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Autore: Diomache    26/05/2015    5 recensioni
"Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te." Gabriel García Márquez
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Astoria Greengrass e Draco Malfoy sono promessi.
Ma non si vogliono.
Si detestano e la loro convivenza a Malfoy Manor è difficile e spigolosa, emergono gelosie, rancori e più il matrimonio si avvicina, più loro sono distanti.
Sullo sfondo, tutta la loro reciproca rabbia, la sofferenza mentre cercano di... redimersi o di trovare un nuovo posto nel Mondo Magico, di riadattarsi ad una società che li disprezza.
E non più perchè malvagi.
Perchè deboli.
Perchè è questo che accade a chi perde la guerra.
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Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Draco/Astoria
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Sono tornata con un nuovo capitolo! Buona lettura, miei cari **

Diomache

 

 

ACQUAMARINA

 

 

Capitolo 10: Blood of my blood

 

 

 

 

Astoria’s POV

 

Quando mi sono guardata allo specchio per la prima volta, dopo la trasformazione, li ho odiati tutti, dal primo all’ultimo. Come una ragazzina, lo ammetto. Quando stai rischiando la vita, quando tuo figlio è morto nella tua pancia dovresti avere altre priorità, non dovresti pensare che il tuo contorno occhi è rugoso, né che hai i denti ingialliti dagli anni che non hai vissuto. Credo che se ne siano accorti tutti, che avrei preferito trasformarmi in un rospo piuttosto che nella versione ultravecchia di me stessa e penso che tutti abbiano pensato la stessa cosa, cioè che sono un’idiota, vanesia, una sciocca serpeverde.

Non è solo questo. È come se mi fossi improvvisamente accorta che la mia paura più grande era lì, davanti ai mi occhi, a fissarmi, e non è la paura di invecchiare. È la paura di trovarmi grande, anziana, alla fine del mio cammino e di essere di nuovo sola. Di non aver combinato nulla di buono nella vita, di non essere stata in grado di capire chi sono realmente, cosa mi piace realmente, di non aver protetto chi amo.

Poi le cose sono andate molto velocemente e non ho avuto il lusso di concedermi ancora questi vittimismi.

Tra i vincitori, chi preferisco è Paciock. Uno gnocco di patata che si è trovato leader, talmente tanto benvoluto e capace che se solo Potter fosse meno leggendario, lo temerebbe sul serio. D’altra parte, credo di aver letto su un libro di Rita la giornalsita (non ricordo il nome) che uno strano scherzo del destino ha prescelto il primogenito Potter e non il primogenito Paciock. Una cosa davvero curiosa.

Mentre Potter mi ha parlato guardingo tutta la notte, Neville Paciock si è seduto al mio fianco con naturalezza, come se ci conoscessimo da sempre. Mi ha detto “Mi dispiace per la tua perdita” e nelle sue parole ho sentito l’eco delle urla che gli risuonano nella mente, rinchiuse nelle ale più buie del San Mungo.

 

“Hai capito il percorso, Grengrass?”

“Me lo avete spiegato talmente tante volte che potrei sbagliarlo appositamente giusto per darvi noia” aveva sorriso, Paciock, divertito. “L’ho capito, l’ho capito, Paciok. Diamone, siamo noi Serpeverde quelli svegli non dimenticatelo”

“Abbi cura di te, allora.” Aveva detto, scostando la sedia in modo un po’ rumoroso.

“Ehi, aspetta.” Si era quasi fermato a mezz’aria. “Cosa?”

“Voglio essere messa a conoscenza di quello che sapete anche voi. È un mio diritto. Chi c’è dietro tutto questo?”

Il suo volto si era accigliato. Da quando si era sposato (appena qualche mese) si era lasciato crescere la barba e avevo notato che quando era pensieroso se la lisciava con fare serio. Prese a lisciarsela come se fosse realmente combattuto o stesse semplicemente cercando il modo migliore per liquidarmi. “No. Mi dispiace.”

Io annuii appena. “Non è nulla. Tanto mi troverò faccia a faccia con loro presto o tardi.”

