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Autore: EffieSamadhi    13/05/2015    3 recensioni
{Su Youtube è disponibile il trailer della storia: https://www.youtube.com/watch?v=RuY_VgECJKc}
Con i suoi colori caldi e rassicuranti, l'autunno ha portato l'amore. Con il suo gelo e la neve, l'inverno lo ha spazzato via. Ma come ogni anno torna la primavera, quella strana e straordinaria stagione in cui ogni cuore spezzato capisce di poter amare ancora.
Daria è cresciuta: ha visto la sua vita cambiare, si è scoperta più grande, più forte, più sicura di sé, e ha finalmente capito che la sola cosa importante è essere sinceri, sempre, anche a costo di finire bruciati. Per questo decide di prendere un aereo e volare a Los Angeles, per dire a Shannon tutto ciò che per mesi, o forse per una vita intera, ha sempre negato a se stessa.
Nella città degli angeli, Shannon è in piedi sull'orlo del baratro, restituisce il truce sguardo dell'abisso ed è sul punto di saltare, quando si rende conto che non può essere tutto qui, che la sua vita non può finire così, non senza combattere. E quando davanti ai suoi occhi stanchi, dopo molti mesi, torna a farsi vivo lo sguardo di Daria...
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
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La lunga strada verso casa - 1
Non tenterò nemmeno di chiedervi scusa per l'immenso ritardo con cui posto questo capitolo, perché qualsiasi parola sarebbe superflua e inutile. Il fatto è che ho avuto qualche guaio in famiglia, nelle ultime settimane, e mi sono mancati sia il tempo sia (soprattutto) la serenità per mettermi seduta a scrivere. Tutto ciò che posso dire è che spero di ritrovarvi ancora tutte qui, anche soltanto per insultarmi.
Buona lettura,
EffieSamadhi






