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Autore: JulesBerry    22/05/2015    2 recensioni
Seguito di "I have finally realised I need your love".
[Prevista revisione - e anche piuttosto urgente, Santo Merlino - dei capitoli già pubblicati.]
- Dal capitolo 26 -
«Ci sono sempre stati troppi cocci di me, sul pavimento. Potresti farti del male tentando di raccoglierli e rimetterli insieme» sfilò la mano dalla presa di Fred, percependola più allentata, e si alzò sotto il suo sguardo attonito. «Non sentirti in colpa se non ce la fai più. Non sentirti in colpa se decidi di aprire quella porta. Fosse possibile, sarei la prima a varcarne la soglia per allontanarmi un po’ da me.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che l'amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore'
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Capitolo 23

 


 
 
Un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro,
quando si parte


 
Hope I didn’t speak too soon
My eyes have always followed you around the room
‘Cause you’re the only God that I will ever need
I’m holding on and waiting for the moment
For my heart to be unbroken by the sea
 

 
Miei cari, carissimi lettori.
Sono ormai passati due mesi e forse più dall’inizio di questo nostro viaggio insieme; un viaggio che non sarebbe stato né facile da intraprendere, né tantomeno privo di ostacoli, e lo sapevamo sin dall’inizio.
Ci eravamo prefissati di essere scomodi, e non ci smentiremo. Il nostro obiettivo – mio e dei miei collaboratori, senza dimenticare gli amici di Radio Potter – sempre sarà quello di gridare la verità al di sopra del rumore assordante delle menzogne, e non siamo disposti a fermarci. Non esistono Mangiamorte o Signori Oscuri che possano metterci a tacere.
L’anno sta volgendo al termine, ed è giunto il momento di tirare un po’ le somme. Come credo sia ormai assodato, la realtà non è più quella che vediamo con i nostri occhi, e inizio a chiedermi se lo sia mai stata. I piani alti cercano di offuscare la nostra vista, di renderci ciechi e sordi, marionette nelle loro infide mani. Nessuno che ci informi che l’attuale Ministro della Magia, Pius O’Tusoe, è da tempo sotto l’effetto della Maledizione Imperius. Nessuno che si rifiuti di nascondere le sparizioni e gli assassinii di maghi e Babbani, il cui numero va aumentando in maniera spropositata da un giorno all’altro. Nessuno che parli di ciò che accade tra le mura del Ministero, che ci dica che i dipendenti si recano in quell’edificio con la paura di non tornare più a casa.
Vogliono farci schiavi, convincerci che sia tutto uguale a prima, mentre provano a manipolare le nostre menti con la loro migliore arma a disposizione: il terrore. Gli appassionati di Storia Babbana sapranno meglio di me come, anche lì, nel corso dei secoli, chiunque abbia posseduto un mezzo talmente efficace sia stato in grado di assoggettare al proprio dominio intere popolazioni, controllando le stesse a suo piacimento.
Oggi, il giorno di Natale, voglio ricordarvi quanto sia fondamentale che impariate a contare solo sulla vostra testa, perché unicamente in tal modo potrete riconoscere la realtà. È necessario che sappiate con certezza di chi potete fidarvi, così com’è di grande importanza che rimaniate dalla parte con la quale vale la pena lottare.
Continuate a proteggervi, continuiamo a proteggerci. Abbiate cura di voi stessi, siate prudenti.
Difendete i vostri cari, ma soprattutto non perdete occasione di ricordare loro quanto siano importanti per voi. Ogni giorno è un dono, adesso più che mai, e non sappiamo cosa succederà domani.
Non sprecate tempo: è sempre più prezioso.
Lasciate che vi sia amore.
È così che voglio lasciarvi, questa settimana, ed è così che voglio rivolgervi i miei auguri di un sereno – per quanto sia possibile – Natale. Passatelo con le persone che amate: è il regalo più grande che possiate farvi e che possiate fare loro.
Infine, voglio rivolgermi a una persona in particolare: Harry, ovunque tu sia, se ci stai leggendo, sappi che siamo con te. Abbi forza.
Miei cari lettori, giungo alla fine di questo monologo. Vi lascio agli articoli dei miei collaboratori, che ringrazio pubblicamente per il fedele appoggio che mi hanno garantito nella realizzazione di questo progetto.
Come sempre, nell’ultima pagina, troverete l’elenco delle persone scomparse o decedute nella scorsa settimana.
Giovedì prossimo resteremo inattivi, ma non temete: il primo numero del mese di gennaio ci attende.
Buona continuazione.
 
