Serie TV > The Musketeers
Segui la storia  |       
Autore: Calliope49    16/05/2015    3 recensioni
*COMPLETA*
«Avete anche un nome, monsieur?»
«D’Artagnan».
Lei strinse appena le labbra. «Ah, siete quel d’Artagnan».
«Prego?»
«D’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis. Treville vi nomina spesso - quando parla dei rischi per la sua salute, ad esempio».

Una calma insolita è piovuta su Parigi, ma la situazione non è destinata a durare. Strani incidenti, un omicidio e la comparsa di un misterioso bandito daranno filo da torcere agli uomini del re. Nel mezzo, una ragazza e troppe cose che non sono quello che sembrano…
[AthosXNuovoPersonaggio; Accenni Constagnan e Annamis]
[N.B. La storia non tiene conto degli sviluppi della seconda stagione perché è stata ideata prima che ne cominciassero gli episodi]
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Captain Treville, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'On the side of the angels '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
XIV
Fantasmi a volto scoperto
 
 
D’Artagnan tentò un affondo.
La lama della spada fischiò nell’aria, il giovane strinse le labbra a trattenere una smorfia di dolore, con movimenti rapidi e fluidi fece ruotare la spada e la rinfoderò.
«Visto? Sto bene».
Athos, Porthos e Aramis si scambiarono un’occhiata poi tornarono a guardare il guascone.
«Le ferita ti fa ancora male» disse Athos, asciutto.
«Non così tanto». D’Artagnan si portò la mano al fianco con aria noncurante. La cicatrice era un rigonfiamento di pelle livida, ma cominciava a guarire, anche se i punti che aveva applicato il medico erano stati maldestri e avevano lasciato un bello sfregio. Avrebbero dovuto lasciare che se ne occupasse Aramis.
«Era quasi ora che ti procurassi qualche cicatrice come si deve» commentò Porthos.
«Il nostro bambino sta diventando grande» gli fece eco Aramis con voce stridula, parodiando un’aria commossa.
«Volete smetterla? Andiamo o no?». D’Artagnan pestò un piede nel terriccio. Che fosse pronto o meno, non sarebbero riusciti a trattenerlo un giorno più alla guarnigione, quel maledetto ragazzino testardo.
«Se fai il bravo, ti comprerò un dolcetto» continuò Aramis. Il ragazzo scosse il capo, gli passò accanto e gli mollò un pugno sulla spalla.
«Diane non è venuta, oggi» aggiunse poi d’Artagnan, mentre salivano a cavallo.
«Oggi c’era il funerale della ragazza» rammentò Athos.
Diane era stata una buona compagnia per il giovane moschettiere ferito, quando madame Bonacieux non era più potuta venire a fargli visita. Dovevano aver passato molto tempo insieme, con lei seduta a ricamare e lui a confidarle i mille tormenti del suo cuore provato da un amore irrealizzabile. Gli altri tre invece non avevano avuto molto tempo per parlare con la nipote del capitano, non le avevano neppure detto che quella mattina sarebbero andati dal conte a chiedere notizie di Jean-Pierre.
Attraversarono la città, con i cavalli che procedevano lenti per le strade affollate e poi li lanciarono al galoppo appena fuori dalle mura, attraverso i campi che si stendevano a perdita d’occhio ai lati del sentiero.
L’inverno aveva reso la campagna una distesa grigia, avvolta nella foschia.
La tenuta del conte Legrand era a poche miglia da Parigi, immersa in un boschetto di querce che odorava di erba e resina, un’enorme costruzione che spezzava la linea dell’orizzonte.
Nessuno fermò i moschettieri quando attraversarono il cancello. Su un lato del cortile anteriore, vicino a una fontana con un putto che versava acqua da un’anfora, erano allineate alcune carrozze: il padrone di casa doveva avere ospiti importanti.
Un valletto uscì dalla porta principale della villa. Camminava quasi saltando, la livrea marrone che gli svolazzava dietro al sedere lo faceva sembrare un grosso grillo. 
