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Autore: _Takkun_    17/05/2015    5 recensioni
Con la partecipazione degli ASL, ecco a voi un AU in cui Ace e Sabo hanno 17 anni e Rufy 4.
Come li vedete i due fratelloni alle prese con la missione: devo far imparare a Rufy ad andare in bici?
Ecco a voi le avventure di MamaSabo e PapaAce!
[Ace e Sabo sono sempre fratelli in questa fic, ma mi piace troppo chiamarli così, giusto per chiarire nel caso di fraintendimenti~]
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice:
Questa cosa è nata dopo aver letto l’ultimo capitolo uscito, e, soprattutto, volevo dedicare questa sciocchezza a qualcuno: Sugar, spero davvero che ti piaccia e che ti regali un sorriso, lo stesso che ho io quando mi ritrovo un tuo messaggio nella casella della posta! :3
Con la partecipazione degli ASL, ecco a voi un AU in cui Ace e Sabo hanno 17 anni e Rufy 4. Come li vedete i due fratelloni alle prese con la missione: devo far imparare a Rufy ad andare in bici?
Ecco a voi le avventure di MamaSabo e PapaAce! XD

Beh, non posso che augurarvi buona lettura! :33
Un bacione!

 
 
How to ride a bicycle
 
 



~[Mama]Sabo~
 

«Andiamo, Rufy, non devi preoccuparti. Guarda, ho messo le rotelle dietro, non rischi di cadere.»
Il sorriso dolce e gentile di Sabo lo convinse a compiere quel fatidico passo: avrebbe finalmente imparato ad andare in bici, proprio come Ace, Sabo e tutti i suoi amici!
Strinse i pugni e annuì sicuro di sé, Rufy, guardando deciso la sua piccola bici.
In fondo non aveva nulla da temere finché Sabo rimaneva al suo fianco.
«Ora salgo.» annunciò, sedendosi sul sellino e stringendo forte tra le mani il manubrio.
Provò a mettere i piedi sui pedali, ma non appena la bici dondolò pericolosamente, si affrettò a posare le punte a terra, mantenendo un minimo di equilibrio, seppur precario.
Sabo sorrise intenerito, e decise di andare in suo aiuto. Con fare rassicurante appoggiò la sua mano sulla schiena del minore, e l’altra la posizionò al centro del manubrio, in modo tale da avere il controllo per la parte iniziale.  
«Non temere, ci sono io.» gli sussurrò, abbassando il viso di fianco a quello del fratellino. Quest’ultimo fissò il maggiore con la coda dell’occhio, come incantato. Come ogni volta pendeva dalle sue labbra, e aspettava solo sue istruzioni per dare il meglio di sé.
 «Rufy, ora guarda dritto davanti a te, come sto facendo io, e metti piano i piedi sui pedali. Non cadrai, te lo prometto.» assicurò, lo sguardo deciso.
Rufy rise a quelle parole. Sabo avrebbe anche potuto evitare di prometterglielo, sapeva che il suo fratellone non diceva le bugie, men che meno a lui!
Il biondo gli scompigliò i capelli.
«Che hai da ridere? Forza, fa’ come ti ho detto. Oggi imparerai ad andare in bici, fratellino!» ritornò con la mano sulla schiena, aspettando che Rufy si mettesse in posizione.
Il piccolo corvino riacquistò immediatamente un’aria seria e inchiodò il suo sguardo sulla strada davanti a sé. Mise lentamente il primo piede sul pedale, seguito subito dopo dall’altro.
Ecco, ce l’aveva fatta, e si trovava ancora sulla sua bici, non era caduto!
«Perfetto. Ora sai cosa devi fare?»
