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Autore: Mary P_Stark    16/05/2015    2 recensioni
Anno 2034. Cameron e Domenic Van Berger, rampolli della famiglia omonima e giovani di brillante talento, si ritrovano loro malgrado nel mezzo di un intrigo internazionale. Sarà Cameron a farne le spese in prima persona, e Domenic tenterà di tirarlo fuori dai guai, utilizzando tutte le sue conoscenze tecniche... e non. Un segreto che, ormai da anni, cammina con lui, si rivelerà determinante per la salvezza del fratello. E della donna che ama. Antiche amicizie si riveleranno solo meri inganni, e questo porterà Domenic e Cameron a confrontarsi con una realtà che non avrebbero mai voluto affrontare. Chi è veramente il nemico, di chi possono fidarsi, i due gemelli? - SEGUITO DI "HONEY" E "RENNY" (riferimenti nelle storie precitate)
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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XI. Fight.
 
 
 
 
Contò i minuti, chiedendosi perché scorressero così lenti, e osservò lo schermo al plasma del suo palmare, domandandosi perché non fosse più veloce nel countdown.

Lo aveva fatto partire non appena Bryce era sceso dall'auto, e in quel momento segnava quattordici minuti e trentadue secondi.

Trentuno.

Trenta.

Ventinove.

«Oooh, al diavolo! Avrà tempo più tardi, per sgridarmi!» sbottò Phie, spegnendo il telefono per poi infilarselo nella tasca dei pantaloni.

All’esterno, il freddo si era fatto più intenso e, quando aprì la portiera, l'aria gelida le sferzò il viso, facendole arricciare il naso e battere i denti.

In fretta, chiuse la cerniera del leggero giubbotto imbottito in fibre termosintetiche e, seguendo i passi di Bryce, si avventurò in direzione della scuola.

Subito, il calore prodotto dalla giacca a vento fece il suo effetto, ma Sophie non si lasciò andare al piacere di quel tepore benefico.

Doveva trovare Cameron, a ogni costo.

 
§§§

Il fattore sorpresa era basilare, vista la loro inferiorità numerica.

Dovevano agire rapidi per eliminare il maggior numero di nemici, prima che partissero all'attacco tutti assieme.

Per farlo, non era necessario puntare agli organi vitali, ma rendere inattivi i loro avversari.

Cameron ne sapeva abbastanza, di anatomia, per avere un’idea piuttosto precisa su dove colpire.

Devi sapere come curarti alla svelta, quando fai sport estremi.

Il punto era un altro.

Sarebbe stato capace di colpire con freddezza, per atterrare il suo nemico? O, nell’eventualità più tragica, ucciderlo?

Lì, non si rideva, né si scherzava più.

Avrebbe dovuto agire sul serio, non per mero divertimento.

Tenendo saldamente il kunai nella mano destra, il nunchaku infilato nella cintura dei pantaloni, e un paio di shuriken nella mano sinistra, Cam osservò l'uomo a lui più vicino e, a un cenno di Yuki, agì.

Si mosse lesto per uscire acquattato dal suo nascondiglio – fornito da alcuni cesti di palloni – e colpì lesto ai tendini achillei dell'uomo.

Il suo urlo fu subitaneo, e questo mise immediatamente in allarme il gruppo che, in toto, si volse verso il compagno ferito.

Scoprendo il fianco per l'intervento di Yuki.

Letale come un cobra, la ragazza uscì allo scoperto tenendosi bassa e, con rapidità chirurgica, lanciò i suoi spiedi, conficcandoli nelle mani di tre uomini.

Questi ultimi lanciarono parimenti urla di dolore e Byron, comprendendo di essere attaccato da due fronti opposti, lanciò in fretta degli ordini ai suoi uomini.

Bryce, dall'alto della sua postazione privilegiata, non attese oltre.

Si calò alla svelta da uno dei tralicci che conducevano al canestro da basket, dopodiché si lanciò sul più vicino degli avversari, atterrandolo col suo peso.

Un attimo dopo, lanciò un fischio modulato per farsi riconoscere da Cam, sicuro che avrebbe capito.

Non aveva giocato per anni con i Van Berger, per nulla.

«Sono tre!» gridò uno degli uomini di Byron, cominciando a sparare ad altezza uomo.

Subito, Yuki, Cam e Bryce si abbassarono per schivare i colpi, mentre Byron gli intimò di smettere con un gran urlo di gola.

