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Autore: Emily Doe    19/02/2005    15 recensioni
I tempi di Hogwarts per i nostri eroi sono terminati, la guerra infuria ed un particolare incontro tra Hermione e qualcuno che non vedeva da molto, molto tempo, potrebbe cambiare le sorti di tutti. Perché nessuno ha mai capito... e non potrà mai esserci qualcosa di più difficile.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Capitolo 6° “Potrebbe anche piacerti”

And how I wish that I could turn back the hours
But I know I just don't have the power


“Sei sicura di stare bene?” Domandò Harry con preoccupazione, aiutandola a rialzarsi.
“S-sì, credo…” Mormorò lei in risposta, ancora scombussolata dalla caduta e dall’accaduto.
I due rimasero a fissarsi per qualche secondo: improvvisamente erano comparsi, da dietro l’angolo della via secondaria che avevano scelto come scorciatoia fino a casa, quattro figuri incappucciati che non avevano perso tempo e li avevano attaccati. Mai e poi mai Harry si sarebbe aspettato un attacco nei pressi della via principale!
“Sicura? Ti fa male qualcosa?” Fece, apprensivo, ripetendosi che non si sarebbe mai perdonato se le fosse successo qualcosa di male a causa sua.
Ginny alzò lo sguardo smarrito su di lui, i limpidi occhi vibrarono leggermente. Era sporca di fango, aveva le calze strappate e le ginocchia scorticate, ma eccetto un livido sullo zigomo sinistro sembrava star relativamente bene.
“S-sì, Harry.” Replicò, tentando di non far tremare la voce.
Con sorpresa lo vide guardarsi attorno sospettosamente; la prese per un braccio in fretta e furia, estrasse la bacchetta magica dalla tasca e con un fluido movimento del polso si Smaterializzò.

*** *** ***

Perché non provava confusione? Perché non si sentiva frastornato mentre, un passo dopo l’altro, affondava leggermente nella neve - i fiocchi di quella semplice, fredda e fragile sostanza dal colore così puro danzavano in modo impertinente attorno alla sua figura -, avanzava verso una direzione che neppure lui conosceva? Verso un destino che – ed odiava ammetterlo – non sapeva più prevedere? Perché non si sentiva arrabbiato, triste, contento?
Perché nella sua mente tutto tornava in un freddo calcolo matematico, come se fosse stata la cosa più ovvia e semplice di questo mondo?
E perché non riusciva ad esternare un qualsiasi sentimento?
La sua testa era una tabula rasa, niente, il nulla. Eppure era pienamente consapevole di essere sottoposto alla pressione di sentimenti contrastanti tra loro… di questo era certo: lui stava provando dei sentimenti diversi dal solito. Ma cos’erano? Era come se la rabbia di una vita non vissuta si fosse fusa con l’amarezza, la paura di quel cambiamento così radicale – paura che, non l’avrebbe ammesso neppure sotto Imperius, lo soffocava lentamente - … ma perché non riusciva ad esternare nulla?
Ormai non conosceva più quei sentimenti, forse non li aveva mai conosciuti e per questo non sapeva, non poteva riconoscerli.
Fermandosi, portò all’altezza degli occhi le proprie mani, rese secche e ruvide dal vento: eppure quelle mani erano sempre le stesse, quelle mani erano sempre quelle che… erano sempre irrimediabilmente macchiate di sangue…
Perché? Perché?!
“Perché non ci riesco?” Si disse con un fil di voce. “Perché non do a vedere neppure a me stesso quello che provo?”
… perché non ne sono capace?
La sua infanzia. La sua adolescenza. Le pressioni.
Il sangue su quelle mani, inutile lavarle, inutile non guardarle: l’odore, l’odore acre e pungente del sangue lo percepiva comunque, eterna dannazione, era addirittura certo di poterne assaporare con disgusto crescente – che ironica contraddizione! – l’effluvio metallico ed agrodolce.
Nessuna valvola di sfogo per quei sentimenti, nessun foro d’uscita, una pressione interna in costante aumento, il petto ormai andava stretto al cuore ed all’anima… un peso che da dentro minacciava di sopraffarlo da un momento all’altro. Improvvisamente, ricordò una frase di suo padre: gli uomini non piangono. Mai.
Cosa poteva esserci di tanto speciale, di tanto singolare in semplici gocce leggermente salate? Cosa dava loro quella sorprendente – e nauseante, aveva sempre creduto senza poter ricordare cosa veramente si provasse – capacità? Come poteva la gente affermare che quelle stupide gocce potevano alleviare la sofferenza? Non capiva.
Non sono sicuro… non ricordo se ho mai…
Alzò i chiari occhi tempestosi al cielo, grigio di nubi.
Pianto.

