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Autore: Bad A p p l e    13/05/2015    4 recensioni
[FMA!AU]
[Prima classificata al "Scambio di Fandom - AU Contest" indetto da mikki sul forum di EFP]
“«L’alchimia non esiste per questo scopo».
L’Alchimista di Ferro e Sangue, Akashi Seijuurou – da poco Comandante Supremo – sorride, di un sorriso che, però, si ferma alle labbra senza raggiungere gli occhi, lasciandoli freddi nonostante i toni caldi di cui sono tinti.
Con tutta la lentezza che sente di potersi concedere, mette da parte uno dopo l’altro i fogli che stava esaminando sulla sua scrivania e infine rivolge la propria attenzione al sottoposto che si è insinuato nel suo ufficio come l’ombra che è.
«Tetsuya» esordisce, assaporando il gusto che quel nome gli lascia sul palato, «Non dirmi di avere la presunzione di sapere per quale motivo ci è stata donata l’Alchimia» motteggia, socchiudendo appena gli occhi."

[KasaKise, KagaKuro, MidoTaka] [Accenni: AoKuro]
Genere: Generale, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiseki No Sedai, Makoto Hanamiya, Ogiwara Shigehiro, Seirin, Takao Kazunari
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The End Is Where We Begin'
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Titolo: The End Is Where We Begin.

Autore: __Bad Apple__

Fandom 1: Kuroko no Basket.

Fandom 2: Full Metal Alchemist.

Personaggi: Generazione dei Miracoli, Ogiwara Shigehiro, Kasamatsu Yukio, Hanamiya Makoto, Takao Kazunari, Seirin.

Raiting: Arancione.

Genere: Generale, Guerra.

Avvertimenti: Tematiche Delicate, Death Character.

Introduzione: “Aomine Daiki è – proprio come loro due – membro della Generazione dei Miracoli, sei alchimisti d’élite, tutti diplomatisi alla stessa edizione dell’esame, all’età di dodici anni.

Ora, a soli otto anni di distanza, Akashi Seijuurou ha sostituito Nijimura Shuuzou nel ruolo di Comandante Supremo e li sta trascinando tutti all’inferno, senza discriminazioni di alcun genere. Daiki compreso, nonostante sappia delle sue origini.”

 

 

The End is Where We Begin

 

Capitolo 1: Leaden.

 

«L’alchimia non esiste per questo scopo».

L’Alchimista di Ferro e Sangue, Akashi Seijuurou – da poco Comandante Supremo – sorride, di un sorriso che, però, si ferma alle labbra senza raggiungere gli occhi, lasciandoli freddi nonostante i toni caldi di cui sono tinti.

Con tutta la lentezza che sente di potersi concedere, mette da parte uno dopo l’altro i fogli che stava esaminando sulla sua scrivania e infine rivolge la propria attenzione al sottoposto che si è insinuato nel suo ufficio come l’ombra che è.

«Tetsuya» esordisce, assaporando il gusto che quel nome gli lascia sul palato, «Non dirmi di avere la presunzione di sapere per quale motivo ci è stata donata l’Alchimia» motteggia, socchiudendo appena gli occhi.

Sa alla perfezione a cosa si riferisce il proprio sottoposto e, conoscendolo, ha previsto in largo anticipo una sua visita.

Non gli dà il tempo di replicare alcunché e lo guarda con insistenza, dritto negli occhi. Sembra quasi volergli imporre con il proprio sguardo di abbassare il suo, in modo da poter confermare la propria supremazia.

«Eri stanziato a Briggs. Sei tornato senza permesso solo per dirmi questo?» Inarca di poco un sopracciglio, continuando a tenere gli occhi puntati in quelli dell’altro.

Tetsuya non cede e regge lo sguardo altrui, causando ad Akashi un sospiro quasi divertito. Con il suo carattere gentile e squisitamente educato, il suo lato ribelle passa quasi inosservato.

Quasi” ripete il Comandante Supremo, nella propria mente, mentre il suo sguardo si colora di una lieve nota di disapprovazione. Odia più di quanto si possa immaginare chi mette in discussione i suoi ordini, ma riversare questo sentimento sul Colonnello Kuroko sembra impossibile perfino a lui. Ciò non toglie che ci sia una gerarchia da rispettare.

«L’Alchimia crea, trasmuta. Se la si usa per distruggere, be’, allora non me la sento proprio di biasimare gli Ishvalan quando sostengono che sia demoniaca» dice Tetsuya. Senza bisogno di alzare la voce, riesce ad imporsi; è una qualità che il più delle volte il Comandante Supremo apprezza, ma non quando gli viene ritorta contro, come nel caso attuale.

