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Autore: SagaFrirry    12/05/2015    3 recensioni
Storia in capitoli auto-conclusivi, ognuno dei quali narra come i gold hanno ottenuto la loro armatura. Saranno di vario tipo e genere, buona lettura!
Genere: Commedia, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gold Saints
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“E questa è una foto di papà con i Maori” spiegava l’uomo, indicando l’immagine al bambino che teneva sulle ginocchia.

“Che bello, papà! Hai visto tantissimi posti!” commentò il piccolo.

“È il mio lavoro!”.

“Anch’io voglio vedere tanti posti e conoscere tante cose”.

“Lo farai di certo, mon petit garςon!”.

“E quando mi porterete con voi, tu e la mamma?”.

“Beh..tu che dici, cara? Nel prossimo viaggio..”.

“Ma, Emile! La Russia non è un luogo per un bambino! Non ti sembra troppo piccino, ancora?”.

“Scherzi? Alla sua età mio padre mi portava ovunque! Il cervello dei bambini è una cosa spettacolare ed è meglio riempirlo il più possibile! Il nostro piccolo vedrai che si divertirà ed imparerà cose nuove”.

“Non lo so..sono dubbiosa..”.

“Sarà con noi, tesoro. Che pericoli potrebbe mai correre? Avanti, Giselle! Pensa a quante cose potrà vedere! Cose che sui libri non potrà mai trovare, per quanti ne legga!”.

“Già non è normale che legga cose del genere alla sua età..” borbottò la donna, indicando dei grossi volumi di vari autori francesi .

“Non essere noiosa..”.

Il bambino, sentendosi di troppo, sgattaiolo giù dalle ginocchia del padre e tornò dedicarsi ai libri.

 

“Ma..non hai freddo?” rabbrividì il padre.

“Non, mon père” sorrise il bambino, mentre la madre tentava di avvolgerlo per l’ennesima volta con una sciarpa pesante.

Il clima russo era rigido e, come si aspettavano i viaggiatori, nevicava. Al piccolo piaceva la neve e ci affondava volentieri con gli stivaletti. I genitori sorrisero, divertiti dal suo incedere goffo.

“Sembri un pinguino” ridacchiò Emile “Vuoi incontrarne uno? Con questo freddo..”.

“Ma papà! I pinguini non stanno su questo emisfero! Dobbiamo andare al Polo Sud per vederli!”.

“Come sempre hai ragione, piccolo esploratore! Allora vorrà dire che in questo momento sei l’unico pinguino del nord!”.

Il bambino mostrò la lingua e corse via, divertito.

“Non allontanarti!” lo richiamò la madre “Con la neve, non ti vediamo!”.

“Farò versi da pinguino, mamma!”.

“E che diamine di verso fa il pinguino?”.

Il piccolo lo imitò, emettendo uno stranissimo suono dalla bocca e ondeggiando qua e là. Tutti e tre risero. Chi li guidava, al contrario, non era per nulla divertito. Il tempo stava peggiorando ed il porto distava ancora qualche ora di cammino.

“Non so se sarà possibile la navigazione sul fiume” spiegò una delle guide “Con questo tempo..”.

“In qualche modo ci dobbiamo spostare” ribatté Emile “Se gli aerei non volano e le navi non partono, useremo i cani!”.

“Ma questo renderà il viaggio molto più lungo e pericoloso!”.

“L’alternativa qual è?”.

“Raggiungere il paese e rimanervi finché non cessa la tempesta”.

“Non abbiamo molto tempo..”.

“Caro..potremmo lasciare il bambino al villaggio e partire io e te, così da farti rispettare i tempi e non far correre rischi al piccolo” propose Giselle.

“Come sempre, amor mio, hai ragione”.

 

“Dove sono la mia mamma ed il mo papà?” domandò il bambino.

Era stato lasciato in una taverna e si stava preoccupando. Il tempo passava e nessuno sapeva dargli notizie. Quasi nessuno comprendeva la sua lingua e lui di russo sapeva solo poche frasi. Poi sentì un gran abbaiare e, affacciandosi, riconobbe uno dei cani da slitta. Cosa ci faceva lì? Doveva essere successo qualcosa!

“Qualcuno mi capisce?” gridò il piccolo “Aiuto, per favore! на помощь!”