*** *** ***

I fiocchi cadevano ancora soffici dal cielo, qualcuno riusciva a penetrare furtivamente in casa, attraverso la porta rimasta semichiusa, per morire lentamente sul tappeto all’ingresso; soffocando avvolto dal calore della casa, si liquefaceva inesorabilmente in pochi secondi, esattamente come il cuore di Hermione Granger, diciotto anni, in piedi con la schiena poggiata contro la parete. Una mano tra i folti capelli castani, gli occhi chiusi, sospirò.
“Non è possibile.” Mormorò stancamente. “Non cambierà mai. Non cambierà mai…” Si ripeté scuotendo la testa non esattamente con delicatezza.
Con un leggero colpetto del piede destro richiuse la porta e se ne stette in silenzio giusto un paio di secondi, ascoltando il proprio respiro – profondo – e, sì, sentendosi anche un po’ in colpa per aver ‘abbandonato’ Ginny, la sua migliore amica, lì da sola. Deglutì, pensierosa. È vero, erano mesi che non si registrava un solo, singolo attacco da parte dei Mangiamorte di Voldemort, com’era altrettanto vero che Ginny ormai era cresciuta, ed era perfettamente in grado di cavarsela da sola. Più che altro, ne aveva bisogno. Aveva bisogno di dimostrare a se stessa prima che a Ron, o a Harry, o alla stessa Hermione, che sapeva vivere. Che non era semplicemente la settima di sette fratelli, l’unica femmina, da coccolare e viziare. Con un sorriso, ricordò che Ginny non era mai stata così: aveva sempre detestato essere la più piccola, per di più l’unica femmina, perché tutti credevano di poter decidere cosa fosse o non fosse il caso di fare – al posto suo! -, tutti credevano di dover preoccuparsi continuamente della povera, piccola, indifesa Ginny Weasley – semplicemente perché non aprivano gli occhi! – e, cosa ben peggiore, nessuno credeva veramente nelle sue capacità. E se qualcuno lo faceva, beh, non lo dava certo a vedere! – Errore madornale! Ahi, ahi…-
Ginny Weasley aveva sempre avuto un bel caratterino e Hermione credeva fermamente in lei.
Però…
Come dimenticare che comunque, qualsiasi cosa si faccia, si dica o si pensi, c’è sempre quella stramaledettissima congiunzione: però.
E con lei il crollo delle convinzioni.
Okay, va bene: Hermione credeva in Ginny, forse anche più di quanto la stessa Ginny pensasse, ma rimaneva pur sempre la sua migliore amica. La sua migliore amica con alle spalle appena qualche giorno di addestramento. Nel bel mezzo dell’occhio del ciclone.
Quella calma surreale che segue il putiferio, inganna, inganna sempre… e lascia spalancate le porte sull’inferno. Pensò mordendosi il labbro inferiore con veemenza.
Una traccia ancora umida sul pavimento fino alle scale le ricordò un ospite.
“Oh, Dio!” Esclamò, portandosi una mano alla bocca. “Malfoy!”
Afferrando un maglione che Harry aveva distrattamente lasciato poggiato sul tavolino lì accanto alla porta d’ingresso, corse su per le scale con addosso una strana ansia, quasi un presentimento: era tutto troppo silenzioso. Va bene che aveva detto di nascondersi, di non farsi sentire – ma comunque non credeva che Draco Malfoy potesse ubbidire così docilmente -, ma ora che Ron se n’era andato, poteva anche dare un segno di vita! Affacciarsi, vedere come stanno le cose – perché le voci dei due ‘litiganti’ erano sicuramente arrivate fino al fine, acutissimo orecchio che Draco Malfoy aveva sempre sfoggiato a Hogwarts, carpendo ghiottamente qualsiasi pettegolezzo potesse risultare nocivo a lei, Harry e Ron -… chiedere, insomma… insomma, sì!
Chiedere se va tutto bene!