Rivolge all’altro un sorriso simpatetico, entrambi già sanno che Akashi non cambierà idea, stanno conversando di nulla.

«Non permetterò che questa guerra civile vada avanti. Va interrotta e va interrotta adesso, se non sono in grado di stare al loro posto verranno distrutti dal primo all’ultimo».

«Si può raggiungere un compromesso».

«Forse, ma non è la mia risoluzione in merito».

Ormai è chiaro a tutti e due che nessuno di loro cambierà la propria idea, quindi Akashi non si stupisce nel vedere Tetsuya infilarsi una mano in tasca, cercando qualcosa.

Le sue dita si chiudono attorno all’oggetto e indugiano qualche istante prima di tirarlo fuori. Passa i polpastrelli su tutta la superficie, come a voler memorizzare ogni curva, ogni rilievo di esso. Non è per qualche strano moto di possesso o perché crede che proverà nostalgia, semplicemente non riesce a capacitarsi di quanto l’orologio argentato, simbolo degli Alchimisti di Stato, gli sembri ora una catena stretta al collo, quindi deve saggiarne la consistenza con le sue stesse mani per convincersi del contrario.

Con calma quasi solenne, tira fuori l’orologio dalla tasca e lo poggia sulla scrivania, spingendolo di qualche centimetro verso Akashi. Neanche per un secondo abbassa lo sguardo, tuttavia non c’è orgoglio nei suoi occhi, solo la volontà di non piegarsi a quell’ingiustizia.

Akashi soppesa l’oggetto con lo sguardo per qualche istante, per poi tornare a rivolgere la propria attenzione all’altro, lasciando che un sorrisetto sgradevole gli incrini le labbra. Ha la certezza di avere in pugno il volere di Tetsuya – l’ha sempre avuta – deve solo muovere le corde giuste e in questo particolare momento crede proprio di sapere quali esse siano.

«Daiki partirà per il fronte» si limita a scandire, spingendo di nuovo l’orologio verso il suo proprietario. Sorride soddisfatto nel leggere una nota di sconcerto nello sguardo vuoto di Kuroko.

Questi rimane diversi secondi, forse troppi, a riflettere su tutte le sfaccettature della frase appena pronunciata dal Comandante Supremo.

Aomine Daiki è – proprio come loro due – membro della Generazione dei Miracoli, sei alchimisti d’élite, tutti diplomatisi alla stessa edizione dell’esame, all’età di dodici anni.

Ora, a soli otto anni di distanza, Akashi Seijuurou ha sostituito Nijimura Shuuzou nel ruolo di Comandante Supremo e li sta trascinando tutti all’inferno, senza discriminazioni di alcun genere. Daiki compreso, nonostante sappia delle sue origini.

«La madre di Aomine-kun è–»

«Un’Ishvalan, lo so» lo interrompe con un gesto imperioso della mano, decidendo che non accetterà questioni, «È stata una libera scelta di Daiki» conclude, non per giustificarsi ma per far in modo che l’altro abbia una visione più ampia dell’intero scenario.

Una scelta fatta sotto obbligo svincola da ogni tipo di responsabilità, se questa invece viene compiuta in totale libertà può facilmente generare biasimo. Tetsuya lascerà da solo il compagno a naufragare in quel circolo senza uscita?

Ne dubita, perciò si rilassa in un secondo sorriso soddisfatto quando vede il coetaneo recuperare il proprio orologio, congedandosi.

«Prima che tu vada, lascia che ti dica una cosa» lo riprende, il tono è fin troppo serio, «Hai una visione troppo ottimistica dell’Alchimia. Per creare qualcosa devi distruggerne un’altra, è questo il principio dello Scambio Equivalente».

 

 

[…]

 

 

Takao sa che lo Scambio Equivalente è alla base di tutto e tutti, perfino di chi come lui non è alchimista. Accettato questo semplice concetto, non gli sembra così assurdo che per ottenere la pace si debba sacrificare qualcosa, anche se non può credere che l’elevato prezzo si traduca in vite innocenti.

Si ritrova a ringraziare mentalmente Shintarou, che proponendolo come suo assistente di laboratorio gli ha impedito di partire per il fronte. Non che la guerra lo spaventi, se così fosse stato non avrebbe mai scelto la carriera militare, tuttavia sente che in questo particolare conflitto c’è qualcosa di sbagliato, disgustoso.

