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Autore: SagaFrirry    11/05/2015    4 recensioni
Storia in capitoli auto-conclusivi, ognuno dei quali narra come i gold hanno ottenuto la loro armatura. Saranno di vario tipo e genere, buona lettura!
Genere: Commedia, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gold Saints
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La gente del paese aveva paura di quel bambino. Nonostante la pietà che suscitava, perché orfano dal terribile terremoto che aveva colpito il lato opposto della Sicilia, vi era in lui qualcosa che intimoriva. All’ombra di un giovane albero dal tronco attorcigliato, il piccolo osservava l’Etna, che si ergeva all’orizzonte. Da quando era stato portato in quel paesino sperduto, adottato da un’amica di famiglia, il suo unico desiderio era stato avvicinarsi il più possibile a quel vulcano. Ovviamente la madre affidataria non glielo concedeva.

“Vieni dentro” chiamò una voce di donna “Fa molto caldo, rischi di stare male”.

“Va bene, signora” rispose il bambino.

“Puoi chiamarmi Mamma, sai?”.

“Non sei la mia mamma..” commentò lui, dopo qualche istante di silenzio “..la mia mamma è morta accanto a me, quando la casa è venuta giù. La sua anima mi segue sempre”.

“Non fare questi discorsi. La sua anima è volata in cielo, in paradiso. È divenuta un angelo e ti proteggerà sempre”.

“No. Non credo”.

“Perché non credi?”.

“Perché io la vedo!”.

“Non si dicono le bugie! Lo sai che i bambini che dicono le bugie finiscono all’inferno?”.

“Non è una bugia!”.

La donna sospirò. Forse doveva cercare di capire quello strano orfano. Dopotutto, era rimasto sepolto sotto le macerie per giorni, accanto alla madre morta. Probabilmente quel che vedeva era una conseguenza del trauma subito. Aveva deciso di adottarlo, perché amica d’infanzia della madre, e lo aveva condotto lontano da quella valle, epicentro di quel terremoto disastroso. Erano trascorsi dei mesi ormai ma il piccolo si ostinava a dire che vedeva le anime dei morti, e non solo quelli della Valle del Belice.

“Forse dovrei accompagnarti da un prete..” pensò lei ad alta voce.

Il bambino inclinò leggermente la testa, senza capirne il motivo.

“Ma cambiando argomento..tra poco sarà il tuo compleanno! Il 24 giugno compirai 6 anni! Che cosa vuoi che ti regali? Ti farò una torta gigante con i gusti che piacciono a te e, se ti va, possiamo chiamare qui i tuoi amichetti a festeggiare. Che dici?”.

“Va bene. Però..mi porti a vedere il vulcano?”.

“L’Etna, dici? Ma non è un posto per bambini!”.

“Per favore! Come regalo! Ti prego, ti prego, ti prego! Giuro che non chiedo più niente, sarò buono, non parlerò più delle anime! Se vuoi ti chiamerò anche mamma! Ti preeeeeeeego!”.

“Smettila! Non è assillandomi che otterrai le cose!”.

Il piccolo si imbronciò. Poi sfoggiò il più convincente sguardo lacrimevole possibile e fissò la madre adottiva.

“Ci tengo tanto” piagnucolò “Cattiva..”.

“E va bene! Ti ci porto! Ma devi promettermi di fare il bravo, intesi?”.

“Sì! Sarò il bambino più buonissimissimo del mondo! Te lo prometto!”.

“Va bene. Ora va a sederti, che ti porto la merenda”.

 

Il giorno della gita, il bambino era agitato. La madre adottiva lo teneva per mano, per non perderlo fra i gruppi di turisti. Lui, a sua volta, stringeva la manina della sorellina acquisita.

“Perché la montagna fuma, fratellone?” domandò la piccola.

“Perché è un vulcano. Dentro c’è il fuoco”.

“Voglio vederlo!”.

“Non si può! Il fuoco brucia!”.

“Guardate!” indicò la madre, quando si riuscì a vedere un piccolo fiume di lava.