«Devo pedalare.» rispose, tirando un sospiro dal nasino, concentratissimo.
Sabo annuì. «So che puoi farcela. Io sono sempre qui vicino…» disse, aspettando che Rufy fosse pronto.
Il minore si prese qualche altro secondo e, piegando leggermente il busto in avanti, cominciò a pedalare, muovendosi a poco a poco. Sabo lo seguiva a ruota, lentamente, senza mettergli alcun tipo di pressione.
«Vai così, Rufy…» pensò, osservando orgoglioso il suo piccolo aspirante pirata.
«Sabo, lasciami pure, ora faccio da solo.» si morse lievemente il labbro inferiore, avvertendo la pressione della mano del maggiore farsi sempre meno presente dietro la sua schiena.
Sabo, una volta tolta anche la mano sul manubrio, si fermò sul posto, sorridendo soddisfatto nel vederlo gironzolare felice con la bici.
Sghignazzò. Aveva persino cominciato a pedalare più velocemente, carico dell’entusiasmo di essere riuscito ad imparare così in fretta.
«Stai andando benissimo, frat-» ma il biondo sbiancò d’un tratto, accorgendosi solo ora della ripida discesa alla fine della strada, incontro alla quale Rufy stava andando inconsapevolmente. «Rufy!»  scattò come un lampo, cercando di raggiungerlo in tempo.
Il minore si voltò a guardarlo e, pensando che volesse giocare con lui ad acchiapparella, aumentò il ritmo delle pedalate.
«Non riuscirai a prendermi, Sabo!» rise, prossimo alla pericolosa discesa da cui sarebbe uscito con più di qualche graffio se fosse finito per affrontarla.
Fu questione di secondi e, nel momento in cui la bici cominciò ad inclinarsi in avanti, Sabo, con un’agilità fuori dal comune,  afferrò il fratellino da sotto le ascelle, attirandolo contro il suo petto, seguendo con lo sguardo, insieme a Rufy, il mezzo a due ruote scendere giù per la pendenza con una velocità sempre maggiore, arrivando a cambiare traiettoria, indirizzandosi verso il tronco di un albero.
Quando ci andò a sbattere, sia Sabo che Rufy chiusero con forza gli occhi per il rumore che provocò.
Il biondo posò una mano sui capelli del minore e cominciò ad accarezzarli, sospirando.
Se fosse successo qualcosa a Rufy non se lo sarebbe mai perdonato, ed Ace lo avrebbe sicuramente fatto fuori.
Meglio non raccontargli della vicenda.  
Rufy strinse tra le mani il tessuto della maglia di Sabo, tenendo lo sguardo basso.
«Ehi.» provò a chiamarlo dolcemente il biondo.
Si era sicuramente preso un forte spavento dopo aver visto la fine che aveva fatto la sua bici, e sperava solo che l’accaduto non si trasformasse in una sorta di trauma.
«Fratellone.» aprì finalmente bocca.
«Rufy, stai tranquillo, non succe-» ma si bloccò, terribilmente spaventato dall’espressione che il piccolo aveva dipinta in volto.
Perché il suo sorriso era così ampio?
Perché quegli occhietti vivaci brillavano della stessa luce di quando si ritrova una bistecca sul piatto?
Oh, no, fu il pensiero di Sabo.
«S-sì, R-Rufy…?»
Perché aveva paura di voler sapere la domanda che stava per porgergli?
Anzi, perché credeva di sapere che cosa gli stava per domandare?
«Lo rifacciamo?»
Il biondo si tirò una manata sul viso, sconvolto.
«Perché vuoi metterti in una situazione che mi farà venire più di un infarto, fratellino?»
 