Per aspera ad astra






Capitolo decimo
Tutto muore, ma tu
sei la cosa più cara che ho.1


Los Angeles, 13 marzo 2014


    Non so da che cosa dipenda la mia decisione di restare e concedergli quei due minuti che tanto disperatamente va cercando: non so se dipenda dalla dolcezza della sua voce o dal calore delle sue mani posate sulle mie spalle, o se, più semplicemente, sia unicamente colpa della mia debolezza, stupida forza che mi ha convinta a sperare anche quando le circostanze facevano presagire il peggio. Ma non importa quali siano i motivi della mia scelta: la sola cosa che abbia un certo rilievo in questo momento è che Shannon mi sta facendo attraversare la sua casa tenendomi per mano come una bambina. Mi lascia andare soltanto quando arriviamo sulla soglia del suo studio, dove mi fermo, in attesa. Lo guardo avvicinarsi ad uno scaffale disordinato e rovistare tra alcune cartelle fino ad estrarne quello che sembra un foglio di carta fatto a pezzi e rimesso insieme con il nastro adesivo. «Che cos'è?» domando, sebbene l'intuito mi dica che si tratta della base di una canzone.
    «Quando sei scappata da Parigi» inizia lui, tenendo lo sguardo basso, «non sono stato l'unico a dover trovare un modo per esorcizzare il dolore. Io ho provato a dimenticarti, a fingere di non averti mai conosciuta. Jared, invece, ha deciso di fissare i ricordi nel modo in cui gli riesce meglio.»
    Prendo il foglio che mi sta porgendo, e dopo qualche secondo di incertezza riesco a convincermi ad abbassare gli occhi sulla carta. Già dalle prime righe riesco a comprendere meglio le parole di Shannon. «Jared ha scritto una canzone su di me?» chiedo infine, incapace di credere in una risposta affermativa.
    «Sarebbe più corretto dire che ha scritto una canzone su di noi» replica lui con un vago sorriso. «Ha iniziato a Parigi la sera che ti ha conosciuta, ma io non ne ho saputo niente fino a che non l'ha finita. Eravamo in Brasile per una serie di concerti, e io... io ero piuttosto giù di morale. Credendo di riuscire a scuotermi mi ha mostrato lo spartito. Solo che ho dato di matto e l'ho fatto a pezzi, e poi mi sono rintanato in un locale a bere e...» Si interrompe bruscamente, forse temendo di essersi spinto troppo oltre con il resoconto.
    «...e rimorchiare belle ragazze?» completo io in tono scherzoso, cercando di fargli capire che non mi deve alcuna spiegazione, né tantomeno deve sentirsi in colpa per quello che ha fatto in questi ultimi mesi, anche se l'idea che sia stato con altre donne mi irrita, e non poco. «So che c'è sei uscito con un'altra, in questi mesi» mi convinco infine a dire. «Tuo fratello lo ha detto ad Alice, e Alice lo ha detto a me. Anche se forse definirla semplicemente un'altra è riduttivo.»
    «Christine» sussurra, senza dare alla propria voce una particolare intonazione. «Non avrei mai pensato di rivederla e riprendere da dove ci eravamo lasciati, ma... è capitato. Ci siamo rivisti e abbiamo pensato di poterci riprovare, ma... non è andata come speravamo. Con lei le cose non sono mai state semplici... un po' come con te.» Sentirmi paragonata al suo primo grande amore mi confonde: da un lato mi sento lusingata per essere stata messa sullo stesso piano della prima persona cui abbia mai concesso il suo cuore e la sua fiducia, ma allo stesso tempo vorrei prenderlo a schiaffi e urlargli contro che io non sono Christine. In qualche modo, però, riesco a reprimere ogni istinto distruttivo, restando in silenzio con gli occhi fissi sullo spartito. «Riesci a... capisci tutto quello che dice?» mi domanda Shannon, forse notando il mio interessamento al testo.
    Annuisco, alzando la testa. «Più o meno sì, riesco a... capisco» rispondo a fatica, sentendo il cuore salire in gola. La verità è che riesco a capire più di quanto vorrei: ancora una volta Jared ha dimostrato di essere un grande poeta, un uomo capace di dire tutto ciò che gli passa per la mente usando pochissime semplici parole. «Perché hai voluto che la vedessi?»
    «Non lo so» ribatte, facendo spallucce. «E stavolta non sto mentendo. Non lo so davvero
    Guardo ancora una volta la pagina fitta di parole e note, chiedendomi quale suono ne potrebbe venir fuori. Sono sempre stata un'appassionata di musica, ma non avendo mai avuto occasione di studiarla non ho alcuna idea di quale sia il significato di tutti i segni che vedo. Quando incontro di nuovo lo sguardo di Shannon, dopo quella che sembra un'eternità, le parole escono fuori quasi da sole. «Potresti suonarla per me?»
    Lui rimane interdetto per qualche secondo, aprendo e chiudendo la bocca senza emettere suono. «Sì, beh, è... è soltanto un abbozzo, ma penso di poterlo fare» replica infine, voltandosi per prendere la chitarra poggiata poco più in là. «Puoi... potresti mettere qui lo spartito?» mi domanda, indicando il leggio di fronte a sé. Obbedisco, osservandolo mentre si sgranchisce le dita e prova qualche accordo. «Non ti prometto niente, certo. È una bozza molto ben elaborata, ma resta sempre una bozza» aggiunge, quasi a volersi giustificare per un'eventuale cattiva esecuzione.
    «Non importa» ribatto, fingendomi interessata alla conformazione dei piatti montati sulla batteria. «Non pretendo un concerto, vorrei solo... sentire come suona
    Con un sorriso come unica risposta, Shannon dà una veloce occhiata alla copia e inizia a suonare. Già dal primo accordo sembra entrare in un mondo che è solo suo, un regno del quale è sovrano e unico abitante, un universo privato al quale soltanto lui può dare il permesso di accedere. Seguo con particolare attenzione il movimento delle sue dita, ma quasi subito è il suo viso a distrarmi: dietro le sue palpebre chiuse, lo so, c'è lo sguardo che ho imparato ad amare, gli occhi di cui non sono mai riuscita ad indovinare il colore, gli unici occhi che avrei voluto addosso per il resto della vita. Sto per rassegnarmi all'idea di aver perso per sempre il nostro amore quando Shannon, ancora una volta, mi sorprende.

    Alla terza battuta, dopo la delicata introduzione tracciata da Jared, iniziare a cantare mi sembra la cosa più naturale del mondo. So di non avere la potenza vocale di mio fratello né il suo talento interpretativo, ma per qualche motivo seguire anche le parole mi sembra una buona cosa – in fondo, Daria voleva farsi un'idea generale di come suonasse la canzone, e quale modo migliore di accontentarla se non farle sentire tutto?
    Quando riapro gli occhi, al termine della prima strofa, trovo fisso su di me il suo sguardo, e all'improvviso mi accorgo di non aver bisogno di seguire lo spartito: ormai conosco questa canzone a memoria, nemmeno fossi stato io a scriverla – e se anche dimenticassi un solo accordo o una parola, sarebbe sufficiente studiare il volto di Daria per ritrovare la strada. I suoi occhi, soprattutto – sono i suoi occhi a tracciare il sentiero per la serenità, così chiari e brillanti da riuscire ad illuminare anche l'anima più oscura.
    Ormai lascio che le mie dita vaghino da sole tra corde e tasti, sicure del percorso da seguire, così allenate da non aver bisogno di indicazioni. Tutto ciò cui presto attenzione è lo sguardo di Daria fisso nel mio, così aperto da far trasparire tutta l'emozione scatenata dalla musica. Più la guardo, più mi rendo conto che la sfuriata di poco fa non ha valore: le sue parole esprimevano astio e il suo tono era duro come non mai, ma i suoi occhi raccontano una storia tutta diversa – i suoi occhi dicono che la speranza non è morta, e che possiamo tornare ad amare ancora.

