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Autore: Aagainst    16/05/2015    3 recensioni
Angel ha diciannove anni e una vita di inferno.
Angel non ha mai avuto il coraggio di ribellarsi ai suoi aguzzini e, soprattutto, non ha mai avuto il coraggio di provare a cambiare la sua condizione.
Angel ha diciannove anni ed è stanca.
Angel ha diciannove anni ed è pronta a ribellarsi.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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7.
 
Sono le cinque del pomeriggio. Mi preparo per uscire e andare al lavoro. Il mio capo mi ha chiamata e mi ha informata che il posto non l'ho perso, nonostante ciò che è successo. Come se fosse stata colpa mia e non di quel pazzo che mi ha assalita, ovvio. Devo ammettere che, da quando sono al rifugio, mi sto rendendo conto di diverse cose.
Innanzitutto, sto finalmente imparando ad accettare il fatto che potrebbero essere anche gli altri la causa del mio malessere. È un'ipotesi nuova per me. Finora mi sono sempre addossata colpe per ogni, singola cosa. Iniziare a pensarla diversamente è una novità.
In secondo luogo, sto aprendo gli occhi su quanta gente subisca ingiustizie senza muovere un dito, me compresa. Non ha senso vivere da duri quando si è con gli amici e non ribellarsi a ciò che non è giusto. È da vigliacchi, da accomodanti, da ignavi. E Dante gli ignavi li ha inseriti all'Inferno.
«Dove vai?» mi chiede Jane, curiosa.
«A lavorare.» rispondo, un po' mesta a dire il vero.
«Noto il tuo entusiasmo.» osserva sarcasticamente la punk.
«Già.» mormoro. Mi sento proprio a terra al solo pensiero di dover andare a lavorare in quel lurido pub, in mezzo a quella gente sbronza e puzzolente. 
«Se ti succede qualcosa chiamaci pure.» mi rassicura la ragazza. Io annuisco, poco convinta. 
«Ah, non preoccuparti per Mitch, ci pensiamo noi.» afferma. Faccio un sospiro di sollievo: almeno non sarò costretta a portarlo in quello schifo di locale. 
Saluto Jane e mi avvio verso il pub. Entro e subito Karen, l'altra cameriera, mi squadra dall'alto al basso. 
«Ma dov'eri finita?» chiede con aria smorfiosa. Chiudo gli occhi, inspiro ed espiro. Non posso permettermi di risponderle male.
«Pensavo sapessi che sono stata aggredita qui al locale.» dico, fredda.
«Sì, tre sere fa, lo so.» si secca.
«Però potevi tornare a lavorare prima di oggi. Anche se non capisco come non ti abbiano licenziata, hai fatto un tale casino.». 
Mi trattengo, a fatica, dallo sbatterle la testa al muro e continuo a lavorare. L'orario di apertura si avvicina e io non sono pronta ad affrontare nuovamente tutto questo. 
«Sbrigarsi, su! Tra qualche minuto apriamo e i tavoli non sono ancora sistemati!» si innervosisce il nostro capo. È un uomo magrolino, viscido e puzzolente. Lo odio, ma almeno non mi ha licenziata dopo il casino dell'altra sera. Faccio appena in tempo ad apparecchiare l'ultimo tavolo, che subito apriamo. Il pub si riempie immediatamente di gente. L'orario di apertura mi piace anche abbastanza, almeno ci sono famiglie con bambini e non solo luridi ubriaconi. Purtroppo il tempo passa in fretta e la situazione cambia. 
Cammino per il locale tra ordinazioni e servizi e mi sento sporca e in gabbia. Vorrei solo urlare, ma non posso. Corro in cucina e esco dal retro, rifugiandomi in strada. Mi accuccio al muro, inspirando ed espirando profondamente. Mi sento alienata, totalmente fuori posto. 
«Tutto a posto?» chiede una voce. Mi volto di scatto. Phil, l'altro cameriere, mi scruta, preoccupato.
«Sì, sì, tranquillo.» rispondo frettolosamente, troppo impegnata a incamerare ossigeno.
«Sei pallida. Vuoi dello zucchero?» mi propone. Lo guardo, diffidente: non mi ha mai proposto nulla e non mi sento per niente a mio agio.
«Ti porto dell'acqua e zucchero se ti va.» continua. 
«Io...» tentenno. Phil si reca in cucina e torna fuori dopo qualche minuto, portando un grosso bicchiere pieno di acqua torbida. 
«Ehm... Guarda, fa lo stesso.» provo a rifiutare. 
«Solo un sorso.» insiste il ragazzo, sorridendomi. Lo ricambio, nervosa, e ne bevo un sorsetto, sputandolo subito dopo. 
«Che roba era?» mi infurio.
