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Autore: ReaVi    20/05/2015    4 recensioni
Aline Dupont ha diciassette anni e vive in una Parigi controllata. I suoi richiami alla Centrale sono tutti positivi, non c'è nessuna traccia di ribellione in lei; suo fratello Tristan è gentile, sua madre e suo padre si prendono cura della famiglia, ed è l’incontro con due fuggiaschi a stravolgere tutto. Il suo mondo inizia a vacillare e la libertà si interpone quasi prepotentemente nella sua vita.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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CAPITOLO CINQUE
Mio fratello è un Controllore e mio padre è uscito presto stamattina, senza fare colazione con noi. Mia madre ha detto che era per lavoro, ma non sembrava molto convinta. Io credo di non aver capito molto. Non mi ricordo che strada ho fatto per arrivare a scuola. Non ricordo nemmeno se mi sono lavata i denti.
« Aline? Aline Dupont? »
La professoressa Roux mi richiama più forte ed è come se mi svegliassi da un sonno profondo, scoprendo di essere a scuola. Alla mia destra Bruno sghignazza divertito dalla mia espressione da scema rintontita, mentre Arielle si volta a guardarmi quasi con preoccupazione.
« Aline, stai bene? » la professoressa mi guarda con sospetto ed io annuisco, deglutendo con imbarazzo. « Vuoi leggere? Siamo a pagina 54. »
Apro il libro, trovo la pagina e mi schiarisco la gola. Bruno continua a guardarmi e devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per concentrarmi nella lettura.
 
« Aline! » Josée mi corre dietro mentre cerco di filarmela prima che posso, senza grandi risultati. Mi ritrovo il suo viso di fronte prima ancora che riesca a superare il cancello. « Ti va di venire da Sofian? »
Probabilmente Josée deve dirmi qualcosa riguardo Lucas ed il loro appuntamento, ma io non ne ho voglia. La mia testa è pesante e sono angosciata per questo mio stare così male. Perciò la scuoto.
« No, scusa Jo, non oggi. Possiamo fare domani? »
Il suo entusiasmo scema rapidamente e stringe le stringhe del suo zaino, ma annuisce lo stesso con un cenno fermo della testa. « D’accordo, ma stai bene? Ti accompagno a casa? »
« No, non c’è bisogno, non preoccuparti. A domani. » mi dileguo più in fretta che riesco, come se stessi soffocando, ed imbocco la strada per tornare a casa. Potrei prendere l’autobus ma non mi va, preferisco farmela a piedi anche se fa freddo.
I miei passi si susseguono regolarmente ed io osservo le mie scarpe muoversi secondo un ordine che mi sembra di conoscere a memoria. Stringo le mani in due pugni e faccio un piccolo salto, ma riprendo a camminare esattamente come prima. Mi sembra così sbagliato che faccio un altro salto e niente cambia, allora balzo di nuovo e stavolta, lo vedo, il ritmo è diverso. Ci sono riuscita, ho cambiato il normale controllo della mia andatura.
Mi viene da sorridere e mi domando se sia davvero così errato non essere controllati, distinguersi dalla massa. Nella mia scuola abbiamo tutti gli stessi abiti perché indossiamo la divisa, studiamo dagli stessi libri, parliamo allo stesso modo e facciamo le stesse cose. Non appena qualcuno fa qualcosa di nuovo o che può sembrare irregolare, ecco che subito ci sono gli sguardi di disapprovazione, le risate di scherno. Come hanno fatto Bruno ed Arielle oggi. Non voglio che la gente pensi che io sia una ribelle, ma preferirei che pensassero questo piuttosto che etichettarmi come qualcuno che non regge i farmaci. Forse in Centrale vogliono che alcuni di noi perdano il controllo per essere messi k.o., ma io cosa c’entro in tutto questo? Sono soltanto Aline. Sono sempre Aline.