    A fatica Jared è riuscito a convincere Alice ad aspettarlo in macchina, certo che avrebbe fatto irruzione in casa di Shannon con la forza di un carroarmato, facendo precipitare irrimediabilmente la situazione – qualunque essa sia. Mentre fa girare la chiave nella toppa il più silenziosamente possibile, lo coglie una leggera preoccupazione: sebbene si sia mostrato calmo per riuscire a tranquillizzare Alice, ora che è solo non riesce a mentirsi più a lungo – quel lungo silenzio da parte del fratello e di Daria è strano, e per uno come lui, abituato a sapere sempre tutto, è una cosa semplicemente inaccettabile. Per essere certo di non fare rumore si sfila le scarpe, che abbandona sullo zerbino, e muove qualche incerto passo nel grande ingresso luminoso, sperando che Bruce non rovini tutto intercettando la sua presenza. Eppure, se ne rende conto subito, del cane non c'è traccia. Getta una rapida occhiata fuori: la macchina di Shannon è parcheggiata nel vialetto, dunque lui deve essere in casa, e la logica suppone che da qualche parte ci sia anche Daria. Poi, quasi all'improvviso, si accorge della musica che arriva dallo studio di Shannon, la cui porta riesce a vedere bene dalla propria posizione. Non riesce a nascondere un sorriso quando riconosce le note che egli stesso ha scritto, e anche senza proseguire sa di poter tornare indietro, chiudere la porta, sedersi di nuovo in auto e assicurare ad Alice che va tutto bene. Certo, è vero che non ha visto né Shannon né Daria, ma sentire suo fratello suonare quella canzone può voler dire soltanto una cosa: i miracoli possono accadere. Non può sapere con certezza che cosa accadrà, perché nessuno può conoscere il futuro, ma su una cosa si sente protno a giurare: se Shannon sta suonando quella canzone, è sicuramente per Daria – e questo significa che suo fratello è ancora vivo, che il suo cuore non è spezzato come credeva, e che forse le cose, con molto impegno e molta fatica, si possono aggiustare.

    «...praying to see these Eden's eyes that saved me, praying to reach again your paradise2» concludo, eseguendo gli accordi finali della canzone. Non appena torna a regnare il silenzio mi sento strano, quasi imbarazzato, come se mi fossi appena risvegliato nudo sul palco del Kodak Theatre durante la notte degli Oscar. Persino una cosa semplice come alzare la testa per cercare lo sguardo di Daria mi sembra una fatica immensa, un gesto eroico che non mi sento degno di compiere. Ma subito dopo succede una cosa strana, una cosa che non avrei mai immaginato potesse accadere ancora: la mano di Daria si posa sulla mia guancia per una carezza delicata, incurante della barba ispida che le punge la pelle. È a quel punto che trovo la forza di alzare gli occhi, come se un semplice contatto della sua mano fosse in grado di rimettermi in sesto e far andare a posto ogni pezzo di questo puzzle così complicato. Ci guardiamo a lungo, in silenzio, e più di una volta ho la sensazione che stia per dire qualcosa, ma che, al pari di me, non riesca a trovare il coraggio. E poi, all'improvviso, sorprendendomi ancora una volta, Daria si china verso di me, e in quello che sembra un gesto al rallentatore degno di un grande film romantico, le sue labbra tornano a toccare le mie.

