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Autore: Ghost Writer TNCS    25/05/2015    2 recensioni
Hélene Castillon è la migliore assassina della città, della nazione e probabilmente del mondo intero. Ama le armi tanto quanto i vestiti eleganti, le scarpe, la biancheria intima costosa e i cosmetici, si ritiene una sicaria nobile e infallibile, e per questo non accetta mai incarichi che potrebbero minare la sua reputazione. Ma allora come potrà eseguire la missione che suo zio ha trovato per lei? Come può un’assassina proteggere qualcuno?
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6° posto al contest Le basi del fantasy: Guerriero, Mago o Ladro? indetto da Dragone 97
Domande? Dai un'occhiata a http://tncs.altervista.org/faq/
Genere: Azione, Fantasy, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. Hélene, Michelle e la Contessa

«Signorina Thanaa[4], a cosa sta pensando?»

Hélene smise di fissare il liquido semitrasparente nella sua tazza e, sollevando lo sguardo, incrociò gli occhietti marroni di Etienne. «Devo trovare il modo di uccidere Senaire e devo farlo in fretta.» annunciò con il tono assonnato di chi si sta ancora svegliando «Se i sicari dei Tadarés entrassero in casa, potrebbero trovarti, e non ho voglia di dare spiegazioni circa il tuo cadavere.»

Il nano si sedette di fronte a lei. Quella era una delle stanze pensate per la servitù e l’unico spiraglio verso l’esterno era una piccola grata che si affacciava sull’edificio adiacente. «Sa già dove si trova Gundo’gan[5] in questo momento?»

«In un palazzo del centro.» rispose la ragazza intuendo che quello fosse l’ennesimo errore del giovane ingegnere. Suo zio le aveva spiegato che Etienne non era assolutamente in grado di ricordare i nomi delle persone e che finiva immancabilmente per usarne altri sbagliati, tuttavia non lo faceva apposta: forse la natura gli aveva giocato questo brutto scherzo per compensare il suo innato genio come inventore.

«Ho dato un’occhiata, e tutti gli ingressi sono piantonati da almeno due guardie, senza contare quelle che sicuramente pattuglieranno l’interno.» proseguì Hélene «Ho trovato anche la stanza dove dorme, ma è protetta da una barriera magica e credo sia impossibile forzarla senza destare l’attenzione degli uomini della sorveglianza.»

«Ed è riuscita a vederlo? Sehvenn[6], intendo.»

La ragazza fece un verso di stizza. «Sì, e questo mi fa ancora più rabbia! Era lì davanti a me che dormiva come bambino, con le Ali di Vento avrei potuto raggiungerlo in un attimo, e invece…»

Etienne la guardò stranito. «Ali di Vento? Intende il sistema di propulsione aerea?»

Hélene prese la tazza e fece spallucce. «Ali di Vento è più carino.»

Il nano rimase in pensieroso silenzio mentre la ragazza beveva un sorso di tè. «Va be’, vada per Ali di Vento. Tornando a prima, può darmi qualche altra informazione sul posto dove dorme Bauer[7]? Ha detto che è riuscita a vederlo, dov’era in quel momento?»

«Sul tetto di un palazzo vicino, perché?»

Il giovane ingegnere sorrise. «Perché forse ho qualcosa che fa al caso suo. Quando ha finito il tè, venga nel laboratorio e glielo mostrerò.»

La ragazza annuì e lo osservò lasciare la stanza con aria stranamente allegra. Chissà cos’aveva in mente?

Il “laboratorio” era in realtà un’altra delle stanze della servitù, e Hélene aveva imposto ad Etienne di spostarsi lì per evitare che con uno dei suoi attrezzi potesse rovinare la pregiata scrivania del suo studio.

La ragazza evitò di calpestare un groviglio di tubi di diversa grandezza e si avvicinò al tavolo dove la aspettava l’ingegnere.

«Mia cara Bandiera Nera[8], le presento i miei ultimi capolavori: il fucile a canna lunga con rifrattore magico a spirale e le pallottole con sistema innesco-carica impacchettato.»

Hélene annuì con fare pensieroso. Poi scosse il capo. «Tu non ci sai proprio fare coi nomi…»

«Cerco di trovare nomi che spieghino le caratteristiche fondamentali delle mie invenzioni…»

«Spiegale, queste caratteristiche.»

