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Autore: SabrinaSala    24/05/2015    18 recensioni
Il proiettile lacerò l’aria. Poi la carne.
Sorpreso, André si portò una mano al petto. La giubba blu intrisa di sangue.
-Oscar… - mormorò in un soffio. E in quel nome c’era tutto. Dolore, sgomento, paura… Paura di perderla. Adesso. Di perdere lei, la sua vita… Dopo averla finalmente trovata - Oscar… - ripeté.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Saint-Just, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11 – Diluvio
 
Eloise indugiò con lo sguardo sul volto dell’uomo sdraiato sul letto. Bellissimo. Finalmente addormentato. Esitò, poi gli sfiorò la fronte con il dorso della mano.
Un tocco leggero, attenta a non svegliarlo.
Era fresca. La febbre si era finalmente abbassata.
Con dita tremanti scostò le ciocche di capelli scuri che gli coprivano parte il viso.
Si alzò e allontanandosi dal letto, raggiunse la grande finestra che dava sul balcone e si aggrappò alla tenda raccolta sul lato sinistro del telaio. Strinse con forza le dita sul tessuto prezioso, portando l’altra mano alle labbra. Voltandosi, lanciò un’ultima occhiata al proprio fidanzato, scivolando sulla sagoma perfetta che seriche lenzuola chiare non riuscivano a celare completamente ai suoi occhi.
Tornò con lo sguardo alla vetrata e aprì le imposte con entrambe le mani, uscendo finalmente all’aria della sera. Un’aria calda, come caldo era stato tutto il pomeriggio.
Fissò lo sguardo lontano, oltre il cortile di casa Boullet, oltre la strada e la campagna circostante, fino a lambire l’ipotetico profilo della città. Parigi!
Appoggiandosi alla balaustra, sollevò il capo, chiudendo gli occhi stanchi e inspirò profondamente,  poi  si si volse ancora indugiando sull’interno della stanza.
Quell’uomo avrebbe riacquistato la memoria, prima  o poi. E a quel punto?
Tornò a fissare l’orizzonte.
A quel punto, niente avrebbe potuto impedire il suo ritorno a casa De Martin. Nulla l’avrebbe più tenuta lontana dal proprio destino, risparmiandole di  assoggettarsi al volere della famiglia.
Quella donna! pensò.
Era consapevole di quanto fosse fortunata, quella donna? Crescere come un uomo, comportarsi e soprattutto decidere come tale. Amare e ritrovare l’uomo che amava… Ma se davvero lo amava, come il suo istinto le aveva detto fin dal primo momento, perché non riprenderselo? Perché accettare quella situazione assurda? Addirittura lasciarlo alle cure di un’altra?
Stupida donna! sbottò tacitamente.
“Sapete bene che quell’uomo non vi appartiene” . La voce irritante di quel soldato le risuonò improvvisamente nelle orecchie. Dissimulò il moto di stizza con un mezzo sorriso sarcastico. Davvero? Pensò. E a chi apparteneva, allora? Forse a lei?
No! Se non se lo fosse meritato… E questo doveva ancora dimostrarlo!
Il lamento indistinto che giunse dalla stanza interruppe i suoi pensieri. Sollevando le gonne si precipitò all’interno, lasciando le finestre aperte su quella serata particolarmente afosa.
Avvicinandosi al letto, afferrò le parole che sfuggivano confuse dalle labbra dell’uomo.
-Oscar…- mormorava stringendo le lenzuola. –Oscar… -
Eloise serrò le labbra. Gli sfiorò la fronte con la mano e questa volta avvertì un leggero calore.
Quella febbre! Quella febbre improvvisa aveva un’unica spiegazione: lo sforzo eccessivo del pomeriggio! Perché ostinarsi a duellare in cortile?
Dannata donna! sibilò tra sé.
Presa la pezzuola di stoffa dal catino sistemato accanto al letto, la immerse nell’acqua fredda e deterse delicatamente prima la fronte poi il collo dell’uomo. 
Un brivido impercettibile lo riscosse e un lieve sorriso gli aleggiò sulle labbra.
Risoluta, la giovane donna raggiunse lo scrittoio e intingendo la punta della penna nell’inchiostro,  tracciò veloce qualche riga ordinata su un foglio immacolato.
 