Perché mai dovrebbe farlo?
In fondo lei l’aveva raccolto dalla strada e portato in quella casa – quella casa dove abitava il suo nemico, il famoso Harry Potter – ed in quegli occhi dalle sfumature madreperlacee lei aveva visto il desiderio di farla finita.
Era stato proprio per questo che, dopo il loro primo incontro, era tornata a cercarlo, presa da quella strana sensazione che ora, anche se in maniera più leggera, stava attanagliando nuovamente il suo cuore.
Però mi avrebbe fatto piacere se si fosse… no. No. Oh, no! Non che… no, non…
Aprì di colpo la porta della propria camera, lì dove aveva lasciato il biondo ex-Serpeverde giusto venti minuti prima.
Inutile dire che, come prevedibile, la stanza era più vuota che mai.
Non posso credere di… di aver pensato…
“Perché…?” Sussurrò mentre sentiva l’irrefrenabile bisogno di piangere. “Perché nessuno fa mai quello che dico? Perché sono…”
… che mi avrebbe fatto piacere se fosse rimasto qui con me. Che si fosse interessato anche a qualcosa di stupido che mi riguardi.
“Perché sono di nuovo sola?” Mormorò lasciandosi scivolare seduta in terra, rannicchiata contro una parete “Così sola…?
Che si fosse interessato a ciò che provo.
Lasciò che due lacrime solcassero le sue guance.
Come questa sera.
Spinse il viso tra le braccia. E pianse.
Perché lui, per la prima volta, è stato quella persona che ha saputo vedere oltre le mie apparenze.
E mi sarebbe piaciuto che l’avesse fatto ancora. Mi sarebbe anche potuto piacere.

“Oh, Dio…” Un sussurro flebile si perse nel silenzio pesante.

*** *** ***

And how I wish that I could turn back the hours

“Non è vero, sai? Le lacrime sono il più chiaro segno di sensibilità; nella giusta misura sono il rimedio migliore per qualsiasi malattia dell’anima.”