    «Se non li hai nemmeno visti, come fai a sapere che Daria sta bene?» Jared apre la porta di casa con uno sbuffo, alzando gli occhi al cielo. Da quando è risalito in auto per tornare indietro, Alice non ha mollato il tiro per un solo minuto, continuando ad insistere che dovrebbero invadere la casa di Shannon per salvare la sua amica, nemmeno fosse finita nel covo di un serial killer. «Solo perché l'hai sentito suonare la chitarra non significa che sia tutto a posto! Come fai a...»
    «Conosco mio fratello, va bene?» sbotta lui all'improvviso, incapace di trattenersi oltre. Si volta verso Alice di scatto, sorprendola al punto di farle fare un passo indietro. «Sono sicuro che va tutto bene perché conosco Shannon, e so che stava suonando quella canzone per lei perché quella canzone parla di lei, e non si sarebbe mai messo a suonarla se non per farla sentire a lei!»
    Dopo un attimo di smarrimento, Alice riprende coraggio. «Non alzare la voce con me, Jared! Non ti permetto di trattarmi così!» reagisce, avanzando fino a puntargli un dito contro il petto.
    «E allora tu non trattarmi come un deficiente!»
    «Non ti tratto come un deficiente! Sono solo preoccupata per Daria!»
    «Beh, puoi smettere di preoccuparti, perché Daria sta bene!»
    «Lascia che sia io a decidere se sta bene o meno! Sono la sua migliore amica!»
    «Essere la sua migliore amica non ti dà il diritto di controllarla a vista! È adulta, sa fare le sue...»
    «Non mi dire come devo comportarmi con lei! È la mia amica, e se...»
    «Forse dovresti smettere di pensare soltanto a lei e...»
    «Sei un egocentrico arrogante che pensa solo...»
    «Lasciati andare, una buona volta, e cerca di...»
    «Mi hai veramente rotto con il tuo...»
    «Un giorno aprirai gli occhi e...»
    «Non ti sopporto quando...»
    Jared e Alice sono sempre più vicini, ma nessuno dei due riesce a comprendere le frasi dell'altro, troppo impegnato ad alzare di più la voce per avere la meglio, finché lui pronuncia le parole che cristallizzano l'atmosfera, riportando il silenzio nella casa. «Perché io amavo la ragazza con cui parlavo al telefono!» Alice si blocca a metà della frase, chiedendosi se non abbia capito male – in fondo le parole si accavallavano, i toni erano acuti e aspri, e non è impossibile che abbia frainteso. Ma poi Jared, abbassando la voce, fissa gli occhi nei suoi, prendendole una mano. «Dov'è finita la ragazza con cui ho parlato per tutti questi mesi? Quella che amava ridere e non aveva paura di mostrarsi per quello che era? Perché io quella ragazza l'amavo davvero. Non passava giorno senza che pensassi a lei, anche solo per un secondo.»
Nel volgere di un istante, Alice si rende conto che raggiungere l'altra parte del mondo l'ha cambiata, anche se fino a questo momento non ne aveva avuto il minimo sentore. Abbassa lo sguardo, rendendosi conto suo malgrado che Jared ha ragione: per qualche strana ragione che non riesce a comprendere, cambiare continente l'ha resa diversa – e per una come lei, da sempre abituata ad essere onesta e chiara, questo è inaccettabile. Sfila la mano da quella di Jared, lottando contro se stessa per non sfogare le lacrime di rabbia che sente nascere dentro. «Ho bisogno... devo stare sola per qualche minuto, scusa» balbetta, superandolo per raggiungere la propria stanza, nella quale si barrica per dare finalmente sfogo a tutta la propria frustrazione.

    Doveva essere un bacio veloce, un semplice gesto atto a ringraziare Shannon per aver accontentato la mia richiesta, ma adesso che le mie labbra sono sulle sue non riesco più ad allontanarmi, come se qualcuno avesse sostituito il mio lucidalabbra con la supercolla. Quando finalmente riesco a ritrarmi, riaprendo gli occhi mi trovo davanti lo sguardo confuso di Shannon, che evidentemente non riesce a spiegarsi il mio comportamento – poco più di un quarto d'ora l'ho respinto e stavo scappando, e adesso... questo. Spero soltanto che non mi chieda perché, perché davvero non saprei trovare parole per spiegare la situazione. «E questo per che cos'era?» sussurra. Lo sapevo, sarebbe stato troppo bello potermene andare in silenzio.
    Scrollo appena le spalle, incerta su come rispondere. «Se devo essere sincera, non lo so. Forse l'ho fatto perché non riesco a dimenticare quanto ti ho amato» sussurro, accorgendomi che la mia mano riposa ancora sulla sua guancia ispida. Faccio per ritrarla, ma dimostrando ancora una volta dei riflessi sbalorditivi lui mi blocca, intrappolando le mie dita sotto le sue. Con la mano libera mette via la chitarra, poi si alza, arrivandomi così vicino che basterebbe allungarsi di pochi centimetri per baciarlo ancora.
    «Nemmeno io riesco a dimenticare quanto ti ho amato» sussurra, così vicino che riesco a sentire il suo respiro caldo sul viso. «Eppure ci ho provato, lo sai. Ci ho provato fin quasi a morirne.»
    «Ho perso il conto di quante notti mi sono messa a letto sperando di svegliarmi e scoprire che è stato tutto un sogno, sperando di... di non averti mai incontrato» mormoro, così nervosa e confusa da non avere più alcuna idea di che cosa stia dicendo. «Solo che poi mi sveglio, ogni mattina, e una parte di me spera di vedere il tuo viso sul cuscino accanto, ed è...»