Al suo grido imperioso, seguì un possente ordine in giapponese, e fu subito il silenzio.

La semioscurità della palestra giocava a favore di Cam e dei suoi compagni, ma Byron non si diede per vinto.

Sparando un colpo in aria, urlò: «Yuki-chan, smettila immediatamente di comportarti da stupida, e consegnaci Van Berger. Sono sicuro che tuo fratello sarà magnanimo, e saprà ricompensarti nonostante il tuo tradimento.»

Yuki non rispose, fremendo di impazienza e rabbia mentre Cam, nascosto come meglio poteva dietro una pedana da salto, osservò le ombre nella palestra con nervosismo.

Le mani gli tremavano, e non era del tutto sicuro che sarebbe riuscito ad attaccare una seconda volta, ma doveva fare del suo meglio per aiutare Yuki.

E Bryce.

Che diavolo ci faceva, lì, comunque, e come li aveva trovati?

Domenic, pensò un attimo dopo.

Sorridendo al buio, ripensò a ciò che gli aveva detto Yuki, al trasmettitore che aveva sottopelle, e ipotizzò che il gemello avesse indirizzato il loro comune amico fino a lì.

Preferì non chiedersi perché Bryce, e non la polizia, lasciando quelle domande per un momento migliore.

Sempre che avesse potuto chiederglielo.

Byron interruppe qualsiasi elucubrazione mentale di Cam, urlando nuovamente con la sua voce profonda.

«Avvicinatevi a me e sparate basso» decretò l'uomo, sgomentandoli tutti.

Si udirono dei passi concitati, uno scarrellare di armi e, subito dopo, Cam temette di scorgere nel buio le fiammate provenienti dalle canne delle pistole.

Non successe nulla di tutto ciò.

Una nuova voce si interpose in quella situazione di stallo, bloccando tutti per la sorpresa.

«Polizia di Miyazawa! Abbassate immediatamente le armi! Siete penetrati in una proprietà pubblica senza autorizzazione!» urlò una voce femminile, in perfetto giapponese.

Ma Cam non si fece ingannare neppure per un istante, riconoscendo immediatamente quel timbro vocale, quel trillare di campanelle d'argento.

Phie. Era stata Phie a parlare, e si trovava pochi metri sopra la sua testa, probabilmente sulle tribune della palestra.

Allo scoperto.

I secondi che seguirono furono di confusione totale, per gli uomini di Byron, ma permisero a Cam, Bryce e Yuki di agire.

Scaturirono dai loro nascondigli per gettarsi addosso al gruppo di Byron, ora compatto e, nella colluttazione che ne seguì, diverse armi caddero a terra.

In una confusione di corpi a terra, urla e imprecazioni, Byron riuscì a strattonare Yuki per i capelli, strappandola al combattimento per averla tutta per sé.

Al diavolo gli ordini di Nobu, e le sue raccomandazioni di riportargli viva la sorella; l'avrebbe fatta fuori seduta stante.

Nobu l’avrebbe sicuramente perdonato… alla fine.

«Molto bene, ragazzina. Vediamo come hai steso tre dei miei uomini» ringhiò Byron, scrutando l'ombra che era la sua nemica.

Yuki non poté controllare come stesse Cameron, o i loro due misteriosi aiutanti sul campo.

Byron era un nemico troppo pericoloso perché lei perdesse di vista, anche per un solo istante, i suoi movimenti.

La superiore stazza fisica dell'avversario fu un impaccio, per lei, perché non riuscì ad affondare i suoi colpi con efficacia, ritrovandosi spesso a dover retrocedere e basta.

Nella quasi totale oscurità, spezzata solo dalla luce della luna – che penetrava dai lucernari – la ragazza riuscì comunque a scorgere il sogghigno dell'uomo.

Era sicuro di sé, abile e veloce nonostante la massa di muscoli che doveva muovere, ma Yuki aveva dalla sua un fattore determinante.

Lei era stata addestrata per eludere gli attacchi, per agire furtiva e nell'ombra.

Avrebbe dovuto mettere in campo tutte le sue conoscenze del ninjutsu, per vincere.

Sperando, nel contempo, che Byron fosse così cavaliere da non ricorrere alle armi da fuoco, che aveva addosso in gran quantità.