Golden Eagle
 

 
Margaret rilesse un paio di volte il breve intervento da lei scritto, destinato alla prima pagina del numero di Believe The Truth in uscita il giorno successivo, e si ritenne più che soddisfatta del suo lavoro.
Pochi mesi prima aveva deciso di dare vita al settimanale che adesso si ritrovava a dirigere, e fin da subito aveva potuto contare sul sostegno dei suoi amici – che mantenevano fede all’impegno preso di scrivere almeno un articolo ogni sette giorni –, e in particolar modo di Cassandra e di nonna Vittoria, che aveva ormai fatto pianta stabile in Casa Weasley-Stevens insieme a tutte le sue inseparabili apparecchiature da giornalista. Come lei, anche la dolce nonna Julia era stata invitata a trasferirsi dalla nipote, e nemmeno lei aveva tardato a rendersi utile ogniqualvolta gli impegni in Clinica glielo consentissero.
Paul e Dawson, i rispettivi mariti, erano invece in viaggio per conto dell’Ordine, e non sapevano quando sarebbero tornati. Ciò, naturalmente, aveva riempito d’ansia le due signore, nonché i figli e i nipoti, e le prime avevano ben pensato di sfogarla riempiendo di attenzioni il piccolo Alexander, che a sette mesi dava già mostra di un’iperattività latente.
«Nonna, è pronto. Che te ne pare?» chiese Margaret a Vittoria, che stava dando gli ultimi ritocchi all’impaginazione, mentre la consuocera conteggiava il numero sempre crescente di persone cui recapitare il giornale.
L’interpellata prese il foglio e, dopo aver sistemato meglio gli occhiali sul naso – “Oh, maledetta vecchiaia!”, aveva commentato la donna, diverso tempo prima, rendendosi conto che la sua vista necessitava di un aiutino supplementare –, corrugò la fronte in un’espressione interessata e lesse con attenzione lo scritto della nipote. Una volta che ebbe terminato la sua disamina, alzò gli occhi su quest’ultima, che d’altra parte la osservava come seduta su un groviglio di spine, in attesa di una sua approvazione.
Vittoria annuì lentamente e sorrise, estremamente compiaciuta.
«Avresti dovuto lasciarlo prima, quel lavoro avvilente al Ministero. Brava, tesoro, ma adesso vai. Noi sistemiamo le ultime cose e facciamo partire la stampa delle copie, stasera saranno pronte» la congedò, facendole l’occhiolino, così la ragazza diede in un cenno affermativo con il capo e si allontanò di qualche metro, diretta al centro del salone, dove Alexander era seduto sul tappeto e si divertiva a far suonare i suoi giocattoli, assestando loro dei pugni scoordinati degni di un ometto cicciottello come lui.
Margaret gli si accomodò di fronte, incrociando le gambe, e piegò la testa di lato, sorridendogli. Quando il bambino si accorse di lei, rise e agitò le manine.
«Ma-ma-ma-ma» tentò di articolare, dato che le sillabe erano diventate la sua grande passione nell’ultimo mese – lasso di tempo durante il quale aveva iniziato a mostrare degli inconfondibili segni di magia, rendendo orgogliosissimi i genitori, i nonni e qualsiasi altro essere umano frequentasse di tanto in tanto quella casa.
Dopodiché, il piccolo prese un sonaglio e lo porse alla mamma, che gli fece il solletico.
«Questo è per me? Ma che gentile, è proprio…» iniziò la giovane, ma il rumore di un’esplosione proveniente dal secondo piano fece sobbalzare sia lei, sia le due anziane signore ancora al lavoro, mentre Alexander iniziava a piangere a dirotto.
«È la sesta volta in quattro giorni! Quei due hanno forse intenzione di far crollare la casa?» sbottò Vittoria, che in quell’istante dava l’impressione di somigliare a un gatto isterico cui era appena stata gettata addosso una secchiata d’acqua gelida.
«Tesoro, forse è il caso che tu vada a dare un’occhiata. Ci pensiamo noi al piccolino» disse gentilmente nonna Julia, prendendo in braccio il pro-nipote nel tentativo di rasserenarlo.
Margaret, allora, sospirò e si diresse all’ultimo piano, scuotendo la testa: chissà cos’avevano combinato.
Nell’ultima settimana, infatti, Fred e George avevano deciso di sperimentare dei nuovi prodotti nel loro laboratorio domestico, data l’evidente impossibilità di recarsi a Diagon Alley; il problema, però, era rappresentato dalla loro tendenza a lasciarsi andare un po’ troppo con dei tentativi azzardati che, il più delle volte, avevano delle conseguenze a tratti disastrose – conseguenze che, naturalmente, Vittoria Wilson considerava come degli spietati attentati alle sue coronarie e, ancor di più, ai suoi poveri e fragili nervi. E se all’inizio Meg si era divertita a vedere sua nonna dare in escandescenze, adesso anche lei trovava abbastanza destabilizzante quella situazione, dato che il chiasso che i due erano soliti provocare poteva facilmente essere associato a un attacco da parte del nemico.
Inoltre, tutto quel baccano spaventava terribilmente suo figlio, già di per sé irritabile e incline alle lacrime a causa della lenta e dolorosa dentizione in atto.

Non appena Margaret ebbe aperto la porta della stanza – sulla cui superficie era stato appeso un cartello con scritto “Lavori in corso” –, un’immagine al confine tra l’esilarante e l’esasperante le si parò di fronte agli occhi, lasciandola a bocca aperta: i due fratelli, difatti, erano ricoperti dalla testa ai piedi di una sostanza giallognola e melmosa, mentre alcune regioni dei rispettivi volti apparivano leggermente affumicate. La stessa sostanza giaceva con fare inquietante anche sul pavimento e sembrava potesse prendere vita da un momento all’altro, mentre il fumo proveniente dal calderone usciva con lentezza dalla finestra, provvidenzialmente aperta.
Di fronte all’espressione sconvolta della ragazza, i gemelli tentarono di comportarsi nella maniera più disinvolta possibile: meglio far finta di non essere sorpresi, si dissero.
«Mi sa che questo non lo possiamo mettere in commercio» commentò Fred, allegro, scrollando le spalle e provando a togliersi quella roba di dosso.
«No, direi che non è ancora pronto» gli diede ragione il fratello, imitandolo. Margaret sbatté velocemente e ripetutamente le palpebre e sollevò una mano, attirando la loro attenzione.
«Si può sapere cosa sta succedendo? Cos’era quel rumore? E, soprattutto, cos’è questa… questa schifezza color moccolo di neonato?» domandò loro, sospettosa, inarcando entrambe le sopracciglia; ciò – loro lo avevano imparato decisamente bene – non prometteva davvero nulla di buono.
«Incidenti di percorso, rientrano nella normalità» sdrammatizzò George, rivolgendole un gran sorriso – che lei, prevedibilmente, non ricambiò. Questa, piuttosto, si portò le mani ai fianchi e fissò entrambi con un netto sguardo di rimprovero.
«Tutti questi incidenti di percorso, prima o poi, porteranno mia nonna Vittoria a infliggervi una Maledizione Senza Perdono. Ne siete consapevoli, o vi serve una dimostrazione da parte mia
«Avanti, Pasticcino, non farla così tragica. La nonnina non ci torcerebbe un capello, e tu non devi preoccuparti: sappiamo quello che facciamo» disse Fred, dandole un pizzicotto sulla guancia con fare totalmente rilassato.
«Ho i miei dubbi» mormorò lei, alzando gli occhi al soffitto – anche quello macchiato di chissà quale diavoleria. Dopodiché, lanciò uno sguardo fuori dalla finestra e si lasciò scappare un non voluto sorriso, indicando un folto gruppo di volatili in attesa di considerazione. «Tutti quei gufi mi mettono ansia, che ci aspettate a dar loro i prodotti?»
«Willow sta finendo di fare i pacchetti natalizi. Adorabile elfa efficiente, quanto la amo. Quando mi sposerò io, pretendo che me ne troviate una identica» disse George, puntando un dito contro il gemello e la cognata, che scoppiarono a ridere.
«A meno che non sia proprio lei tua moglie» scherzò Meg, indirizzandogli una strizzata d’occhio, prima di continuare. «Comunque, vi lascio ai vostri esperimenti, e badate a non fare troppo casino. Io vado a trovare i miei, torno tra un paio d’ore» si congedò, dando un bacio a Fred e, una volta sulla soglia, salutando entrambi con la mano, per poi incamminarsi nuovamente in direzione del piano terra.