Forse è troppo ingenuo, ma lui vive nella convinzione che l’esercito dovrebbe assicurare il bene delle persone, proteggerle, ed è per questo che si è arruolato.

Si permette un sospiro, per poi scoccare un’occhiata a Midorima, appisolato su un mucchio di appunti a lui incomprensibili.

Sa di essere la persona in assoluto meno indicata per fare da assistente a Shintarou, lui di alchimia non ne capisce davvero nulla, eppure sa che nelle ricerche che sta svolgendo l’amico c’è qualcosa di malvagio. Capirlo non è stato neanche complicato, è scritto a fuoco nello sguardo di Midorima: se all’inizio le ricerche sono state iniziate con un entusiasmo mascherato quasi alla perfezione, c’è un’ombra che di giorno in giorno incupisce sempre di più le iridi dell’Alchimista di Cristallo.

Ormai è chiaro che il progetto della Pietra Filosofale va avanti solo per senso del dovere, tuttavia Takao teme che sarà proprio la responsabilità intrinseca del carattere del giovane alchimista a portarlo alla rovina.

Tutta l’atmosfera di cui è denso il laboratorio numero cinque, tutte le volte in cui Shintarou sparisce in un’ala dell’edificio riservata solo a lui, tutte le volte in cui l’alchimista ne esce, sempre più provato, urlano questa convinzione.

Gli sposta un ciuffo di capelli verdi dal viso, domandandosi per quale motivo continui a seguire le direttive di Akashi, se queste di giorno in giorno gli costano la sua anima.

Vuole fare qualcosa per aiutarlo, ma tutto ciò che è in suo potere è accarezzargli il viso mentre dorme, sperando di riuscire così a scacciare i fantasmi che di sicuro lo tormentano anche mentre è rifugiato tra le braccia di Morfeo.

Riesce a ritrarre la mano giusto un attimo prima che l’altro si desti e la cosa lo fa sorridere divertito nel pensare alle scenate che avrebbe fatto Shintarou se l’avesse sorpreso ad accarezzarlo durante il sonno.

«Dormito bene, Shin-chan?» trilla, facendo mugolare l’altro, infastidito.

Midorima è convinto che svegliarsi sentendo come prima cosa la voce assurdamente alta e cantilenante di Takao sia la cosa peggiore in assoluto. Poi ripensa al progetto che da mesi occupa senza interruzioni le sue giornate e allora si rende conto che è quella stessa voce irritante a tenere intrecciati in modo così saldo i fili della sua sanità mentale.

È ovvio che questo non lo ammetterà mai, quindi si limita a ringraziare col pensiero l’esistenza di quell’essere irritante che è Takao.

Inforca gli occhiali e guarda l’assistente «Perché non mi hai svegliato? Non ho tempo di dormire».

«Eri stanco. Non fare troppo il figo, Shin-chan, anche tu hai bisogno di dormire come tutti gli esseri umani~» lo prende in giro, simulando un sorriso scanzonato.

L’altro sbuffa seccato, «Non ho detto di non averne bisogno, ma di non averne tempo».

«Sono sicuro che Nostro Signore dei nevrotici, il Comandante Supremo, non impazzirà se dedichi qualche ora al riposo, ritardando un pochino il completamento di quella roba».

«Non la sto completando ma migliorando» spiega Shintarou, esausto, passandosi una mano tra i capelli, «La Pietra Filosofale è completa da settimane».

 

 

[…]

 

 

Ogiwara sa di essere dotato di molta pazienza, eppure non riesce proprio a trattenere un sospiro tra il rassegnato e lo scocciato quando vede Taiga camminare verso di lui con uno squarcio enorme sulla spalla.

Gli occhi dell’alchimista non tradiscono neanche per un secondo il dolore che senza dubbio deve causargli quella ferita e questo, se possibile, infastidisce ancora di più l’altro. Gli dà l’impressione che a Taiga non importi affatto del proprio corpo e non può accettare una cosa del genere.

Quella situazione non piace a nessuno di loro, primo tra tutti lo stesso Shigehiro, ma non può stare a guardare l’amico ridursi in quel modo.

Lo afferra per la spalla sana – facendo non poca fatica a raggiungerla, a dire il vero, ma questo non lo ammetterà mai – e lo fa sedere su uno sgabello in mezzo al tendone in cui ha improvvisato il suo studio medico.

«Ancora?» sospira, cominciando a tirare fuori il materiale per disinfettare la ferita.