Ma, almeno per il momento, non sembrò questo il caso.

Poco distante dalla coppia impegnata in combattimento, Cam cercò febbrilmente con lo sguardo la figura di Phie, speranzoso che fosse, nel frattempo, scappata lontano da lì.

Speranza vana, ovviamente.

Un attimo dopo, se la ritrovò accanto, trafelata e con i capelli scarmigliati, l'aria terrorizzata ma volitiva.

«Che diavolo ci fai qui?!» le ringhiò contro, un sussurro rabbioso e preoccupato.

Lei non rispose.

Si limitò a prendere il nunchaku dai suoi pantaloni e, con abilità, si lanciò contro uno degli uomini rimasti, mandandolo al tappeto dopo alcune rapide mosse.

Non contenta, si mosse per aggredirne un altro che, però, la mandò lunga riversa sul pavimento con una spazzata.
Cam non ci vide più.

Si gettò a testa bassa contro l'uomo che aveva colpito la sua fidanzata e, dopo averlo gettato a terra con violenza, lo riempì di pugni in pieno volto.

Bryce, nel vederlo così sconvolto, e una potenziale facile preda, si affrettò a liberarsi dell'uomo che Yuki aveva ferito con gli spiedi e, raggiunta Phie, la fece alzare da terra.

«Io e te parleremo a lungo

Lei fece la linguaccia e, usandolo come sponda, si aggrappò alle sue spalle e scalciò di lato, mandando a terra un uomo.

«Dicevi?» ironizzò poi, sibilando un'imprecazione subito dopo, quando il suo sorriso andò a risvegliare il livido che le stava gonfiando una guancia.

«Sei fuori di testa» scosse il capo Bryce, guardandosi lesto intorno, giusto per capire come fossero messi.

Cameron, nel frattempo, aveva finito con lo sbucciarsi le nocche delle mani sul viso dell'uomo che aveva ferito Phie e, nel rialzarsi, raggiunse in fretta la ragazza per abbracciarla.

Fu un gesto veloce, ben lontano da ciò che desideravano entrambi, ma bastò a rasserenare entrambi.

Bryce, in quel mentre, tenne d'occhio la situazione d'insieme, prima di rendersi conto delle condizioni in cui versava Yuki.

Subito pronto a intervenire, lei lo gelò con un'occhiata e Cam, avvedendosi di chi fosse il suo avversario, esalò: «Cristo... non lui...»

 
§§§

Sapere dov'erano Cam e Yuki non lo soddisfaceva per nulla, perché nessuno poteva dirgli cosa stava succedendo in quella cavolo di palestra.

Neppure i satelliti potevano bucare le pareti per scandagliare all'interno dell'edificio – per lo meno, non i satelliti di cui disponeva al momento – e, quando il segnale svanì dal monitor, esplose in un'imprecazione.

Con uno scatto d'ira, si levò dalla sedia così furiosamente da spingerla contro le scrivanie vicine.

Sempre più furioso, spazzò quella che aveva innanzi con le braccia, mandando tutto sul pavimento.

Il clangore degli oggetti riversatisi l'uno sull'altro, in una confusione di colori e materiali, non aiutò Domenic a calmarsi.

Ansando come se gli mancasse l'aria, crollò a terra in ginocchio e, spaventato, si strinse le braccia attorno al torace, esalando: «Cameron... Yuki...»

 
§§§

Quella era una faccenda che voleva risolvere da sola.

Non avrebbe lasciato quel punto a nessuno, pur se combattere contro Byron si stava rivelando più difficile del previsto.

Il braccio le doleva feroce, dove lui l'aveva colpita con il taglio della mano e la gamba destra, pur se non rotta, le impediva di muoversi con la dovuta agilità.

I calci di Byron erano sempre stati potenti, anche quando si erano trovati sul tatami per dei semplici allenamenti distensivi.

Per lui, non era mai stato solo uno sport.

Era bravo, non poteva negarlo. Ma era troppo sicuro di sé.

Poteva batterlo.

«Non ti sei limitata a imparare da tuo padre, vero, piccola strega?» ansò l'uomo dinanzi a sé, concentrato unicamente sulla ragazza.

Era chiaro quanto, i suoi compagni, fossero ligi alla sua scelta di combattere da sola, stolti com'erano.