 

 
~[Papa]Ace~
 

«Ecco fatto. Ho rimesso le rotelle.» Ace posò a terra la chiave utilizzata per stringere nuovamente i bulloni delle rotelle. Credeva che con l’aiuto di Sabo avesse imparato ad andare senza, ma a quanto pareva era ancora troppo presto.
«Posso sapere perché mi hai detto che sapevi andare senza rotelle? Sei caduto non appena ti sei seduto sulla sella.» si accomodò sul marciapiede, gli avambracci posati sulle ginocchia, osservando con la testa inclinata di lato Rufy, in piedi poco più lontano da lui, imbronciato e con entrambe le ginocchia sbucciate.
«È stato il vento a farmi perdere l’equilibrio! Io ci so andare, Ace!» si giustificò, tirando su col naso.
Ace sospirò e, accennando a un sorriso, fece segno al minore di avvicinarsi. «Dimmi, ti brucia?» lo fece sedere sulle sue gambe, esaminando le sbucciature.
Il minore scosse vigorosamente la testa. «Nemmeno un po’!»
Rufy aveva gli occhi arrossati e del muco gli colava ancora dal naso, quindi si era palesemente messo a piangere mentre era impegnato a rimettere le rotelle, trattenendo il rumore dei singhiozzi: il solito, insomma.
Raramente Rufy finiva per piangere davanti a lui.
Se gli succedeva qualcosa, la prima persona da cui andava a farsi consolare era Sabo.
Perché Sabo è buono e comprensivo.
E forse il biondo aveva ragione: doveva smetterla di dire a Rufy che i veri uomini non piangono, in fondo ha solo quattro anni.
Il suo fratellino non poteva avere paura di mostrarsi vulnerabile e in cerca d’aiuto in sua presenza!
 Lui era il maggiore e il suo compito era proprio quello di aiutarlo e confortarlo, diamine.
Ace mise un braccio di Rufy attorno al suo collo, in modo tale che potesse tenersi a lui, e gli afferrò la gamba, soffiando su una delle ginocchia.
 «Ace! Ti ho detto che non mi fa male!»
«Ti ho raccontato di quello che mi è successo ieri, Rufy?» rispose invece, continuando a fare aria.
Per fortuna di sangue non sembrava esserne uscito.
«Che cosa ti è successo?» domandò, curioso, dimenticandosi dell’operato del fratello.
Ace sorrise. «Mentre stavo giocando a pallone con Sabo, Marco e gli altri, mi sono davvero fatto male alla schiena. Anche io ho delle sbucciature come le tue lì. E sai cosa ho fatto?»
Rufy lo ascoltava attento. «Cosa hai fatto, Ace?»
Il corvino passò all’altro ginocchio, e tra una soffiata e l’altra rispose al più piccolo. «Mi sono messo a piangere.» mentì, lasciando a bocca aperta il minore.
«Ma Ace, tu hai sempre detto che i veri uomini non possono piangere!»
«Mmh… forse il tuo fratellone ha trovato una frase che è molto più vera di questa.» disse, rimettendo in piedi il bambino, che sembrava essersi dimenticato dell’incidente di prima.
«Quale?» Rufy si afferrò un lembo della canottiera rossa che indossava, attendendo con impazienza che Ace continuasse.
«I veri uomini sono coloro che non hanno paura di piangere. Se ti trovi in difficoltà, se cadi e ti fai male, c’è una cosa che non devi dimenticare: piangere e far vedere quello che provi è ciò che un vero uomo, come te, deve saper fare meglio!» si rialzò da terra e, stringendo una mano a pugno, lo porse al fratellino.
Rufy imitò Ace, facendo scontrare il proprio con quello del fratello.
«Quindi… se piango va bene? Sono comunque forte?» chiese, cercando conferma.
«Certo che sì!» annuì Ace, posando le mani sui fianchi. «Anche se ieri ho pianto, sono rimasto lo stesso, no?» sorrise, ammiccando in sua direzione. Poi il suo sguardo andò a posarsi sulla bici.
«Che ne dici, vuoi riprovare ad andarci?» si diresse verso il mezzo, salendoci sopra. «Le rotelle sembrano a posto. Se reggono me, reggeranno anche te, quindi non devi preoc-» ma una manina che prese a stringere la sua maglietta attirò la sua attenzione. «Che c’è, Rufy?» lo guardò intenerito, notando qualche lacrima scivolargli lentamente sulle guance.
«Ho detto una bugia. Mi facevano male prima, però ora che ci hai soffiato mi è passato.» le spalle sobbalzavano a causa dei singhiozzi, e il suo sguardo rimaneva basso, non era abituato a guardare in faccia il maggiore quando si trovava in quello stato.
Ed Ace non poté fare a meno di odiarsi per questo.
Sentiva davvero il bisogno di prendersi a pugni in quel momento.
«Ehi, ehi.» gli prese la manina, avvicinandolo a lui. «Sta’ tranquillo, puoi piangere quanto vuoi.» gli fece appoggiare il viso contro il suo petto, lasciandolo sfogare.
Come poteva essere stato così idiota da dirgli di non piangere solo perché era qualcosa di poco mascolino?
Oh, una volta tornato a casa, una bella testata contro il muro non gliel’avrebbe levata nessuno.
«Rufy, promettimi una cosa.»
«C-che cosa?» singhiozzò contro la maglietta ormai bagnata dalle sue lacrime.