«Posso chiedervi, messieurs, cosa state cercando?» domandò con fare cerimonioso, sfregandosi le mani magre e affusolate.
«Vorremmo scambiare qualche parola con il conte» rispose Aramis.
«Il signor conte è impegnato» 
«Possiamo aspettare».
Il valletto lasciò che lo seguissero dentro. All’interno la casa era sfarzosa quanto il palazzo del re. Nel grande ingresso enormi quadri con madonne e santi decoravano le pareti, tra colonne di marmo bianchissimo, una miriade di sguardi estatici trafiggeva chiunque mettesse piede in quella stanza.
«Si tratta bene» commentò Porthos, spingendo in fuori il labbro.
«A me sembra tutto molto claustrofobico» fece Aramis.
Il bianco del marmo sembrava aumentare l’intensità della luce del sole che proveniva dall’esterno. L’intera stanza splendeva.
Ad Athos le case dei grandi signori non facevano alcun effetto. Non c’era nulla che rimpiangesse della vita agiata che aveva condotto prima di diventare un moschettiere. La ricchezza era qualcosa che aveva sempre dato per scontato e si era stupito della rapidità con cui l’aveva dimenticata quando aveva dovuto riassestare la sua esistenza su binari diversi; delle tante assenze con cui aveva dovuto fare i conti quella del denaro non era mai stata un problema. Era stato sereno, da ragazzo, da uomo era stato felice per una stagione e aveva smesso di esserlo forse per sempre, ma niente di tutto ciò aveva mai avuto a che fare con i privilegi del suo titolo.
Il valletto spuntò da una porta in fondo al grande atrio.
«Il conte vi riceverà» annunciò.
I moschettieri lo seguirono su per le scale, il domestico li lasciò ad attendere in una grande anticamera con il soffitto decorato con rilievi floreali. Gli spazi grandi e luminosi di quella casa avevano, per contrasto, l’effetto di far sentire schiacciati i suoi visitatori.
Il conte comparve dopo qualche minuto. Indossava abiti più semplici di quelli che sfoggiava a corte, ma appariva comunque imponente ed elegante.
«Non mi aspettavo una vostra visita, signori» disse con un mezzo sorriso cordiale.
I moschettieri chinarono leggermente il capo, stringendo i cappelli contro il petto.
«Siamo molto dispiaciuti di dovervi importunare per una questione di scarsa rilevanza» esordì Athos.
«Parlate. Sono certo che non sia poi così irrilevante se ben quattro moschettieri del re sono venuti fin qui»
«Il fatto è, monsieur, che vorremmo metterci in contatto con il vostro uomo, Jean-Pierre»
«Jean-Pierre sta sbrigando delle commissioni per me fuori Parigi, non so quando tornerà. Perché lo cercate?»
«La nipote del capitano Treville, mademoiselle Leroux, abitava insieme a una carissima amica del vostro uomo. La giovane è stata trovata morta in brutte circostanze. Mademoiselle Leroux pensava che Jean-Pierre avrebbe voluto saperlo. Ci dispiace incomodarvi per una simile questione, ma non sapevamo a chi altri rivolgerci per entrare in contatto con lui»
«Mademoiselle Leroux, avete detto?»
«Sì, signore. La conoscete per caso?».
Il conte scosse la testa. «No. Mi dispiace moltissimo per quella ragazza. Avete fatto bene a venire, troverò il modo di far avere la notizia a Jean-Pierre».
I moschettieri accennarono un inchino educato e si congedarono.
Erano andati lì per tastare il terreno, ma non avevano ottenuto niente.
«Magari adesso Jean-Pierre tornerà a Parigi» disse Porthos, fiducioso.
«E anche se fosse? Dobbiamo scavare ben più a fondo se vogliamo arrivare a trovare qualcosa. Siamo venuti fin qui per niente…» sbuffò d’Artagnan. Si tastò il fianco dolorante credendo di non essere visto.