«Siamo venuti qui a far valere le nostre convinzioni con la forza, sterminandoli. È ovvio che provino a difendersi» borbotta tergendosi il sudore sulla fronte con la manica della divisa.

Shigehiro può solo immaginare quanto possa pesare all’amico indossare quell’uniforme, tuttavia non riesce a capire perché non abbia ancora disertato.

Ha addosso l’odore dolciastro di carne bruciata e se per lui quell’olezzo è insopportabile, non osa domandarsi come faccia Kagami a sopportarlo.

Sfiata un paio di volte, prima di arrendersi al fatto di non riuscire a trovare nulla con cui controbattere, dopotutto lui stesso ha aperto quell’ospedale improvvisato per prestare soccorso sia ai soldati di Amestris che agli Ishvalan.

Sa che la cosa sotto molti punti di vista può non avere senso. Sa anche che molti lo tacciano di tradimento, eppure lui sente che è la cosa giusta da fare e non ha intenzione di tornare sulla sua decisione.

In quell’insensato bagno di sangue, lui vuole salvare vite al posto di distruggerle, c’è davvero qualcosa di sbagliato? Lui non riesce proprio a darsi una risposta, quindi si è arreso a seguire ciò che dice il suo cuore.

«Potresti almeno evitare di venire qui a farti ricucire ogni cinque minuti. Sembra quasi che tu ti faccia ferire di proposito» si risolve a dire, forse solo per interrompere il silenzio fastidioso che si è creato. Gli passa il disinfettante con delicatezza su tutta la ferita, ma è solo quando posa la pezza umida di antisettico che si rende conto del reale significato delle parole che lui stesso ha pronunciato e realizza che, no, Taiga non gli ha ancora risposto e non sembra intenzionato a farlo.

«Se loro riescono a colpirti, ti senti meno in colpa per quello che fai. È per questo che ti lasci ferire, vero?» mormora, addolcendo un po’ il tono di voce.

Taiga gli grugnisce qualcosa di incomprensibile e Ogiwara non riesce a trattenere un lieve sorriso e si costringe a ricordare che quello che ha davanti è un essere umano obbligato a commettere barbarie da un Comandante Supremo dispotico e crudele.

«Tu smettila di fare conversazione e muoviti a ricucirmi. Ci metti sempre secoli»

L’altro gonfia le guance, fingendosi profondamente oltraggiato, per alleggerire un po’ l’atmosfera. Dopotutto un po’ di finta familiarità se la meritano entrambi. «Devo praticare due suture differenti! Ci va tempo!»

«Ma cuci tutto assieme, che te ne frega!»

«Cucire muscolo con muscolo e pelle con pelle fa diminuire l’infiammazione ed evita infezioni e febbre» ribatte, ripetendo in automatico ciò che ormai gli ha detto almeno una ventina di volte e sorridendo nel vedere l’altro sbuffare e riprendere a borbottare qualcosa di incomprensibile.

«E comunque hai delle briciole sulla faccia» ci tiene a precisare Taiga, solo per non lasciare all’altro l’ultima parola.

 

 

[…]

 

 

«Kasamatsu-senpai! Kasamatsu-senpai! Guarda cosa riesco a fare!»

Kise ha appena il tempo di schioccare le dita, creando una rapida e flebile fiammata che non attraversa neanche un metro dell’accampamento, prima che il suo senpai lo colpisca con un calcio in piena schiena, facendolo piegare in due dal dolore.

Per un attimo si sente mancare il fiato e deve appoggiare le mani sulle ginocchia per non capitolare a terra in modo molto poco dignitoso.

In automatico, gli occhi del ragazzo si riempiono di lacrimoni fasulli e inizia a piagnucolare su quanto l‘altro sia sempre cattivo e insensibile con lui, su quanto venga picchiato a prescindere di qualsiasi cosa faccia.

Kasamatsu lo conosce da troppo tempo per poter credere davvero a questa sceneggiata, quindi si limita ad un rapido sospiro; conta a mente fino a cinque, giusto per essere sicuro di non uccidere in modo brutale l’alchimista, e poi gli si avvicina, mollandogli un sonoro schiaffo sulla nuca, nell’intento di farlo smettere nel suo insensato e patetico monologo.

«Smettila di fare tutto questo baccano, Kise. Questo è un campo di battaglia, non un parco giochi» sbotta Yukio, guardandolo male. Se già di norma mal sopporta il comportamento infantile dell’Alchimista di Stato, in una situazione del genere proprio non lo regge.