Il pensiero di dover uscire con quel clima gelido la faceva rabbrividire, ma era la Vigilia di Natale e non vedeva sua madre da qualche settimana, quindi non era il caso di rimandare oltre – a maggior ragione se, pochi giorni prima, Gloria le aveva inviato una lettera in cui le aveva fatto capire espressamente che desiderava incontrarla prima di Capodanno, che avrebbero trascorso insieme.
Così, dopo aver indossato il suo pesante mantello blu pervinca, Meg entrò nel salone, infilando i suoi irrinunciabili guanti abbinati.
«Nonne, io sto uscendo, tenete d’occhio il ba-…» si bloccò, una volta che il suo sguardo ebbe raggiunto le due signore, sedute sul divano, che armeggiavano con Alexander. «Cosa state facendo?»
«Stavamo solo…» iniziò Julia, ma l’attenzione di Margaret fu ben presto attirata dalla bottiglia che l’altra nonna teneva in mano, e a quel punto gli occhi rischiarono di uscirle dalle orbite.
«Quello è Whisky? State dando del Whisky Incendiario a mio figlio?!» chiese la ragazza, la cui voce era diventata di un’ottava più alta. Le altre due donne, colte sul fatto, cercarono di giustificarsi.
«Serve per tamponare i dentini e le gengive! Allevia il dolore, solo un goccino!» spiegò la prima, mostrando un batuffolo di cotone, ma la nipote non sembrava molto d’accordo.  
«Per Salazar e tutta la sua dinastia, no
«Non farla così tragica, Margaret. L’abbiamo fatto anche con te» intervenne Vittoria, mentre il bambino osservava la scena con divertimento.
«E si sono visti i risultati!» sbottò Meg, prendendo la bottiglia per rimetterla al suo posto. «Niente superalcolici a mio figlio, non voglio sentire storie» sentenziò, infine, puntando l’indice prima contro una, poi contro l’altra. Poco dopo si allontanò, ancora parzialmente incredula, sperando che per una volta le dessero ascolto.
Dopo che la ragazza si fu chiusa la porta d’ingresso alle spalle, le due nonne si lanciarono uno sguardo d’intesa e sghignazzarono.
«L’hai impregnato per bene, quel batuffolo?» chiese Vittoria, prendendo in braccio Alexander.
«Oh, sì. Quella piccola guastafeste non ha ancora capito con chi ha a che fare!»
 

***
 
La festività natalizia era sempre stata una delle preferite di Margaret: l’atmosfera calda e accogliente, le famiglie riunite, il profumo di speranza e armonia che si disperdeva nell’aria; tutti elementi che contribuivano a farle amare quella ricorrenza e a procurarle una piacevole sensazione di benessere.
Peccato che, quel dicembre del 1997, il Natale fosse il più dissimile possibile da se stesso: se non fosse stato per la presenza dell’abete addobbato, del fuoco scoppiettante nel camino e dei regali sotto l’albero, probabilmente quelle avrebbero potuto essere scambiate per delle giornate qualsiasi. Non c’erano stati inviti – complice anche il febbrone che costringeva Desmond Stevens a casa da giorni –, pochi i biglietti di auguri, e il clima generale era prevedibilmente contaminato dalla minaccia di un possibile attacco ai danni di qualcuno di loro.
Nonostante ciò, la giovane strega aveva insistito affinché si rispettasse la tradizione del pranzo del venticinque, e non sembrava disposta a rinunciarvi.
«È il primo Natale di nostro figlio, e non m’importa un fico secco della Guerra! Lo festeggeremo come si deve, a modo nostro» aveva sentenziato il pomeriggio della Vigilia, appena ritornata da casa dei suoi genitori, trovando il consenso del marito, che ovviamente non capiva che motivo ci fosse di agitarsi.
Quella stessa sera, quindi, Margaret era seduta su uno dei divani del salone, intenta a sfogliare il libro di cucina, e si consultava con Willow e George; questi, a sua volta, leggeva dalla sua spalla le ricette che lei gli indicava, approvandole o bocciandole.
«Anatra all’arancia con prugne e mele? Accidenti, questo sì che deve essere buono» commentò il ragazzo, ma l’elfa domestica smontò subito il suo entusiasmo.
«Non abbiamo anatre, signore.»
«Ho comprato un tacchino da chissà quanti chili, faremo quello. Non voglio sentire storie, sia chiaro… Non sono uscito mica per niente!» si lamentò Fred, non degnandoli di uno sguardo, mentre si sistemava meglio sul tappeto e Alexander tentava di prendere uno dei giocattoli che lui teneva in mano.
Margaret sollevò lo sguardo dal ricettario, interdetta.
«Qualcuno è di cattivo umore, laggiù» commentò, alzando un sopracciglio, ma non ricevette risposta da parte sua.
«È solo stressato per la faccenda del negozio, devi capirlo. Se ci si pensa, è abbastanza difficile da digerire» bisbigliò George nella sua direzione, al che lei annuì e lasciò il divano, andandosi a sedere accanto al ragazzo. Questi le passò un braccio attorno alle spalle e la attirò a sé, stringendola.
«Scusami, Meg. Sono solo un po’ nervoso, non preoccuparti» le sussurrò all’orecchio, prima di posarle un bacio tra i capelli e tornare a rivolgersi a suo figlio. «Di’ papà, avanti. Non fare l’ingrato.»
«Da-da-da!» fu tutto ciò che il bambino si degnò di dire, insieme a dei versi inintelligibili che fecero ridere i due. Margaret lo prese in braccio e gli stampò un bacio sulla guancia paffuta.
«Sei ingiusto, mocciosetto. Hai già detto mamma, io non penso di essere meno importante» fece finta di rimproverarlo Fred, toccandogli il nasino con l’indice e facendolo ridere.
«Non è assolutamente vero, ha soltanto sillabato! Era un ma-ma-ma, non un mamma. È ancora troppo piccolo» lo corresse lei, divertita, facendogli una linguaccia. Prima che l’altro potesse ribattere, il rumore di un pugno sferrato contro la superficie del tavolo li costrinse a voltarsi.
«Per Salazar, non è possibile!» sbottò Vittoria, che stava giocando a scacchi con la consuocera, che evidentemente aveva vinto ancora una volta.
«Spiacente, vecchia mia, ma è possibilissimo» commentò questa, sfoggiando un sorriso sornione che mandò l’altra su tutte le furie.
«Non tre volte di seguito! Stai barando, imbrogliona di una Stevens, e questo non lo posso accettare!»
«Non sono io che baro, scorbutica di una Wilson. Sei tu che sei tragicamente scarsa.»
«Non osare mettere in dubbio le mie abilità come scacchista, vipera saccente che non sei altro» sbottò ancora Vittoria, al che Julia divenne viola dall’indignazione.
«Vecchia megera, questo è troppo!»  
«E meno male che è Natale» fece Fred, sarcastico, prima di dare un’occhiata all’orologio e sbuffare con aria divertita. «Sì, in effetti mancano due minuti scarsi» aggiunse, producendo delle piccole scintille colorate con la bacchetta per intrattenere Alexander, che sembrava spassarsela alla grande.