“Bello!” esclamò il bambino, spalancando gli occhi “Andiamo più vicino!”.

“No. È pericoloso”.

“Uffa..”.

“Non sbuffare. Non sei mai contento..”.

Una folata improvvisa di vento li avvolse ed al bambino parve di sentire una voce. Si girò verso la madre, che però non aveva parlato. Storse il naso, perplesso. Poi la sorellina si lagnò, perché il cappellino le era volato via. Il fratello acquisito non esitò un attimo e corse per riprenderlo, nonostante le grida di rimprovero della madre. Afferrò il capello, poco distante, ma quella voce..

“Mamma?” domandò il piccolo, notando un bagliore azzurro fra le rocce.

“Torna qui!” lo richiamò la madre adottiva “Obbedisci! È pericoloso!”.

Il bambino continuò a camminare. Si fermò, atterrito. Udiva chiaramente delle urla. Erano gemiti, suppliche e pianti. Riprovava le sensazioni sperimentate fra le macerie sotto cui era rimasto sepolto, in cui aveva percepito le vite di chi aveva attorno spegnersi.

“C’è qualcuno qua sotto!” gridò.

“Non c’è nessuno qua sotto, piccolo. Cosa dici?” tentò di rassicurarlo la madre adottiva ma il bambino non le credette ed iniziò a correre, avvicinandosi al punto da cui credeva provenissero quei gemiti.

Non facendo molto caso a dove poggiava i piedi, inciampò e sotto di sé il terreno cedette. Il caldo era insopportabile ed il fumo denso ma, nonostante tutto, riuscì ad intravedere una figura.

“Mamma?” chiamò il bambino.

“No di certo” rispose la figura, con profonda voce da uomo.

“Hai visto la mia mamma?”.

“No. E tu non dovresti essere qui”.

“Ma io..”.

Il piccolo ammutolì. Accanto alla figura che gli parlava, vedeva molte anime.

“Quelle persone! Le hai uccise tu?” domandò.

“Quali persone?”.

“Ah, capisco. Non le vedi nemmeno tu..”.

“Parli delle anime che stanno qui, marmocchio?”.

“Sì. Le vedi?”.

“Ovvio. Sei tu, piuttosto, che non dovresti vederle”.

“Da quando c’è stato il terremoto, le vedo. E per questo in molti hanno paura di me”.

“Mi pare più che normale. Quanti anni hai, moccioso? Dov’è tua madre?”.

“Mia madre è morta. Ed oggi è il mio compleanno. Faccio sei anni”.

“Oggi? Sei nato la notte di San Giovanni? Lo sai cosa si dice di quella notte? Che sia maledetta. Che le streghe danzino con il diavolo e che..”.

“Non credo a certe cose. E non mi fanno paura”.

“Nemmeno le anime che vedi ti fanno paura?”.

“No. Ma tu chi sei? Cosa ci fai qui?”.

“Non sono cose per bambini..”.

“Adranos! Chi è?” tuonò una voce profonda ed un’ombra si mosse.

“Solo un bambino..”.

“Cosa c’è in quella scatola?” domandò il piccolo, indicando una Pandora Box color oro.

“Nulla che ti riguardi!” sbottò l’ombra.

“Signore..” interruppe Adranos “..quel bambino vede le anime!”.

“Interessante!” ghignò l’ombra “Allora, mio caro piccolo ficcanaso, ti dirò solo questo: scoprilo. Non provi timore alcuno nello stare qui, segno di indomabile coraggio. O infinità stupidità. Chi può saperlo..”.

“Come lo scopro?”.

“Torna qui, la prossima notte di luna, e vedremo se il tuo è coraggio o stupidità!”.

“Ma..come faccio a venire qui di notte?!”.

“Hai paura del buio?”.

“No ma..non posso uscire di notte!”.

“Peccato. Allora cosa c’è in quella scatola non lo scoprirai mai!”.