«Non nascondermi più come ti senti, okay? Voglio che tu mi dica sempre tutto.» gli fece scoprire il viso, asciugando con i pollici le guance umide.
Rufy, con l’aiuto dell’avambraccio, strofinò via il muco da sotto il naso e annuì. «Te lo prometto.»
«Bene.» sorrise, scompigliandogli amorevolmente i capelli. «Uh?» poi si fece pensieroso, guardando la famosa discesa che lui e Sabo avevano utilizzato spesso per sfidarsi a chi scendeva per primo, da bambini –okay, a volte ancora tutt’oggi.
«Ho un’idea.» disse, ghignando. Scese dalla bici e la prese in una mano, invitando Rufy a seguirlo.
Arrivati davanti alla pendenza, Ace si risedette sulla bici e Rufy continuava a guardarlo perplesso. «Ora sali sulla mia schiena e preparati ad affrontare quest’avventura.»
«Scendiamo con la bici?!» chiese, super eccitato, salendo prontamente sulla schiena del maggiore, come dettogli. Poi gli venne in mente una cosa che fece per un attimo scemare il suo sorriso.
«Sabo dice che è pericoloso.»
Ace se lo sistemò per bene su di sé, ampliando il suo ghigno. «MamaSabo non deve necessariamente saperlo, fratellino.» mise mano al manubrio, piegando il busto in avanti. «Reggiti forte e goditi il vento.»
Rufy si aggrappò con forza alle spalle di Ace, carico di adrenalina. «Vai, Ace!» esclamò, e il maggiore ubbidì all’istante. Bastò una leggera spinta e si ritrovarono a scendere giù per quella discesa.
Il vento sferzava loro il viso, i capelli volavano liberi, ribelli, e le risate di Rufy erano una melodia che le orecchie di Ace non si sarebbero mai stancate di ascoltare.
«Woooohoooo!» gridò il minore, tenendosi sempre ben stretto ad Ace.
Quest’ultimo rise di gusto.  «Questo è il grido di battaglia che utilizzerai quando sarai un pirata, fratellino?»
«Sì! Proprio così! E anche tu e Sabo dovrete trovarne uno! Perché farete parte della mia ciurma!»
Ace staccò una mano dal manubrio, stringendo forte la mano di Rufy posata sulla sua spalla sinistra. «Come desidera, capitano!»
Ma in quel momento qualcosa accadde.
Qualcosa che Ace probabilmente si sarebbe dovuto aspettare visto il suo peso e le dimensioni della bici.
Eppure sperava che potessero reggere, aveva stretto bene quei dannati bulloni.
Una delle rotelle si staccò e la bici finì per inclinarsi tutta da un lato.
Cercare di riottenere il controllo era stato inutile.
Caddero dalla bici, mentre quest’ultima andò a schiantarsi a terra poco più lontano da loro.
Rufy, che nel frattempo aveva tenuto serrati gli occhi, pronto ad avvertire già del dolore a causa di nuove sbucciature, gli riaprì lentamente, uno alla volta, per capire che cosa fosse successo dato che, contrariamente alle sue aspettative, non aveva sentito nulla.
«Ehi, tutto bene, capitano?»
Quando il minore realizzò ciò che aveva fatto il fratello, scese prontamente dalla sua schiena, preoccupatissimo.
«Ace!»
Il maggiore gli sorrise, sollevato. «Bene, sembra che non ti sia fatto nulla. Non preoccuparti per me, è solo qualche graffio.» si alzò dalla posizione a quattro zampe che aveva assunto per cadere, e quindi impedire che a Rufy potesse succedere qualcosa.
Si controllò i palmi delle mani spellati, e le ginocchia messe peggio di quelle di Rufy. Sospirò.
Ora come gliel’avrebbe spiegato a Sabo?
Magari se gli dico che ho affrontato un borseggiatore per aiutare una vecchietta, mi crede, pensò.
«A-Ace… Ti sei fatto male… per colpa-»
Il maggiore gli afferrò il naso tra l’indice e il medio, tirandoglielo. «Non osare finire quella frase. Stavamo giocando, no? Quante volte giochiamo e ci facciamo male? Passerà, tranquillo.» scrollò le spalle, mostrandogli i suoi palmi.
«Ehi, non sembrano le mani dello zombie del film di ieri sera? È fortissimo, vero?» finse un’espressione entusiasta, che fortunatamente contagiò il minore, sollevandolo da quei sensi di colpa che si stava creando.
«Posso toccare?! Voglio vedere com’è la pelle di uno zombie!» si affrettò a tastare con le dita, senza aspettare la risposta affermativa di Ace. Quest’ultimo trattenne un gemito di dolore, continuando a mantenere il sorriso sulle labbra.
Dannazione se bruciava!
E… oh! Giusto. Meglio assicurarsi di una cosa…
«Ehm… senti, Rufy.»
«Mh?»
«Ricordi quando ti ho detto che Sabo non deve necessariamente sapere quello che abbiamo fatto?»
«Sì.»
«Bene, vedi di non dimenticartelo, fratellino.»
«Okay! Woah! Ace, anche io voglio i palmi delle mani come quelli di uno zombie!»
«Magari la prossima volta, eh. Tu continua a giocare con i miei…»
«Uhm, va bene.»

Io intanto vedo di trovarmi una scusa che possa essere credibile…
 
 
 
 
  
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