«Se Jean-Pierre tornasse a Parigi, potremmo farlo parlare con Diane» intervenne Aramis. «Non abbiamo una scusa per interrogarlo, ma lei potrebbe riuscire a farsi dire qualcosa in una conversazione amichevole, dovranno pur parlare della povera Marie»
«Certo, mettiamo la nipote del capitano in una stanza con un assassino, è geniale! Perché non ci abbiamo pensato prima?» sbottò Porthos.
«Non sappiamo ancora se è un assassino»
«Ce la siamo appena tolta dai piedi». Athos aprì le mani come a sottolineare l’eloquenza della questione. La tragica storia di Marie sembrava aver fatto placare un po’ le smanie di quella ragazza, davvero non c’era bisogno di darle altre occasioni per immischiarsi in cose che non la riguardavano.
«Sentitelo! Ora non devi fare lo scontroso solo perché l’hai baciata e lei non ha apprezzato». Lo sguardo di Aramis scintillò di malizia.
«No, aspetta, tu hai fatto cosa?». D’Artagnan si bloccò in mezzo al corridoio, guardando Athos con occhi sgranati.
Oh, per l’amor del cielo!
«L’ha baciata» ripeté Aramis, in tono petulante, facendo schioccare le labbra. «Certo, dopo un paio di bottiglie di vino, come se servissero due bottiglie di vino per farsi venire voglia di baciare quella ragazza!»
«Preferisci che ti prenda a pugni o calci?». Athos fissò l’amico con aria torva. 
«Non importa, era una vita che aspettavo un’occasione come questa. Porthos, ci siamo dimenticati di raccontare a d’Artagnan di… Porthos?».
Porthos era sgusciato fuori dalla conversazione molto tempo prima. Era accanto a una finestra e guardava fuori stringendo gli occhi, come se cercasse di mettere a fuoco un particolare del giardino oltre i vetri. La luce ingigantiva la sua ombra sul pavimento bianco.
Aramis gli si affiancò. «Cosa c’è? Cosa hai visto?».
Il moschettiere scosse il capo. «Niente, pensavo di aver visto qualcuno che conoscevo» mormorò, soprappensiero. «Perché stavi starnazzando?»
«D’Artagnan si è perso un sacco di cose durante la sua convalescenza» concluse Aramis con un sorriso pestifero.
Tornarono ai loro cavalli e ripartirono al galoppo verso Parigi.
 
***
 
«Sapete, questo è il secondo funerale a cui partecipo da quando sono tornata dall’Italia» mormorò Diane.
Constance Bonacieux non parve udirla.
Alle loro spalle, attorno alla tomba, c’era una piccola folla di conoscenti. L’omicidio efferato di una giovane donna è sempre qualcosa che scuote le anime, a volte con genuina indignazione, a volte con uno strano morboso prurito fatto di pettegolezzi e illazioni.
Mentre la bara veniva inghiottita dalla terra scura della fossa, Diane sentì per l’ennesima volta le lacrime salirle agli occhi. La morte di quella ragazza aveva come rotto una diga dentro di lei, lasciando che il dolore e la frustrazione le sommergessero i pensieri.
I moschettieri le avevano proibito di andare all’obitorio. Porthos aveva dovuto minacciarla che l’avrebbe detto a suo zio, Athos si era piazzato come una cariatide davanti alla porta e Aramis le aveva nascosto la relazione del medico del mortuario dicendole che non avrebbe letto nulla che non sapeva già.
Non meritavi tutto questo, Marie, pensò Diane quando la prima vangata di terra vibrò contro il legno della bara.
Lanciò un mazzolino di fiori che atterrò nella polvere. Aveva sperato che quel funerale le desse pace, che sepolta sotto quella terra scura si spegnesse anche la sua inquietudine, ma non era stato così.
«I moschettieri troveranno quello che ha fatto questo» disse Constance, nel suo sguardo la convinzione era velata da una cortina di lacrime. Diane le prese la mano, avevano entrambe le dita gelide.
