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Autore: Lalley    03/01/2009    1 recensioni
Pensavo che la mia fosse morte. Anzi, no. Se fosse stata morte sarei stata fortunata. La mia era dannazione. Non era vita, ma un’esistenza inutile. In fondo, io non dovevo neanche più esserci su questo mondo. La mia era una condanna, una maledizione eterna. Avrei dovuto esistere per sempre. E quando puoi vivere in eterno, non c’è nulla per cui vivere davvero.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Pensavo che la mia fosse morte

Capitolo 2

Ansia, preoccupazione… paura?•

I buoni i cattivi i dipinti ed i vivi
Non c'è ideale
che valga una guerra...
Combatti ogni piccolo
e grande tormento
Ed esci più fuori a gioire
di ogni momento

Vivi davvero_Giorgia

Di cosa poteva avere paura un mostro come me?
Ero immortale. Ero veloce. Ero immune alle armi. Ero talmente solida da poter attraversare un muro camminando normalmente. Ero talmente forte da poter sorreggere un palazzo.
E allora di cosa avrei potuto avere paura?
Del destino. Del futuro. Di tutto ciò che non potevo controllare.
Ecco cosa mi terrorizzava.
Potevo fare qualsiasi cosa grazie al mio fisico, ma nulla potevo contro il mio destino. Alice lo ribadiva spesso: ero io a controllarlo. Ma se non l’avessi fatto bene? Se avessi inconsapevolmente scelto per me il futuro sbagliato?

Ero sdraiata sul divano, preoccupata per ciò che mi attendeva il giorno dopo. Non avevo visto Alice così impaurita da una visione, se non poche volte, ed era sempre successo per validi motivi. Ma non mi aveva voluto dire nulla. Lentamente la casa si stava popolando, ma io non stavo dando retta a nessuno. Speravo di cuore che non se la prendessero. Purtroppo la mia testa era da tutt’altra parte…
Perché? Perché doveva lasciarmi nel mio tormento interiore a domandarmi cosa diavolo potesse accadermi l’indomani? Perché farmi questo, diamine?!
Carlisle, mio padre adottivo, un vampiro biondo e bello che dimostrava all’incirca trent’anni, mi osservava dall’altra parte della stanza senza dire una parola, con lo sguardo allarmato. Cercai di non farci caso. Non volevo farlo preoccupare e renderlo come me in quel momento. Come neanche Esme che, cercando di non farsi notare, ma evidentemente non riuscendoci, mi lanciava sguardi ansiosi, mentre parlava con Jasper. Mio fratello era impegnato nella discussione talmente tanto da non avvertire il mio stato d’umore. Era preoccupato per la sua permanenza a scuola, non era ancora preparato a controllarsi così tanto con gli umani. Per lui, purtroppo, quella situazione era un incubo, ma per amore di Alice avrebbe fatto di tutto. Già, Alice. La mia sorella preferita che fino a quel momento non avevo detestato così tanto. Mi voleva bene almeno quanto ne volevo io a lei, ma non mi aveva più parlato per tutta la sera, se non di cose inutili come i nuovi modelli di Prada. Chiederle di nuovo della visione e cadere nel buio dei suoi occhi agonizzanti e terrorizzati mi tratteneva dal farlo. Avrei fatto di tutto pur di non vederla in quello stato. Ma la mia tensione era troppa, il mio nervosismo alle stelle, e non resistetti un secondo di più…

Mi alzai di scatto e a passi lunghi e veloci raggiunsi la camera di mia sorella in meno di un secondo. Misi una mano sulla maniglia . Dovevo chiederle spiegazioni, ad ogni costo…
«Bella?» chiese una voce all’interno.
Ah, giusto. Mi aveva “visto” arrivare.
«Sì.»
«Entra pure»
E lo feci. Mia sorella era, come al solito, davanti al guardaroba a riordinare, per l’ennesima volta, i vestiti per tipo, colore, marca…
Probabilmente per distrarsi o per far credere a me che non ci fossero problemi. Ma con la sottoscritta la tattica non funzionava. Stavo per iniziare a parlarle, a chiederle spiegazioni, ma non mi diede il tempo di aprire bocca.
«Domani è martedì… bene… che ne dici? Cosa potrei mettere? Qualcosa di semplice come questa camicetta con un paio di jeans, oppure qualcosa di più appariscente? Eh?»
«La camicetta penso vada bene…» biascicai a mezza voce.
«Perfetto! Grazie Bella!» disse con la sua voce scampanellante. Poi si voltò nuovamente verso l’armadio, lasciandomi impalata sulla porta.
Mi stava… congedando?
No, non avevo affrontato la situazione con lo spirito giusto. Dovevo affrontarla, dovevo farla parlare.
«Alice… ti prego…» implorai a bassa voce.
Si bloccò, ma senza voltarsi. Era combattuta.
«Qual è il problema, Bella?» scampanellò facendo finta di niente. Ma l’avevo colpita, nel suo tono di voce c’era una velatura di ansia, ansia profonda…
«Alice, tu lo sai…» dissi sottolineando l’ultima parola. La vidi fremere, per poi bloccarsi. Rimanemmo parecchi minuti così, ferme, rigide, mute.
Pensai non si volesse più muovere, ma non rinunciai a continuare.
«Alice?»
«Bella, non posso.» rispose fredda.
«Cosa non puoi?» chiesi con un filo d’isteria nella voce.
Si girò verso di me, con quella dolorosa punta di terrore nello sguardo.
«Bella, andrà tutto bene. Domani non mi alzerò dal mio posto in mensa, ti resterò accanto. Andrà - tutto - bene…» disse sillabando la parte finale. Sembrava parlare come per convincere anche sé stessa.
«Cosa succederà domani in mensa?» domandai con falso tono calmo. Ero più che nervosa.
«Niente…» sussurrò Alice voltandosi.
Ancora. Voleva nuovamente sfuggirmi. Oh, no Alice, no, no, no…
«Cosa diamine succederà domani in mensa???» domandai nuovamente, questa volta quasi urlando.

