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Autore: Mue    12/05/2015    2 recensioni
«Ehi, Folletto Saputello!»
Ecco come nei corridoi di Hogwarts il divino James Sirius Potter apostrofa Emily Hale, Corvonero, anonima, impacciata e senz'altra dote -se dote si può chiamare- che non un'estrema bibliofilia.
Sarebbe un episodio di potteriana impertinenza come tanti altri che Emily è costretta a subire se Stuart Dunneth, suo misantropo e ambiguo compagno di classe, non si trovasse per caso nei paraggi.
Emily, ligia alle regole, timida all'ennesima potenza e avversa a qualsiasi tipo di azione eroica, ancora non sa che questo incontro la coinvolgerà nel vischioso mistero che avvolge il ragazzo e sarà costretta, suo malgrado, a dare fondo a tutte le sue risorse per risolvere quello che, da giallo inquietante, potrebbe rivelarsi invece una storia dell'orrore delle peggiori. E i Potter, con le loro smanie di protagonismo, ovviamente non possono stare molto lontani.
Genere: Generale, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Figli della Pace'
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XI.
Natale Babbano

 

Emily era seduta nel calore confortante della sua stanza, la testa appoggiata alle braccia incrociate. Guardava oltre i vetri appannati, la neve che scendeva lenta e candida su tutto il viale di Golding Street. Aveva un libro accanto a sé, ma lo aveva abbandonato quando l’attesa aveva cominciato a farsi noiosa.
Aspettava Stuart.
«Emily?»
Emily si voltò di scatto. Sua madre, sulla porta, la guardava sorridendo. «È inutile che te ne stai lì ad aspettare, sai? Vedrai che arriverà. Che ne dici, invece, di andare a soccorrere la povera vecchia radio del nonno? Tuo padre la sta smontando del tutto…», alzò gli occhi al cielo sospirando e indicò con un cenno le scale che salivano al solaio, da cui provenivano sordi tonfi inquietanti. Sua madre sembrava completamente a suo agio, nel suo grembiule pieno di farina, intenta a cucinare una torta, ma Emily sapeva che era eccitata: in effetti era la prima volta che un’esponente della comunità magica, a parte lei stessa, metteva piede in quella casa.
Emily annuì, rassegnata, e salì le scalette che portavano alla soffitta. Era una stanza ordinata, un po’ ingombra ma pulita, con due grossi lucernari che la illuminavano, ma che quel giorno erano totalmente ostruiti dalla neve. Suo padre era chino su un banco da lavoro su cui erano sparsi un mucchio di ingranaggi arrugginiti.
«Oh, Emily!», esclamò quando la vide. «Il tuo amico non è ancora arrivato?»
«No», rispose lei avvicinandosi. «Papà, che stai combinando?»
«Sto aggiustando la vecchia radio del nonno. Mi dispiacerebbe buttarla via, volevo vedere se si poteva fare qualcosa per farla funzionare di nuovo.»
Emily aggrottò le sopracciglia. «Ma non era meglio portarla da un riparatore?»
«Figurati, posso benissimo aggiustarla anch’io», ribatté l’uomo con un gesto incurante della mano.
A giudicare dallo stato in cui l’aveva ridotta, Emily ne dubitava fortemente. Tuttavia le dispiaceva che facesse una così brutta fine, così, dopo una breve ricerca tra i libri di cui la casa pullulava –i suoi genitori erano i proprietari di un negozio di libri, ovviamente non magici, a Londra- riuscì a trovarne uno sulle radio vintage e lo passò al padre.
Lui, un po’ sorpreso, sorrise e abbandonò il banco da lavoro. «Grazie! Non ne avevo bisogno, ma sarà comunque utile, magari posso migliorarla!» E, ottimista come sempre, scese di sotto con il naso infilato del libro.
Emily sospirò scuotendo la testa; la passione per i libri e la goffaggine nelle faccende pratiche erano decisamente scritte nel codice genetico della famiglia, inutile sperare di scamparci.
Si inginocchiò per terra e si mise a raccogliere le viti e i bulloni che il padre, distratto, aveva sparso in giro smontando il vecchio arnese. Detestava non poter usare la magia a casa; avrebbe potuto riparare la radio con un solo colpo di bacchetta, e invece doveva assistere impotente al suo scempio.
«Hai dimenticato questa.»
Il cuore di Emily fece un sussulto talmente brusco che per un attimo sembrò quasi che avesse smesso di battere. Conosceva quella voce. Alzò gli occhi e si ritrovò davanti il sorriso scintillante di Jamie Potter.
«Ehi, calma, non sono la Piovra Gigante e non ho intenzioni omicide», la canzonò mettendole una vite nella mano. Emily arrossì al contatto con la pelle calda del ragazzo.