Svolto l’angolo appena in tempo per fermarmi e sgranare gli occhi, assistendo ad una scena del tutto nuova per me: riconosco il ragazzo che ha recuperato il mio zaino dal ladro e che me l’ha restituito, ma è pressato contro il muro da un secondo ragazzo, moro e muscoloso, che gli punta un coltello sul viso. Stanno entrambi in piedi davanti ad una serie di cassonetti con rottami vari, tra cui delle travi di legno. Ne vedo una di dimensioni non troppo grandi, maneggiabile perfino per me, e senza pensarci su troppo mi fiondo ad afferrarla, scaraventandola poi con forza contro l’aggressore armato. Riesco a prenderlo alla sprovvista e, rintontito, perde l’equilibrio, offrendo all’altro ragazzo l’opportunità di assestargli un calcio nello stomaco.
« Scappa! » mi grida contro, ma vedendo che io rimango immobile mi afferra una mano e mi trascina via con sé. Attraversiamo la strada e prendiamo una via secondaria, correndo lungo il marciapiede e dentro un vicolo più stretto. Seguo questo sconosciuto di cui ancora non so il nome ma che ho salvato e, prima che capisca la zona in cui siamo, dopo aver salito dei larghi gradoni in pietra mi ritrovo davanti alla porta di una casa. Il ragazzo bussa con un ordine ben preciso di tocchi e nei restanti tre secondi e mezzo d’attesa si guarda attorno con circospezione. Non mi rivolge nemmeno un’occhiata, ma la sua mano è ancora stretta nella mia. È quando la porta si apre, che inizio a non capire assolutamente niente, perché sulla soglia c’è Louis Tomlinson, e l’ultima volta che l’ho visto è scappato da un rifugio di cassonetti lungo la via buia e pericolosa di casa mia.
« Facci entrare. » dice l’altro, che mi trascina con sé dentro la dimora piccola e spoglia. Le finestre illuminano un minuscolo soggiorno con un divano malandato ed un tavolo in legno con sopra un computer. Non c’è nient’altro, se non un posacenere ricolmo di cicche ed una nauseante puzza di fumo.
È soltanto una volta dentro, che il moro lascia andare la mia mano.
Louis Tomlinson mi si para davanti, con lo sguardo tra il sorpreso ed il paranoico, una leggera barba sulle guance ed una felpa blu scuro a coprirgli il corpo ossuto.
« Tu sei la ragazza che mi ha fatto scappare l’altra notte. »
Mi riconosce ed io me ne sto in silenzio.
« Che cosa ci fa con te? » chiede all’altro, che nel frattempo si è acceso una sigaretta e la sta fumando quasi con fame.
« Ha tirato una trave in testa ad uno che voleva farmi secco. » mi si avvicina superando Louis Tomlinson e mi guarda quasi severamente. Forse non mi ha portata qui per mettermi in salvo, ma per tenermi d’occhio. Per catturarmi. Il pensiero mi fa tremare di angoscia, ma continuo a guardare nelle sue iridi chiare.
« Chi sei? » mi domanda, ed io non rispondo. Non sono sicura di poterglielo dire. Vedendo che sto zitta, allora, insiste con un’altra domanda. « Perché l’hai fatto? »
Deglutisco. « Tu hai fermato un rapinatore che aveva la mia borsa e me l’hai restituita. »
Il ragazzo mi guarda basito per qualche istante, prima che Louis Tomlinson compaia di nuovo al suo fianco, catturando la sua attenzione.
« Come? »
« Io non mi ricordo. » ammette l’altro. Mi guarda ancora una volta, da capo a piedi, e mi sento tremendamente piccola. C’è un lieve bagliore che gli colpisce gli occhi. Non dice niente lo stesso e si allontana.
« Perché l’hai portata qui? » gli chiede Louis Tomlinson.
Quello scrolla le spalle e continua a darci la schiena. « Non lo so, sono entrato nel pallone. »
Vedo che gli tremano le mani, anche se cerca di chiuderle in due pugni. Gli osservo le dita contrarsi, tendersi e rilassarsi come un mantra, prima che Louis Tomlinson mi si avvicini spaventosamente, facendomi indietreggiare. Lo guardo minacciosa, anche se penso che lui sia più forte ed in gamba di me.
« Io so chi sei. » gli dico, sfruttando questa cosa a mio favore. La ruga sulla sua fronte mi fa capire la sua confusione. « Louis Tomlinson. »
È quando pronuncio il suo nome che l’altro ragazzo rivolge nuovamente le sue attenzioni a noi, stavolta sorpreso.