«Con immenso piacere! Per cominciare, questa è una pallottola con sistema innesco-carica impacchettato.» affermò l’ingegnere prendendo il piccolo oggetto lungo neanche cinque centimetri «Il fatto che la pallottola abbia con sé sia l’innesco che la carica per spararla, riduce al minimo i tempi di ricarica e non c’è il problema di dosare la giusta quantità di esplosivo. È una trovata semplicissima in realtà, però funziona alla grande. Poi abbiamo il fucile…» Si trattava di un’arma di precisione a canna lunga, con tanto di mirino telescopico e numerosi altri congegni che Hélene non riuscì ad identificare. «Per cominciare, utilizza le pallottole con sistema innesco-carica impacchettato, inoltre non c’è bisogno che l’utilizzatore sia un mago perché è sufficiente premere questa levetta per attivare un piccolo catalizzatore che automaticamente innesca la carica. Il mirino ha un sistema di puntamento magico che aiuta a prendere la mira, e ho aggiunto un attacco per questo bipiede per stabilizzare il tiro, ma la cosa che più mi rende orgoglioso è un’altra: sono riuscito a fare in modo che la pallottola, scorrendo nella canna, si carichi di energia magica e quindi una volta uscita è in grado di attraversare una barriera magica senza venire fermata o deviata.»

Hélene sorrise all’idea. Era proprio quello che le serviva. «E funziona?»

Etienne la guardò offeso. «Certo che funziona!»

***

«E così siamo ancora punto e a capo.» sospirò l’omone muscoloso prima di addentare la terza brioche ripiena.

Lui e gli altri due assassini stavano cercando Etienne per conto del magnate delle armi Gustav Senaire, tuttavia i loro sforzi non stavano dando i risultati sperati. Stando al loro informatore, il giovane ingegnere doveva trovarsi in una delle villette della zona ovest – una parte residenziale di Genseldur abbastanza lontana dal centro, ma comunque all’interno della zona urbana – tuttavia non erano ancora riusciti a capire in quale.

«È inutile avere fretta, vedrete che presto lo troveremo.» affermò il tipo con il viso stretto e i baffetti «A proposito, è arrivato il rilevatore magico?»

«Mi hanno detto che ce lo consegneranno questo pomeriggio.» riferì puntuale il giovane con gli orecchini.

Il suo collega smilzo sorrise soddisfatto. «Allora non dobbiamo preoccuparci: grazie al rilevatore, sarà un giochetto individuare il nano. Sono sicuro che entro dopodomani avremo i soldi che Senaire ci ha promesso.»

I volti degli altri due sicari si accesero di entusiasmo, in particolare quello del più giovane: era il suo primo incarico fuori Hendo ed era onorato di far parte di quel team. Normalmente un incarico del genere sarebbe stato svolto da un’unica persona, però c’era da tenere in considerazione che Genseldur era la città di Aubierre, quindi era meglio avere qualche uomo in più per potersi guardare le spalle a vicenda.

In ogni caso il fatto di trovarsi lì era per loro un vantaggio: una volta ucciso il loro bersaglio, avrebbero potuto dimostrare una volta di più che l’influenza dei Tadarés andava ben oltre i confini della loro città, e di conseguenza il loro prestigio sarebbe aumentato di molto, il tutto ai danni di Aubierre e dei suoi uomini.

Il fallimento non era contemplato.

***

L’albero era lì, immobile, ignaro del pericolo. Una vittima ideale.

Premette sul grilletto: uno scoppio, uno sbuffo di fuoco e la corteccia spaccata. L’aveva colpito.

Hélene si tirò su, sollevando il fucile per contemplare da lontano il suo bersaglio. Si trovava all’incirca a ottanta metri da lei, una distanza certamente non proibitiva, ed era più o meno lo stesso spazio che intercorreva tra il tetto dove si era appostata la notte prima e la stanza dove dormiva Senaire.

Si era recata in quel bosco poco lontano da Genseldur per fare pratica con il fucile datole da Etienne e, con sua grande gioia, aveva appurato che non era affatto difficile da usare. Si allenava da più di tre quarti d’ora e poteva dire di averci preso la mano, almeno per quanto riguardava i bersagli immobili. Ma del resto la sua vittima sarebbe stata immersa nel mondo dei sogni al momento di colpire, quindi non doveva preoccuparsi troppo: l’unica cosa importante era andare a segno con il primo colpo, il più importante.