Aprendo gli occhi, il ricordo si dissolse nella fredda aria notturna e nella pallida luce lunare che, con timida e dolce prepotenza, aveva usurpato il trono alle nubi cariche di pioggia. Sentiva un peso sullo stomaco, eppure non toccava cibo da giorni.
Ovvio, non poteva trattarsi di una cosa così sciocca.
Narcissa.
Gli sembrò di sentire nel vento il sottile profumo, fresco, il profumo di fiori che aveva sempre costituito il suo unico punto di riferimento, riportandogli alla mente, anche ad occhi aperti, il ricordo di poco prima.
Madre…
Si tirò su stancamente, lasciando apertamente che un amaro e malinconico sorriso prendesse posto sulle sue labbra.
Mamma.
Se solo avesse potuto, se solo avesse immaginato… e come non aveva potuto? Come non aveva potuto capire che quella richiesta era un semplice, sciocco e banale diversivo? Per allontanarlo. Il tempo necessario, esatto, il tempo necessario per spegnere quella piccola luce che l’aveva sempre guidato fin dall’infanzia, il tempo necessario – oh, questione di un’oretta a malapena! Un’ora per porre fine alla vita che ha condiviso gran parte della tua… inconcepibile – per quello. Quando era tornato con le informazioni che quell’uomo – perché rifiutava qualsiasi parentela con lui – gli aveva richiesto, sua madre non c’era più. E non sarebbe mai più tornata.
Con una morsa allo stomaco ed uno strano retrogusto amaro in bocca, ricordava con esattezza le proprie emozioni. Disperazione in principio… rabbia, dopo. Una rabbia assoluta, cieca.
Narcissa Black era stata promessa in sposa a Lucius Malfoy a soli diciannove anni – nessuna scelta le fu concessa, nessuna libertà. Semplicemente il suo destino, la sua via era già stata tracciata -, si erano sposati, ma probabilmente mai amati – dopotutto un essere come quell’uomo non aveva mai amato nessuno all’infuori di se stesso -, avevano dato vita e respiro ad un unico fragile essere, cresciuto in balia degli assurdi insegnamenti del padre, cresciuto nella paura di non essere all’altezza, cresciuto nella convinzione di essere nulla, di poter essere qualcosa – per gli altri e per suo padre – solamente seguendo le orme del genitore, un essere che troppo tardi aveva trovato il coraggio di seguire il consiglio della madre:
“Promettimi una cosa, Draco.” In quegli occhi limpidi ancora quel terrore. Oh, no… non terrore per ciò che aspettava lei, ma terrore per la creatura che aveva partorito e che aveva amato più di qualsiasi altra cosa o persona esistente al mondo. “Promettimi che non permetterai mai a nessuno di decidere per te.” Come aveva fatto a non capire? “Guardami negli occhi, Draco.” Se solo avesse capito che quella notte lei sarebbe… “Ti ho dato la vita perché tu la viva pienamente, non ti ho fornito un cuore, un cervello per essere la marionetta o lo schiavo di qualcuno. Ti ho dato una vita perché ti amo e voglio che tu la viva. Tu. Non qualcun altro. “ … morta. Scomparsa, perduta… per sempre. “Mi capisci, Draco?” Fin troppo bene. “Un giorno… un giorno promettimi che lo farai, che prenderai in mano le briglie della tua vita e che correrai lontano, lontano, verso un mondo dove ancora brilla una piccola luce nel buio.” Te lo prometto. Te lo prometto. “Credici, Draco, non abbandonarti mai alla disperazione. Non aver paura di niente, chiudersi in se stessi non serve a nulla… non temere nulla. Non lasciare che il mondo si faccia temere, sarai tu a farti temere per la tua decisione ed il tuo desiderio di vita. Anche se adesso ti sembra strano, potrebbe anche piacerti… anzi, ti piacerà, credimi. Ti piacerà la vita.” Quell’ultimo sguardo, carico di tutti quei sentimenti che… che solo in lei aveva potuto riscontrare. “Ce la farai, amore mio, ce la farai. Cerca la tua luce, la troverai.”
Non riusciva a piangere neppure il suo ricordo. Eppure avrebbe voluto.
Potrebbe anche piacerti vivere.
Avrebbe voluto come non mai, lì, al buio, da solo, dove nessuno poteva scorgerlo. Avrebbe voluto piangere per la prima volta nella sua vita.
Se solo ricordassi come si fa…
Non sapeva esattamente dove i suoi piedi lo stessero conducendo, eppure l’istinto lo guidava. Quando si trovò davanti alla casa da cui era fuggito qualche ora prima, alzò lo sguardo verso la finestra che era nella stanza dalla quale era ‘fuggito’ – in un lampo quegli occhi castani, così disperati, così tremendamente bisognosi di qualcosa, così simili ai suoi.
Un’unica, tremolante luce brillava oltre i vetri della finestra.