Le nonne stavano per ribattere alle ennesime offese reciproche quando, inaspettatamente, qualcuno bussò alla porta. I presenti si lanciarono delle occhiate sorprese, non immaginando chi potesse prendersi la briga di recarsi lì a quell’ora, la notte della Vigilia.
«Vado io» annunciò George, teso, prendendo la bacchetta dalla tasca dei jeans e abbandonando il salone.
Cercò di spiare dalle finestre dell’ingresso principale chi si trovasse lì fuori, ma tutto ciò che riuscì a vedere – tralasciando la pioggia battente – era un’esile figura nascosta da un pesante mantello, proprio sotto il portico colonnato. Il viso del visitatore misterioso era in ombra, e per il ragazzo fu impossibile riconoscerlo.
Quest’ultimo, dunque, si approssimò al portone, non abbassando la guardia.
«Chi sei? Identificati» disse ad alta voce, ma al tempo stesso pensò che doveva necessariamente essere qualcuno di fidato, dal momento che la casa era protetta con l’Incanto Fidelius e solamente il Custode Segreto – che era Margaret – avrebbe potuto rivelarne la posizione.
«Qualcuno che non ti saresti aspettato di vedere, Lobo Solitario» fece, dall’esterno, una voce femminile, e questa suonava dolce e rassicurante come poche altre volte prima di allora.
George avrebbe riconosciuto quella voce anche a miglia di distanza.
Con un’agitazione crescente, stavolta dettata dall’euforia, lasciò scattare la serratura e aprì la porta, e ciò che vide lo lasciò pietrificato.
Una ragazza lo osservava, regalandogli uno sguardo emozionato e ansioso. Aveva i capelli biondi, un paio di occhi grigi colmi di lacrime, uno splendido sorriso carico di aspettativa; era avvolta in un delizioso mantello, il cui colore – azzurro come un cielo limpido – probabilmente rifletteva il suo stato d’animo in quegli istanti.