«Ja… Jamie! Che ci fai qui?»
Lui fece una smorfia, imbronciato. «Wow, che accoglienza! E io che mi aspettavo qualcosa come sono “felice di rivederti”, “ciao Jamie”, “come stai, tutto bene? E, a proposito, buon Natale” Ma almeno non sei prevedibile», si consolò alla fine.
«No, mi dispiace, non volevo dire questo… cioè, sono felice di rivederti. Ma non pensavo che venissi, ecco.»
Jamie sorrise. «Sai che siamo quasi vicini di casa?»
«Davvero?», fece lei incredula.
«Abito a due chilometri da qui: Grimmauld Place, numero dodici», spiegò.
Emily era sbalordita.
«E comunque mi sembra strano che tu sia tanto sorpresa», aggiunse lui. «Appena sono arrivato e ho detto a tuo padre di essere un tuo amico di scuola, mi ha detto che mi aspettavate. Per caso hai dei veggenti in famiglia?»
Emily sorrise. «No, niente affatto. È che stavo aspettando un altro amico, un mio compagno di scuola.»
Jamie ammiccò. «Ah sì? Bene, così saremo in buona compagnia. E chi è?»
«Si chiama Stuart», rispose Emily. «E…»
«Stuart?», la interruppe lui. «Oh, certo, il tipo ombroso, l’ho incontrato al tuo compleanno.»
«Non è ombroso!», protestò Emily fedele all’amico. «È un mio caro amico ed è molto gentile.»
Jamie si batté una mano sulla fronte. «Ehi, aspetta, so chi è! Ha perforato il braccio a David quando ti ha preso in giro, vero? Al me lo ha raccontato.»
Emily annuì. «È stato uno scontro alla pari…», obbiettò.
«Stai scherzando? È stato un genio: quella testa di Troll di David ogni tanto ha bisogno di qualche ripassata», replicò allegramente Jamie dandole una pacca lieve sulla spalla.
Emily si sentì arrossire ancora: ma perché il suo viso doveva essere così cromaticamente variabile? Accidenti! «Sì, è stato gentilissimo... non potrei mai ringraziarlo abbastanza per...», balbettò e, rendendosi conto di aver perso il controllo tra cervello e ciò che diceva, finì in un borbottio imbarazzato.
Jamie la guardava e il sorriso cominciò lentamente a scendergli dalle labbra, mentre le sue sopracciglia si alzavano interrogative. «Ehi, aspetta un attimo…» Si interruppe, rrimase in silenzio a guardarla per qualche momento: sembrava che fosse riluttante a parlare ma che non potesse farne a meno. «Non mi dirai che…»
In quel momento suonò il campanello, ed Emily si ricordò che effettivamente lei aveva aspettato fino ad un momento una persona diversa da Jamie.
«Dev’essere Stuart», disse in fretta. «Ti dispiace se…?»
«Prego, è casa tua», replicò Jamie, con una faccia distratta, come se stesse pensando ad altro.
Emily scese rapida le scale e raggiunse in pochi secondi l’ingresso, dove aprì la porta e si trovò davanti a Stuart, dritto e un po’ infreddolito sul gradino innevato dell’entrata. Non appena la vide, le sorrise.
«Ciao, Emily!», disse con il suo consueto tono calmo.
«Ciao! Allora sei venuto!», lo salutò lei felice.
Stuart alzò lo sguardo e fissò le sue spalle, dove era appena apparso Jamie che camminava soprappensiero.
«Ehi, Dunneth!», fece quest’ultimo salutandolo con un ghigno
«Ciao Potter», lo salutò cordiale Stuart, ma prima che potessero dirsi altro la voce della madre di Emily li interruppe.
«Emily, ho sentito…», la donna comparve dalla cucina, e guardò i due ragazzi accanto alla figlia perplessa.
«Mamma, questo è Stuart Dunneth», si affrettò a fare le presentazioni Emily.
La madre guardò il ragazzo che le aveva indicato, sorrise amichevole ma poi lanciò un’occhiata confusa a Jamie.
Lui sorrise. «Mi chiamo James Potter, signora, sono anch’io un amico di vostra figlia. Passavo di qua, così ho voluto fare una sorpresa ad Emily.»
«Oh, davvero?», fece la madre di Emily, a cui finalmente la situazione apparve in una luce un po’ più chiara. «Mi fa piacere, è molto carino da parte tua. Perché non venite tutti a mangiare una fetta di torta di là?»
Nessuno se lo fece ripetere due volte, così andarono tutti in cucina e si accomodarono attorno al tavolo.