Entrambe le creature risero ed il fumo si fece più fitto. Il bambino tossì e chiuse gli occhi, infastidito. Quando li riaprì, la madre adottiva lo stava guardando, terrorizzata. Il piccolo era steso in terra ed una piccola folla gli sta intorno.

“Dove sono Adranos e quell’altro strano tizio?” domandò, mettendosi a sedere.

“Adranos? Strano tizio? Cucciolo mio..sei caduto ed hai battuto la testa. Devi essertelo immaginato. Ma grazie a Dio stai bene”.

“Immaginato? Ma no, io..”.

“Andiamo a casa. Povero caro..”.

Prendendolo in braccio, la madre non ascoltò le proteste del bambino, che si guardò attorno. Non poteva essere stato tutto un sogno! E vide una luce azzurra...

 

La notte di luna illuminava l’aranceto. Il piccolo non poteva credere di essere uscito di casa di nascosto, al buio, per raggiungere il vulcano e seguire le parole di uno sconosciuto che forse si era sognato. La vegetazione si stava diradando, segno che il cratere attivo si stava avvicinando.

“Sei tornato” parlò una voce alle sue spalle.

Il bambino si girò e riconobbe l’ombra che aveva visto qualche giorno prima.

“Vieni con me” lo invitò ed il piccolo lo seguì “Spero per te che non mi stia prendendo in giro, e che le anime che dici di vedere non siano tutte una tua invenzione”.

“Se vuoi te le descrivo”.

“Buona idea. Ma prima vieni con me”.

I due camminarono fra le rocce nere finché dinnanzi a loro si mostrò un passaggio, celato agli occhi dei turisti e uomini comuni.

“Come mai qui ci sono tante anime?” domandò il bambino, seguendo l’ombra giù per le ripide scale, all’interno del vulcano.

“Hai mai sentito parlare dell’Oltretomba?”.

“Inferno e paradiso? Me ne parlano spesso..”.

“No, niente inferno e paradiso. Parlo di un regno antico esistente da ben prima che nascessero simili leggende cristiane”.

“Leggende?”.

“Sei piccolo. Immagino che di mitologia tu sappia ben poco..”.

“Cos’è la mitogia?”.

“Mitologia! Te lo insegnerò. Ora però dimmi: che cosa vedi?”.

Il bambino si guardò attorno. Faceva caldo e molte anime marciavano, una dietro l’altra, dirette verso un unico punto buio. Descrisse quanto visto e l’ombra sorrise.

“Lo sapevo che saresti venuto!” sorrise Adranos, avvolto dalle fiamme “Anche se non è normale che un bambino così piccolo disobbedisca alla madre..”.

“Non è mia madre e poi non è nemmeno normale che qualcuno viva in un vulcano. Chi siete? E perché vedete le anime come le vedo io?”.

“Io sono Adranos, demone delle fiamme che Efesto, Dio fabbro, ha sottomesso per creare la sua fucina. E lui è Tifone, a guardia dell’armatura d’oro e delle porte del Tartaro, dove tutte le anime si stanno recando. Quello che vedi è uno degli ingressi che conducono al regno dei morti, dove Hades regna”.

“Hades? Efesto?”.

“Imparerai ogni cosa. Ora dimmi: hai mai sentito parlare del Meikai?”.

 

Essere addestrato da un demone e da un gigante non era facile, ma il bambino dagli occhi color del sangue ed i capelli argento si sentiva a suo agio. Probabilmente chiunque altro sarebbe fuggito, in preda al terrore, ma non lui. Lui era rimasto e per anni aveva appreso le tecniche di combattimento dei cavalieri.

Quella mattina stava rientrando da scuola, che trovava sempre più noiosa, quando percepì una lieve scossa. Il vulcano stava dando segni di imminente risveglio, ormai ne riconosceva gli avvisi. Ma capì che non per tutti era così, perché un gruppetto di turisti si era avventurato ben oltre il limite di sicurezza.

“Tornate qui!” li chiamò, gridando “Il vulcano si sveglia!”.

I turisti lo ignorarono, credendolo solo un moccioso impertinente.

