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Autore: zappolo70    16/05/2015    14 recensioni
ATTENZIONE: storia già pubblicata fino al capitolo VII ora completata (12 capitoli). Si avvisa che TUTTI i capitoli sono stati rimaneggiati e sono stati aggiunti riferimenti temporali per aiutare a seguire più agevolmente il dispiegarsi della storia.
La storia propone un what if inusuale e grande come una casa. Una rilettura personale della storia di Oscar e Andrè che mantiene grossomodo l’ossatura della storia e l’evoluzione temporale, anche se non fedelmente per esigenze narrative, stravolgendone però l’interpretazione alla luce di un presupposto nuovo.
Buona lettura a chi vorrà cimentarsi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi di Lady Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di Ryoko Ikeda.

II - 14 Luglio 1788

E' finito il tempo. Si spengono a una a una le stelle e la notte si fa man mano meno buia, come un pesante sipario che si alzi sul palco del teatro con indolente lentezza, quasi opponendo resistenza alla messa in scena dell'ultimo atto di una tragedia che per definizione non potrà avere il lieto fine che taluni auspicherebbero.

Si passa le mani sul viso ad asciugare le lacrime, vestigia della notte tribolata, una veloce occhiata alla sua figura riflessa nello specchio sopra la toeletta cambia il dubbio in certezza: lui non impiegherà che uno sguardo per capire che qualunque cosa lei si aspettasse da quel ballo, il risultato si è rivelato molto lontano dalle aspettative.

Sente le gambe vacillare. Nel tentativo di darsi un contegno, cerca il sostegno della poltrona sulla quale si lascia cadere mollemente, il capo reclinato all'indietro e gli occhi chiusi, in attesa. Non deve rimanere in ascolto a lungo prima di sentire l'inconfondibile scalpiccio degli zoccoli del cavallo che risalgono al passo lo spiazzo di ghiaia antistante le stalle. Le sembra un ritmo stanco, quasi che per osmosi la povera cavalcatura avesse assorbito lo stato d'animo del suo cavaliere.

Poi sono i suoi passi incerti negli stivali di cuoio, quasi strascicati, quelli che sente lungo lo scalone di marmo che porta dritto davanti alla camera di lei, all'imbocco del corridoio che prosegue a sinistra verso l'ala del palazzo adibita agli alloggi della servitù. Benché dia le spalle all'ingresso, non le è difficile cogliere la sua presenza oltre la porta, lasciata volutamente socchiusa, non appena il rumore del suo incedere scomposto cessa di colpo. Allora lo chiama.

«Andrè...»

Si era sforzata di usare un tono normale, ma la voce era uscita strozzata assumendo un suono a metà fra la supplica e l'imposizione.

Lui indugia perplesso. Istanti interminabili, amplificati dal silenzio assoluto del palazzo assopito. L'urgenza nella voce di lei nel pronunciare il suo nome lo ha messo in uno stato di allerta. Poi la curiosità ha la meglio.

«Vieni Andrè, entra pure, devo parlarti».

Il tono è quasi carezzevole ora e lui fiuta sempre più il pericolo. Troppo tardi. Si dirige a passi insicuri verso l'ampia finestra, guidato dalla luce fioca delle poche candele e dal flebile chiarore che comincia a filtrare dall'esterno. La percepisce sprofondata nella poltrona, di spalle, i capelli scomposti che ricadono oltre lo schienale. La oltrepassa senza voltarsi fino ad arrivare al grande camino, solo allora solleva lo sguardo a cercare quello di lei. E lo trova.

Rimangono a fissarsi per attimi interminabili, in una conversazione che racconta tutto all’uno della serata dell’altro, nel linguaggio muto che condividono da sempre, finché è lui a rompere il silenzio dopo averle rivolto un cenno impercettibile a voler significare di aver compreso tutto quello che c'era da comprendere.

«La tua serata non è andata come speravi».

Nonostante lei se lo aspettasse e l’avesse previsto, riesce sempre a sorprenderla quella sua capacità di leggerle dentro.

«Non è di questo che volevo parlarti».

E’ la conferma che il pericolo è reale e lui si sente stretto all’angolo. Deve assolutamente trovare il modo di andarsene da lì al più presto.

«Oscar… sono molto stanco oltre che molto ubriaco, ne parleremo domani. Io vado a dormire»

Un tentativo disperato di svincolarsi, ma lei non mollerà la presa. Lui lo sa, conosce bene la sua caparbietà e sa che quando si mette in testa qualcosa niente e nessuno riuscirebbe a distoglierla dal suo obiettivo, qualsiasi esso sia.