Quest’ultimo pensiero le riportò alla mente le parole di suo zio. Era stato proprio lui ad addestrarla, a fare di lei la migliore assassina della città, della nazione e probabilmente del mondo intero, e una delle prime cose che le aveva insegnato era stata proprio che il primo colpo era il più importante.

“Uccidere il bersaglio senza che nemmeno se ne accorga, ecco cosa vuol dire essere un grande assassino.”

Già, suo zio… In realtà non era nemmeno suo zio. Lei lo chiamava così, ma quell’uomo era a tutti gli effetti il suo padre adottivo. Secondo lei si preoccupava sempre troppo e per questo spesso finiva per rispondergli male, però gli voleva davvero bene come ad un genitore. E poi se non fosse stato per lui, probabilmente ora sarebbe ancora per la strada, o peggio. Non c’erano dubbi che lui l’avesse salvata da una vita di miseria e stenti…

La bambina era seduta sul ciglio della strada, scalza e con addosso solo un vecchio vestito tutto lacero. Aveva non più di sei anni, era sporca, i capelli corti erano tutti arruffati e teneva le mani miseramente verso l’alto per chiedere l’elemosina. Era tutta la mattina che stava così, lo stomaco le faceva male per la fame, ma nessuno le aveva prestato attenzione. Non che la cosa la stupisse.

D’un tratto avvertì dei passetti rapidi che si avvicinavano. Sollevò leggermente il capo e i suoi occhi verdi incrociarono quelli nocciola di un ragazzino. Doveva avere un anno in più di lei, però era vestito molto bene, con una giacchetta a mezzemaniche perfettamente della sua misura, pantaloncini corti di tessuto scuro e delle scarpe lucide che stonavano parecchio con il suo sorriso senza un dente. Senza dubbio era il figlio di qualche famiglia benestante.

Il ragazzino allungò un braccio e lasciò una tortina sulle mani della bambina, quindi corse dalla madre tutto contento. Lui la salutò gioiosamente e la piccola, incredula, lo osservò allontanarsi. Solo dopo qualche secondo realizzò quello che era successo e si affrettò a salutare a sua volta, il viso che splendeva di gioia. Non erano molte, però c’erano anche delle brave persone, e lei aveva avuto la fortuna di incontrarne due.

Quando la madre e il ragazzino si furono allontanati, abbassò lo sguardo sulla tortina. Era bellissima, con la parte inferiore di morbido impasto al cioccolato e sopra una spirale di crema allo stesso gusto. Aveva visto dolcetti del genere solo nelle vetrine delle pasticcerie, ma trovandoselo tra le mani, le sembrava troppo perfetto per poter essere mangiato.

Un brontolio allo stomaco interruppe la sua contemplazione e si decise ad avvicinare la tortina alla bocca. Diede un primo, piccolo morso, ma tanto bastò per farla sentire al settimo cielo: non aveva mai mangiato nulla di così buono!  Preda della fame, diede un altro morso, poi un altro e un altro ancora. Senza che se ne rendesse conto, le sue guance vennero bagnate da lacrime di gioia.

«Ma guardate un po’, il Topolino sta mangiando qualcosa.»

La schiena della bambina venne attraversata da un brivido.

«Dove l’hai rubato, eh Topolino?»

La piccola si rannicchiò su se stessa, cercando di nascondere la tortina sotto le braccia. Erano i soliti tre bulletti, dei ragazzi più grandi di lei – anche loro orfani per quel che ne sapeva – che avevano preso l’abitudine di importunarla e di chiamarla “Topolino” solo perché sapevano che odiava quel nome. Non capiva perché se la prendessero sempre con lei, forse perché era la più piccola della zona e nessuno si prendeva il disturbo di proteggerla dalle loro angherie.

«Dai, facci vedere cos’hai…» la esortò quello coi capelli ricci.

«Tanto poi te lo restituiamo…» aggiunse quello dalla pelle scura, ma il suo sorriso sdentato diceva il contrario.

La bambina cercò di farsi ancora più piccola rannicchiandosi su se stessa, ma quei tre erano molto più forti lei e non ci misero molto per riuscire a rubarle il tortino.