Di colpo, la ragazza avvertì il peso di tutta la stanchezza e la tensione accumulata. Quelle in casa Bonacieux erano state giornate strane, come in sospeso, giorni di attesa e di calma, di silenzio immobile come quello prima di una tempesta.
E la tempesta stava arrivando. Diane se lo sentiva nelle ossa, nel petto pesante di ombre e dubbi e rimorsi e rancori. Di notte i fantasmi fischiavano nelle sue orecchie, tenendola sveglia; di giorno cercava di allontanarli provando a darsi da fare. Ricamava e cuciva per Constance, per ripagare la sua ospitalità, rammendava vestiti e uniformi strappate alla guarnigione in attesa di notizie che non arrivavano.
Non avrebbero trovato l’assassino di Marie, non sapevano nemmeno dove cominciare a cercare.
La tempesta aveva cominciato a ululare tra i pensieri di Diane quella mattina. La ragazza sapeva che ora toccava a lei la prossima mossa ma si sentiva come smarrita sul sentiero che lei stessa si era scelta, una strada che credeva di conoscere e che ora la inghiottiva come un labirinto senza uscita.
Dopo il funerale, Constance la prese sottobraccio e la portò via.
In quei giorni, con il marito che le girava per casa, non era potuta passare alla guarnigione per andare a vedere come stesse d’Artagnan. Diane le portava notizie ogni sera, le diceva in poche frasi bisbigliate che il giovane guascone stava bene e si stava riprendendo. Non potevano farsi sentire da monsieur Bonacieux: per essere un ottuso borghesuccio pieno di sé, era fin troppo sospettoso e non aveva accolto di buon grado quella ragazza sconosciuta in casa sua, chissà cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che lei era la nipote del capitano dei moschettieri.
«Mio marito ripartirà tra qualche giorno» annunciò Constance, mentre erano sulla via del ritorno, con addosso ancora il peso e il freddo della mattina al cimitero.
Che sollievo.
«La casa sarà drammaticamente più silenziosa» rispose Diane. «Comunque sia, spero di trovare un’altra sistemazione prima del suo ritorno»
«Non c’è nessuna fretta, potete restare tutto il tempo che volete»
«Ho approfittato fin troppo della vostra ospitalità»
«Non capisco perché vogliate stare da sola, non lo meritate»
«Ora parlate come mio zio, Constance».
Madame Bonacieux accennò un sorriso. «Il capitano Treville è un uomo molto assennato»
«Il capitano Treville pensa che io sia ancora la ragazzina di dodici anni che ha visto partire da Parigi una vita fa. Tranne che quando avevo dodici anni non si preoccupava del fatto che non avessi un marito»
«Qualcuno dovrebbe spiegare alle famiglie che il matrimonio non è sempre una benedizione» osservò Constance scuotendo il capo. «Ma voi siete fortunata, potete scegliere»
«Sì. Forse, un giorno» disse Diane in tono accondiscendente. Era un argomento che preferiva evitare.
«Un giorno?»
«Be’, non vedo nessun uomo nel mio futuro prossimo»
«No?»
«No».
Constance strinse le labbra, come a tentare di trattenere parole che non osava pronunciare. Il tentativo fallì miseramente. «Ho visto come guardate Athos».
Diane ebbe la sensazione di essere inciampata in qualcosa, si vide sbattere in terra mentre il mondo intorno a lei si capovolgeva. Ma era solo un’impressione, era perfettamente in equilibrio sui suoi piedi e riuscì a mettere insieme un sorriso indifferente per la sua interlocutrice.
«E avete visto anche come lui non guarda me?» si limitò a dire, calma.
Constance le lanciò un’occhiata di traverso, come a dire: “Sciocchezze!”.
«So che a volte può sembrare freddo e scostante, ma non lo è davvero»
«No, soprattutto dopo una bottiglia o due» sbottò Diane. Il pensiero di quel bacio le faceva ancora male.