But I know I just don't have the power

*** *** ***

“Harry… Harry…” Gemette Ginny socchiudendo gli occhi, mentre lui correva a perdifiato lungo la via nella quale si erano appena Materializzati, proprio la via in cui abitavano, tenendola stretta per mano. “Harry!”
Solamente quando furono davanti alla porta di casa, Harry sembrò accorgersi del fatto che Ginny l’avesse chiamato.
“Eh?”
La ragazza lo osservò negli occhi: non l’aveva mai visto così spaventato. Mai. O forse solo una volta: quando aveva visto Sirius andarsene. Per sempre.
Si guardava attorno ansiosamente, senza allentare di un millimetro la presa attorno al sottile polso di lei – cominciava anche a farle un po’ male, ma quel contatto le risultava più dolce e gradito del miele -, il fiato condensato turbinava vorticosamente appena fuori delle sue labbra – perfette, a detta di Ginny -, poteva quasi sentire il suo cuore battere all’impazzata, per la folle corsa, per la paura.
“Calmati, Harry… li abbiamo seminati.”
Il ragazzo la guardò solo di sfuggita, senza in realtà vederla, ed armeggiò nervosamente con la bacchetta, lasciandosi sfuggire un’imprecazione sommessa, sulla serratura della porta di casa.
Alohomora!” Esclamò infine, senza aver neppure il tempo di sorprendersi per il fatto che Hermione non aveva apposto alla serratura i soliti incantesimi di controllo (altrimenti qualsiasi Mangiamorte sarebbe entrato come nulla fosse!).
Quando la serratura scattò ubbidientemente, Ginny lo vide tirare un sospiro di sollievo.
“Avanti, entriamo!” Sibilò lanciandosi nell’ingresso e trascinando con sé la ragazza.
Quando la porta fu finalmente richiusa dall’interno, Harry si fermò a riprendere fiato, con la schiena poggiata sulla parete ed una mano tra i folti e sempre scompigliatissimi capelli neri che piano piano scivolò lungo il suo viso, storcendogli anche gli occhiali sul naso.
Ginny rimase in perfetto silenzio per qualche minuto, cercando di regolarizzare il proprio respiro, cercando di capire se quello fosse stato un sogno o cos’altro... Un sogno misto ad un incubo. Anzi, un incubo misto ad un sogno: dopo l’improvviso attacco dei Mangiamorte – rabbrividiva al solo pensiero ed al semplice ricordo di quando uno di loro l’aveva afferrata per i capelli, gettandola in terra con violenza – Harry… Harry…
Harry Potter, il ragazzo di cui era pazzamente innamorata da lunghi, lunghissimi anni, l’aveva protetta e difesa con tutto se stesso. Con tutto il suo cuore. L’aveva letto nei suoi occhi, in quello sguardo fiammeggiante che aveva lanciato contro i loro nemici.
E non sapeva se Harry avrebbe agito alla stessa maniera con un’altra persona qualsiasi, sapeva solamente che quello sguardo era valso mille e più parole.
Qualcosa dentro di lei la induceva a credere che forse quel gesto era stato per lei, solamente per lei, interamente per lei.
Ma… no. Non poteva. Non poteva permetterselo: non poteva permettersi il lusso di illudersi.
Avrebbe semplicemente aumentato la sua sofferenza.
Deglutì a vuoto, la bocca secca per l’emozione, la paura, la confusione. Tornò ad osservarlo.
E non le fece mai tanta tenerezza.
“Harry…” Mormorò avvicinandoglisi piano piano.
Nonostante cercasse di mostrarsi forte e risoluto, Ginny poteva sentire dentro di sé la sua irrequietezza.
Almeno questo. Almeno questo concedimelo… ormai sei parte di me.
Il ragazzo alzò lo sguardo negli azzurri occhi di lei.
E non sempre è un male.
“G-Ginny,” Fece lui con voce arrochita dalla fatica e dallo sforzo. “Scusa.” Si accorse solo allora di tenere stretto nella sua mano destra il delicato polso della ragazza, ed arrossendo un pochino la lasciò. “Devo averti fatto male.”
“No, anzi.”
Si osservarono ancora, senza che nessuno dei due avesse il coraggio e la sicurezza di spiegare quell’affermazione o di richiederne spiegazione.
Non mi hai fatto male. Tutt’altro.