«Ehi, guardate, il Topolino ha rubato un dolcetto!» esclamò quello riccio.

«Che buono, fammi dare un morso.» disse il terzo, biondo, e senza tanti complimenti addentò la merendina.

A quel punto la piccola saltò in piedi e fece il possibile per cercare di riprenderselo. «No! È mio! Me l’ha regalato un bambino!»

«Certo, come no.» la canzonò il ragazzino dalla pelle scura, quindi anche lui diede un morso al dolcetto. Ne restava meno di un boccane.

«Vi prego! È mio! È mio!» implorò la ragazzina.

Il biondo le diede una spinta. «Eh sta zitta! Se ne vuoi un altro, puoi sempre rubarlo come hai fatto con questo!»

Il terzo bulletto mandò giù l’ultimo boccone, ma questo non fece che aumentare la rabbia della bambina. «Io non l’ho rubato!» esclamò a gran voce avventandosi su di loro. Provò a tirare pugni, a mordere e scalciare, ma per i tre ragazzini era facile avere la meglio su di lei: erano tre gatti che giocavano con un topo.

«Ehi, smettetela.»

Quel richiamo svogliato attirò l’attenzione dei tre bulletti, che smisero di spintonare la bambina e lasciarono che cadesse a terra.

Davanti a loro c’era un uomo dalla barba incolta, indossava abiti un po’ consumati ma resistenti e il suo sguardo sembrava più annoiato che accusatorio.

«E tu cosa vuoi?» sbottò il biondo, ma quello coi capelli ricci lo zittì e gli fece cenno con il capo di allontanarsi.

I tre ragazzini fecero per allontanarsi, all’ultimo però si fermarono. Da un tasca uscì un coltello e il capo del trio si avventò sull’uomo. Sollevò l’arma, certo di prendere alle spalle la sua vittima, ma non fu così: venne bloccato, disarmato, e poi avvertì un dolore atroce. Cadde a terra e urlò quando vide il coltello piantato nella sua spalla, il sangue che usciva lento dalla ferita.

Gli altri due bulletti, terrorizzati, corsero via, seguiti a ruota dal loro compagno ferito.

L’uomo li tenne d’occhio per un attimo, poi abbassò lo sguardo sulla bambina. Era ancora a terra, ma non sembrava ferita.

«Dovevi fargliela pagare…» mugugnò la piccola, il capo chino.

«Quello che ho fatto è sufficiente, non ti daranno più fastidio.»

«Ma saranno cattivi con altri.»

Lui rimase un attimo in silenzio, poi fece un gesto di insofferenza con le spalle. «Non è un mio problema.»

Fece per andarsene, ma la bambina si alzò e lo prese per la giacca. «Voglio diventare come te.»

L’uomo si volse verso di lei e, quando la piccola sollevò il capo, lui rimase molto colpito dal suo sguardo: non era triste o supplichevole, era lo sguardo freddo e determinato di chi non ha più niente da perdere.

«Voglio diventare forte. Ti prego, insegnami a diventare forte come te!»

L’uomo dischiuse le labbra per dirle di lasciarlo in pace, ma rimase bloccato davanti a quegli occhi verdi disposti a tutto. Non avrebbe voluto accettarla come allieva, lui non era certo il tipo adatto a prendersi cura di una bambina, eppure più la guardava, e più sentiva crescere un senso di totale empatia, come un legame vecchio di una vita.

Sospirò. «D’accordo. Io sono Morpheus, tu come ti chiami?»

La piccola chinò il capo, incerta, poi risollevò lo sguardo. Scosse la testa.

«Mmh, niente nome eh… Ho capito, te ne darò uno io. Ti chiamerò… Michelle. Ti va bene?»

Gli occhi della bambina si accesero e subito annuì. «Mi chiamo Michelle!»


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[4] Thanaa è la protagonista di ArMa - 1 - La piccola incantatrice.

[5] Xhernan Gundo’gan compare in BBS - 1 - I Predatori del Cielo.

[6] Hayato Sehvenn è presente in EdO - 1 - L’Erede degli Oblio.

[7] Andreas Bauer è il protagonista di Armi contro il passato.

[8] Bandiera Nera è il soprannome di Anna Bedder nell’omonima raccolta di ministorie.

   
 
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