    «Terribile?» completo, comprendendo perfettamente il suo stato d'animo.
    «A volte mi sembra di aver sbagliato tutto, con te. E non parlo soltanto di come ti ho lasciato, ma... a volte mi chiedo se sia stata una buona idea scriverti quell'e-mail, mi chiedo se forse non avrei dovuto...»
    «Il tempo che ho passato con te è stato il miglior tempo della mia vita» la interrompo, facendo risalire le mani verso il suo viso per stringerlo e costringerla a guardarmi. «Non rimpiango niente di quello che c'è stato tra di noi.» Siamo così vicini che basterebbe un minimo movimento per baciarsi ancora, ma nessuno dei due muove un muscolo, inconsciamente terrorizzato da quanto potrebbe succedere dopo.
    «Mandami via, Shannon. Per favore, mandami via» sussurra, e i suoi si velano ancora una volta di lacrime. Vederla in questo stato mi spezza il cuore, ma sarebbe una bugia tremenda dire che il pianto non renda i suoi occhi ancora più belli.
    «Non posso mandarti via, Daria» sussurro. «Non posso mandarti via» ripeto ancora, chiudendo gli occhi e poggiando la mia fronte alla sua. Spero che riesca a cogliere tutta la sincerità delle mie parole, perché mai come in questo momento mi sono aperto così di fronte ad una persona estranea alla mia famiglia. Soltanto lei riesce a spogliarmi di ogni difesa e di ogni maschera, soltanto con lei riesco ad esprimere davvero quello che sento. «Se ti mandassi via, so che ne morirei. Dal momento in cui te ne sei andata ho pensato di essere abbastanza forte, ho pensato di poter sopravvivere, ma la verità è che... è che tu sei diventata la sola cosa in grado di dare un senso alla mia vita.»

    Alice è chiusa in camera da poco più di un'ora, ma nonostante si sia ripromesso di aspettare che sia lei a cercarlo, Jared non riesce ad attendere oltre. Dopo aver camminato su e giù per il corridoio come un'anima in pena per almeno cinque minuti, si decide a bussare alla porta della camera della ragazza, restando in attesa di un qualsiasi segno di vita. Dopo un'attesa di mezzo minuto, decide di sfidare la sorte e aprire la porta, trovando Alice stesa sul letto immobile, con il viso rivolto verso la finestra. Il solo segno vitale riscontrabile è il flebile movimento delle sue spalle, che, Jared lo sa, indica una serie di controllati singhiozzi. Senza aspettare inviti avanza piano fino al letto, sul bordo del quale si siede cauto, pronto ad andarsene al primo segno di ostilità. Ma Alice non sembra nemmeno essersi accorta della sua presenza, perciò lui si sente autorizzato a procedere. «Mi dispiace di aver urlato» esordisce, guardandosi le mani. Le dà la schiena, eppure riesce senza sforzo ad immaginare i lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino e i suoi tratti deformati dalle lacrime. «Non avrei dovuto alzare la voce. Non mi piace nemmeno chi lo fa.»
    «E a me dispiace di averti dato dell'egocentrico arrogante che pensa soltanto a se stesso» sussurra lei, senza muoversi.
    «Ah, ma allora sei viva!» la prende in giro, voltando la testa verso di lei. Non arriva alcuna risposta, ma un lieve gemito soffocato lo avverte che è riuscito a farla ridere – e questa, lo sa, è già una grande conquista, visti i toni usati in precedenza. «Non avevi tutti i torti, comunque. Che sono un po' prepotente è vero.»
    «Sì, ma non avrei dovuto urlartelo in faccia.»
    «Ti dirò, ripensandoci non mi dispiace così tanto. Nel mio ambiente è raro trovare qualcuno che dica sinceramente quello che pensa.»
    «Comunque su una cosa hai ragione» riprende lei dopo un breve silenzio. «La ragazza con cui parlavi al telefono non è la stessa ragazza a cui hai stretto la mano in aeroporto.» Jared si volta completamente verso di lei, pronto a concederle la massima attenzione possibile. «Il fatto è che... non lo so, conoscerti di persona è stato... strano. Finché ti conoscevo soltanto per telefono potevo cullarmi nell'illusione che fossi un ragazzo come tanti altri. Solo che poi sono arrivata qui, ti ho visto e... mi sono resa conto che eri tu
    «Dicendo eri tu intendi...»
    «Mi sono resa conto che eri davvero Jared Leto, musicista di fama mondiale, attore, idolo delle ragazzine e signore e padrone di tutte le terre emerse.»
    «Non proprio di tutte. Mi manca la Groenlandia» scherza lui, strappandole un'altra risatina. «Io non fingo di essere ciò che non sono, Alice» riprende in tono più serio. «Se mi conoscessi bene, vedresti che sono esattamente come appaio. Quello che vedi è quello che c'è.»
    «Il problema non sei tu, Jared. Il problema sono io.»
    «Credo di aver di nuovo perso il filo.»
    Finalmente Alice si volta verso di lui, rivelando due occhi arrossati che mal si sposano con il tono serio che cerca di adottare. «Il fatto è che quando parlavamo e basta io ero me stessa, ma adesso che siamo insieme... non so se ci riesco ancora. Non che mi comporti in maniera completamente diversa, è solo che... non lo so, è solo che mi sembra di essere diversa, quando sono con te.»
    «Se è per quello che ho detto prima, non...»
    «Non è per questo» lo interrompe lei, mettendosi a sedere. «Ho soltanto paura che tu possa farti di me un'idea diversa dalla realtà, e che...»
    «Nonostante quello che ho detto prima, finora non ho visto nulla di diverso, in te» la interrompe a sua volta lui, alzando una mano per accarezzarle i capelli. «Sì, è vero, abbiamo passato insieme poco tempo e sicuramente non posso dire di conoscerti, ma... quando ti guardo, io sono sicuro di vedere quello che sei. Niente di più, niente di meno. Solo quello che sei.»