“Se tutto va come nei piani, non dovrai farlo. Saranno gli Auror ad occuparsi di loro. Fai buon viaggio, Astoria Greengrass, tieni a mente i tempi delle trasformazioni, e, di nuovo, abbi cura di te.”

Le parole che volevo dirgli mi morirono in gola. Non avrebbe capito comunque e sarebbe nata una discussione sulla vendetta buona solo a sottrarci del tempo prezioso. E solo gli dei sanno, quanto poco ne avevo. Quando risposi la mia voce suonò molto più gutturale del solito. “Okay”.

 

Oltre a lui, sono contenta di aver conosciuto Teddy. Piccolo furfantello dai capelli colorati. Prima di andarmene gli ho lasciato tutti i soldi che avevo, tenendo per me il necessario per cibo e viaggio, e l’unica cosa che avevo in borsa che potesse essere di qualche senso per un bambino: la biglia magica di Slyter. Non essendo lui un animale da compagnia che ama rincorrere biglie che non si fanno prendere appositamente ( è questa la sua magia), dubito che trarrà tanto gusto nel giocarci ma per tutto il tempo che sono stata a Grimmauld Place mi ha dato il tormento per averla e alla fine non me la sono sentita di negargliela.

E Slyter chissà se lo rivedrò mai più. Ora che ci penso bene, forse non vedrò mai più nemmeno Teddy. Mi ha salutato distrattamente con un ciao, di quelli che si rifilano alla zia rompiscatole, ed io ho, non so perché, represso l’impulso che avevo di baciarlo sulla guancia. Che idiota che sono.

Altro capitolo aperto, Angelina Johnson. Come d’accordo, è stata lei a scortarmi con la sua scopa fino ad una delle fermate dell’impevedibile Nottetempo. Dicono che senta dove fermarsi e chi racimolare dai cigli della strada. Fare la strada con lei è stato silenzioso e strano, stringere il mio corpo raggrinzito al suo, snello e forte, anche di più. Mi ha fatto sentire fragile e bisognosa, e non volevo esserlo. Sentivo la sua ostilità, la respiravo come il venticello fresco delle ore più buie della notte. Tutti i miei muscoli erano in all’erta perché dentro di me fiutavo la tensione vibrante che precede un attacco. Ma la Johnson non mi avrebbe attaccato, non ne aveva motivo. No?

 

“Dovrei dirti grazie, credo”

Eravamo rimaste in silenzio per tutto il tempo, lo ruppi solo quando vidi sbucare a tutta velocità il Nottetempo dal fondo della strada. Lei non rispose subito, gli occhi fissi anche lei sull’autobus. “No, non dovresti.”

Mi voltai a fissarla. I suoi grandi occhi erano carichi di dolore ed odio, un odio che non ero più abituata a reggere. La mia bocca si spalancò per dire qualcosa ma il fischio della frenata dell’autobus frenò tutto quanto (di nuovo). Mi chinai per prendere la mia borsa e mentre pensava non la vedessi, notai Angelina asciugarsi velocemente gli occhi con il palmo tremante della mano sinistra. “Io…” dissi poi cercando parole che non esistevano nella mia mente. “…non capisco.”

“Vai.” Disse lei, con un cenno del capo.  

E io andai.

 

La fermata per Windlost è la prossima.

Mi trovo su un treno passeggeri da quasi due ore, alla stazione ci sono arrivata col Nottetempo e poi io e le mie grinzosissime chiappe ci siamo precipitate qui dopo aver ripetuto l’immancabile rituale magico del passaggio attraverso il muro, tra i binari 9 e 10, e ricacciato dentro il magone adolescenziale dell’ansia della scuola, l’odore di calca e libri, le grida di Daphne e gli sguardi severi di papà.

Avrei dovuto riposare per essere più attiva e lucida ma sono stata in bilico tutto il tempo tra la necessità del riposo e la possibilità di incontrare i fantasmi del mio quotidiano (mamma, papà, Daphne, Draco…) una volta chiusi gli occhi, sempre pronti a tormentarmi nel sonno, in queste ghiotte situazioni. Alla fine ho scelto le paure reali piuttosto che quelle oniriche.

