July 2, 1988.
Cal
ricorda molto bene quell’afosa estate, se chiude gli occhi può avvertirne l’ebbrezza
e sentire ancora il caldo impregnato sui vestiti, ma non importa quanto perché
l’adrenalina prende il sopravvento e i colori si mischiano agli odori e questi
ultimi ai rumori in sottofondo. Quella città è sempre stata troppo rumorosa, il
suo cinese è pessimo e non riesce a orientarsi, ma per amore di Jiaying avrebbe
fatto questo e molto altro. Procede frettolosamente per i vicoletti, con un
foglio spiegazzato in mano e l’impazienza che galoppa nel cuore: l’indirizzo
pare corretto, poiché lo conduce in quel che sembra essere uno studio
medico e Cal stropiccia per l’ennesima volta quel pezzetto di carta e legge ad
alta voce la traslitterazione, sperando di venire quantomeno compreso.
Poi, improvvisamente, tutto si fa buio e i volti titubanti dei medici
scompaiono e anche gli odori si perdono, mentre i rumori paiono come ovattati e
sono sostituiti da altri suoni, molto meno intensi e… il 2 luglio 1988
scivola via dalle sue dita, per quanto Cal tenti di aggrapparvisi, ma non c’è
più alcuna casa alla quale far ritorno e nessuna neonata da stringere tra le
braccia.
Quando si risveglia pensa di non aver mai dormito così bene nella sua vita, è
una giornata luminosa e la clinica veterinaria attende solamente il suo arrivo.
Quindi infila il suo camice da lavoro, si prepara una gran tazza di caffè per
iniziare la giornata e si volta verso l’ampia vetrata, al di là della quale si
estende un gran giardino: una distesa di margherite, ovviamente, un vecchio
classico – ma Cal non potrà mai nemmeno immaginare quanto.
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Sono
un budino di feels post-season finale di Agents of S.H.I.E.L.D. e non
riesco a riprendermi. Tutte le scene mi hanno coinvolta, ma in particolar modo
quelle tra Cal e Skye (e la loro ultimissima scena è stata la vera batosta
finale. ç^ç). Prossimamente tornerò qui scrivendo su Lance e Bobbi!
Kì.