Rimasero immobili a scrutarsi, occhi negli occhi, in un silenzio rotto unicamente dalle gocce d’acqua che, imperterrite, tamburellavano sulla sabbia e sulla superficie del mare in tempesta. Non erano necessarie parole affinché le loro anime scivolassero via per ricongiungersi altrove; bastavano i loro sguardi, che avrebbero continuato a cercarsi in ogni dove, con la stessa complicità di sempre e con l’immancabile consapevolezza di un destino che – volente o nolente – non avrebbe mai potuto tenerli lontani l’uno dall’altra.
«Buon Natale, George» sussurrò Abigail, infine, dopo che l’orologio a pendolo del salone ebbe annunciato l’arrivo della mezzanotte. Il suono era debole, attutito dalla distanza, ma sarebbe stato impossibile non sentirlo.
«Buon Natale anche a te, blondie» fece George, sfiorandole una guancia per asciugarle le lacrime, ma non passò molto tempo prima che il suo viso si ritrovasse inondato da quei capelli biondi che così spesso, negli ultimi mesi, aveva sognato.
La strinse a sé, lasciandola aggrapparsi al suo collo, riuscendo a stento a credere che quella fosse per davvero la realtà; aveva bisogno di tenerla il più a lungo possibile tra le braccia, di percepire il contatto di quella pelle con la sua, e di sentire il calore di quel respiro vicino all’orecchio, perché unicamente in tal modo avrebbe avuto la certezza di non trovarsi immerso in una splendida ma ingannevole illusione.
Lei si scostò di pochi centimetri, quel poco che le permettesse di perdersi in quegli occhi azzurri che tanto le erano mancati, mentre gli prendeva il volto tra le mani e lo accarezzava, imponendosi di essere più forte di quel tremore che tentava di prendere possesso del suo corpo.
Lui le sorrise, poggiando la fronte contro la sua e rifiutandosi di lasciarla andare, prima di far incontrare le loro labbra e suggellare quell’attimo d’immateriale ma tangibile felicità.
Abigail sentì i cocci della propria anima tornare insieme dopo che, per mesi, questa era stata demolita pezzo dopo pezzo, senza pietà. Aveva più volte sperimentato sulla sua pelle gli effetti della mancanza di una persona amata così profondamente, ma – nonostante ciò – era per lei impossibile assuefarsi alla pesantezza dell’assenza tanto da non provare quel dolore esistenziale che a essa si accompagnava. Si era prefissata di essere forte, di cacciare via con le unghie e con i denti la nostalgia che voleva farle compagnia ogni notte, ma non poteva giurare di esserci riuscita.
Si era spesso ritrovata sveglia, nel buio della sua stanza a Belfast, a interagire silenziosamente con il soffitto e le pareti, condividendo con questi ascoltatori inanimati tutti quei ricordi che le impedivano di chiudere gli occhi. Perché è proprio nei momenti di solitudine non richiesta che il nostro passato viene a farci visita, e non è detto che questa sia gradita.
Aveva parlato a quelle mura di suo padre, di come fosse solito prenderla in braccio, dopo averla spinta sull’altalena, e sussurrarle che era e sempre sarebbe stata la sua “cheeky little monkey”. Aveva ripensato a quando lo osservava, mentre lui stuzzicava affettuosamente Regina e, ridendo, le faceva l’occhiolino e le diceva: «Non fare arrabbiare la mamma, sweetie pie!», o alle vacanze di Natale in Scozia, da nonna Linda, quando si aveva l’impressione che nulla avrebbe potuto rompere quell’equilibrio e quell’armonia.
Un tuffo non voluto nella memoria che aveva fatto in modo che copiose lacrime le solcassero il viso, mentre dentro di sé sentiva crescere il bisogno di avere George lì con lei; qualcuno disposto a stringerla con quanta più intensità possibile per scacciare via le ansie e le paure, un altro essere umano pronto a sorreggerla ogni singola volta avesse creduto di poter cedere sotto il peso delle preoccupazioni e dei ricordi.
È difficile salvarsi da soli, per di più da se stessi: implica dei prezzi che non sempre si è propensi a pagare, non importa quanto si è forti. Adesso, invece, tra quelle braccia, ogni cosa sembrava tornare finalmente al proprio posto.

«Deliziosamente vomitevoli» commentò Fred, appena apparso insieme a Margaret sulla soglia che divideva il salone dall’ingresso. Abigail rise di cuore, andando ad abbracciare anche loro, mentre George portava dentro le sue valigie.
«Bentornata a casa, bellezza» la accolse la cugina, arruffandole i capelli e rivolgendole un dolce sorriso, ma ormai l’attenzione della Thompson era stata rapita da Alexander, che in braccio al papà aveva iniziato a chiamarla a gran voce con i suoi adorabili e incomprensibili versi.
«Honey bear! Ma quanto sei cresciuto? Noto con piacere di esserti mancata» gli diede corda, lasciandosi tirare i capelli, prima di ritrovarsi investita dall’abbraccio di un’incontenibile Vittoria Wilson.
«Tesoro mio, che bello averti di nuovo qui!»
«Anch’io sono felice di rivederti, nonna» le disse la giovane, liberandosi poco dopo per salutare anche Julia e guardarsi attorno, a tratti incredula di essere realmente lì.
Margaret le posò una mano sulla schiena e le fece cenno di dirigersi in salone, non potendo nascondere la comprensibilissima contentezza che averla di nuovo lì suscitava, e probabilmente soltanto allora si rese davvero conto di quanto avesse sofferto la sua assenza. Le erano mancate tutte quelle conversazioni a tratti insensate e deliranti, che avevano il potere di mandare via ogni malumore e di farle ridere come poche altre volte in vita loro; aveva avuto nostalgia degli sguardi complici e di quelli di rimprovero, delle chiacchierate a notte fonda davanti a una tazza di tè, e di quel conforto assoluto che la sua presenza era sempre riuscita a regalarle. Era come se, dopo settimane, un pezzo fondamentale di se stessa fosse tornato nell’esatto posto in cui avrebbe dovuto essere.