“Beh..crepate, allora” alzò le spalle il bambino, tornando sulla sua strada “Minchia mi frega?”.

Poi però i movimenti della terra si fecero più intensi e si udì un boato. Il bambino, accigliandosi, tentò con tutte le sue forze di ignorare quel che accadeva, ma qualcosa dentro di lui lo spingeva a fare il contrario. Qualcosa nel suo cuore fremeva e lo costringeva a reagire. Si voltò di scatto, vedendo chiaramente alcune rocce staccarsi dalla parete del vulcano. Non ci pensò a lungo. Con un singolo battito cardiaco era già sul posto, pronto ad agire. Spaccò alcune rocce a calci e saltò, con l’intento di fermarne altre lanciando il colpo che il suo cosmo era in grado di sprigionare. Qualcosa brillò nel cielo e si accorse che a proteggerlo era apparsa un’armatura color oro. Non avendo ancora il fisico adatto per indossarla, il bambino la vide ergersi davanti a lui e proteggerlo dal muro di roccia. I turisti, accecati dal bagliore provocato dal sole sul metallo, non capirono bene quel che stava accadendo e fuggirono, mettendosi in salvo. Adranos, sorridente fra la lava, aveva osservato la scena ed era fiero di quel piccolo allievo, che aveva appena superato un’importante prova.

“Ti chiameranno Demonio, sappilo” spiegò il maestro “Perché governi le anime e perché puoi vagare a tuo piacimento fra i regni degli inferi. Ma io so che demonio non sei, perché nel tuo petto batte cuore di cavaliere, nobile e buono”.

“Una parte di me non voleva salvare quelle persone..” ammise il bambino.

“Sei un bambino, hai solo nove anni. Hai ancora molta strada da fare ma non qui, non più al mio fianco. Il tuo posto ora è al tempio, dove imparerai tutto quello che io non sono in grado di insegnarti. Io, come demone, non conosco molti dei sentimenti che caratterizzano voi umani, come la compassione o l’amore. Diverrai un cavaliere nobile e valoroso”.

“E chi mi insegnerà ad essere nobile?”.

“Lo scoprirai quando sarai là. Preparati a partire”.

“Ma..la mia mamma? E la mia sorellina?”.

“Non sono la tua vera madre e la tua vera sorella”.

“No, ma..”.

“Ragazzo, devi imparare una cosa molto importante: per il bene superiore, a volte si è costretti a sacrificare qualcosa. Perdere una vita, per salvarne cento, o mille, a volte è necessario. Distaccarti dalla tua famiglia per poter proteggere l’umanità, è un sacrificio obbligato”.

“Ma io non voglio! Che si sacrifichi qualcun altro!”.

“Non essere ridicolo. Non sei più un poppante ormai”.

“Ma io..”.

“Informerò il grande tempio. vedremo quel che decideranno. Per ora, torna pure a casa. Lascia l’armatura qui, al sicuro da sguardi indiscreti”.

“Sì, maestro..”.

 

Raramente pioveva da quelle parti eppure quel giorno pioveva. Già questo, forse, doveva lasciar presagire al piccolo che qualcosa non andava. Ma non ci pensò. Era felice, perché finalmente aveva ottenuto l’armatura. Camminò soddisfatto verso casa, rubando un frutto succoso da un albero in strada, e raggiunse la sua dimora canticchiando canzoncine in dialetto. Si fermò, quando vide un uomo uscirvi, con un ghigno.

“Mamma?” chiamò il bambino.

“Oh, abiti qui tu?” domandò l’uomo.

Il piccolo lo guardò meglio e sobbalzò: era nel gruppo di persone che aveva salvato dal risveglio del vulcano!

“Ti ho intravisto, sul vulcano. Sei fortunato..io non li ammazzo i bambini” ghignò l’uomo.

“Ammazzo?” ripeté il bambino, girando la testa di scatto verso casa.

“È così che va la vita, picciotto. Quando ci si mette contro le persone sbagliate, si fa una brutta fine. La tua mamma non doveva sfidare quelli come noi, con il suo animo nobile e lo spiffero facile agli sbirri”.