*** *** ***

“Harry! Ginny!” Esclamò una voce impastata, dall’alto.
Trasalendo appena, Ginny vide Hermione in cima alle scale con gli occhi gonfi ed ancora leggermente lucidi.
“Hermione?” Fece con preoccupazione.
Non ebbe il tempo di aggiungere altro che si ritrovò avvolta nell’impetuoso abbraccio dell’amica, della sua cara, carissima migliore amica.
“Perdonami!” Sussurrò lei, la voce un po’ tremante. “Non avrei mai dovuto lasciarti lì da sola! Ti prego, scusami…”
Ginny incrociò lo sguardo di Harry; sorrisero entrambi.
“Ma cosa dici, Herm?” Fece dolcemente Ginny, carezzandole piano la testa. “Non devi neppure pensarlo. Io non sono venuta qui per essere un peso. E so cavarmela da sola.”
… o quasi.
No!” Esclamò la ragazza castana con voce resa alta e quasi stridula dal nervosismo. “Ron ha ragione: non avrei dovuto lasciarti lì da sola!”
“Ron?” Replicò la sorella dell’interessato, accigliandosi. “Ancora?”
Hermione si concesse uno sguardo in direzione di Harry che, cercando di riprendere il completo self-control, abbozzò un sorriso.
“Ginny ha ragione. Non devi preoccuparti, lo sappiamo tutti com’è fatto Ron…”
“E’ fatto male!” Esclamò Ginny sfilandosi la giacca in un gesto di stizza. “Non è possibile! Non può continuare a trattarmi come se…”
La porta si aprì all’improvviso.
“Parli del diavolo e spuntano le corna.” Commentò pungente la ragazza dai lisci capelli rossi, osservando con astio il fratello – dall’aria sconvolta – sulla soglia di casa.

*** *** ***

Draco osservò ancora la luce oltre quella finestra.
In piedi, da solo.

*** *** ***

“Co… co…” Boccheggiò per qualche secondo. “COSA?!
Lanciò uno sguardo stupefatto a sua sorella.
“No… noo, non può essere.” Riprese con una risata forzata. “Non può essere vero. Avevo sentito di un attacco alla via principale, ma credevo fosse una scaramuccia, o la fantasia della gente che aveva trasformato una semplice lite tra Babbani in un epico scontro tra titani…”
Nessuno degli altri tre profferì verbo.
“Quindi… quindi è vero. Siete stati attaccati da un gruppo di Mangiamorte…” Le sue orecchie cominciavano a farsi paonazze. “…”
“Perlomeno sappiamo che non verremo attaccati nuovamente tra poco. Hanno bisogno di tempo per riorganizzarsi, sanno che ora siamo all’erta.” Disse Harry cercando di allentare la tensione.
Hermione smise di mangiucchiarsi le unghie della mano sinistra.
“Io…”
Ron non la guardò; si limitò a scuotere il capo fissando il pavimento.
“Mi dispiace…” Mormorò lei.
A passi veloci si diresse verso l’attaccapanni, afferrò il proprio cappotto ed uscì in fretta e furia.
“Hermione!”
“No.” Harry trattenne per un polso – ancora quella dolce sensazione – Ginny. “Ha bisogno di stare da sola, adesso.”
“Ma…”
“Credimi, la conosco.” Ripeté il ragazzo lasciando lentamente, quasi a malincuore, la mano di lei.