Ho passato il tempo mangiando gallette e spiando le rughe del mio viso, cercando di memorizzarle per vedere se poi, da vecchia, le avrei ritrovate uguali.

Sì, forse sarebbe stato più dignitoso litigare con la mamma nel sonno. Considerando che visto come stanno le cose diventare vecchia non mi sembra tra gli scenari futuri più probabili.

Ad ogni modo il viaggio è andato avanti serenamente, l’unico momento divertente è stato quando un uomo più vecchio di me si è avvicinato ed ha sporto la testa all’interno della mia cabina, verso le otto del mattino; quando ha notato che tenevo la mano sulla bacchetta pronta ad usarla, ha replicato che era pronto anche lui a farlo (ovviamente non intendeva quella bacchetta). L’avrei schiantato se non m’avesse offerto una sigaretta babbana. Ho capito come si tira solo al quarto o quinto tiro, ho tossito per i prossimi tre, ho iniziato a prenderci gusto solo quand’era pressoché finita.

Il vecchio m’ha preso un po’ in giro poi se n’è andato lasciandomi tutto il pacchetto come regalo. Alla fine era un buon diavolo.

Osservando le mie mani noto che le macchie senili che la pozione vi aveva fatto crescere sono molto meno scure rispetto a prima. Sta già cambiando? Questo tipo di trasformazione non dura tantissimo, mi ha detto la Granger, al massimo tredici ore ed effettivamente facendo un paio di conti dovremmo quasi esserci. Dovrebbe coprirmi giusto il tempo di effettuare il cambio di treno a Windlost, uno dei momenti più critici vista la marasma di persone che ci sono sempre alla mattina, in stazione.

Per il resto del viaggio ho pronta una polisucco da prendere in caso di emergenza. E basta.

Un leggero vuoto allo stomaco mi comunica che il treno ha terminato la parte in cui è sospeso in aria e si sta riabbassando per atterrare sulle rotaie che babbani e mondo magico condividono. Stringo tra le dita la tracolla della borsa, sospirando ci siamo, e di concerto l’andatura del treno si fa più quieta, dalle finestre inizia a filtrare più sole (non siamo più protetti dagli incantesimi magici che ci nascondono dalla vista del mondo babbano), inizia il brusio tra i corridoi, le mamme chiamano a sé i figli e gli amici si ritrovano perché ci siamo davvero, è il momento di scendere. Inizia la frenata.

 

 

Draco’s POV

 

La stazione è gremita di persone. Ci sono arrivato in auto ma ad un certo punto il canale magico era terminato ed ho dovuto poggiare la macchina al suolo e proseguire per strada come un babbano qualunque. Arrivato sono stato immerso nella folla di persone che con un andirivieni pazzesco sale e scende, guarda, parla tra di loro o con uno strano coso nero appoggiato all’orecchio; sono davvero noiosi ed inquietanti, una massa di semi-automi che fissano il vuoto con delle strane cose appoggiate alle orecchie e tenute da un cerchietto.

Ho trovato subito, grazie a Salazar, il passaggio per il binario magico, proprio mentre uno stormo di ragazzine squittenti aveva iniziato a notarmi, apostrofando il mio mantello e ridendo tra loro. Le avrei schiantate volentieri tutte e pietrificato la stupida che ad alta voce mi chiedeva se fossi Dracula – chi cazzo è Dracula? - ma come ho detto, il passaggio magico si è rivelato ai miei occhi proprio in quei secondi ed ho preferito che si fottessero vicendevolmente piuttosto che perdere altro tempo.

La situazione dal versante magico non è tanto diversa comunque.

Cambiano l’abbigliamento, i discorsi, le facce, gli animali – curiosamente quasi assenti nel mondo babbano- ma non il numero delle persone. Mi trovo immerso in una folla chiacchierona ed affaccendata che parla forte e lascia poco spazio alla voce del pappagallo che annuncia i treni che vanno e che vengono. Spingo qualcuno, inciampo quasi sulla gabbietta di un gufo di una ragazzina che mi grida addosso di stare attento e per qualche secondo la sua stupida voce Mariot piccolo mio, stai bene? Sì? Ma certo che sì, quello stupido non ti ha fatto troppo male, vero? È nelle mie orecchie e si sovrappone a quella gracchiante del pappagallo.