Si accomodarono sui divani, impazienti di tempestare di domande l’appena arrivata, ma Willow – prima che qualcuno potesse proferire suono – si approssimò con fare apprensivo a quest’ultima, insistendo per portarle qualcosa da bere che potesse riscaldarla, dato il clima gelido che le aveva fatto compagnia nell’attesa che qualcuno le aprisse la porta di casa.
Dopo che l’elfa – su richiesta di tutti i presenti e, soprattutto, delle nonne – ebbe portato una bottiglia di Idromele e sei bicchieri, fu possibile fare un veloce brindisi, che sembrò ristabilire all’istante la normalità.
George, allora, prese una mano di Abigail tra le sue e le sorrise: non riusciva ancora a capacitarsi che fosse tutto vero.
«Quando sei arrivata?»
«Ieri sera. Sono andata da mia zia Gloria, solo lei sapeva del mio ritorno. È stata una sorpresa anche per Meg, questo pomeriggio, vedermi a casa di sua madre» spiegò la ragazza, facendo l’occhiolino alla cugina. «Ho voluto farvi una sorpresa.»
«E i corsi, mia cara?» le domandò Vittoria, anticipando le mosse della metà dei presenti. La nipote si sistemò meglio sui cuscini e si portò i capelli dietro l’orecchio.
«Terminati, se ci riferiamo agli elementi teorici. Adesso devo svolgere una sorta di tirocinio, prima di poter lavorare come apprendista, ma mi è stata concessa l’opportunità di farlo qui, al San Mungo» rispose Abigail, pensando a quanto dovesse essere grata a Mrs Pedersen per quel piccolo miracolo. Lanciò uno sguardo al ragazzo che aveva accanto, prima di riprendere. «Non potevo non coglierla, naturalmente.»
«Davvero? Questa mi è nuova» commentò Julia, incuriosita da quella strana faccenda. «Quando dovetti specializzarmi io – quarant’anni fa, per intenderci – il tirocinio andava svolto nella stessa sede in cui si erano frequentati i corsi, e sono certa sia sempre stato così. Non pensavo fosse cambiato qualcosa.»
«Il caso vuole che io abbia atteso ai primi corsi proprio al San Mungo, quindi uno strappo alla regola non sarebbe stato del tutto impraticabile. Certo è, però, che sarebbe stato molto più difficile senza un opportuno, piccolo aiuto da parte di Elsa Pedersen.»
«Elsa chi?» s’introdusse Fred, cui quel nome suonava totalmente estraneo. Lo stesso non si poteva dire di Margaret e Julia, che s’illuminarono di consapevolezza.
«La moglie di Nikolai Pedersen? La Veela?» le chiese la prima, sorpresa. La cugina sorrise e annuì.
«Proprio lei. Suo marito è uno dei migliori Guaritori d’Irlanda – lui e la famiglia si sono trasferiti lì dalla Norvegia diversi anni fa. È un mago molto influente nel suo ambito, ma al tempo stesso fa tutto quello che gli dice la moglie. Sono solo stata abile a rendermi estremamente simpatica.»
«Ferma, ferma. Credo di essermi perso qualche passaggio: come fai a conoscerli? Cos’è questa storia? Mi sento abbastanza confuso» disse George, sfoggiando un’espressione interrogativa. Margaret, ancora una volta, riuscì a cogliere il tassello che permetteva di trovare un senso a quella situazione.
«C’entra qualcosa con quell’incarico per conto dell’Ordine, non è così?» domandò quest’ultima, che da mesi non vedeva l’ora di sapere qualcosa di più riguardo a quella faccenda. Abigail, divertita, la indicò con il palmo della mano e decise che fosse giunto il momento di fare chiarezza sulla questione.
«Al momento della mia partenza per Belfast, non potevo neanche lontanamente immaginare che la mia compagna di stanza sarebbe stata la figlia dei Pedersen. A dire il vero, non sapevo neanche chi fossero. Sta di fatto che – neanche un mese dopo il mio arrivo – Shacklebolt si è presentato alla mia porta senza alcun preavviso, dicendomi di essere lì per conto dell’Ordine.»
«Shacklebolt?!» dissero gli altri all’unisono, facendola sobbalzare.
«Morgana maledetta, rilassatevi! Sì, Kingsley, proprio lui. Non ho idea di come lo abbia saputo, ma sta di fatto che ha chiesto a Savannah di mettermi in contatto con sua madre. L’Ordine sta tentando di conquistare la lealtà di quante più creature magiche possibili contro il Signore Oscuro, ed è proprio qui che entro in gioco io: i Pedersen sono una famiglia molto potente, più di quanto voi possiate immaginare. Sono riuscita a conquistare la fiducia di Elsa, che non ha esitato un solo istante a mediare tra le richieste dell’Ordine e la popolazione Veela, assicurandoci un appoggio che reputo fondamentale.»
«Assolutamente sì: sembreranno pure delle donne meravigliose, ma chi era presente alla finale della Coppa del Mondo di Quidditch ricorda perfettamente di cosa sono capaci.»
«George ha ragione, basta farle infuriare e si trasformano in creature terrificanti che lanciano palle di fuoco. Un’arma niente male a nostro vantaggio.»
«Esattamente, Fred. Sarebbe stato interessante tentare un approccio anche con le megere, ma sembra che nessuno voglia avere a che fare con loro… tantomeno io» terminò Abigail, non riuscendo però a reprimere un brivido di disgusto che, prontamente, le percorse la schiena.
George, dopo averla osservata per qualche secondo, scoppiò a ridere, seguito a ruota dal fratello e dalla migliore amica e beccandosi un’occhiataccia da parte della ragazza. Nessuno, probabilmente, sapeva che il Molliccio di quest’ultima fosse proprio una megera.
«Be’, in effetti, quella di mangiare bambini è un’abitudine abbastanza particolare. Vedi, tesoro? Ti stiamo rimpinzando come un maialino per darti in pasto alle amichette della zia Gail» scherzò Margaret guardando suo figlio con fare cospiratorio, al che il bambino prese a fissarla con perplessità.
«Non è affatto divertente. Quelle fattucchiere sono degli esseri orribili» puntualizzò la bionda, adesso pallida come un lenzuolo, prima di fulminare con lo sguardo uno sghignazzante Fred.
«Mi piacerebbe sapere perché hai tanta paura di loro, Abbie» fece quest’ultimo, tentando di darsi un tono e fallendo palesemente. Vittoria, d’altro canto, rise di cuore, poggiando una mano sulla spalla del nipote acquisito.
«Tutta colpa di mia figlia Regina: le diceva sempre che, se non avesse smesso di fare i capricci, il Gran Consiglio delle Megere l'avrebbe portata via» raccontò la nonna, suscitando l’ilarità generale, che poté solo aumentare di fronte al rinnovato rossore sulle guance della giovane.
Questa sollevò le mani in segno di resa, ma una leggera increspatura delle sue labbra – che somigliava tanto a un sorriso – tradì la sua finta indignazione.
«Bene, ridete pure dei traumi della mia infanzia! Ora, con permesso, gradirei andare a dormire, dato che ho tanto sonno da poter fare invidia a un bradipo.»
«Non pensare di poterti liberare di me così facilmente, dolcezza. Ti accompagno in camera» la anticipò George, afferrandola per mano e trascinandola in direzione dell’ingresso, dove si trovavano le scale.

