La Sala Grande era in subbuglio da quando i Sette Anziani erano partiti, diretti al nord, a causa del pericolo rappresentato dall’invasione Daathiana: il Visir nominato all’unanimità nell’ultimo concilio era chiaramente un incompetente, non addestrato a gestire una situazione del genere. Ma infondo chi mai poteva esserlo? Era passata una settimana dalla caduta delle mura esterne, la battaglia infuriava giorno dopo giorno, nell’attesa di rinforzi provenienti dalle contee, ma la resistenza Rasteana era allo strenuo delle forze, e bisognava costantemente rinforzare i secolari portali che costituivano l’accesso alla cittadella dai quattro punti cardinali. Ogni sforzo era concentrato sul mantenere una salda presa sulle mura interne: se fossero cadute anche quelle, non ci sarebbe stato scampo. La notizia dell’attacco era giunta alle orecchie delle varie città libere, che però preferivano mantenersi neutrali, impotenti davanti alla maestosità della flotta Daathiana: era chiaro che il sovrano di Sul Daath si era preparato per anni, forse decenni, a quella guerra.

Argorit osservava pensieroso ogni notte l’accampamento nemico dall’alto del bastione ovest: le domande erano troppe, ma poche avevano una risposta certa. Era la decima ora del suo turno di guardia quando qualcosa cambiò: nell’afoso clima che da giorni tormentava i cittadini, qualcosa si muoveva fra i fuochi avversari.

Argorit non si preoccupò della situazione fino a quando non vide un falò spegnersi, seguito da un altro poco dopo, e da molti altri in seguito. Ormai era chiaro che qualcosa di anomalo stava accadendo. Si precipitò a dare l’allarme, ma non ebbe il tempo di fare un passo che una lama gli comparve sulla gola, l’avevano preso alle spalle. La voce di una donna, con chiaro accento del sud, gli intimò di non muoversi.