“Treno in arrivo binario … craac…bina..ario”

Accidenti!

Una grossa frotta di persone invade il binario su cui mi trovo, vengo spinto in disparte e mi rifugio dietro una delle colonne in mattoncini rossi della stazione. Sono quelli scesi dall’ultimo treno arrivato e noto che sono subito distinguibili dagli altri della stazione: sono più eleganti, gli uomini hanno tutti bastoni da passeggio e mantelli ampi e drappeggiati con orli magistralmente definiti, le donne indossano cappelli da strega arricchiti con piume colorate, secondo l’ultima moda di Londra, le loro gonne sono spesso in tono col colore di quelle piume e il suono dei loro stivali riproduce quello che normalmente si sente a Diagon Alley il sabato mattina, giornata di shopping. Sì, devono essere i Londinesi.

“Scusi… Scusi!” domando ad un uomo barbuto e distinto appena sceso. “Da dove viene questo treno?”

Aggrotta il sopracciglio, spiandomi con un il suo monocolo “Da Londra, figliolo!”

Cazzo, avevo ragione. Non ho un secondo da perdere.

Cerco di spiare i loro volti ma ne ho già persi di vista una marea, Astoria potrebbe essermi passata sotto il naso mille volte, senza contare il fatto che è risaputo che il trio ama mascherarsi, e se l’hanno camuffata? Okay che per preparare una polisucco servono 22 giorni e loro non li hanno avuti ma potrebbero avere… che ne so, delle scorte, qualcosa di già pronto.

L’agitazione inizia a sconvolgere le mie viscere, parte da dentro e arriva alla pelle, mi rende nervoso, inizio a sudare leggermente e la ferita che ho riportato alla nuca battendo sulla terra del giardino Potter inizia a pulsare, confondendo i miei ragionamenti. E se non fosse per l’adrenalina che in questi casi prende il completo controllo dell’organismo, il mio stomaco ruggirebbe dalla fame. Sono ore che non metto qualcosa sotto i denti e l’alcool ha sicuramente peggiorato la situazione.

Impossibilitato dallo stare ancora fermo, inizio a girare velocemente, cercando di non farmi sfuggire nessun viso, girando a forza una o due donne che erano voltate e lasciandomi i loro commenti indignati alle spalle, poi proseguo veloce verso il prossimo gruppo, verso la prossima donna che, si volta, non è Astoria.

E se l’hanno tramutata in un uomo? Dovrei spiare gli occhi di tutti, sperare che qualcuno tradisca una movenza, anche lieve, femminile, notare segni di una trasformazione che si sta revertendo magari. Perché sono venuto da solo? Controllare tutti è impossibile, avrei potuto portare i miei servi, loro amano Astoria l’avrebbero cercata volentieri o perché no anche Slyter stesso! Chi meglio di un cucciolo fiuta la sua mamma? Idiota, idiota che sono!

Prendo dell’acqua dalla borraccia e mentre bevo veloce qualche sorso, sento su di me lo sguardo di qualcuno. È una sensazione breve ma intensa e mi volto subito in quella direzione: nessuno. Solo un branco di bambini urlanti intorno ad una scimmietta rossa rame che grida frasi sconce.

Con poca gentilezza li oltrepasso ed è solo in quel momento che vedo una donna che sta per impegnare il sottopassaggio: ha un aspetto diverso ma familiare ed un’andatura da cerva altera che riconoscerei tra mille. Scatto in avanti, rischio di perderla un paio di svolte ma la riaggancio, poi quando è finalmente nel sottopassaggio ed io con lei, corro per raggiungerla, lei aumenta il passo, svolta l’angolo e quando lo faccio anche io una gomitata ben assestata mi arriva tra la mandibola e la gola.

È poco potente e non basta a farmi perdere l’equilibrio ma non me l’aspettavo per cui arretro tra i colpi di tosse. “Che cazzo…”

“Allora ci avevo visto bene. Sei proprio tu!”