Si voltò verso di me con espressione rigida e le mani che le tremavano, appuntando i suoi occhi nei miei. Se non fosse stata un vampiro, quasi sicuramente si sarebbe messa a piangere. Mi maledii immediatamente, avrei voluto tornare indietro e non sapere più nulla. Non volevo vedere mia sorella così…
Mi odiavo, mi odiavo, mi odiavo…
«Vuoi proprio saperlo?? Eh? Va bene, te lo dico! Va bene, Bella! Per la tua felicità, domani salterai al collo di uno studente e lo dissanguerai sotto gli occhi di tutti!» urlò furibonda.
Poi si accasciò sul divanetto prendendosi la testa tra le mani.
«Ti ho visto, ed è stato… così terribile…non sembravi tu, Bella… quella non era mia sorella…» continuò tra i singhiozzi.
Fui immediatamente al suo fianco e la strinsi a me. Perché l’avevo provocata? Alice non doveva soffrire ancora a causa mia…
«Sei contenta ora?» sussurrò sulla mia spalla.
«Scusa, scusa, scusa Alice…» iniziai a ripetere allo sfinimento.
Continuava a singhiozzare abbracciata a me. Ed io non capivo…
Era nella nostra natura cacciare, perché nella visione di Alice facevo così tanta impressione? E poi… lei era un vampiro, questo tipo di cose non avrebbero dovuto suggestionarla…
Mentre riflettevo un brivido mi corse lungo la schiena. Stavo dimenticando la cosa più importante: perché avrei dovuto attaccare un umano?
Io…no… non avrei mai potuto…
Io non volevo tornare a essere il mostro che ero stata per anni…
«Alice, è semplice: domani rimarrò a casa.» decretai.
Si staccò da me, il viso serio. Parve rifletterci, come se quella non fosse stata, da sempre, la soluzione più ovvia.
«No, Bella. Io ti farò calmare… tu non perderai il controllo»
Mi rilassai. «Allora hai avuto un’altra visione, non attaccherò nessuno…»
Scosse la testa. «No, non ho avuto altre visioni.»
Mi irrigidii all’istante. «E allora…»
«E allora ci sarò io al tuo fianco.»
«Tu sei pazza, Alice…»
Mia sorella mi tornò a fissare negli occhi, più seria che mai.
«No, Bella, non sono pazza. È per la sicurezza di tutti. Se ti succedesse in una piazza, gremita di gente…»
«Mi stai dicendo che non so controllarmi?» ero allibita.
«No, sto dicendo che domani dovrai controllarti.» mi rispose.
Mi si avvicinò, abbracciandomi di nuovo.
«Bella, ti voglio bene. Non voglio che tu corra rischi. Affronteremo insieme questa prova…»
Mi venne da ridere sentendo “che tu corra rischi”. Quella che avrebbe maggiormente rischiato sarebbe stata la persona che il mio istinto mi avrebbe fatto attaccare, non di certo io. Anche se ancora non capivo perché avrei dovuto voler azzannare un umano. Non era da me…
«Ok.» risposi sorridendo, soprattutto per rassicurarla. Ma dentro me ero più nervosa di quando ero venuta alla sua porta. Era stato uno sbaglio sapere tutto. Non mi ero tranquillizzata per niente…
In quel momento non stavo decidendo solo per me, ma anche per tutta la mia famiglia. Nelle mie mani c’era il loro futuro non avrei dovuto deluderli.
Dopo un breve istante mi staccai e la baciai sulla guancia. Mi alzai in piedi dirigendomi verso la porta della stanza.

«Tranquilla Alice, domani sarà un giorno normale. Non succederà nulla.» dissi sorridendo prima di uscire.
«Lo spero…» sentii mormorare mentre già mi allontanavo verso la mia camera.
Era tutto così assurdo… tutto così… impossibile.
Mi venne da ridere. Parlavo io d’assurdità.
Io che ero un mostro…

  
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