    «Ti farò ancora del male, Shannon. Ne sono sicura. Ti farò ancora del male» mormora ancora Daria, senza tuttavia allontanarsi da me.
    «Adesso so come comportarmi» rispondo, staccando la fronte dalla sua e stringendo appena le mani sul suo viso per farle sentire la mia vicinanza.
    «Shannon, per favore» insiste ancora, aprendo finalmente gli occhi.
    «Io non ti lascio andare da nessuna parte, Daria» replico, risoluto come non mai. «Santo cielo, ma come devo dirtelo che ti amo?» I suoi occhi si chiudono di nuovo, mentre la mente tenta di recepire la notizia. Un attimo di silenzio, poi si alza in punta di piedi, cercando di nuovo la mia bocca, che questa volta riesce a rispondere subito, facendosi avida, stanca di potersi affidare soltanto alla memoria. Le mani scivolano lente sulla sua schiena, stringendola tanto da toglierle il fiato. Continuo a ripetermi che dovrei essere delicato, ma non riesco ad impedirmi di stringerla con tutte le mie forze: dal momento in cui l'ho conosciuta ho saputo che il solo posto in cui Daria debba stare sono le mie braccia.

    Non ho idea di come succeda, ma so per certo che non voglio smettere di baciarlo, e non soltanto perché mi ha detto che mi ama. Lo bacio perché baciarlo è la cosa giusta da fare, la sola cosa che abbia importanza. Ho passato gran parte della mia vita commettendo errori, e ora che ne ho finalmente l'occasione voglio iniziare a rimediare. E se rimediare significa finire di nuovo offrirgli il mio cuore, i miei difetti e le mie debolezze su un piatto d'argento, allora è questo che farò.
    Lente e piene di dolcezze, le sue mani si muovono sulla mia schiena: sento il loro calore scendere lungo la mia spina dorsale, fermandosi appena sopra il fondoschiena, ma nulla al mondo potrebbe convincermi ad allontanarmi – posso raccontarmi tutte le bugie del mondo, ma tutto questo mi è mancato come l'aria, in questi mesi di niente. Non soltanto il contatto fisico, non soltanto il sesso, ma la consapevolezza di avere accanto qualcuno che mi ama per quella che sono, qualcuno che apprezza ogni mia piccola imperfezione, e che è disposto a tenermi nella sua vita nonostante i miei errori, nonostante le ferite e il male che gli ho fatto.
    «Non vado da nessuna parte» sussurro nell'istante in cui le sue mani si infilano subdolamente sotto la mia maglietta, iniziando a sollevarla a partire dai fianchi. «Non vado da nessuna parte senza di te.» La stoffa continua a risalire, e con essa le dita di Shannon, che percorrono ogni centimetro con una lentezza estenuante. Tremo dalla testa ai piedi, esattamente come la prima volta che mi sono spogliata davanti a lui – è incredibile come la consapevolezza di quanto stia per accadere non riesca a cancellare i miei timore, il mio imbarazzo, quell'assurda e inconscia convinzione di non essere abbastanza per lui.

    «Mi sei mancata» sussurro a mia volta, staccandomi da lei per il tempo necessario a sfilarle la maglietta. Resto fermo a guardarla per un momento, mentre lascio cadere l'indumento lontano e torno ad abbracciarla. «Non avere paura» sussurro ancora, posando le labbra sul suo collo.
    «Non ho paura» risponde con un lieve gemito, aggrappandosi alle mie spalle con tutta la forza di cui è capace.
    «Non mentire» replico, continuando a baciarla. Se non la conoscessi potrei anche cascare nella sua maldestra trappola, ma conosco troppo bene il suo carattere, e sarei uno stupido se pensassi che non sta morendo di paura. «Lo sai, puoi dire basta in ogni momento.»
    Le sue mani risalgono tra i miei capelli, e a quel contatto mi fermo per un istante, respirando lento contro la sua pelle. Prima di lei, raramente sopportavo che mi si toccassero i capelli, ma la sua delicatezza riesce a rendere amabile anche quel gesto, al punto da riuscire ad eccitarmi quasi più di ogni altra carezza. «Mi conosci troppo bene» sussurra, lasciando che le mie mani raggiungano il suo sedere senza protestare. La stringo contro di me, prendendomi un secondo per imparare di nuovo ad apprezzare la sensazione del suo seno premuto contro il mio petto, poi, con un minimo sforzo, la sollevo tra le mie braccia.