Rosso in viso, alzo lo sguardo. Ha la guardia in posizione e la bacchetta nella destra, l’aspetto di una donna anziana, i capelli strati di grigio e bianco, indossa vestiti modesti ma questo non mi impedisce di riconoscere la luce che emana dai suoi occhi cangianti, incastonati tra due palpebre dalla pelle spenta.

È lei.

Io tossisco ancora “Astoria… Devi...”

La sua espressione cambia velocemente. Abbassa la bacchetta ma non ha più lo sguardo incantato di poco fa, la freddezza che conosco, in lei, è calata nel suo viso mascherato. “Devo?” ripete “Cosa.”

Un ultimo colpo di tosse e un sorso d’acqua mi rimettono in sesto. Lei continua a guardarmi di sottecchi, tamburellando un piede a terra. “Il mio treno sta per partire, se hai da dirmi qualcosa ti consiglio di farlo ora.”

Si vede che si sforza di mantenere un’aria autoritaria. Sicuramente la sua maschera la aiuta, le vecchie hanno il dono innato della severità ma un tremolio sottile nella sua voce tradisce una qualche emozione. Che conosco bene.

“Se non mi avessi colpito non avrei bisogno di tossire. – le dico di rimando, a bassa voce- ad ogni modo…” mi blocco, fissandola negli occhi.

“Cosa, Draco?”

“Andiamo, parleremo meglio a casa.” Mi sporgo per prenderle un polso ma il suo braccio guizza via prima che possa afferrarlo.

“Stai scherzando, spero”

“Ti sembro in vena di scherzi? Diamoci una mossa, stiamo dando spettacolo.”

È vero. Molti passanti stanno iniziando a guardarci, incuriositi, e ci degnano di profonde occhiate prima di passare oltre. Stiamo rischiando. Se in stazione c’è un cazzo di stronzo che vuole farla fuori questo è il modo migliore per mettersi in mostra e un sottopassaggio il luogo ideale per lasciarci le penne. E lei lo sa.

“No” dice mordendosi un labbro. “Non lo farò”

“Nessuno ha chiesto la tua opinione”

“Vai al diavolo”

Si volta di scatto e sale velocemente i gradini che la portano al binario successivo con un’agilità che non apparterrebbe mai ad una signora di quell’età. Stupida ragazzina che non sa reggere nemmeno una parte.

Imprecando, la inseguo. Salgo con le i gradini e sul binario veniamo accolti dal gracchiante pennuto rosso “Treno Bristolage**! Par-ten-za! Tre minuti! Tre minuti! Craa”

“Accidenti” la sento imprecare ed accelera il passo verso il treno parcheggiato sulle rotaie, disperdendosi tra la folla che pure sta cercando di salire. Ma non le permetterò di farlo. L’afferro per un polso e, a forza, la costringo ad arretrare di alcuni passi, con me, la allontano dalla folla e la costringo a voltarsi.

È tra le mie braccia adesso. E non le abbandonerà tanto facilmente.

Le sue guance sono rosse di rabbia e noto che sono più distese di poco prima: la trasformazione sta cedendo. “Dobbiamo muoverci, ti stai trasformando - le ringhio, all’orecchio- ho la macchina qui fuori saremo lì in un istante… stai tranquilla” lei si dimena, nella mia stretta.

“Draco, lasciami. Non hai il diritto di farmi questo!”

“Ti sto salvando il culo, Greengrass, abbi un po’ di gratitudine” inizio a farle percorrere la strada a ritroso, quasi trascinandola, protetti dall’indifferenza totale degli astanti, completamente presi nei loro affari.

“No, io non voglio essere salvata, non voglio tornare a Londra, voglio andarmene dove loro mi hanno detto, io devo...”

“Tu devi venire con me, fine delle stronzate. Non mi frega un cazzo delle cose che t’hanno messo in testa”

Punta i piedi, ci ferma entrambi. Mi fissa, ansimante. “Lasciami” è un ordine a cui non obbedirò e lo sa. “Andiamo”

“Ti ho detto di lasciarmi, dannazione… perché sei venuto? Perché devi rovinare tutto!”

“Ti ho già detto che ti sto salvando.”

“Londra è troppo pericolosa per me.”