Ama Kise, con i suoi pregi e la sua notevole rosa di difetti, lo rispetta come uomo e come compagno e lo ammira dal profondo perché sa che se Ryouta riesce ancora a sorridere in un ambiente del genere è solo per cercare di rinfrancare un po’ gli animi degli altri, a ricordar loro che oltre a quell’inferno, da qualche parte esiste ancora la vita; tuttavia, per quanto lui si sforzi, non riesce a non pensare che un atteggiamento così ilare durante una guerra sia una profondissima mancanza di rispetto per tutti coloro che in quella realtà perdono la vita ogni giorno. Che si tratti di commilitoni o di avversari.

Kise si massaggia la schiena dolorante e lo guarda con gli occhi socchiusi, come a voler enfatizzare il dolore che prova, nell’assurda fantasia di far sentire in colpa l’altro. Sa già che è tempo perso, ma ci prova comunque.

«Volevo solo farti vedere la nuova tecnica che ho copiato! Questa volta è quella di Kagamicchi».

Kasamatsu sospira ancora e si passa una mano tra i capelli con aria stanca, cercando di tenere a mente che quel comportamento da parte di Ryouta sia in realtà solo uno scudo per non crollare e per sorreggere gli altri. Deve ripeterselo davvero tante volte, o sa che finirebbe per uccidere il proprio kohai, cosa che lo porterebbe davanti alla corte marziale.

“E l’idea non mi attira neanche un po’” pensa, decidendo di lasciar cadere l’argomento e concentrarsi sull’abilità di Kise.

«Io non riuscirei a sopportarlo» ammette, incrociando le braccia al petto.

«Eh?»

«Se io fossi un Alchimista di Stato, non sopporterei l’arrivo di qualcuno in grado di copiare in un secondo la stessa abilità che affino da anni e su cui ho sputato sangue».

Kise si lascia sfuggire un sorriso amaro che poco si confà al suo viso, «Ah, senpai, così mi ferisci!»

Un secondo colpo alla nuca lo fa tacere e per la prima volta decide di non ricominciare con il suo solito teatrino, lui stesso si sente troppo stanco per qualcosa di simile.

«Per un momento ho pensato che stessi per dire qualcosa di sensato».

«Che vuoi che ti dica, senpai?» dice con voce seria ma comunque cantilenante, «L’alchimia può essere una maledizione».

Yukio non si aspetta una risposta del genere e subito sente che non scorderà tanto facilmente le parole dell’altro, vorrebbe dargli una solidale pacca sulla spalla – che l’altro di sicuro scambierebbe per l’ennesima aggressione – o dirgli comunque qualcosa, ma non ne ha il tempo materiale.

«L’alchimia una maledizione? Non farmi ridere».

Entrambi si voltano verso la voce, scorgendo l’Alchimista Cremisi, Hanamiya Makoto, a pochi metri da loro. Cammina nella loro direzione, con le mani infilate nelle tasche ed un’espressione di folle strafottenza ad incrinargli i bei lineamenti.

Nonostante il caldo afoso, l’atmosfera si gela con una rapidità impressionante, ma né Kasamatsu, né Kise mutano la propria espressione, entrambi intenzionati a non tradire il disagio provocato dal folle alchimista.

«Hanamiya» saluta Yukio, secco, fissandolo con forse un po’ troppa insistenza. Se poco prima ha pensato che la falsa ilarità di Kise sia fuori luogo, si rende subito conto che è ancora più insensata e insopportabile la smania omicida che legge negli occhi dell’altro. È chiaro come il sole che ad Hanamiya piaccia trovarsi nel bel mezzo di una guerra civile e la cosa lo disgusta al punto da dover distogliere all’improvviso lo sguardo.

«Kasamatsu» replica l’altro, con una strana smorfia, per poi concentrare tutta la propria attenzione su Kise, «Kise, frequenti ancora gente incapace di trasmutare anche solo un minuscolo granello di sabbia? Se vuoi un consiglio, non dare troppa confidenza a della carne da cannone, sai, i giocattoli hanno la brutta abitudine di rompersi».

Kise vuole saltargli addosso. Lo vuole sul serio, vuole sentire le proprie dita chiudersi attorno al collo pallido dell’altro in modo di impedirgli di dire altre cattiverie del genere, tuttavia sa che se lo facesse Kasamatsu non glielo perdonerebbe mai.

Sa perfettamente che Yukio è in grado di combattere le proprie battaglie da solo. È un guerriero nato e, come tale, pretende lo scalpo di chiunque osi mettersi tra lui ed un rivale.

