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Autore: Lalley    02/01/2009    1 recensioni
Pensavo che la mia fosse morte. Anzi, no. Se fosse stata morte sarei stata fortunata. La mia era dannazione. Non era vita, ma un’esistenza inutile. In fondo, io non dovevo neanche più esserci su questo mondo. La mia era una condanna, una maledizione eterna. Avrei dovuto esistere per sempre. E quando puoi vivere in eterno, non c’è nulla per cui vivere davvero.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Pensavo che la mia fosse morte

Capitolo 1

La visione•

Tutto questo tempo a chiedermi
Cos'è che non mi lascia in pace
Tutti questi anni a chiedermi
Se vado veramente bene
Così
Come sono
Così…

 

Qualcosa che non c’è_Elisa

 

 

Passai lentamente l’indice sul mio labbro superiore per poi portarlo alla bocca. Il dolce sapore del sangue mi diede nuovamente alla testa, ne avrei voluto ancora, ma purtroppo quella era l’ultima goccia. La assaporai lentamente, conscia che ne avrei potuto riavere solo alla caccia successiva. Perciò avrei dovuto attendere un’altra settimana.

Il vento mi spettinò i lunghi capelli castani e mi portò l’odore dei miei fratelli in avvicinamento. Riaprii gli occhi, tenuti chiusi fino a quel momento, rivelandone il colore oro-ambrato. Colore particolare non solo tra gli umani, ma anche tra i vampiri. La causa era la dieta che seguivo con la mia famiglia, cioè esclusivamente a base di sangue animale. Tra la nostra specie eravamo noti come “i vegetariani”. Ma a me non importavano i commenti della gente.

Io non volevo essere un mostro assassino. Non volevo uccidere gli uomini. Perciò l’unica fonte di sopravvivenza era il sangue degli animali, ed io accettavo questa condizione senza problemi. Pur di non sfiorare un umano avrei fatto di tutto.

Rapida come sempre, apparve mia sorella al mio fianco. Non eravamo “parenti” come nel vero senso della parola, ma io consideravo il mio clan come una famiglia. Tutti erano per me come dei fratelli e Carlisle ed Esme, il vampiro che mi aveva trasformata ed istruita e la sua compagna, come dei genitori.

«Andiamo?» chiese la minuta vampira.

Era bassina, coi i capelli castano scuro corti e spettinati e aveva stampato sulle labbra un sorriso. Annuii.

«Ok, Alice.» risposi rialzandomi.

«Emmett e Rosalie rimarranno ancora un po’ in giro, Jasper ci sta raggiungendo e Carlisle ed Esme sono quasi già arrivati a casa, perciò possiamo partire.» mi spiegò velocemente mia sorella.

«Ok» ripetei.

Rimanemmo ancora un attimo ferme a fissarci, per poi partire improvvisamente verso il fitto della vegetazione quasi in contemporanea. La sentii ridere mentre sfrecciavamo tre le piante.

Essere un mostro aveva anche i suoi lati positivi: potevi correre ad una velocità paurosa senza mai provare stanchezza o dolore, e allo stesso tempo senza avere il timore di inciampare o sbattere contro un albero. Anche se quasi sicuramente se fossi caduta contro una sequoia avrebbe sofferto più lei di me…

«Ehi, Bella! Jasper cambierà strada, perciò che ne dici di una piccola gara a chi arriva prima a casa?».

Sorrisi. Alice aveva il dono della preveggenza, anche se limitato e soggettivo. Aveva di sicuro già scoperto la vincitrice della competizione…

La osservai mentre mi guardava sorridendo. Forse stava bluffando…

«Va bene. Preparati a tenermi testa!» le dissi prima di lanciarmi con maggiore velocità verso casa nostra. Mancavano solo un centinaio di chilometri alla meta. Avevamo tutto il tempo per divertirci.

In poco tempo la distanziai senza problemi. Con lei era sempre facile vincere, perciò mi concentrai maggiormente sulla corsa. Se mi aveva sfidato, ciò voleva dire che mi aveva già visto perdere. Non volevo dargliela vinta, avrei battuto anche le sue previsioni.