«Buonanotte!» si congedò lei, riuscendo a sporgere la testa dalla porta, prima che lui la prendesse di peso e se la caricasse sulle spalle, non curandosi delle sue lamentele furiose e dei calci che tentava di rifilargli.
«Mettimi giù, George! Il fatto che siamo stati lontani non mi impedisce di affatturarti!»
«Eccoci arrivati, madamigelle!» la ignorò lui, scaricandola sul letto senza molta gentilezza.
Lei si mise a sedere, scostando i capelli dal viso, e gli rivolse uno sguardo tutt’altro che benevolo che lui, invece, ricambiò con un sorrisino furbo, che ebbe come risultato quello di farla innervosire ancor di più.
«Mi ero dimenticata di quanto fossi simpatico» commentò la ragazza, sbuffando. Lui si sedette accanto a lei e le sfiorò il lobo dell’orecchio con le labbra.
«Io, invece, ricordavo benissimo quanto fossi bella» sussurrò, accarezzandole la schiena con una mano e tracciando il suo profilo con le dita dell’altra. Lei arrossì, e sebbene avesse voluto tirargli un pugno sul naso, decise di mettere da parte il suo adorabile caratterino quantomeno per quella sera.
Si distese e lo invitò a imitarla, cosicché potesse stringersi a lui e lasciare che le sue braccia la riscaldassero, facendole sentire quel profumo di casa di cui aveva avuto tanta nostalgia.
Rimasero in silenzio per pochi minuti, il tempo necessario a permettere a entrambi di riabituarsi a quella piacevole intimità che, dopo notevoli sforzi, erano stati capaci di costruire mesi addietro. Non c’era posto per alcun magone, per nessun nodo alla gola o peso sullo stomaco, in quell’istante: c’erano solamente loro due, e nient’altro avrebbe potuto occupare il posto di quel delicato equilibrio che, finalmente, sembrava essersi ristabilito.
George iniziò a giocare con i suoi capelli, notando come fossero decisamente più lunghi dell’ultima volta che li aveva sfiorati.
«Allora l’hai trovata, la buona ragione per non mandarmi all’Inferno.»
Abigail sollevò la testa dal suo petto e puntò gli occhi nei suoi. «La tua lettera parlava chiaro, George.»
«Quale… Quale lettera, scusa?» chiese allora lui, colto alla sprovvista. Lei rise e gli baciò la fronte, divertita.
«Quella che mia cugina deve aver inviato al tuo posto, di nascosto.»
«Per le parrucche decolorate di Merlino, questa mi è nuova! Dannata Margaret dei miei stivali, non ha ancora imparato a farsi gli affaracci suoi» commentò, scandalizzato, ma lei gli poggiò un dito sulle labbra e lo zittì, prima di guardarlo con dolcezza.
«E non lo farà mai, quindi mettiti l’anima in pace. Ci sarà sempre una nanerottola dai capelli castano rame pronta a pararti il culo, soprattutto dai miei calci» gli disse, fingendo di rimproverarlo; dopodiché, lo baciò, lasciando che le mani di lui si soffermassero sull’orlo del suo maglioncino, con l’intenzione di sfilarglielo via.
«Mi sei mancata a dismisura, blondie» ammise, e osservando il suo viso Abigail poté scorgervi unicamente una tenerezza infinita. Gli tolse il maglione e gli sbottonò la camicia, incurvando le labbra arrossate in un sorriso malizioso.
«Mi sei mancato tanto anche tu, Lobo Solitario. Credo sia arrivato il momento di recuperare il tempo perduto.»
«Lo penso anch’io, bellezza. E poi, hai un tatua-coso da farmi vedere» annuì lui, prima di fiondarsi sulle sue labbra. Fece scivolare le mani sul suo corpo, guidato dai suoi sospiri, e una volta intercettato il suo sguardo non poté fare a meno di pensare a quanto fosse pazzo di lei. «Sarà meglio applicare un Incantesimo Muffliato alla porta, che ne pensi?»
Abigail allora rise, e George poté giurare che fosse la risata più bella che lei gli avesse mai regalato.  
                  


- Angolo dell’autrice

Okay. Allora. Calmi tutti. Lo so che qui c’è tanta roba di cui parlare, ma ci arriveremo.
Riprendiamoci un attimo da questo finale inaspettato (era inaspettato, vero?) e recuperiamo un po’ di contegno.
In realtà, la prima che deve ricominciare a respirare sono proprio io, dato che questa seconda parte mi fa sempre uno strano – positivissimo – effetto dopo ogni lettura.
Ma dobbiamo procedere per punti, caspiterina.
Dunque…

Eccomi qui, dolcini! Sì, vi avverto che sarà un angolo dell’autrice abbastanza delirante, ne sono testimonianza queste e altre adorabili paroline in azzurro che, se cliccate, vi reindirizzeranno a delle immagini decisamente ispiranti (come no!).
Attribuisco la mia attuale follia all’aver dovuto dare due materie in una settimana.  
Ma parliamo di cose che realmente possono interessarvi: innanzitutto, il giornale.
Come Maggie ed io vi avevamo anticipato nell’episodio precedente (?), molto probabilmente – in collaborazione con Radio Potter – ci sarebbe stato un giornale gestito proprio da una delle nostre protagoniste. Dunque, come promesso, abbiamo l’onore di presentarvi Believe The Truth, e direi che il titolo di per sé lascia già intendere parecchio.
Ho pensato che il modo migliore di introdurlo fosse proprio quello di “riportare” le parole di Margaret, che da degna nipote di giornalista non si lascia sfuggire l’occasione di dire un po’ le cose come stanno e di fare luce su alcune questioni.
Ma credo che sia decisamente il caso di spiegarvi il funzionamento di questo settimanale, o quantomeno di provarci. Innanzitutto, si basa sull’utilizzo dei nomi in codice, per cui Margaret si firmerà sempre Golden Eagle, Cassandra sarà Plastic Shadow, e così via. Naturalmente, il giornale non può essere consegnato a chicchessia in maniera indiscriminata, ma al tempo stesso non è limitato ai soli membri dell’Ordine (anche perché, altrimenti, non avrebbe senso). Quindi, potrà essere recapitato – ad esempio – ai clienti dei Tiri Vispi insieme ai loro ordini, ai vicini di casa, e via discorrendo. Inoltre, sarà protetto da una parola d’ordine diversa ogni settimana, specificata in una sezione apposita nel fascicolo precedente. Al momento della consegna, dunque, il giornale avrà l’aspetto di un insieme di fogli bianchi: se si pronuncerà la parola d’ordine corretta, sarà possibile leggere gli articoli; in caso contrario, e quindi se la parola dovesse essere sbagliata o si cercasse di “forzare” il contenuto a rivelarsi, il giornale assumerà le sembianze di una rivista sportiva, con tanto di vere e proprie inserzioni scritte da Angelina, Lee, i gemelli e anche Meg.
Che ve ne pare come idea? E quanto all’intervento scritto da Margaret in apertura del capitolo, quali sono state le vostre impressioni? Se l’è cavata, secondo voi? ;)
- Sono Margaret S. E. Stevens, stronzetta: io non me la cavo; io trionfo.
- Lasciatela stare, sta avendo uno dei suoi soliti deliri di onnipotenza. La cosa migliore è annuire e sorridere e aspettare che finisca.
Gail, ti ringrazio.  