«Non sono io quello chiamato sul fronte per essere usato come arma umana. E di sicuro non sono io a farmene un vanto» si limita a ribattere Kasamatsu, stringendosi nelle spalle, per poi pentirsi subito di essere caduto nelle provocazioni di quell’insopportabile individuo.

«Oh, Kasamatsu» replica questo, la voce addolcita in modo inquietante, «Siamo tutti qui per lo stesso motivo: Uccidere od essere uccisi. Ed io non ho il minimo dubbio su a chi toccherà la seconda opzione».

Senza dar tempo agli altri due di dire alcunché, Makoto gira loro le spalle, tornando da dov’è venuto e sventolando appena la mano, in un ironico saluto, «Le mie condoglianze».

 

 

[…]

 

 

Tetsuya ha dovuto girare tutta Central City prima di riuscire a trovare Aomine ed è più che convinto che ciò che sta vedendo in questo momento non gli piaccia neanche un po’.

Daiki è stravaccato su uno sgabello, la testa mollemente abbandonata sul bancone del bar, accanto ad un paio di bottiglie vuote di qualche alcolico scadente.

Ad onor del vero, Tetsuya deve riconoscere che in quella bettola di terza categoria di sicuro non è solo l’alcol ad essere scadente, a cominciare dall’igiene personale della clientela.

Si porta la manica della divisa a coprire il naso, nella vaga speranza che la stoffa pesante riesca a filtrare almeno un po’ l’aria satura di odori sgradevoli.

Si avvicina al collega e solo dopo si rende conto della presenza di Momoi. La ragazza sta tentando con scarsi risultati di svegliare Aomine, colpendolo sempre più forte sulla spalla.

«Buongiorno, Momoi-san» saluta a bassa voce, inclinando appena il capo in avanti.

Momoi sorride, ma non c’è nulla di allegro nell’increspatura che hanno preso le sue labbra. «Sapevo che saresti venuto a cercarlo» dice, per poi lasciarsi andare ad un sospiro sconsolato, «Non riesco a svegliarlo e non riesco neanche a spostarlo»

Kuroko dubita che anche in due riusciranno a reggere la mole di Aomine per più di qualche metro, quindi la soluzione più logica è fare in modo che l’alchimista esca dal locale sulle sue gambe. Anche lui si permette un sospiro ed ordina un bicchiere d’acqua, sotto lo sguardo sconcertato di Satsuki.

«Tetsu-kun, non vorrai bere da quei bicchieri?» chiede, per assicurarsi che l’amico non sia del tutto uscito di senno.

Un lieve sorriso increspa le labbra del ragazzo, «Neanche morto» risponde, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del barista che, tuttavia, non osa ribattere nulla sull’ipotetica pulizia delle sue stoviglie.

Senza troppi complimenti versa il contenuto del bicchiere sulla nuca e sulla schiena dell’amico, ma questo esprime il proprio dissenso con un unico grugnito prolungato, non accennando a svegliarsi.

È con un lieve sospiro sconsolato che Tetsuya, rimboccate le maniche, poggia i palmi sulla schiena dell’altro, congelando il liquido appena versato con l’alchimia.

Aomine si sveglia di scatto, saltando come un grillo, mentre un ringhio gutturale si libera dalla suo gola, «Tetsu!»

«Buongiorno, Aomine-kun».

«Buongiorno un cazzo! Non puoi svegliare le persone in modo normale?!»

«Momoi-san ha provato più volte a svegliarti» si giustifica, stringendosi appena nelle spalle e stupendosi di quanto l’amico sembri, in effetti, del tutto sobrio. Il suo sguardo cade sulle bottiglie svuotate ancora abbandonate sul bancone e Aomine intuisce subito i suoi pensieri.

«Erano lì da prima che arrivassi. Io sono venuto qui solo a farmi un pisolino perché pensavo che voi due rompicoglioni non mi avreste mai trovato qui» sbuffa, intrecciando pigramente le mani dietro la testa.

Momoi e Tetsuya si scambiano un solo rapido sguardo, decidendo all’unisono che, forse, sarebbe stato meglio trovare l’altro ubriaco perso. Almeno in quel caso sarebbe stato un modo per esprimere ciò che sentiva, mentre ciò che i due hanno davanti al momento è l’immagine dell’inerzia.

Sembra non importargli nulla di ciò che dovranno fare, sembra che ad Aomine il fatto che l’indomani dovranno partire per Ishval lo tocchi come farebbe un viaggio verso North City.