Gli alberi mi sfrecciavano a fianco, mentre correvo con ancor maggiore velocità. La vegetazione stava diminuendo sempre di più. Stavamo per abbandonare il bosco. Sfoderai un sorriso vittorioso. Stavo per abbandonare il bosco, perché mia sorella era sicuramente molto più indietro rispetto a me. E avrei vinto nuovamente.

Sfioravo appena il suolo con i piedi ed ero praticamente invisibile data la velocità. All’orizzonte cominciai ad intravvedere la villa bianca, casa Cullen. La mia casa.

Ci eravamo trasferiti da poco più di due anni dall’Alaska a Forks, una piovosa cittadina dello stato di Washington perennemente annuvolata. Un paradiso per noi vampiri che potevamo uscire anche di giorno senza alcun timore. Infatti, la nostra pelle alla luce del sole brilla e sarebbe difficile tenere segreta la nostra natura agli umani in una città come Phoenix o San Francisco. Meglio quel piccolo paese anonimo e umido. Più che perfetto.

In pochi secondi mi trovai vicina all’entrata con un’espressione esultante. Ebbene sì, ero la vincitrice. Diedi le spalle alla porta e, incrociando le braccia, mi misi ad aspettare l’arrivo di Alice.

Non si fece attendere molto. In pochi minuti la scorsi all’orizzonte mentre correva a tutta velocità e, attendendo un’ulteriore manciata di secondi, mi raggiunse. Sorrideva ancora, forse della mia espressione fin troppo esultante.

«Allora? Chi ha vinto?» le domandai facendo la sbruffona.

La vidi aprire la bocca, per poi bloccarsi con aria assente. Un’altra visione.

Accorsi prendendole la mano.

«Che c’è Alice? Che vedi?» le chiesi preoccupata. L’espressione di mia sorella era atterrita, mi guardava con gli occhi sgranati, trapassandomi.

«ALICE! COSA VEDI?» le domandai urlando, angosciata. La presi per le spalle e la feci sedere per terra per poi mettermi accanto a lei. Era immobile, terrorizzata, e non mi rispondeva.

Cercai di calmarmi. Non dovevo farmi prendere anch'io dal panico. Si sarebbe ripresa in poco tempo e mi avrebbe raccontato tutto…  

Feci un respiro profondo e appoggiai la sua testa sulla mia spalla per poi dondolarla.

«Tranquilla… non è niente, Alice. Tranquilla…» le sussurravo all’orecchio.

Odiavo vederla così. Mi sentivo impotente.

La sentii lentamente sciogliersi e riprendersi. I suoi occhi dorati, però, rimasero terrorizzati.

«Alice stai meglio?» chiesi nuovamente.

«Tu domani non mi lascerai un secondo, ok?» mi disse in risposta. Era ancora shockata.

La aiutai a rialzarsi.

«Ok, e perché?» domandai dubbiosa.

«Niente, ti basti sapere questo. È per il tuo bene.»

«Va bene.» risposi senza insistere accompagnandola all’entrata.

Se Alice faceva così, difficilmente avrei ottenuto altri particolari. Ma avrei obbedito.

Probabilmente mi sarebbe successo qualcosa di terribile se non le avessi dato ascolto e, quindi, non ci tenevo a disubbidire…

La vidi appoggiare una mano sulla porta e cominciare a ridere come una pazza. La guardai stranita. Cos’era, appena impazzita? Sembrava davvero non dovesse finire più, ma ad un certo punto smise e mi guardò con aria divertita, appuntando i suoi occhi nei miei.

«Avevo detto che avrebbe vinto chi fosse arrivata per prima a casa, perciò…».

Non capii subito, ma poi cominciai a ragionare. Brutta, piccola, truffatrice…

«Allora, Bella? Chi ha vinto?» la sentii dire per prendersi gioco di me mentre entrava in casa ancora ridendo.

Stavo per cominciare a rincorrerla quando ripensai alla sua visione, al terrore nei suoi occhi. E tornai a preoccuparmi…   

 

  
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