Mi arresto, per qualche secondo. Abbiamo quasi percorso tutti i gradini. “Al Manor starai al sicuro.” Una gomitata più forte delle altre riesce quasi a liberarla.

“Perché” mi dice, fissandomi negli occhi. Le rughe sul suo viso se ne stanno andando. I capelli si stanno scurendo. Ancora pochi minuti e la copertura salta.

“Sei mia moglie” è l’unica cosa che mi viene da dire.

“Non è vero.” I suoi occhi si fanno lucidi. “Io non sono niente per te. Non abbiamo nessun legame giuridico … né sentimentale. Lo sai che non hai il diritto di portarmi a casa tua contro la mia volontà”

“Treno Bristolage*! Par-ten-za! Un minuto!”

Il pappagallo rinnova la mia ansia. “Lo farai comunque. Verrai con me” le riaggancio le spalle e continuo a spingerla per le scale.  “Prova a dimenarti di nuovo e ti scaglio addosso l’imperio più grosso della tua esistenza, arriverai alla macchina camminando sui palmi delle mani, se mi andrà di fartelo fare”

“Io non obbedirò più a nessuno”  

Improvvisamente, facendo perno sulle mie braccia che la tengono stretta solleva le gambe e da un calcio nello stomaco ad un passante qualunque. “Che cazzo fai?” le domando, sapendo benissimo, in realtà, quello che aveva in mente di fare.

L’uomo rimbalza a terra ma è parecchio grosso e si solleva subito col busto “Che diavolo succede qui?”

E come mi aspettavo, non faccio in tempo a coprirle la bocca, a maledirla con un incantesimo, a trovare le parole giuste per convincerla, perché lei grida, ormai completamente se stessa, “Aiuto!!!”

In due si avventano su di me.

“Ragazzo, che stai facendo? Lasciala subito andare!” mi prendono per le braccia e lei si svincola, veloce come un’anguilla. Qualcuno mi restituisce il favore del colpo allo stomaco. Un pugno in faccia ed uno all’addome mi tolgono l’aria e faccio in tempo soltanto a vedere, dalla mia posizione, la sua figura risucchiata dal treno in partenza.

 

 

Astoria’s POV

 

Il treno è partito.

Quando sono entrata devo aver avuto un aspetto stravolto perché avevo decine di occhi puntati addosso; mi sono nascosta nel primo bagno che ho trovato. È un posto per lo più malsano e sporco ma non mi importa, ho chiuso la maniglia, ho messo il chiavistello ed ho pianto come una scema appoggiata alla porta, cercando di vincere la voglia che avevo di lasciarmi scivolare per terra.

Poi mi sono lavata la faccia e mi sono costretta a guardarmi, eccomi qua, di nuovo me stessa, riflessa in questo specchio opaco. La voce, le immagini, le mani di Draco tormentano la mia mente. Mi faccio forza, decido di non pensarci, mi prendo due secondi. I vestiti sono quello che sono, ma voglio truccarmi e sistemarmi i capelli, tiro fuori lo spazzolino per lavami i denti e poi mi tolgo la camicetta per rinfrescarmi.

Questa piccola toletta non cura i miei malanni e anche quando ho finito realizzo che l’unica cosa che vorrei è rimettermi a piangere. Astoria, basta con queste stronzate.

Un bel respiro; ma quando cerco di uscire la porta del bagno è bloccata.

“Oddio…” mugugno, cercando di ripetere con tranquillità i movimenti fatti per chiuderla. Sollevo la maniglia, il chiavistello, spingo… e niente.

I peli delle mie braccia iniziano a sollevarsi nella tipica orripilazione che precede il panico. Tasto la porta in metallo bianco e sento che c’è un peso appoggiato a bloccarla, che c’è qualcuno che la tiene chiusa, da fuori, con il suo corpo. “Dannazione…”

Mi passo una mano tra i capelli e sussurro, verso la serratura. “Apri immediatamente, stronzo, o la faccio brillare con la magia e salterà in aria il treno intero”

È chiaramente un bluff. Una cosa del genere avrebbe sul serio messo a repentaglio la vita dei passeggeri. Un’esplosione avrebbe potuto far deragliare il treno e farlo precipitare dai binari sospesi fino a cadere a terra, addirittura sopra interi villaggi babbani. Migliaia di vittime.