La cosa manda Tetsuya fuori di testa dalla rabbia, ma è solo una lieve increspatura nella fronte a testimoniare ciò, non è da lui perdersi nel furore delle emozioni; queste lo attraversano, come accade a qualunque essere umano, ma lui fa in modo di non lasciarsi trasportare via da esse.

Daiki, tuttavia, lo conosce da troppo tempo per lasciarsi ingannare da quello sguardo di puro ghiaccio, quindi si passa una mano tra i capelli, lasciandosi andare ad una breve risata amara, «Pensavi che fossi distrutto e sei venuto a consolarmi? Tetsu, devi smetterla di essere così ingenuo».

Il pugno allo stomaco arriva, prevedibile, ciononostante non pensa neanche per un secondo di utilizzare la sua alchimia per difendersi, ammettendo con se stesso per un solo rapido istante di meritarsi ogni singolo grammo di forza utilizzata da Tetsuya in quel colpo.

“Però… come fa un affarino così piccolo a picchiare così duro?” si chiede Daiki per la millesima volta, portandosi una mano dov’è stato colpito. Per un attimo il suo lato melodrammatico gli strilla nel cervello che con tutte le probabilità Kuroko deve avergli come minimo spappolato lo stomaco, poi si rende subito conto di quanto questo sia impossibile sotto ogni punto di vista.

«Usciamo» decreta Tetsuya, mentre la sottile crepa sulla sua fronte si spiana, come se il pugno appena tirato al collega sia bastato a scaricare la collera nei confronti dell’apatia ostentata da Aomine.

Ostentata, sì, perché nonostante tutto l’Alchimista di Ghiaccio sa che Daiki non vuole permettersi di mostrarsi debole.

Si rende conto che in qualunque modo Aomine possa comportarsi, qualunque abominevole crimine saranno costretti a compiere ad Ishval, tutto ciò che Tetsuya può fare è impedire all’amico di perdere se stesso.

«Verrò anche io ad Ishval».

La voce di Momoi distoglie entrambi dai propri pensieri e l’attenzione si catalizza sulla ragazza.

«Satsuki, non–» esordisce Aomine, ma una gomitata di Kuroko lo zittisce subito. Daiki tende ad essere la persona con meno tatto in assoluto, questo lo sanno tutti, quindi è sempre meglio impedirgli di parlare quando le questioni diventano delicate.

«Momoi-san, tu sei l’assistente di Akashi-kun, non dovresti stare con lui?»

«Ci sarà anche lui».

Ed ora sono delicatissime, le questioni.

 

 

[…]

 

 

Ishval è una terra dura, dove non è affatto raro che il silenzio si cibi di ogni cosa, lasciando solo la muta desolazione.

“Però in tempo di guerra è strano che cali davvero un silenzio tanto assordante. Riesco a sentire nelle orecchie il suono del mio stesso sangue che scorre, maledizione!” pensa Hyuuga, nervoso, senza smettere di pulire il proprio fucile.

La quiete non l’ha mai entusiasmato e, se possibile, in circostanze simili la trova ancora più fastidiosa, gli dà l’impressione che da un momento all’altro possa scatenarsi l’inferno.

Si prende un secondo di pausa dal suo compito e si sfila gli occhiali, per potersi massaggiare gli occhi stanchi.

Lui e i suoi compagni vivono ad Ishval da otto anni, ci si sono trasferiti per studiarne la cultura, tuttavia hanno goduto di un solo anno di pace, prima che scoppiasse la guerra e loro ne fossero inevitabilmente fagocitati.

Ad anni di distanza, ancora non riescono a capacitarsi di come Amestris abbia potuto scatenare qualcosa di così disgustoso e insensato.

Loro non hanno esitato neanche un secondo a decidere da che parte stare. E, no, non si è trattato della propria patria.

Hanno deciso che, in un mondo che ad ascoltarli non ci prova nemmeno, l’unico modo che hanno per far valere i propri ideali sia la forza, per quanto ciò non entusiasmi nessuno di loro.

Pensano a ciò che si potrebbe definire “bene superiore”; se possono evitare la strage di migliaia di persone, loro sono disposti a farlo anche a costo di essere trascinati all’inferno.

I loro assalti sono rapidi e precisi, guidati dalle strategie vincenti ideate da Riko; attaccano senza fallire quasi mai un colpo e poi spariscono nel nulla senza lasciare tracce.

I soldati di Amestris, tra la paura e il disprezzo, si riferiscono a loro come “La Squadra del Run and Gun”.