La donna le diede un leggero strattone al braccio. «Ogni uomo ha le sue debolezze, quella di Athos è il proprio passato, ma mi piace pensare che ormai sia al sicuro dal fantasma di sua moglie e…»
Di sua… che?
La ragazza arricciò il naso. «Perché, è vedovo?»
«No, non proprio»
«È… è sposato
«No, non proprio».
Diane si fermò bruscamente in mezzo alla strada, finendo quasi travolta da un carretto pieno di pollame che la sorpassò lasciandosi dietro una scia di piume e cattivo odore.
Constance chinò il capo con aria colpevole, rendendosi conto di aver detto troppo, il suo sguardo fermo vacillò.
«Pensavo che voi sapeste, più o meno» farfugliò, imbarazzata.
«No, non sapevo. Ma ora state per dirmi tutto, non è così?».
Madame Bonacieux contrasse il viso in una smorfia, come se avesse ingoiato un boccone amaro. «È una lunga storia»
«Non ho fretta».
La donna sospirò, sentendosi presa con le spalle al muro. «Athos è di nobili origini, era un conte, un tempo. Sposò una donna del popolo, doveva esserne davvero molto innamorato… poi scoprì che lei era una criminale, lei uccise suo fratello - forse per difendersi da attenzioni sgradite, forse per altre ragioni, non si è mai saputo. Lui la fece condannare a morte, ma lei sopravvisse e diventò una spia e un’assassina al servizio di qualcuno molto potente. Credo che per molto tempo Athos abbia vissuto nel dubbio, incapace di venire a patti con quello che aveva fatto e incapace di capire se condannare a morte la donna che amava fosse stato davvero giusto. Quando poi si sono ritrovati e lui ha scoperto cosa era diventata questa donna, i dubbi devono essergli passati, ma una volta che i fantasmi ti entrano nell’anima, non te ne liberi più».
Diane deglutì. Conosceva l’insistenza dei fantasmi e sapeva scorgerne la presenza negli occhi delle altre persone. Li aveva visti danzare in fondo allo sguardo di Athos ma non aveva mai pensato di avere il diritto di conoscerli. Persino adesso si sentiva in colpa per aver estorto a Constance quella storia.
Sentì una tristezza gelida avvolgerla, come una coperta bagnata e pesante.
«Capisco» si limitò a dire, riprendendo a camminare. Avvertì lo sguardo dispiaciuto di Constance alle sue spalle, prima che la donna affrettasse il passo per raggiungerla.
Arrivarono a casa che era già quasi ora di pranzo. Se si sorvolava sulla presenza del padrone, casa Bonacieux sembrava un’oasi di pace in mezzo al caos di Parigi: incastrata nell’angolo più lontano della piazza, era al riparo dai rumori della strada e la vita domestica tra quelle pareti era scandita da ritmi precisi e ordinati, odore di pulito e calore di camino sempre accesso.
Diane si era rifugiata dentro quella calma, come in un bozzolo sicuro, una bolla di luce dove i suoi passi non sembravano più tanto infidi.
La domestica annunciò a Constance che c’era un ospite.
Il capitano Treville si alzò quando vide entrare le due donne nella sala da pranzo.
«Perdonate l’intrusione, madame» disse, chinando il capo alla volta della padrona di casa. «Ero venuto a trovare mia nipote».
Lei sorrise amabilmente e indicò Diane con un cenno. «Non siete affatto un intruso, monsieur».
La ragazza sperò che suo zio non fosse venuto per tentare di convincerla a stabilirsi alla guarnigione o a tornare a casa sua, ma il capitano mosse un passo verso di lei e la squadrò da capo a piedi come se fosse uno dei suoi soldati. Alla fine annuì.
«Sì, questo può andar bene» mormorò tra sé e sé.
«Di cosa stiamo parlando?»
«Vieni con me, Diane, voglio portarti in un posto. Spero che madame Bonacieux non me ne voglia a male se le sottraggo la tua compagnia»
«Spero solo che me la riportiate» disse Constance.