***
 
Alain affrontò le scale un gradino alla volta. Così come gli aveva imposto la padrona di casa.
La mattinata trascorsa con i compagni, a pattugliare le strade di Parigi, al seguito di Bernard lo aveva stancato. Il malumore che aleggiava nell’aria e che ogni tanto esplodeva in una qualche contestazione o nel chiaro dissenso con le decisioni prese dalla monarchia cominciavano ad annoiarlo. Così come quel sottile equilibrio che tutte le fazioni in gioco tentavano di mantenere, consapevoli, tuttavia, che il tappo era stato tolto! Perché non riconoscerlo, allora?
Temendo di non ottenere il risultato voluto, il comandante Oscar aveva deciso di tacere a Bernard i propositi terroristici di Saint Just, leader amato dal popolo che si faceva incantare e infiammare dai suoi comizi. Aveva preferito pianificare con i propri uomini un piano di ronda e picchetto in grado forse di garantire l’incolumità dei personaggi di spicco del fronte rivoluzionario e la notifica quasi immediata sulle mosse di quel cane sciolto.  
Raggiunto il piano, Alain si lasciò andare contro la parete esterna della camera di Oscar, incrociò le braccia sul petto e fece roteare lo stecchino tra le labbra prima di sollecitarla ad uscire.
-I cavalli sono pronti, comandante. – l’avvisò. Gli occhi socchiusi a cogliere gli arabeschi misteriosi della carta da parati sulla parete di fronte.
Il silenzio che ricevette in risposta, lo portò a staccare le spalle dal muro e da affacciarsi sulla soglia.
Sprofondata nell’ormai abituale poltrona, Oscar sembrava dormire. La testa reclinata all’indietro, una mano stretta ad un bracciolo e l’altra abbandonata lungo il fianco, quasi a toccare terra. La stessa mano stringeva un foglio di carta.
-Comandante… -
Oscar aprì gli occhi ma non si mosse.
-Non oggi, Alain… - disse. – Riporta pure indietro i cavalli.- concluse.
-Ma… - la replica di Alain fu bloccata sul nascere da un gesto secco di lei.
-Non protestare. –
Raddrizzandosi in tutta la propria imponente figura, Alain inspirò fragorosamente e batté i tacchi sciorinando un sorriso sprezzante e un ironico saluto militare. Voltandosi con un grugnito di disapprovazione, scese con passo pesante le scale senza nascondere la rabbia che aveva in corpo.
 
***
 
Pioveva a dirotto.
Seduto  in poltrona di fronte alla finestra del salottino al piano terra, Serge guardava l’acqua scendere copiosa e aggressiva spazzare il cortile e i giardini di casa Boullet.
L’ora di cena era appena passata e dopo qualche minuto trascorso in compagnia, madame Boullet si era ritirata portandosi in camera il ricamo che stava finendo.
Lui ed Eloise erano rimasti soli.
-Oggi non è venuto… - mormorò lui, lo sguardo a cogliere le sagome indistinte offuscate dall’acqua.  
Le dita di Eloise, ferma in piedi dietro di lui,  gli sfiorarono una guancia. Un gesto che lo fece quasi sussultare.
Pregò che la donna non se ne fosse accorta.
-Di chi stai parlando? – domandò lei, fingendo di non conoscere la risposta.
-Oscar, il soldato blu… Oggi non è passata a trovarci. –  Serge continuò a fissare un punto indefinito oltre la vetrata della stanza. Pentendosi di aver parlato, e forse ferito, quella ragazza bruna tanto amorevole e paziente. Ma come poteva negare, almeno a se stesso, di non provare nulla per quegli occhi bruni e di desiderare invece due occhi blu che lo facevano fremere al solo pensiero di incontrarli?
Improvvisamente, quasi a chiedere perdono,  sfiorò una delle mani che lei ora teneva appoggiate  sulle sue spalle e lei sussultò impercettibilmente a quel contatto. A quella carezza ferma ma al contempo gentile.
-Non è necessario che venga tutti i giorni. – mormorò con tono soave. -  Avrà altro da fare… il tuo soldato blu. – concluse premendo leggermente le mani sul petto di lui, decidendo di godere per un istante del calore che quella grande mano, ancora appoggiata sulla sua, le trasmetteva.
L’uomo represse un sospiro deluso e non rispose, non avvedendosi di quegli occhi blu che, nel buio, cercavano disperatamente il suo sguardo.
 
***
 
-Oscar! Comandante Oscar! – la voce di Alain sovrastò lo scrociare dell’acqua scuotendola come avrebbe fatto un tuono improvviso da quello strano senso di torpore.
Si volse. E guardando attraverso la pioggia,  nella direzione da cui proveniva il rumore di zoccoli al galoppo,  lo vide.
Strappandosi il mantello con un gesto secco,  il soldato della Guardia la superò lasciando che il drappo le cadesse sulle spalle inzuppate, poi tirò le redini perché il cavallo si fermasse e impennandosi tornasse sui propri passi.
Smontato di sella, Alain trattenne le briglie con una mano mentre con l’altra sistemò il mantello attorno alla fragile figura di quella donna incosciente.
Oscar, i capelli appiccicati sul viso, fradici, gli rivolse un’occhiata sgomenta.
Alain l’afferrò con rabbia, sollevandola di peso e caricandola sulla groppa di Caesar fermo accanto al cancello dei Boullet in attesa.
-Siete in grado di cavalcare?- le domandò con un ruggito.
Al cenno affermativo di lei, montò in sella e afferrando rabbiosamente Caesar per le redini ripercorse al galoppo la strada verso Parigi.
 