«Acqua e zucchero.» risponde il mio collega.
«Non dire stronzate! Che volevi fare? Drogarmi?» urlo, in lacrime, spingendolo verso il muro.
«Sei un maiale!» affermo, lapidaria. 
«Sei così bella.» mormora, toccandomi il braccio. Rabbrividisco e faccio per allontanarmi, ma lui mi afferra per il braccio. 
«Lasciami andare!» esclamo.
«Non potrei mai.» ribatte, avvicinandomi sempre di più. 
«T-ti p-prego, l-lasciami.» balbetto, spaventata. Ora ho davvero paura. Inizia a toccarmi e io, nonostante provi a ribellarmi, sono nelle sue mani. Ricaccio indietro le lacrime, totalmente inerme. 
«Stai tranquilla, non farà male.» prova, assurdamente, a rassicurarmi. Come se fossi consenziente! 
«Shhh.» sussurra. 
«Lasciala stare!» esclama qualcuno nel buio. Colto di sorpresa, Phil allenta la presa e io ne approfitto per allontanarmi. Il misterioso soccorritore si avvicina e afferra il mio collega per il colletto della maglia. 
«Non osare toccarla mai più!» abbaia, sbattendolo al muro. Riconosco Luke in quel ragazzo che mi sta salvando e che sta ricoprendo Phil di pugni. 
«Luke, fermati!» mormoro, prima che uccida il mio aggressore.
«Ti prego.» lo scongiuro. Il biondo sputa per terra e mi conduce in cucina. 
«Dove cazzo eri finita? E chi è questo? Devi lavorare, non andare a zonzo!» mi rimprovera il mio capo, indicando Luke. 
«Quando aggiungerò anche un bordello a questo locale potrai andare con tutti gli uomini che vorrai!» aggiunge. 
«Ho appena salvato la sua dipendente da un ragazzo che la stava aggredendo. Lavora per lei ed è steso sul retro, dormirà per le prossime ore.» asserisce il mio amico. 
«Cosa, scusa?» sobbalza l'uomo. 
«Devi smetterla di ficcarti nei guai e di creare questi casini!» si imbestialisce. Chissà perché la cosa non mi sorprende. 
«Sa, lei ha ragione. Per questo Angie si licenzia.» dichiara Luke. Lo guardo storto. 
«Luke!» bisbiglio, piuttosto contrariata. 
«Tu non ci resti più qui! Andiamocene!» esclama, sciogliendomi il grembiule, lanciandolo per terra e trascinandomi via. Mi fa correre per non so quanto, finché non mi stufo e mi fermo. 
«Che c'è?» si volta il ragazzo, seccato. 
«Che c'è? Che c'è? Ho appena perso il lavoro!» mi arrabbio. 
«Ti ho salvata da quel maniaco!» si infuria Luke, a ragione. Chino il capo, piena di vergogna. Mi siedo per terra, sul marciapiede, con la testa fra le mani. Scoppio a piangere. Le lacrime mi bagnano le guance, copiose. Vorrei solo sparire. 
«Angie, tranquilla.» mi rassicura Luke, stringendomi a sé. Appoggio il capo al suo petto e provo a calmarmi. 
«Angie, va tutto bene. Nessuno ti farà più del male, mai più.» mi tranquillizza.
«Non funziona così. Dipende da me.» osservo, mesta. Luke non dice nulla e mi fa rialzare. Iniziamo a camminare verso casa. Finalmente arriviamo al rifugio. Mi reco in camera. Mitch sta già dormendo della grossa. Esco per andare in bagno, quando Martha corre verso di me e mi abbraccia. 
«Come stai, tesoro?» domanda Rose, preoccupata. Capisco che Luke deve aver raccontato l'accaduto a tutti. Provo vergogna e mi ritraggo. Mi sento così sporca. Tutti quanti mi fissano. Rose si avvicina a me e mi abbraccia, con fare materno. Non posso piangere di nuovo. Mi sforzo di resistere, ma cedo alle lacrime. 
«Andrà tutto bene. Non sei sola, ci siamo noi con te.» mi rassicura la donna. Mi accompagna in camera e aspetta che mi stenda sotto le coperte. 
«Noi avremmo preparato un camomilla.» annunciano Matt e Kyle, entrando in camera con una tazza fumante. Scorgo Tom e Jane sulla soglia che parlottano tra loro. Mi appresto a bere la camomilla e mi stendo per bene, chiudendo gli occhi e scivolando tra le braccia di Morfeo. Nella mia mente risuonano le parole di Rose:«Andrà tutto bene. Non sei sola, ci siamo noi con te.»

Angolo dell'Autrice
 
Scusate il ritardo, ma la scuola e la mancanza di un computer (scrivo dal cellulare) si fanno sentire. 
Spero che il capitolo vi piaccia, spero di riuscire a far decollare la storia dal prossimo capitolo. 
Un grazie sincero a Eilan21 e a Sassanders per le recensioni e a quanti leggono la storia! Alla prossima!
   
 
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