*** *** ***

Stupida, stupida, stupida!
Non sapeva esattamente cosa volesse. Sapeva semplicemente che non voleva rimanere con loro tre. Non in quel momento. Sì, avrebbe voluto restare sola.
E allora cos’era quella sensazione di freddo non dovuto alle condizioni atmosferiche?
Cos’era quel sentimento di malinconia? E quel senso di mancanza di qualcosa?
Non avrebbe trovato una risposta eloquente e comprensibile alla sua mente fin troppo razionale neppure se non fosse stata agguantata alle spalle e qualcuno non le avesse messo una mano calda sulla bocca, soffocando qualsiasi protesta.
“Ehi,” Fece una voce familiare. “Cerca di stare più attenta quando cammini: mi stavi per venire addosso.” Una breve pausa, la presa si allentò. “E poi dovresti anche stare più all’erta. Sai che se fossi stato un Mangiamorte avrei potuto tranquillamente Schiantarti?”
Grazie al cielo.
“Grazie al cielo ci sei tu a sollevarmi sempre il morale, Malfoy.” Disse la ragazza, voltandosi e trovandosi faccia a faccia con lui. “Avevi promesso che non ti saresti mosso di lì!” Soffiò cupamente.
“Se ricordi bene, non mi hai dato il tempo di rispondere.” Replicò placido lui con un mezzo sorriso ed un’aria quasi divertita. “Io non ho promesso nulla.” Concluse mentre la sua voce si perdeva nel silenzio ovattato della notte.
“Avrei dovuto prevederlo.” Mormorò all’improvviso la ragazza, non riuscendo a trattenere una risata che andò ad infrangersi nell’aria fredda e pungente, suonando tremendamente nervosa, forzata, quasi un modo per scaricarsi della tensione accumulata. “Me lo sarei dovuto aspettare da te!”
Smettendo di ridere, tornò a fissarlo con un’insistenza mista ad una tacita richiesta di qualcosa, la richiesta di qualcosa molto simile ad un piccolo aiuto.
E solo allora Draco si rese conto delle lacrime ancora impigliate tra le sue ciglia.
“Ah,” Fece Hermione, cercando di asciugarsele. “… no, non è niente. Lascia stare.”
Non lo fare.
“Non è vero, non può essere niente.”
Non cercare di dimenticare come si pianga.
“Non ti chiederò nulla.” Aggiunse il ragazzo poco dopo.
Non compiere il mio stesso errore.
Prese un profondo respiro. Ricordarla gli avrebbe fatto solamente male. Ma era necessario.
Non te lo permetterò.
“Conosco… conoscevo,” Si corresse velocemente il ragazzo, nella sua voce vibrava un pizzico di qualcosa tremendamente simile alla malinconia. “una persona che diceva: ‘le lacrime sono la cosa più bella del mondo’.”
Hermione si passò una mano sugli occhi, e tirò appena appena su con il naso. Si sentiva la testa pesante, gli occhi stanchi. Lei era stanca.
“Evidentemente quella persona non aveva mai pianto.”
Non notò l’occhiata che Draco rivolse alle stelle, ma avvertì il tono amaro e triste delle sue parole. Non c’era rabbia… perlomeno non verso di lei, non verso Hermione Granger. C’era qualcosa di diverso. Lei lo poteva sentire anche solo standogli accanto.
“Oh, credimi, lo fece eccome. Fin troppe volte. Sapeva esattamente cosa volesse dire piangere.”
La ragazza, dopo un breve silenzio, si stropicciò l’occhio sinistro.
“E tu?”
Draco si voltò ad osservarla, producendo un rumore ciottoloso sulla ghiaia: quella ragazza lo fissava, più stanca che mai, eppure si ostinava a voler avere un contatto più profondo con lui. Si ostinava con insistenza eccezionale a non volerlo lasciare in pace. A non volerlo lasciare solo. Perché sapeva che se l’avesse fatto, non sarebbe più tornato. Voleva a tutti i costi accogliere in sé anche una piccola parte di Draco Malfoy, un piccolo pensiero, una piccola sensazione, qualsiasi cosa, purché riuscisse a stabilire quel contatto che tanto – più o meno inconsciamente – i due andavano cercando.
Un’ulteriore lite, un’ulteriore incomprensione. E si è nuovamente soli, per un motivo o per un altro.
Due solitudini potranno mai fare una persona completa?