***
 
Avvolta in una coperta calda e asciutta, Oscar occupava la solita poltrona in fondo alla stanza. L’allegro crepitio delle fiamme ravvivava l’ambiente e le sue guance pallide, proiettando ombre irriverenti sulla parete alle sue spalle.
Aveva smesso di piovere.
Oscar, stremata dal lungo attacco di tosse che le aveva squassato dolorosamente il petto, se ne stava quasi raggomitolata in quella coperta morbida come stretta nell’abbraccio che avrebbe voluto ricevere. Tra le mani, stringeva una bottiglia di vino rosso e tra le ciglia, quelle che, a prima vista, sembravano lacrime.Dormiva.
Alain se ne accertò poi, sfilandole la bottiglia di mano, si accorse di un dettaglio che non aveva visto prima. Stretto tra le braccia, appoggiato sul cuore, Oscar teneva il diario di André.
Sussultò.
Imponendosi di non svegliarla, si impadronì di quel libretto consunto. La guardò. Fragile e sola. Pallido riflesso del comandante che conosceva.
Serrò la mascella e accennando un saluto che lei non avrebbe mai potuto vedere, si allontanò lasciando quella stanza e quello che racchiudeva.
 
***
 
La disperazione di Oscar era tangibile e incontenibile. Rosalie arretrò sulla soglia lasciando passare Alain, richiamato al piano di sopra dalla confusione che era seguita al risveglio del comandante.  Certa che la figura imponente del soldato l’avrebbe calmata, la donna si ritirò di buon grado in attesa del marito impegnato nella solita riunione notturna.  Ma quando Oscar si trovò davanti l’espressione beffarda del soldato della Guardia, la disperazione si trasformò rapidamente in rabbia.
-Dov’è! – lo aggredì con lo sguardo, mentre ancora rovistava tra le pieghe della coperta scivolata ai suoi piedi.
Il fuoco del camino si era quasi spento e la luce soffusa delle poche fiamme rimaste non erano sufficienti a rischiarare l’ambiente.
-E’ tornato al suo legittimo proprietario. – affermò lui confermando i sospetti di Oscar su una sua presunta responsabilità. 
Lei si immobilizzò. Soppesò la figura mai così severa di Alain e le sue parole. Le aveva strappato il diario, l'unica cosa che la legava ancora ad André, e l'aveva portato lontano? Lo aveva portato a casa Boullet? Perché, si domandò, perché le aveva fatto una cosa del genere. Come si era permesso!
-Non so nemmeno cosa c'è scritto... - decretò, incredula, tra i denti. 
Poi, attraversò la stanza come una furia e si preparò a colpire.
Lo schiaffo raggiunse Alain in pieno volto. Lui non reagì.
Massaggiandosi la mascella, prima sorrise, poi rise di gusto. Amaramente.
-Quando volete, siete proprio una donna! – affermò sarcastico.
Oscar sembrò voler sferrare un secondo colpo, ma lui la prevenne afferrandole il polso.
-Sono stanco di farvi da zerbino! – disse sostenendone lo sguardo e morendo subito dopo aver pronunciato quelle parole.
Parole che sortirono l’effetto desiderato.
Una scossa.
Forse più appropriate di qualunque altra frase di circostanza o di connivenza.
La resistenza di Oscar si attenuò e Alain lasciò libero il suo polso.
Il braccio di lei torno a stendersi lungo il fianco. A capo chino, gli occhi sgranati puntati al  pavimento della stanza, mormorò:
-Perdonami Alain… -
Senza parlare, l’uomo l’afferrò trascinandosela addosso. Circondandole le spalle con un braccio.  Stringendosela al petto. Domandandosi se il comandante avrebbe prestato attenzione al  battito accelerato del suo cuore.
-André è vivo, comandante… - mormorò appoggiando le labbra ai suoi capelli dorati. – Capisco come vi sentite… Ma credete davvero che dimenticherebbe l’amore che ha provato per voi per una vita intera? – continuò con uno sforzo,  sollevando il capo da quello di lei, allontanandosi dal suo profumo inebriante.
-Dimostrategli che non ha solo perso del gran tempo… - concluse.
Ma non appena avvertì i primi singhiozzi scuoterle lievemente le spalle, intensificò quell’abbraccio che doveva essere cameratesco e continuò, fissando un punto imprecisato sulla parete di fronte:
-Sfogatevi, comandante… Sfogatevi liberamente – si fermò, ma solo per abbassare lo sguardo su quella donna fragile e piegare le labbra in un sorriso dolce e consolatore che lei non avrebbe mai visto perché ancora sprofondata nel suo petto largo e accogliente.
Allora, la mano che l’avvolgeva in quell’abbraccio fraterno risalì fino a sfiorarle il capo e cominciò a carezzarle i capelli. Lentamente. Come una nenia silenziosa.
-Adesso, forse, capirete meglio quello  che ha passato il nostro povero André. – proseguì, trovando un appiglio nel nome dell’amico. – Sfogatevi mio comandante… - ripeté – Ma dopo, andate a riprendervi il vostro uomo. –
Fatelo! Pensò. E fatelo in fretta.
Chiuse gli occhi, appoggiando nuovamente le labbra alla testa di lei.
-Grazie Alain… - mormorò Oscar dal profondo di quella stretta. – Sei un vero amico. -  concluse.
Alain piegò nuovamente le labbra in un sorriso, e ridendo tra sé, maledisse  per una volta la propria innata lealtà…
   
 
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