Lui, invece, poteva solo rimproverarsi di averli sottovalutati, e di aver portato con sé semplicemente dei palloni troppo gonfiati, ma con ben poca sostanza a sostenerli.

Ma chi si sarebbe mai aspettato un simile comportamento? E, per di più, la cavalleria americana, pur se composta solo di ragazzi?

No, sia lui che Nobu avevano pensato, erroneamente, che Yuki sarebbe stata troppo agitata e impaurita per pensare assennatamente.

Invece, non solo si era dimostrata un'ottima combattente – superiore al già preparato Van Berger – ma anche un'avversaria degna di tale nome.

Non gli piaceva commettere degli errori, ma era chiaro quanto si fosse sbagliato, nel giudicare la sorella di Nobu.

Aveva sempre pensato fosse la classica ragazzina un po' nerd, succube dei fratelli maggiori e per nulla interessata alle vicissitudini della ditta.

La sua amicizia con la famiglia Van Berger l'aveva fatto sorridere; gli era parso chiaro fin dall'inizio quanto, la ragazzina, si fosse affezionata ai figli di Nickolas.

Era evidente quanto, da loro, avesse ottenuto più calore che da Kaneda, Shunsuke e Nobu.

Non che ne capisse il motivo; era ricchissima, poteva avere ciò che voleva... e covava del rancore solo perché non era stata coccolata e vezzeggiata?

Forse, più semplicemente, somigliava troppo alla madre, e non era in grado di sostenere la pressione che gravava sulla famiglia Tashida.

Non ne era degna come Nobu.

E lui, doveva rispetto e ammirazione solo a Nobu.

Slanciandosi in avanti per colpirla con un pugno, Byron si ritrovò a masticare amaro quando Yuki, flessuosa e agile, si scostò con sorprendente velocità, nonostante i colpi fin lì ricevuti.

Cosa la spingeva a resistergli a quel modo?

«Se non la smetterai, ti farò davvero molto male, Yuki-chan. Fermati!» sbottò a quel punto lui, slanciando di lato il braccio per afferrarla al collo.

Sollevandola senza alcuno sforzo, mentre i compagni di Yuki urlavano spaventati, Byron ghignò sprezzante e le disse: «Non vorrai davvero che ti uccida di fronte a loro? Vuoi farli soffrire così tanto

«Mi uccideresti... comunque... con... o senza... di loro» balbettò Yuki, divincolandosi nella sua stretta.

«L'hai detto tu. Non io» si limitò a dire l'uomo, allargando il suo sorriso.

Yuki non aspettò oltre.

Approfittando di quella condizione di vicinanza obbligata col corpo di Byron, scalciò con violenza per colpirgli il plesso solare, in corrispondenza del cuore.

Questo gli strappò un gemito, l'aria fuoriuscì con violenza dai polmoni e, subito, lui lasciò andare la presa, momentaneamente privato delle sue forze.

Cogliendo la palla al balzo, Yuki fu subito sull’uomo e, con il taglio della mano, lo colpì con forza al collo, provocandogli ulteriore dolore.

Non contenta, andò a colpire la fronte di Byron col palmo della mano.

Tramortito da quei colpi precisi e forti, l’inglese rantolò a terra, col fiato corto e sorpreso da quell’improvviso ribaltamento della situazione.

In fretta, Yuki si inginocchiò al suo fianco per bloccarlo ai polsi e alle caviglie con un paio di fascette in plastica.

Nell'osservare quegli occhi ai limiti della midriasi – il colpo al petto lo aveva quasi lasciato senza fiato – mormorò torva: «Di' pure a mio fratello che ha perso.»

Ciò detto, legò l'uomo e si rialzò dolorante, subito soccorsa da Cam e Bryce, che la sostennero nel suo incedere.

Sorridendo a entrambi, Yuki lanciò un'occhiata turbata a Phie, che stava osservando tutta la scena con aria sconvolta, un tremore sempre crescente a spezzare la sua tempra.

Preoccupata, esalò: «Perché sei venuta, Sophie-chan

«A dirla tutta, doveva restare in auto...» brontolò piccato Bryce, afferrando l'amica per un braccio perché si muovesse.

Lei sobbalzò, annuì contrita e, mentre il gruppo si allontanava alla svelta dal luogo della battaglia, mormorò spiacente: «Hai assolutamente ragione, Bryce. Ma non ce la facevo ad aspettare.»