Il capitano fece un cenno vago e prese Diane sottobraccio. La ragazza lo seguì fuori dalla casa.
«Dove stiamo andando?» domandò.
«Quante domande! Un vecchio zio non può passare un po’ di tempo con sua nipote?».
Treville slegò il cavallo che aveva lasciato accanto alla staccionata fuori alla casa. L’animale guardò lui e Diane con i grandi occhi scuri e masticò una manciata di fieno che aveva trovato in terra. La ragazza ricambiò quello sguardo liquido con un’occhiata di diffidenza.
Si incamminarono a piedi verso una delle vie principali che attraversava Parigi e portava fuori città, dove le case e le palazzine stemperavano in minuscole abitazioni di legno e poi in campi e vigneti ora spogli.
«Come stai, Diane?» domandò Treville quando furono lontani dai viali più affollati.
Il capitano dei moschettieri non voleva semplicemente passare del tempo con sua nipote, voleva parlare con lei. Non lo avevano mai fatto davvero, non da quando la ragazza era tornata a Parigi; certo, Treville si era interessato a Diane e aveva ascoltato i suoi racconti sulla sua vita in Italia, ma un sottile senso di pudicizia lo aveva sempre trattenuto dal tentare di andare più a fondo. Forse, esattamente come quando lei aveva dodici anni, quell’uomo non riteneva di avere l’animo abbastanza sensibile per potersi intromettere nell’intimità di una ragazza, forse semplicemente aspettava che fosse lei ad aprirsi con lui. E ora, tra le molte cose per cui Diane si sentiva in colpa, si andava aggiungendo anche il non averlo mai fatto.
La domanda meritava una risposta più articolata di un paio di sillabe.
«Inquieta» disse la ragazza. «Conosci quella sensazione di quando senti qualcosa pendere sulla testa?»
«Dopo tanti anni al comando dei moschettieri, quella è diventata la mia condizione naturale, ma a te cosa mai dovrebbe succedere?»
«Non a me, in generale»
«Da quando sei tornata a Parigi ne hai viste accadere troppe. A dirla tutta, questa città è sempre stata molto movimentata…».
Diane sorrise senza rendersene conto.
«E ho il sospetto che ti piaccia» aggiunse Treville, scoccandole un’occhiata di traverso.
«Come?»
«Credi che non lo sappia, quello che hai combinato in tutto questo tempo con quelle quattro zucche vuote? Credi che non sappia che è successo qualcosa mentre eravate al convento e che non è solo me che vieni a trovare alla guarnigione?».
La nipote del capitano si fermò di colpo e lo guardò interdetta. Lo sguardo dell’uomo ora le sembrava difficile da reggere.
Che cosa gli hanno raccontato, maledetti?
«Non sono stati loro a dirmelo» continuò Treville, indovinando i suoi pensieri. «Lo so e basta».
Diane si parò di fronte a lui, i pugni stretti, le braccia abbandonate lungo i fianchi. «Non arrabbiarti con loro» pregò. «Sono stata io a insistere… sono stata io a chiedere che non ti raccontassero quello che è successo al convento»
«Cosa è successo, già che ci siamo?».
La ragazza strinse le labbra e gonfiò le guance, poi soffiò piano. «Ladri. Erano venuti a rubare le offerte del convento e mi hanno rapita, ma loro mi hanno salvata. Tipo subito
«Buon Dio!»
«Non mi sono fatta nemmeno un graffio… nontiarrabbiare».
«Non so se devo ringraziarli o farli giustiziare» Treville prese un lungo respiro.
Si erano fermati in un campo, accanto a un grosso albero spoglio che allungava verso il cielo grovigli di rami rinsecchiti.