“Ma..mamma!”.

“Non guardarmi così. Sono certo tu sei un bravo picciriddu!”.

Il bambino non ascoltò oltre e corse dentro casa. La madre adottiva era in terra, morta e ricoperta di sangue. Il primo pensiero del piccolo andò alla sorellina, che iniziò a chiamare a gran voce e cercare. Fortunatamente, la bambina era al piano superiore e si era nascosta, senza subire danni. La abbracciò, rassicurandola. Si sentiva in colpa. Era stato lui a salvare quell’uomo dal vulcano! Se non lo avesse fatto, sua madre si sarebbe salvata! Scoppiò a piangere e rimase in silenzio, non sapendo proprio che dire alla sorella.

 

Il funerale fu qualcosa di molto semplice, dato che era una donna sola e senza parenti. In molti si mostrarono disponibili nei confronti dell’orfana ma in ben altro modo si comportarono con il bambino. Avevano sempre provato paura nei suoi confronti. Era strano, inquietante.

“Tieni” parlò una donna, porgendo all’orfano una maschera “Questa è la maschera mortuaria di tua madre. Ora sei tu l’uomo di casa. Prenditi cura di tua sorella e proteggila”.

“Lo farò” annuì il bambino, prendendo la maschera e chinando il capo.

Accanto a lui, la sorellina gli stringeva la mano. Che regalo inquietante da dare ad un ragazzetto! Ma lui non sembrava farsi problemi.

“Ti difenderò io, sorellina. Mi occuperò di te. Nessuno ti farà male”.

Osservando le poche persone al funerale, il bambino notò subito quel giovane. Se ne stava in disparte, senza conoscere nessuno. Sospettoso, l’orfano lo tenne d’occhio e subito si parò davanti alla sorellina, quando lo sconosciuto si avvicinò.

“Sei tu  che hai ottenuto l’armatura d’oro del Cancro?” domandò il ragazzo, con uno strano accento.

“Chi lo vuole sapere? Tu chi sei?” si irrigidì l’orfano, accigliandosi.

“Un amico. Sono anch’io un cavaliere d’oro e sono venuto a prenderti, per portarti al tempio”.

“Hai un accento orribile..”.

“Non sono italiano. Chiedo scusa”.

“Dimostramelo!”.

“Cosa?”.

“Che sei un cavaliere d’oro! Dimostramelo!”.

Il giovane si concentrò qualche istante, espandendo il suo cosmo. Il bambino lo percepì e spalancò gli occhi.

“Tutto bene?” domandò lo sconosciuto, che assieme all’accento aveva pure un tono terrificante, perché era un adolescente a cui stava cambiando la voce.

“Sì..ma..io pensavo che il mio cosmo fosse potente mentre il tuo lo è di più!”.

“Hai ancora qualche anno per raggiungermi. Ma devi venire con me”.

“Può venire anche la mia sorellina?”.

“Certo. Troverò un posto anche per lei, a Rodorio, il villaggio che sorge accanto al tempio”.

“Va bene..vengo con te. Mi insegnerai tu ed essere più forte?”.

“Se lo desideri.. E ti insegnerò ad essere il difensore degli innocenti”.

“Esistono gli innocenti?”.

“Strana domanda..”.

“Comunque..qual è il tuo nome?”.

“Puoi chiamarmi Saga. E tu? Come ti chiami?”.

“Io?” mormorò il bambino, guardando la maschera della madre acquisita. Rialzò lo sguardo, che brillò di luce viva, e rispose: “Puoi chiamarmi Deathmask”.

Primo capitolino di una serie. Ho voluto iniziare con Deathmask perchè ho sempre desiderato raccontare la sua storia da piccolino. Chiedo scusa, perchè è un po' triste. Cercherò di rallegrare un po' i capitoli successivi. P.S. se fra voi ci sono dei "fan" dell'Olympus Chapter non preoccupatevi: sto lavorando al seguito ma al momento non ho molto tempo per dedicarmi ad una storia lunga

   
 
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