Il loro vero nome, tuttavia, è un altro.

Loro sono il SEIRIN La Sacra E Inarrestabile Rinascita.

Un acronimo mal formato, un nome quasi troppo borioso, una promessa che più di ogni altra cosa al mondo sono decisi a mantenere.

«Niente di peggio di un fucile che si inceppa per la mancata manutenzione, eh?»

Subito, Hyuuga rimpiange il silenzio, preferendo perfino quello all’idiota che ha appena parlato con il solito tono bonario, poggiandogli una mano sulla spalla.

Lo guarda malissimo, un po’ perché la voce dell’idiota gli è giunta improvvisa, facendogli prendere un colpo, un po’ per pura abitudine.

«Sì, non tutti siamo alchimisti come te, sai? Noi comuni mortali dobbiamo affidarci alle armi».

Teppei alza le mani in alto, in segno di resa, per poi sedersi di fianco all’amico. Da come è scattato, è evidente che Junpei sia teso e irritarlo mentre si trova in queste condizioni può diventare molto pericoloso.

«È proprio di questo che volevo parlarti, dell’Alchimia. Koga è appena tornato dopo essersi infiltrato tra i soldati di Amestris ed ha sentito da loro che il nuovo Comandante Supremo sta inviando qui tutti gli alchimisti di stato, compreso lui stesso» spiega, serio.

Si guardano per lunghi secondi, persi nella consapevolezza che con tutte le probabilità, questo metterà la parola fine alla loro corsa.

Teppei è l’unico alchimista tra loro ed è impensabile che possa fronteggiare tutti quelli che stanno arrivando da Amestris, contando che fatica a tenere a bada quelli già presenti sul territorio.

Poche settimane prima si è scontrato con l’Alchimista Cremisi e ne è uscito gravemente ferito, sapere che sono in arrivo altri demoni del genere è destabilizzante.

«Perché il Comandante Supremo in persona ci degna della sua presenza?» domanda Hyuuga, sentendosi all’improvviso ancora più esausto.

«Tra i soldati e gli alchimisti di stato stanziati qui c’è chi comincia a dubitare del “lavoro” che stanno svolgendo, prendendo anche in considerazione l’ipotesi di disertare. Penso che voglia calmare le acque di persona e rispedire a casa coloro che si riveleranno un peso. Meglio farli tornare a casa che rischiare che mettano i bastoni tra le ruote agli altri soldati, no?» Si concede qualche secondo di pausa prima di continuare, «E qui entra in gioco il piano di Riko. Dobbiamo convincere chi verrà mandato a casa ad unirsi a noi».

«Non abbiamo mai fatto reclutamento, è troppo alto il rischio di venir traditi e non abbiamo forza bellica sufficiente per reggere qualcosa del genere».

«Forse, ma dobbiamo rischiare. In ogni caso siamo pochi per poter vincere, mettendoci di più in gioco avremo una possibilità».

Junpei trattiene un sospiro, sa che l’alchimista e Riko hanno ragione, «Quindi non ci resta che andare avanti, eh?»

In risposta gli giunge solo un sorriso.

E il silenzio ritorna.

 

 

 

 

 

Death Note: Ciaaaao! Che dire? Vorrei davvero essere in grado di fare quelle belle conclusioni di capitolo dove tutto viene spiegato punto per punto… ma non le sono capace *va a piangere patate*

Spero che questa mini-long possa piacervi, è la prima volta che scrivo una long per intero prima di iniziarla a pubblicarla, ma essendo per un contest, avevo una scadenza – e per rispettarla, questa storia mi ha praticamente risucchiato la vita ;A; –

Piccole delucidazioni sugli alchimisti di stato: Oltre ai titoli presenti nel canon (Alchimista di Fuoco, Alchimista di Ferro e Sangue, Alchimista di Cristallo, Alchimista Cremisi e Alchimista di Ghiaccio) ho aggiunto altri due titoli, giusto perché non sapevo che nomina dare a Kise e ad Aomine.

Kise è l’Alchimista Specchio e, questo gli permette, come si è già notato in questo capitolo, di utilizzare un solo cerchio alchemico per copiare qualsiasi tipo di alchimia.

Aomine è l’Alchimista Scudo… che è praticamente la versione “alchimista di stato” di Greed. Ovvero usa il carbonio all’interno del suo corpo per creare uno scudo impenetrabile.

Se la storia vi piace, per favore, lasciate una recensione; su questa long ci ho davvero lasciato l’anima e un parere mi farebbe sul serio molto piacere.

 

   
 
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