« Come fai a sapere il mio nome? »
Cerco di indietreggiare ma c’è la parete contro la mia schiena; non ho via di fuga e questa casa mi terrorizza. Voglio andare via.
« Tutti lo sanno. » dico. « Sei ricercato, la tua faccia sta su tutti i notiziari. »
Si scambia uno sguardo preoccupato con l’altro, che esclama « Cazzo! » e ci dà ancora una volta le spalle. « Dobbiamo andarcene da qui. »
« Se sai chi sono allora perché mi hai fatto scappare? »
Io scuoto un poco la testa. « Non sapevo chi fossi, l’ho scoperto dopo. »
L’altro ragazzo si lecca le labbra, con evidente disagio e nervosismo. « Lou, dobbiamo davvero andare via. »
« Andare dove? » chiedo io, beccandomi delle occhiate strane da parte di entrambi. « Siete dei ribelli? »
C’è quasi dell’eccitazione nella mia voce e non so perché. Louis Tomlinson mi sfotte con una piccola risata.
« Ribelli? » mi riprende. « Solo degli scemi possono credere di poter rovesciare le cose stando qui dentro. »
Non capisco.
« Siamo dei fuggiaschi, stiamo cercando di darcela a gambe. »
Sgrano gli occhi. « E come? »
« Basta. » tuona l’altro, di cui ancora non so il nome. « Sa già troppo. » fa tintinnare un mazzo di chiavi e « Prendo il furgone di Adrien. » dice.
Louis Tomlinson annuisce con un semplice gesto e l’altro ragazzo chiude la mano destra sul mio avambraccio, tirandomi con sé. « Vieni. »
Fuori non avevo notato un furgone nero parcheggiato all’altra estremità della strada e, camminando vigile e attento, il ragazzo mi conduce di fronte alle porte del vano posteriore. Le apre e mi fa segno con la testa di entrarci: è buio e ci sono degli sacchi di iuta gonfi per tutto lo scomparto. Scuoto la testa, spaventata, e lui sospira stufo.
Indietreggio per darmela a gambe, ancora con lo zaino in spalla, ma vengo bloccata dalla figura di Louis Tomlinson, che mi tiene immobile. « Non andrai da nessuna parte. »
È un sorriso sghembo il suo, quasi malefico, che mi fa venire voglia di urlare. L’altro ragazzo mi afferra per le gambe e mi trascina con forza dentro il furgone.
« È per il tuo bene, ragazzina. Non farci usare le maniere forti. »
Chiude le porte ed io resto al buio. Sento che parlano, ma ad entrare è soltanto il ragazzo di cui ancora non so il nome, che si mette alla guida.
Deglutisco  e lo osservo da oltre la grata nera che ci divide, terrorizzata.
« Dove abiti? » mi chiede, allacciandosi la cintura. Io sto zitta, senza rispondergli, e lui mi guarda dallo specchietto retrovisore, decisamente seccato.
« Se non me lo dici come pretendi che ti possa accompagnare a casa? »
Mi accorgo solo ora dell’accento strano con cui parla, come se non fosse di qui. Ma è praticamente impossibile, perché nessuno riesce ad entrare o ad uscire.
Alla fine sospira e si rilassa sul sedile.
« D’accordo, allora staremo qui finché non ti decidi. »
Passano trenta secondi esatti, il tempo necessario a fargli cercare, trovare ed accendere una sigaretta per espirare il fumo ed intossicarmi, prima che ceda.
« Rue Saint-Paul. » rispondo.
Le sue labbra si tirano su in un piccolo sorriso e si volta appena per guardarmi.
« Abito in Rue Saint-Paul. »
« Dannatamente prevedibile. » commenta, accendendo il mezzo. « Dannatamente controllata. »




Piccoli tasselli che si incastrano tra di loro: Louis che conosce il misterioso (ma dove?) personaggio che incrocia il cammino di Aline. Un'Aline che subisce le conseguenze degli eventi che accadono nella sua vita, un'Aline intimorita ma che inizia a porsi delle domande. La normalità in cui è abituata a vivere, è davvero giusta?
Chi è il ragazzo che ha appena salvato da un aggressore? E chi è, davvero, Louis Tomlinson?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! :) Un bacio :*

 
   
 
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