«Ad ogni modo, credo che la domanda più importante sia: cosa ti è successo mentre eri in Italia?». Il capitano dei moschettieri si appoggiò con le spalle al tronco ruvido e si lasciò cadere seduto tra le radici che sporgevano dal terreno umido dove il muschio stendeva un tappeto color smeraldo. Guardò dal basso sua nipote e lei si accorse che Treville aveva uno sguardo dal quale non poteva scappare. Avevano gli stessi occhi, lo stesso animo abituato alla battaglia. Il ricordo di sua madre piovve silenziosamente tra di loro come una tempesta improvvisa, a rammentare un legame che andava ben oltre il sangue.
Docile, Diane si sedette accanto a suo zio, lisciandosi la gonna con le mani e accomodandosela sotto le gambe.
In Italia ho imparato ad ascoltare i fantasmi…
«Cosa dovrebbe mai essermi successo?». Voleva capire quanto profonda e veritiera dovesse essere la risposta che l’uomo si aspettava.
«Fa sempre piacere sapere che le persone a cui teniamo sono speciali. Tu però non sei solo questo. Non mi importa quanto poco assomigli alle altre ragazze della tua età, però vorrei sapere perché»
«Ci sono un paio di cose della mia vita in Italia che non ti ho detto» ammise Diane. «La prima è che ho imparato a, ehm, a tirare di spada». Piegò all’indietro la testa per guardare l’uomo e prepararsi alla sua reazione.
Il capitano restò in silenzio per un attimo, senza mostrare alcuna emozione. «D’accordo. Ci sono un sacco di donne nobili a cui piace imparare la scherma per diletto e…»
«Ho imparato a tirare di spada da un soldato disertore che ho aiutato a restare nascosto nel convento»
«Ah. Ecco. Le compagnie inusuali ti sono sempre piaciute, insomma».
Diane si circondò le gambe con le braccia, come a chiudersi su se stessa e trattenere il calore che il gelo dei ricordi le portava via insieme a quel vento freddo che spazzava il campo davanti ai suoi occhi.
Si sciolse un laccio sul davanti del vestito per potersi abbassare la manica e mostrò a suo zio le due cicatrici a forma di X. «Il fratello di mio padre, il duca, lo scoprì a causa di queste» continuò. «Ordinò ai monaci del convento di rinchiudermi fino a quando non avessi confessato cosa era successo».
Treville voltò la testa di scatto, indignato.
«Il soldato si consegnò e raccontò tutto perché io venissi liberata. Lo giustiziarono come disertore»
«Diane…»
«Il duca mi portò via dal monastero. Ormai ero abbastanza grande e la mia istruzione era più che accettabile perché facessi il mio ingresso in società. Voleva - indovina - trovarmi marito».
Il capitano dei moschettieri si passò una mano sulla fronte, come se i pensieri fossero diventati polvere da scacciare via. «Questo almeno non puoi negare che fosse ragionevole».
Diane lo guardò vagamente piccata. «Sono andata via da Roma per non sposarmi»
«E io che pensavo lo avessi fatto perché ti mancavo».
Alla fine l’espressione cupa della ragazza si sciolse in un sorriso. Treville le circondò le spalle con un braccio.
«La morte di quel soldato non è stata colpa tua, Diane» le disse. «E sono sicuro che, seppur in maniera barbara, il duca abbia fatto quello che riteneva giusto per proteggerti: se qualcuno avesse scoperto che aiutavi un disertore a nascondersi, sarebbe stato un disastro per te per prima».
La giovane non rispose. Aveva sempre pensato che il duca volesse salvare se stesso dallo scandalo prima ancora che la sua nipote ribelle, ma non si sarebbe messa a sproloquiare in proposito.
Treville si alzò e tese la mano a Diane, per aiutarla a tirarsi su.
«Un giorno,» le disse, «mi mostrerai cosa sai fare con la spada. Adesso c’è qualcos’altro che devi imparare»
«Ho paura a chiedere…».
Il capitano dei moschettieri indicò il cavallo con lo sguardo.
Oh, no…
 
 
 
 
 

 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Musketeers / Vai alla pagina dell'autore: Calliope49