Passarono il resto del giorno a chiacchierare in camera di Emily. Jamie sembrava allegro come sempre, eppure più volte, quando Emily lo guardava di sfuggita, le sembrava sempre che la stesse fissando in modo strano.
«Perché Al non è venuto?», chiese ad un certo punto Emily, a disagio sotto il suo sguardo indagatore.
Jamie si riscosse. «Al? Ah, già. È andato con i miei genitori a trovare il cugino di mio padre, un Babbano.»
«E perché non sei andato anche tu?»
Jamie scrollò le spalle. «Detesto il cugino di mio padre. È un tipo veramente noioso, non capisco come mai dobbiamo rimanere in buoni rapporti con lui. Al è troppo gentile, così va anche lui ogni volta. Che sciocco!»
Emily si irritò. «Io credo che andare a trovare una persona, anche se è noiosa, non si affatto sciocco. È una buona azione»; dichiarò. In realtà si reputava lei stessa una persona noiosa, così si sentiva in dovere di proteggere il povero Babbano.
Jamie scrollò le spalle incurante, anche se sembrava sorpreso dalla sua reazione. «Pensa quello che vuoi, tanto non è affar mio.»
Quando l’orologio suonò le sei, però, Jamie dovette andarsene: aveva una partita di Quidditch da vedere in programma, e a casa di Emily non c’erano schermi magici che la proiettassero.
«Ci vediamo a scuola, ragazzi. Buon anno!», li salutò allegramente.
Emily e Stuart, rimasti soli, passarono una mezz’ora a giocare a scacchi normali, sebbene la cosa non fosse nemmeno lontanamente divertente quanto quelli magici.
Poi Emily si accovacciò al caldo tra i cuscini sopra il letto e Stuart si mise a ispezionare la sua stanza, attratto dai libri. Anche a lui piaceva molto leggere.
«Fino a che ora puoi rimanere?», gli chiese Emily.
Stuart scrollò le spalle. «Fino a quando voglio. A casa mia non ci sono i miei genitori.»
«Ah già. Sono all'estero, vero?»
Stuart annuì. «A Monaco in vacanza, ma la prossima settimana andranno a Parigi.»
Emily si accigliò. «Viaggiano così tanto?»
Il ragazzo annuì. «Mio padre guadagna molto, così appena possono vanno a fare vacanza da qualche parte. È un industriale», aggiunse, indovinando la domanda silenziosa di Emily.
«E non ha nessuno che ti faccia compagnia? Sorelle, fratelli?»
«Un fratello più piccolo. Ora è a casa con la baby-sitter.»
«Ed è…?»
«Un mago? Sì, lo è. L’anno scorso ha fatto galleggiare in aria il gatto di mia madre per un’ora, portandoselo dietro per tutta la cucina.»
Emily rise e stava per chiedergli qualcos’altro quando colse l’espressione di Stuart e ammutolì. Si era fermato a metà del movimento per afferrare un libro, quello che stava leggendo quella mattina, e aveva gli occhi sgranati.
«Che c’è?»
Stuart non rispose e continuò a fissare il libro. Emily si rizzò per vedere l’oggetto: era esattamente come l’aveva lasciato, aperto su una pagina a caso con una figura elfica che si muoveva sinuosa. Niente di anormale, o almeno non per loro che studiavano a Hogwarts ed erano pieni di libri con figure animate.
Emily guardò perplessa Stuart. Forse non era il libro, forse era lui che si sentiva male o che si era ricordato improvvisamente qualcosa.
«Stuart? Stai bene?»
Il ragazzo sussultò, come se l’avesse spaventato. «Ah, sì, sto bene», rispose, scuotendosi, e i suoi occhi tornarono presenti e si fissarono sul libro. «Ah, bel libro, chi te lo ha regalato?» Aveva un tono leggero, come se stesse cercando di cambiare argomento.
Emily era preoccupata. «Jamie e Al quando ho compiuto gli anni, ricordi?»
Stuart annuì, vago. «Già, è vero. Bene. Ora, però devo andare.»
Emily si alzò e gli si avvicinò. «Stuart, sicuro di stare bene?»
Stuart annuì. «Sicurissimo. È che mi sono appena ricordato una cosa importante. Devo andare, davvero. Comunque magari vengo a trovarti un’altra volta durante le vacanze, ok?»
Emily annuì, perplessa e lo accompagnò all’ingresso. Lui mantenne un tono innaturalmente spensierato e, salutandola frettolosamente, se ne andò. Emily lo seguì con lo sguardo finché non svoltò l’angolo in fondo alla strada.
Poi si chiuse la porta alle spalle e sospirò. Stuart stava decisamente nascondendo qualcosa.
 

   
 
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