    Durante il percorso tra lo studio e la camera da letto rischiamo più volte di cadere e sbattere contro i muri, impegnati come siamo a baciarci come adolescenti innamorati. Quando Shannon mi adagia sul suo letto e rimane in piedi a guardarmi vorrei protestare, perché ora che ricordo cosa significa stare con lui non vorrei che mi stesse lontano nemmeno un secondo. Lo guardo sfilarsi lesto la maglietta per lasciarla cadere a terra, e poi il suo sguardo si fissa di nuovo su di me, quasi volesse essere certo di avere di fronte la ragazza giusta. Quando decide di raggiungermi, non ho più molto tempo per pensare: la sua bocca torna a prendersi la mia, avida e irruente, e senza sforzo riesce a convincermi ad allargare le gambe per fargli spazio. Non so come le sue mani arrivino ai miei jeans, ma in men che non si dica mi ritrovo in mutande di fronte a lui, ed è in questo momento che mi rendo conto che davvero non andrò da nessuna parte. Le sue labbra scendono sensuali lungo il mio corpo, intervallando baci e sospiri, e quando la sua mano ruvida e piena di calli si chiude sul mio seno prego che questa tortura finisca presto, perché non so quanto potrò resistere. Nel momento in cui mi convince ad inarcare la schiena per sfilarmi il reggiseno mi convinco a partecipare all'azione, e per questo cerco alla cieca la cintura dei suoi jeans, decisa a spogliarlo prima che la razionalità torni a prendere il sopravvento. Sentire la sua eccitazione fa crescere anche la mia, e non appena mi è possibile torno a stringerlo contro di me, desiderosa più che mai che torni a farmi sua ancora una volta.
    Nel groviglio di gambe, braccia e mani che siamo diventati, la sua mano si fa strada tra di noi, scostando le mie mutandine, e prima che me ne renda conto le sue dita scivolano dentro di me, strappandomi un lieve gemito. «Mi sei mancata da morire» sussurra ancora, muovendosi dentro di me con una lentezza che mi avvicina sempre di più al limite. Non tento nemmeno di resistere, consapevole che non servirebbe a nulla, e poco dopo mi lascio andare al piacere, reclinando la testa all'indietro. Quando sento arrivare l'orgasmo non mi preoccupo di trattenermi, e mentre lascio che mi baci ancora il collo stringo forte le sue spalle, affondando le unghie fino a fargli male. «Dio, quanto mi sei mancata» respira contro di me, facendomi scivolare via la biancheria e seguendone il percorso, marcando ogni piccola tappa con un bacio delicato. Il suo respiro caldo solletica la mia intimità, e di nuovo mi sembra di perdere la testa: è incredibile come ogni minimo gesto riesca a farmi sentire una regina, ed è ancora più incredibile che io abbia rinunciato a tutto questo soltanto per paura.

    Il secondo orgasmo di Daria mi fa temere, per la prima volta nella vita, di non riuscire a resistere abbastanza a lungo: guardare il suo volto sconvolto dal piacere è più eccitante di quanto ricordassi, e il silenzio rotto dai suoi sospiri e dai suoi gemiti è il solo suono che abbia voglia di ascoltare per il resto della vita. Mi sollevo da lei per un istante, per darle un attimo di respiro e per concedere anche a me stesso un attimo di tregua, e approfitto di questo momento per allungarmi verso il cassetto del comodino e prendere un profilattico. Le sue mani iniziano ad abbassare la biancheria, e mi stendo sull'altro lato del letto per completare l'operazione e indossare la protezione. Quando mi volto verso di lei, la sua mano sale a carezzare la mia guancia, e l'improvvisa sicurezza del suo sguardo mi costringe a rimangiarmi la domanda che stavo pensando di farle. Abbasso per un istante gli occhi, facendoli correre lungo il meraviglioso corpo steso accanto al mio, e in un gesto delicato e naturale le accarezzo la coscia, convincendola a voltarsi completamente verso di me e a stringere la sua gamba attorno a me. Le nostre intimità si scontrano, e per un tempo infinito ce ne stiamo l'uno accanto all'altra, quasi immobili, godendoci un meraviglioso attimo di pace, una straordinaria sensazione che da troppo tempo mancava dalle vite di entrambi. «Dicevi sul serio, prima?» sussurra, senza smettere di accarezzare la mia guancia irta di barba. «Quando hai detto che mi ami, dicevi sul serio?»