Allora, lascio a voi ogni commento sugli esperimenti di Fred e George, sulla pucciosità di Alexander che inizia pian piano a parlare e a diventare sempre più morbidoso e cicciottello *muore sommersa dai feels*, su quanto siano impazzite le nonne, e su tutto quello che volete (se vorrete). Lascio a voi i commenti perché è decisamente giunta l’ora di parlare del Momento.
Parlo proprio di quello.
Il momento che tutti aspettavamo da diversi capitoli a questa parte e che non fa altro che farmi amare a dismisura quest’ultimo.
Perché…
Ladies and Gentlemen
*i feels esplodono di nuovo, i neuroni smettono di fare sinapsi e collassano, le basi biologiche del temperamento prendono i fazzoletti e affogano in un milione di lacrime*
ABIGAIL E’ TORNATA.
*applausi*
*Jules mentre scriveva il capitolo*        
*Jules una volta riletto il capitolo per la prima volta*
*Jules mentre scrive l’angolo dell’autrice*
E niente. Voglio solo dirvi che adesso sono in pace con me stessa e che finalmente i sensi di colpa non mi faranno più stare sveglia la notte.
Tornando a parlare seriamente (perché, l’ho mai fatto?), probabilmente avrei potuto fare stare via la nostra bionda preferita per un altro po’ di tempo, ma il mio cuore da fangirl non ce l’ha fatta. Amo tanto la Georbie (?) quasi al punto di preferirla alla Frargaret (???) – be’, diciamo che se la giocano proprio fino all’ultimo – e non me la sono sentita di tenerla separata troppo a lungo, soprattutto con tutti questi Erik Sono-Figo Pedersen *i feels esplodono ancora una volta* nei paraggi che attenterebbero alla fedeltà di chiunque.
Inoltre, avete visto che c’è stato un salto temporale di qualche mese – siamo già a Natale, che cosa carina –, quindi direi che può bastare. Vedremo cosa combineranno adesso *fischietta ostentando disinvoltura*.
- Non ci renderai mai la vita un po’ più facile, vero?
Suvvia, Gail! Quanto pessimismo!
Che dire, allora? Ah, ecco: George si è inventato un nuovo soprannome per Abbie. Chiamare una persona bionda “Blondie” non è il massimo dell’originalità, ma a quanto pare la nostra testa rossa lo ha trovato carino – e anch’io, a dirla tutta – e ha deciso di scriverlo in quella famosa lettera di cui noi poveri Babbani non sapremo mai niente.
Tranquilli, stiamo per arrivare alla conclusione di questa follia.
Come credo di aver detto da qualche parte, tempo addietro, sto provando a revisionare i capitoli, e per l’appunto sono arrivata al... *rullo di tamburi*… TERZO! Sì, lo so, non sono brava manco in questo, ma piano piano riuscirò nel mio intento.
Per quanto riguarda questo capitolo, il titolo è di Alessandro Baricco, mentre la canzone in apertura è If I Had a Gun, di Noel Gallagher *modalità venerazione attivata*.

Come al solito, ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobain, KariWhite, Krista Kane, Luna Paciock, maryanne armstrong, Meissa Antares,  Orma_, pintoisreal, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Soleil Jones, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15, Feather_, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_, Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrong, Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

La carissima Meissa Antares, che ha meravigliosamente recensito il capitolo precedente. ♥ 

Adesso – immagino con vostra immensa gioia e approvazione – devo lasciarvi, anche se starei qui a scrivere stronzate fino alla laurea. Fino a quella magistrale, s’intende.
Tanto per rimanere in argomento, temo che dovremo aspettare qualche altro mesetto prima di sentirci di nuovo. Sì, perché fino al 6 luglio sarò troppo impegnata a disperarmi sul manuale più incomprensibile che sia mai stato scritto, e tra l’altro del prossimo capitolo esistono soltanto due pagine scarse *risatina isterica*. E ho avuto la brillante idea di iscrivermi a tre contest *altra risatina isterica*.
In poche parole, ci rivediamo a fine luglio. O ad agosto. Mi mancherete, bambini.
L’unica consolazione è che tra pochi giorni ricomincia Pretty Little Liars *si leva un coro di “Caleb ti amo” dagli spalti*.
Detto ciò, vi libero dalla mia tediosa presenza. Spero di ricevere qualche parere e che mi facciate sapere cosa ne pensate. ♥ Sentitevi liberissimi, come sempre, di dare consigli e di portare alla mia attenzione qualsiasi errore/svista o eventualmente elementi poco chiari o che vi lasciano perplessi.

Un abbraccio enorme,

Jules ♥     

- Dal prossimo capitolo


«Dov’è?» la ridestò Abigail, che adesso non si sforzava più di tenere repressa l’irritazione e, anzi, sembrava sul punto di farla esplodere come una bomba a orologeria. Margaret deglutì, pregando che qualcuno la salvasse da quella situazione, ma soltanto un’invasione aliena direttamente sul loro portico avrebbe potuto distogliere l’altra dai suoi intenti; così, fu costretta a fare una smorfia svogliata e a indicare il piano superiore.
 
   
 
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