«E ci hai salvati, con quel diversivo dell'ultimo minuto. Non dimenticarlo» le sorrise comprensiva Yuki, lanciando poi un'occhiata a Bryce.

Quest’ultimo sbuffò, annuì e infine borbottò: «Va bene... ma, in missione, non è affidabile.»

Phie allora ridacchiò, si strinse al fianco di Cameron, che camminava zoppicando leggermente, e ammise: «Faccio schifo, lo ammetto.»

«Ma guidi bene. Poco ma sicuro» replicò Bryce, ammiccando al suo indirizzo.

Cam fece per prendersi il merito della sua bravura ma, a metà della frase, il rimbombo di un colpo di pistola li raggelò tutti, bloccandoli sul posto.

Un attimo dopo, Yuki si portò le mani al fianco, forse sorpresa di provare quel dolore acuto che, al rallentatore, le stava salendo dal ventre.

Tutti si volsero indietro tranne lei e, quando Cam vide uno degli uomini di Tashida con un'arma in mano – barcollante ma soddisfatto – non attese un attimo di più.

Recuperò dalle tasche uno dei kunai e, senza provare alcun rimorso, lo lanciò con forza contro l'uomo, centrandolo al petto.

Questo, emise un singulto strozzato e, mentre Byron osservava tutta la scena senza poter far nulla per muoversi, Bryce sollevò tra le braccia Yuki e gridò: «Maledizione, andiamo, presto! Non possiamo aspettare un attimo di più!»

Cam e Phie annuirono e, mano nella mano, iniziarono a correre verso la porta, precedendo Bryce, che teneva Yuki, ferita e sanguinante, tra le braccia.

Cameron fu il primo a uscire e, armato dell'unico kunai rimasto, si avventurò guardingo all'esterno, subito rassicurato da Phie.

«Tranquillo, Bryce ha liberato il campo prima di entrare» mormorò Phie, rassicurante.

«Bene» assentì rapido Cameron, tenendo per mano Phie mentre si avventurava sulla neve calpestata del cortile.
Bryce, dietro di loro, avanzò con passo sicuro, gli occhi puntati sul viso pallido Yuki che, solo a stento, era ancora sveglia.

«In auto c'è un kit di primo soccorso, tranquilla. Non ti lasceremo dissanguare» cercò di confortarla, sorridendole con tutta la sicurezza che gli riuscì di trovare.

Lei annuì, poggiò il capo contro la spalla di Bryce e si lasciò andare a un sospiro tremulo.

Dietro di loro, la scia rossa di sangue andò a inzuppare il candore della neve.

Il cielo, ancora sgombro di nubi e ricco di pallide stelle, adombrate dalla luce della luna quasi piena, permise loro di muoversi in relativa tranquillità.

Quando infine raggiunsero l'auto di Phie e Bryce, il giovane salì sul sedile posteriore assieme a Yuki mentre Cam, lanciata un'occhiata alla fidanzata, disse: «Te la senti, di guidare? O vuoi che lo faccia io?»

«Guido io, tranquillo. Quella gamba ti fa troppo male, immagino.»

Cam ammiccò comicamente, ma annuì.

Il colpo che aveva ricevuto, in parte per sua stessa colpa, gli aveva quasi sicuramente provocato una lussazione al ginocchio.

Sperò ardentemente di non essersi rotto un legamento, ma in quel momento non poteva pensarci.

Dovevano portare Yuki da un dottore, e alla svelta.

Phie non ci mise molto a far manovra per riportarsi sulla via principale, che stava già iniziando a pulirsi, grazie alle serpentine che correvano sotto l'asfalto termodinamico.

Imboccata la via, accelerò e risintonizzò vocalmente il GPS perché li conducesse alla base militare di Zama, a Tokyo.

Manovrando in fretta mani, bendaggi e compresse sterili, Bryce si concesse il tempo di passare il cellulare a Cam che, ansioso, osservava dal sedile anteriore le cure portate a Yuki.

«Chiama Dom, se c'è campo, e digli di informare Brandon. Quando arriveremo a Zama, avremo bisogno di supporto medico, e almeno sei sacche di zero negativo sintetico.»

Il giovane annuì e, nell'afferrare il cellulare, compose il numero del fratello, non sapendo bene come sentirsi.

Il suo modo era stato completamente ribaltato. Persone di cui si era sempre fidato, lo avevano tradito.

