentare con tutte le varianti possibili, ma sapeva di provare solamente un forte affetto, che gli piaceva e trovava azzeccato definire “fraterno”.
Con Sole, con labbra del genere e gli occhi grandi che lo guardavano in quel modo, era tutto diverso: lei era una sorta di droga, in grado di corroderlo dall’interno, di privarlo della capacità di ragionare lucidamente, facendogli provare, tuttavia, un intenso, inevitabile e incontrollabile piacere.
Il suo sorriso, il suo profumo dolce, le sue mani morbide e il suo tocco leggero, la sua risata e la sua arroganza, tutto di lei lo attraeva e ammaliava, lo faceva stare bene e lo faceva fremere dal desiderio, lasciandolo completamente senza fiato.
E non avrebbe mai voluto smettere di provare tutto questo.
L'avrebbe fatta sua in un attimo, se solo avesse avuto la certezza che non le avrebbe fatto del male... E sapeva che gliene avrebbe fatto. 
Era convinto di avere la capacità di distruggere tutto quello che teneva tra le mani: era stato così con la sua famiglia, che si era visto sgretolare sotto gli occhi, con il suo ex migliore amico e con Nora, la quale sapeva che il loro rapporto era basato sulle suppliche della ragazza, sulle voglie momentanee di Giov e su un affetto dovuto all’abitudine di vivere uno affianco all’altra.
E l'ultima cosa che voleva rovinare era lei, Sole. 
Non poteva, non se lo sarebbe mai perdonato.
E pur di non farle del male, l'avrebbe tenuta lontana quanto possibile, anche se per lui era impossibile riuscire ad allontanarla da sé definitivamente.
Avrebbe messo da parte tutto il suo egoismo per lei, che era stata per lui l’eccezione in una vita ordinaria e monotona, e avrebbe fatto questo per saperla felice, anche se vederla tra le braccia di un altro l'avrebbe portato alla follia.
O forse sarebbe finito in carcere per tentato omicidio, almeno le sbarre l'avrebbero trattenuto dal picchiare tutti quelli che si avvicinavano a lei.
Giov rise di se stesso, rendendosi conto che se lei avesse potuto percepire i suoi pensieri l’avrebbe trovato a dir poco ridicolo.
In quel momento, avrebbe voluto solamente stringere Sole a sé e non lasciarla andare più. Tuttavia, sapeva di non potere e di doverla difendere da se stesso. E l’avrebbe fatto.
Lei era tutto tranne che “sua” e non doveva diventarlo.
La sua infelicità avrebbe permesso a Sole di vivere felice.  
La ragazza, come se si fosse resa conto di essere l’oggetto d’interesse dei pensieri di Giov, alzò lo sguardo e gli chiese se andava tutto bene.
Lui non rispose.
Si limitò a prendere una cuffietta, appoggiarsi a lei e lasciare che la musica e il profumo dolce e inebriante della ragazza lo trasportassero lontano da quella realtà tanto crudele, che l’aveva fatto innamorare di chi non avrebbe mai potuto avere.
   
 
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