“Avanti, Granger… niente discorsi seri, per questa sera. Stai morendo di sonno o sbaglio? Guarda che se credi che ti prenda in braccio e ti conduca fino a casa, ti stai sbagliando di grosso. Ho pur sempre un onore da mantenere.” Ghignò beffardo Draco, facendo un mezzo passo in avanti.
Quando però osservò nuovamente gli occhi di lei, non poté fare a meno di reprimere un brivido caldo lungo la schiena: ancora quello sguardo, ancora quella sensazione, ancora quel desiderio di non lasciarlo solo.
E – diamine, dannatamente forte! – il desiderio di non essere lasciato solo.
Nei suoi occhi castani, espressivi, caldi nonostante le tracce di stanchezza, non c’era più ombra di sonno.
Non ti lascerò andare. Non ti abbandonerò.
“Dico sul serio, Malfoy.” Scandì lentamente lei, senza interrompere il contatto visivo. “Tu? Tu sai cosa voglia dire piangere?”
Il ragazzo ebbe un esitazione – minima, sì, ma pur sempre un’esitazione. Si voltò di altri quarantacinque gradi circa e si avvicinò a lei. I loro respiri condensati si incrociavano e si scontravano, mescolandosi in una folle danza in quella disperata notte; Hermione poteva sentire il cuore divertirsi a martellarle il petto mentre la mano del ragazzo le scostava una ciocca di capelli ribelli dal viso, sfiorando appena la pelle della sua guancia. Quegli occhi grigi, quella sera, avevano saputo trasmettere un’ulteriore emozione.
Grazie. Fu il pensiero di entrambi.
“E’ ora di dormire, adesso.” Mormorò lui lievemente, ma con voce profonda e calda, mentre il viso di Hermione andava letteralmente a fuoco ed il suo cuore si lanciava in una folle corsa contro qualcosa che non avrebbe mai potuto vincere.
Quando si accorse che lui le stava puntando gentilmente sulla fronte la propria bacchetta magica – in un gesto che trasmetteva una delicatezza sorprendente nonostante le apparenze, sorrise.
“Sapevo che l’avresti fatto. Pur di farmi tacere faresti di tutto.” Sospirò senza il minimo timore.
Draco accennò un breve sorriso in risposta.
“Questa volta no.” Respirò piano contro il suo viso. “Questa volta si tratta di un favore. Niente brutti sogni questa notte, promesso.”
Diciamo un ringraziamento per questo tuo tentativo di restare con me, in tutti i sensi.
I loro sguardi rimasero come incatenati l’uno all’altro.
Nessuno ci era mai riuscito prima d’ora.
Mormorò le parole dell’incantesimo che tante e tante volte Hermione aveva utilizzato su Harry, Ron o Ginny quando non riuscivano a prender sonno a causa della tristezza, della paura, del nervosismo o chissà che altro. Era l’incantesimo che, però, non aveva potuto salvarla da tante notti insonni – colme di tristezza – perché non aveva effetto come ‘autoincantesimo’.
Lui l’aveva capito. Aveva capito che le sarebbe bastata una piccola attenzione.
Sentiva la terra girarle sotto i piedi, la testa si era fatta troppo pesante, gli occhi troppo stanchi. Appena prima di abbandonarsi a quel sonno ristoratore, udì la voce un po’ roca di Draco.
“Stai attenta, Granger, perché potrebbe anche piacerti.”
Non capì cosa, perlomeno fino a quando non vide il viso perfetto del ragazzo così vicino che non riusciva più a capire se stesse sorridendo o cosa. Troppo vicino. Sentì le sue labbra premere con delicatezza sulle proprie ed una mano dalla decisa gentilezza sostenerla mentre, più confusa che mai, si lasciava vincere dall’incantesimo.
Draco la osservò per qualche istante: il respiro lento e profondo, gli occhi chiusi, le labbra rosate, solo un po’ pallide per il freddo. Finalmente un po’ di serenità su quel viso. Dormiva. Prima o poi avrebbe avuto serenità anche nello sguardo.
“Chi deve stare attento sono io.” Si disse con un sorriso ironico e sarcastico. “Perché tutto questo potrebbe anche piacermi.”
Le scostò qualche ciuffo castano dal viso.
“… non posso, non ancora…”
Potrebbe decisamente piacermi.


   
 
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