E stasera il suo obiettivo è ucciderlo. Oramai gli è chiaro, come gli è chiaro che niente e nessuno verrà a salvarlo. Il dubbio si era insinuato già prima di entrare ma poi….poi l’aveva guardata e quello che aveva percepito non era ciò che si era aspettato di trovare. Aveva visto negli occhi di lei ancora gonfi di pianto, tutto il dolore del rifiuto dell’altro, ma c’era di più, c’era una sorta di risolutezza ma anche di paura, un sentimento che si faceva fatica ad associare ad Oscar. Eppure c’era, era lì, quasi palpabile, reso ancora più evidente dal suo tentativo di nasconderlo dietro a un atteggiamento di ostentata sicurezza che non le aveva fatto ancora distogliere lo sguardo da quello di lui.

Lei aveva preferito offrire il fianco, lasciare che lui vedesse il dolore e la delusione, e soprattutto lasciargli credere che fosse dovuto all’impossibilità di essere ricambiata dallo Svedese. Un’interpretazione ben lontana dalla realtà, ma a quale altra conclusione avrebbe mai potuto arrivare lui? Lui che non aveva idea dell’altra verità, quella che lei aveva scelto di tacergli e che invece tante volte avrebbe voluto urlargli, tanto faceva male tenersela dentro, come adesso.

«Perché esci e torni ubriaco quasi tutte le sere, Andrè? »

Come se lui potesse risponderle.

«E come faresti a saperlo? Mi controlli? E tu? Perché sei andata a quel ballo Oscar? »

Le rende pan per focaccia, sa che anche lei non può rispondere. Semplicemente ci sono domande che non si fanno, è sempre stato così tra loro, e ora entrambi sono consapevoli di aver contravvenuto ad una regola non scritta che rischia di portarli su un terreno insidioso ed entrambi sanno che non è il caso di addentrarvisi.

Lei si alza dalla poltrona e fa qualche passo fino a raggiungere la vetrata dell’enorme finestra. Preferisce dargli le spalle, guardarlo ora le toglierebbe il coraggio di continuare.

«Volevo informarti che lascerò la Guardia Reale. Domani comunicherò la mia decisione alla Regina e rimetterò a lei l'assegnazione a un nuovo incarico»

«Come vuoi tu Oscar. Come dicevo sono molto stanco, andrei a letto. Buonanotte.»

«Aspetta, non ho finito. Qualunque sarà l'incarico che mi verrà assegnato, ho deciso di fare a meno del tuo aiuto Andrè. Voglio imparare a reggermi sulle mie gambe, bastare a me stessa».

Gira appena la testa verso di lui e resta in attesa di una replica che tarda ad arrivare. La stanza è pervasa da un silenzio assordante. Dopo attimi interminabili, è una risata sguaiata e nervosa quella che rompe il silenzio.

«Dio mio Oscar, la tua serata deve essere andata davvero storta. Forse un abito non è l'arma di seduzione che più ti si addice, avresti dovuto invitarlo a battersi a duello con la spada piuttosto. Non avrebbe avuto scampo, credimi, del resto io ne so qualcosa, no?».

Voleva provocarla, ferirla come si era sentito ferito lui dalle sue parole, un paio di frasi concise che suonavano come una condanna. Aveva sputato la sua risposta tutto d'un fiato, a pugni serrati e ad occhi chiusi tentando di addomesticare la rabbia senza in realtà volerlo veramente.

Quando riapre gli occhi se la ritrova davanti, a un passo, gli occhi sgranati e increduli, solo allora realizza la portata di ciò che ha detto e capisce di aver oltrepassato il limite. Da quando era successo il fatto, tredici anni prima, non aveva mai neanche accennato all'accaduto, glielo aveva imposto lo sguardo di fuoco che lei gli aveva rivolto subito dopo. Doveva fingere che nulla fosse successo, aveva compreso fin troppo bene che in caso contrario lei l'avrebbe allontanato da sé. Per restarle accanto aveva finto per tutto quel tempo, assecondando la sua muta richiesta, soffocando i propri sentimenti ogni giorno. Per non perderla, per averla nell'unico modo possibile. E ora stava accadendo ugualmente. Nonostante lui avesse tenuto fede al "patto", lei lo voleva fuori dalla sua vita, come una cosa che ha fatto il suo corso e che non serve più. Perciò non aveva più motivo di tacere, in fondo non era servito a nulla. Allora glielo aveva voluto ricordare cos'era successo, con quella frase vomitata addosso con rabbia, voleva farle sapere che lui non aveva mai dimenticato.

La sua reazione è fulminea e lui sente la guancia bruciare tanta è stata la violenza dello schiaffo. E' un crescendo la rabbia di lei che ora lo afferra per il collo della camicia e lo strattona con veemenza «Non avresti dovuto dirlo, non avresti dovuto! Vattene!».

Poi, come la risacca dell'onda che infrangendosi contro gli scogli perde potenza trasformandosi in innocua spuma, l'impeto si placa davanti alla mancanza di reazione di lui che ora pare altrove, immerso nella dimensione di un ricordo lontano e lei non può fare altro che raggiungerlo laggiù, nel pomeriggio di un giorno di primavera di tredici anni prima.

  
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