Altre, che pensava di conoscere a menadito, gli apparivano ora come totalmente estranee.

E, non da ultimo, non sapeva se sentirsi felice per essere sopravvissuto, o terrorizzato all'idea di perdere Yuki, che aveva sacrificato tutto per salvarlo.

Quando infine udì il tono pronto e vigile del fratello, gli venne quasi voglia di piangere.

Sembrava passata una vita, dall'ultima volta che si erano sentiti.

«Aggiornami, Bryce» disse lesto Dom.

«Ehi, cervellone, sono io. Cam.»

Lo disse con tono allegro, ma la voce caracollò per un attimo, andando sbattere contro la sua ansia a stento trattenuta.

Silenzio.

Un sospiro, e poi: «Fratello... Dio, ti ringrazio. Stai bene? State tutti bene?»

«Io sto bene, anche se ho un ginocchio acciaccato. Yuki, invece, è ferita a un fianco. Le hanno sparato mentre scappavamo. Pensavamo di avere atterrato tutti, invece uno dei nostri inseguitori si è rialzato da terra e ha fatto fuoco, così...»

Domenic lo interruppe, il tono di voce arido come il deserto.

«Bryce è con lei?»

«Sì. Se ne sta occupando lui, mentre Phie ci sta portando a Zama» lo ragguagliò in fretta Cameron. A quanto pareva, in quel momento non gli servivano i particolari, ma i fatti netti e concisi.

«Bene... d'accordo. Ora invio i dati biometrici di Yuki-necchan alla base di Zama e, nel frattempo, avverto lo zio perché si sposti lì, così che possa partire con voi. L'aereo è già predisposto. Dovrò solo far aggiungere uno staff medico ai passeggeri previsti per il volo.»

Parlò con calma, come se avesse compiuto missioni simili decine e decine di volte, ma Cam riuscì comunque a percepire la sua ansia, il suo timore sempre crescente.

«Arriverà viva. Non la faremo morire» gli promise il fratello, come sapendo che questo avrebbe infuso coraggio a Domenic.

«Bryce è in gamba con i rattoppi, lo so. Noi...»

Dom si interruppe, Cam lo udì parlottare con qualcuno in tono piuttosto concitato, anzi, contrariato, e alla fine disse torvo: «Saprà tenerla in vita quanto basta perché arrivi nelle mani dei medici.»

Cameron annuì, sapendo bene che il fratello avrebbe voluto dire altro.

Cos'altro gli nascondeva?

Lasciando però perdere quel pensiero, sorrise a mezzo e mormorò: «Ehi, cervellone... grazie per averci salvati.»

«Ti ho messo nei guai io. Avrei dato tutto quello che possiedo, la mia stessa vita, per riportarti a casa. Anche se non sono venuto di persona a farlo.»

Cam si accigliò a quelle parole, e replicò piccato: «Scordati di pensare una cosa simile, Dom! Non la voglio la tua vita, in cambio della mia! E tu eri qui, idiota. In tutto quello che hai fatto per portare da noi Phie e Bryce.»

Il gemello rimase in silenzio per alcuni attimi, ma alla fine riuscì a ritrovare uno scampolo di energie per mormorare: «Sei una parte di me, Cam. Non ti avrei mai lasciato solo.»

«Lo so.»

Inspirando con forza per non mettersi a piangere, Cameron mormorò roco: «Chiama lo zio. Noi arriveremo tra qualche ora. Le strade sono già sgombre.»

«A presto, fratellino.»

 
§§§

Rilassatosi contro lo schienale della poltroncina il tempo di un respiro, l'attimo dopo Domenic si volse a mezzo per fissare rabbioso l'agente Perkins.

In piedi accanto a lui, l'aria seriosa e per nulla conciliante, l'uomo bofonchiò contrariato: «E' inutile che mi guardi così, ragazzo. Ci sono cose che non puoi dire

«Maledizione, Garrett! Mio fratello e Yuki hanno rischiato la vita, e tu mi vieni a sbattere in faccia il regolamento dell'Intelligence?! La mia copertura, con mio fratello e Phie, è già compromessa, così come quella di Yuki, ma sono persone fidate e...»

Interrotto il giovane con un gesto della mano, l'agente Perkins mormorò quieto: «Non ho mai detto che tuo fratello, o Miss Shaw, siano persone meno che meritevoli di fiducia, ma non sono io che faccio le regole. Tyler starà già fumando quattro tipi diversi di sigarette, a quest'ora, cercando di capire come fare per rappezzare questo guaio.»