    «Ho iniziato ad amarti quando mi hai spinto in quel negozio di abbigliamento per evitare il tuo ex ragazzo» risponde a voce bassa, senza smettere di far correre la sua mano lungo la mia coscia. «E in tutta sincerità, credo che non riuscirò mai a farla finita, con te.» Come risposta è più che sufficiente, anche per una ragazza insicura e piena di paure come me. Mi allungo verso di lui per baciarlo, mentre lui scivola dentro di me con delicatezza, aiutandosi con una mano. Resto senza fiato per un istante, mentre Shannon si spinge lentamente dentro di me, facendomi capire che non sono bastati né il tempo né la lontananza né il dolore per dividerci.
    Approfitto della sua guardia abbassata per prendere il sopravvento ed ergermi sopra di lui, poggiandogli una mano sul petto per mantenere l'equilibrio. Chiudo gli occhi e lascio che sia lui a dettare il ritmo, a decidere i movimenti. Lascio che sia lui a comandare, a fare di me ciò che preferisce, perché dal momento in cui ha posato gli occhi su di me sono stata sua, e nulla di ciò che potrei dire o fare cambierà mai questa condizione.

    Alice e Jared se ne stanno distesi immobili l'uno accanto all'altra, fissando il soffitto. «Quella cosa che hai detto prima» dice all'improvviso lei, spezzando il lungo silenzio che si è creato nella stanza. «Era vero o lo hai detto soltanto per irritarmi di più?»
    «Quale cosa? Ne ho dette tante.»
    «Sai perfettamente a cosa mi riferisco. Parlo di quando hai detto che amavi la ragazza con cui parlavi al telefono. Lo hai detto perché ci credi davvero o era soltanto un modo per farmi incazzare di più?»
    «Lo pensavo davvero» risponde Jared dopo un breve silenzio. «Quelle chiacchierate sono diventate una parte importante della mia vita, e di conseguenza lo è diventata anche la persona con cui chiacchieravo.»
    «Quindi sei innamorato di me?»
    «Credo di sì.»
    «Quindi adesso che succede?»
    «Che intendi?»
    «Beh, io non so se ti amo. Mi piaci molto, questo è vero, ma dire che...»
    «Non voglio che tu dica che mi ami solo perché io ho detto che ti amo.»
    «Ma come fai ad essere sicuro di amarmi? Nemmeno mi avevi mai vista, fino a tre giorni fa.»
    «Non lo so» sospira lui, senza muoversi. «Tutto quello che so è che quello che provo quando sono con te non somiglia a niente di quello che ho mai provato in vita mia.»
    Il silenzio cala di nuovo sulla stanza e la fa da padrone per un lunghissimo minuto. «Non voglio finire come Daria e Shannon» dice lei all'improvviso. «Non voglio starmene chiusa in casa a chiedermi in quale parte del mondo sei e a struggermi pensando ai milioni di ragazze che ti si strusciano addosso quando vai alle feste. Non è roba per me. Ho passato gli ultimi cinque anni della mia vita così. Non voglio ripartire da zero proprio adesso che ho deciso di voltare pagina.»
    «E io non ti sto chiedendo di farlo.»
    «Quindi restiamo amici?»
    «Non potrò mai essere tuo amico, Alice.»
    «Quindi adesso che succede?» ripete lei, vagamente spaventata di fronte all'incerto destino che vede di fronte a sé. È sempre stata una ragazza abituata ad avere un piano, e ritrovarsi all'improvviso piena di dubbi e incertezze non le piace nemmeno un po'.
    «Non lo so, Alice. Non ne ho la minima idea.»

    Daria si è addormentata e pochi istanti dopo si è voltata sul fianco destro, come fa spesso. Di nuovo felice e sereno come non mi capitava di essere da secoli, sollevo una mano per accarezzare il suo tatuaggio. Percorro ogni simbolo con la punta dell'indice, cercando di non svegliarla. Arrivato in fondo non riesco ad impedirmi di sorridere, certo che da adesso in poi tutto andrà per il meglio. La circondo con le braccia, e prima di chiudere gli occhi poso un bacio leggero sui glyphics che spiccano nitidi contro la sua pelle chiara: ho di nuovo con me la cosa più preziosa che abbia mai posseduto, e non mi sentirò mai più sperduto.



1Tutto muore, ma tu sei la cosa più cara che ho. | Il titolo del capitolo è ispirato ad un verso della canzone E... di Vasco Rossi, contenuta nell'album Buoni O Cattivi (2005).
2Praying to see these Eden's eyes that saved me, praying to reach again your paradise. | Si tratta di un altro verso della canzone da me inventata (che, per rispondere alle domande di alcune di voi, sì, più o meno esiste, ma vive, per vostra fortuna, soltanto tra la mia mente e i miei appunti). La traduzione è più o meno questa: “Pregando di vedere quei divini occhi che mi hanno salvato, pregando di raggiungere ancora il tuo paradiso”.
   
 
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