Un paio di autoctoni tentarono di avvicinarsi, ma non capivano che problemi avesse quel moccioso francese. Lo invitarono a tornare in camera, senza risultato. Guardando il cane, il bambino prese coraggio e lo seguì. Sapeva che era una cosa sconsiderata e stupida ma doveva farlo, perché qualcosa gli diceva che era successo qualcosa. Si avvolse in un mantello e camminò nella neve. Il cane lo precedette, guidandolo. Lo condusse fino ad un ampio spazio bianco. Con i fiocchi che continuavano a cadere, il piccolo chiamò i genitori.

“Père! Mère!” gridò.

Ma la sua voce si perdeva nella tormenta e non vedeva altro che bianco. Si strinse nel mantello, cercando di ripararsi dal vento gelido.

“Ah, devo calmarmi!” si disse “Agitarmi non mi aiuterà a trovare mamma e papà”.

Camminò ancora ed il cane guaì.

“Cosa c’è?” domandò il bambino, guardandolo.

Sotto i suoi piedi, si accorse che non vi era più neve ma ghiaccio. Riprese a camminare, percependo che ad ogni passo era solido e rigido sotto gli stivali. Poi intravide qualcosa di familiare. Riconobbe la borsa di suo padre. La raggiunse correndo e la prese fra le mani.

“Père!” chiamò ancora.

Intravide un ombra e riprese la corsa. Il padre si era aggrappato al bordo del ghiaccio. Era ferito e riuscì a fatica ad aprire gli occhi.

“Mon petit garςon..” mormorò, riconoscendo il figlio.

“Père..”.

“Vai via da qui. È pericoloso!”.

“Ma io devo aiutarti! Adesso corro a chiamare qualcuno!”.

L’uomo tentò di risalire. Il bambino non sapeva che cosa fare. Fu preso dal panico. Sentì una lacrima scivolargli sulla guancia e poi uno scricchiolio. Un grido gli si arrestò in gola, quando si accorse che il ghiaccio si stava sciogliendo. Cedette di scatto e il piccolo chiuse gli occhi, preso dal panico. Credeva di ritrovarsi in acqua ma non fu così: qualcuno lo teneva sollevato da terra.

“Calmati, ragazzo” gli parlò una voce maschile “Sono le tue emozioni incontrollate a sciogliere il ghiaccio”.

“Le mie..emozioni?” si stupì il bambino.

“Non te ne sei accorto? Controllavi il gelo sotto i tuoi piedi ma, appena ti sei agitato, questo potere lo hai perso”.

“Ma..i miei genitori..”.

“Sono stati inghiottiti dal lago”.

“Che?! No! Non è vero! Questa è la borsa di mio padre..e mio padre era..”.

“Temo che per loro non ci sia nulla da fare..l’acqua gelata non lascia scampo”.

L’uomo si chinò, mostrandosi al bambino da sotto il pesante cappuccio. Era anziano e la sua lunga barba era piena di ghiaccio e neve.

“Ma no!” protestò il bambino “Papà era lì!”.

“Il ghiaccio ha ceduto”.

“E allora vai a riprenderlo!”.

“Già è scomparso. Non possiamo fare nulla”.

“No! Mère! Père!”.

“Smettila..”.

Il bambino rimase in silenzio. Cercò di trattenere le lacrime. Era tutta colpa sua, si ripeteva dentro di sé. Se non si fosse agitato, il ghiaccio sarebbe rimasto intatto e quel signore avrebbe salvato suo padre. Si rannicchiò su se stesso, incapace di smettere di piangere.

“Su. Alzati” lo rimproverò l’uomo “Piangere non serve proprio a niente”.

“Mamma..papà..”.

“Piangerli non li farà tornare. Muoviti, o finirai assiderato”.

“Lasciami in pace! Chi sei? Che cosa vuoi?”.

“Mi chiamano Borea, in onore dell’antica divinità del vento del nord. Vieni con me, piccolo. Capirai presto perché gli Dei mi hanno condotto qui da te..”.

“E se ti dicessi di no?”.

“Resteresti qui, da solo, nella bufera. Vieni con me, ho tante cose da insegnarti”.

“Ma è vero quello che hai detto? Che io controllavo il ghiaccio?”.

“Non sarei qui se non fosse stato così. É stato il tuo cosmo a chiamarmi”.

“Cosmo?”.

“Sì. Ti spiegherò anche questo. Oltre a come sfruttare le tue capacità. Vieni?”.