«Solo perché lui lo vede come un guaio. Inoltre, vista la situazione, non può pretendere che loro tornino così bellamente a Los Angeles, senza mettere a loro disposizione una scorta» gli fece notare Domenic, levandosi in piedi per camminare con passi nervosi e fitti.

Si bloccò di fronte al computer che stava decrittando i dati della Tashida, fissandolo ombroso. «Finché i files che ho scaricato non verranno decrittati, non possiamo incriminare i Tashida e, finché non li avremo fermati, loro rimarranno pedine facili per eventuali sicari. Tutto dovrà rimanere segreto, per il mondo, almeno finché non risolveremo il problema. Nessuno deve sapere che stanno tornando.»

«Quanto ti servirà?»

«Non lo so. Giorni... settimane. Non posso saperlo adesso. Il computer sta ancora finendo il download, tanti sono i files interessati in questa rete di macchinazioni illegali. Figurati quanto impiegherà a trovare una backdoor da cui entrare, o il codice di...»

Perkins lo bloccò, sorridendo a mezzo.

«Ragazzo, non metterti a parlare difficile. Lo sai, che abbiamo cercato persone come te proprio per non dover imparare cose del genere.»

Dom annuì, sospirando e, nel prendere il telefono, asserì: «Lo so, Garrett. Specializzazione di ogni settore fino ai limiti massimi, così che a muoversi sia solo l'eccellenza. Conosco anche questo leitmotiv.»

Un paio di squilli e, nel sentire la voce ansiosa dello zio, Domenic disse: «Cam è libero. Con lui c'è Yuki, che è stata ferita. Sto già inviando tutti i dati biometrici alla base di Zama. Recati là con un permesso di soggiorno valido per Yuki Tashida. Non potrà restare in Giappone un minuto di più. Di’ anche all’ambasciatore che, fino a nuovo ordine, voi rimarrete ufficialmente all’ambasciata americana, ma senza più rilasciare alcuna intervista. Dobbiamo mantenere segreto il vostro rientro.»

«Permesso... di soggiorno? Dom, che diavolo sta succedendo? E perché dobbiamo fare finta di nulla?»

«Scusa, zio. Non posso essere più chiaro di così, ora. Le cose si stanno muovendo molto alla svelta. Di' pure al console che, nel giro di un paio d'ore al massimo, riceverà una richiesta formale, e ufficiale, per autenticare un permesso di soggiorno per Yuki Tashida, oltre alla richiesta di cui ti ho appena parlato. I dati completi verranno inviati assieme alla richiesta. Quando avrai il permesso, recati alla base militare di Zama con un'auto del consolato. Sono le uniche che non subiscono i controlli del Viewscan.»

«Lo farò, ragazzo, ma avrò bisogno di un sacco di spiegazioni, quando sarò lì.»

«Ti dirò tutto quello che potrò, zio. E scusami ancora.»

Ciò detto, riattaccò e, nello scrutare Perkins, gli domandò: «Farà delle storie, per il permesso di soggiorno di Yuki?»

«Tyler? Mi stupirei del contrario. Ma è una sua protetta, e una testimone di ciò che è avvenuto in Giappone. Non potrà materialmente dire di no» scrollò le spalle l'agente, sorridendo fiducioso al giovane, che sospirò.

Un attimo dopo, Dom si lasciò cadere sulla poltroncina, si coprì il viso con le mani e, silenziose, calde lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso.

Perkins non disse nulla, si limitò a battergli una mano sul capo, carezzandogli i capelli biondo-castani come avrebbe fatto con il figlioletto di sei anni.

Era davvero troppo, a volte, ciò che chiedevano a quei ragazzi ma nessuno, in tanti anni, lo aveva mai ascoltato.

Ma come pensare anche solo di sostituirli?

Grazie a loro, centinaia, forse migliaia di agenti erano stati salvati, indirizzati a colpo sicuro nel luogo giusto, scovati nei recessi più nascosti del globo.

Ciò che sapevano fare era di così inestimabile valore che, a conti fatti, neppure lui poteva immaginare una CIA senza quella élite di persone al loro fianco, pur se doveva sopportare di vederli soffrire.





 
  
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