Borea si girò ed iniziò a camminare. Il bambino rimase qualche istante fermo. Aprì la sacca del padre e vi trovò un libro. Aveva un segno su una pagina ed una frase sottolineata.

 

Nella profondità dell'inverno, ho imparato alla fine che dentro di me c'è un'estate invincibile”

Albert Camus

 

 

“Camus! Sei pronto?” domandò Borea.

“Certo, maestro” annuì il bambino.

“Oggi dovrai dimostrarmi di essere degno dell’armatura d’oro”.

“Lo sarò”.

Ora il giovane allievo aveva sette anni. Solo da due era rimasto per l’addestramento in quella terra gelida ma fin da subito si era dimostrato all’altezza del compito. Seguendo il suo mentore, il bambino che ora si faceva chiamare Camus non si era accorto di dove quel cammino lo aveva condotto. Poi capì: quello era il luogo dove i suoi genitori avevano perso la vita.

“Dimostrami che sai controllare le tue emozioni, mio allievo” mormorò Borea, indicando un punto del lago.

“Che devo fare?” domandò l’apprendista, stringendo i pugni.

“L’armatura è in fondo a questo lago. Va a prenderla. Controlla il gelo e non affogare”.

“Io..”.

“Non avere timore, non titubare o tentennare. Sii fermo nelle tue azioni e controlla i sussulti del tuo cuore. Sii tu stesso il gelo, Camus, e torna qui da me con l’armatura”.

L’allievo annuì. Dopo pochi attimi, in cerca dell’assoluta concentrazione, il bambino saltò e si tuffò nel lago. Subito l’acqua gelida lo avvolse. Questo non fermò il piccolo, che continuò a nuotare verso il fondo. Qualcosa scintillava laggiù. Eccolo lo scrigno della sua armatura! Nuotò ancora e raggiunse la meta. Fece per indossare la pandora usando le spalline quando si voltò. Sobbalzò, lasciandosi sfuggire un po’ dell’aria che tratteneva. Qualcosa si era mosso nell’acqua ed aveva capito cos’era. I cadaveri dei suoi genitori, tenuti ancorati al fondo dalle cinghie della slitta, fissavano il vuoto. Erano messi in modo tale da sembrar proteggere l’armatura, custodirla per il proprio figlio. Il bambino iniziò a tremare, provando di colpo un gran freddo. Panico, quello era panico! Mise rapidamente lo scrigno sulle spalle e tentò di ritrovare la superficie. I suoi pensieri però erano appannati ed i suoi movimenti incerti. Risalendo troppo in fretta, con ormai pochissima aria nei polmoni, capì di avere una parete di ghiaccio sulla testa. Si agitò, disperato ma poi, di colpo, si fermò. Si morse il labbro, fortissimo, e strinse i pugni. Doveva controllare le sue emozioni! Ma come poteva farlo in un momento del genere?! Si concentrò e si scosse. Non poteva e non voleva morire così!

“Mère, père..je le fais pour vous!” si disse, e riuscì a riemergere, trovando il punto da cui si era tuffato.

Ansimando, uscì dall’acqua gelida. Con sé, aveva lo scrigno dell’armatura dell’Acquario.

“Tutto bene?” domandò il maestro.

“Sì..”.

L’allievo non mentiva. Sentiva una gran calma nel cuore, una gran pace. Sentiva come se, ottenendo quell’armatura, avesse donato la pace ai suoi genitori.

“Loro volevano che imparassi tante cose, che fossi qualcuno. Lo sono. Mamma, papà..sono un Saint!”.

 

“Maestro?” domandò Hyoga, perplesso nel vedere Camus perso nei suoi pensieri.

“Che stai facendo, Hyoga? Perché non ti alleni?” sbottò l’Acquario.

“Lo stavo facendo ma..il vostro sguardo..”.

“Sei troppo distratto. Se vuoi diventare cavaliere, non devi perdere tempo con simili sciocchezze”.

“Ma state bene?”.

“Certo. Sta tranquillo”.

Il bimbo biondo tornò ad i suoi allenamenti. Camus guardò l’orizzonte. Erano di nuovo su quel lago. Chissà quante vite giacevano sotto la sua coltre ghiacciata!

“Hyoga..spero che un giorno il tuo cuore possa essere più gelido del mio, che a volte ancora sussulta per i mali del mondo..”.


Ed ecco anche Camus. Ho voluto creare un collegamento fra maestro ed allievo. Spero sia gradito. A presto, con il prossimo piccolo Saint!

   
 
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