 È così chiaro che sia un bluff che lo stronzo non si sposa di un millimetro.

“D’accordo allora” carico contro la porta con una prima spinta. Nella seconda ci metto più forza e lo sento cedere appena, con un lieve lamento, e questo mi incoraggia, vado con la terza spinta e poi, sudata, inizio la quarta ma questa volta la mia forza incontra una resistenza inesistente.

Improvvisamente porta si apre senza quasi nessuno sforzo ed io mi sbilancio, cado miseramente a terra, ai piedi dell’uomo che la stava bloccando.

Ho battuto il seno e il gomito sul pavimento del treno e il sopracciglio nell’incontro con una delle sue scarpe.

“Pari.”

Non posso crederci.

Faccio per rialzarmi ma è lui stesso a prendermi per le braccia e a sollevarmi come fossi di piuma. I nostri occhi si incontrano di nuovo e le sue mani sono di nuovo intorno alle mie spalle: Draco.

L’orbita del suo occhio destro mi testimonia che anche lui deve aver avuto un incontro ravvicinato con qualcosa. Sotto i suoi occhi arroganti, mi sistemo la camicia e la borsa a tracolla. “Mi sono fatta male” gli dico, deglutendo.

“Per questo ho detto pari

Rido amaramente. “Certo.”

“Forza, cerchiamo la tua cabina”

 “Draco, stai esagerando. Io non mi muovo di un passo.” gli dico, fissandolo. “Che cosa cerchi di fare, Malfoy. Vuoi ammazzarmi?”

“Sei tu” sibila. “Che vuoi ammazzarci tutti. Andiamo nella tua cazzo di cabina e lì parleremo”

“Non scenderò dal treno prima della mia fermata e non tornerò a Londra con te.” Gli ringhio sottovoce, di rimando.

Perde la pazienza. Mi spinge in bagno ed io, colta di sorpresa, arretro finché non sono dentro, quindi chiude la porta e tira il chiavistello, a forza. “Bene, allora parleremo qui. Puzza di fogna ma è già da un pezzo che frequenti le fogne, vero Greengrass?”

Mi mordo il labbro “Da quando ho lasciato il Manor, ho smesso, in realtà”

Lui ride e si avvicina a me. “Perché hai fatto quella scenata?” grida “potevamo tornare a casa e invece adesso siamo su uno schifoso treno diretti in un buco di culo del regno Unito!”

“Perché questo è il piano! Si tratta delle mie decisioni e tu da quando sei uscito da quella stanza- avrei voluto contenerle, ma due lacrime sfuggono dal mio controllo- non ne sei più parte.”

“Ah no” sibila, come un serpente. “Io sono tornato, in quella stanza.”

“Bugiardo.”

“… tu non c’eri.” La sua destra scatta intorno al mio polso. “Non-chiamarmi-bugiardo”

Il treno aumenta di velocità. Rimanere in piedi come se nulla fosse risulta essere faticoso. “Hai avuto paura”

                                                                           “Detto da miss-in-fuga, poi”                                       

“D’accordo. Non parleremo più di quella stanza d’ospedale.” sentenzio. “È chiaro che ognuno ha la sua verità- lui non mi contraddice, ed io proseguo – e adesso lasciami il polso, continui a farmi male.”

Lentamente le sue dita mollano la presa ma scendono più in basso a stringere la mia mano. La osserva, come se fosse qualcosa che non aveva mai visto prima. “Quindi non era vero.”

Un lieve capogiro mi coglie e i ragazzi biondi vestiti di nero diventano due, in questo piccolo bagno. “A che cosa ti riferisci…”

“Lascia perdere. L’hai detto tu, no? Di non parlare più di quella stanza. Beh non lo faremo. Non ne parleremo più.”

Draco si è calmato. Con il palmo della mano si asciuga delle piccole gocce di sudore che gli hanno solcato la fronte. “Sta bene, faremo come dici tu. Andremo fin dove cazzo devi andare con questo lurido treno.”

Ammetto di essere un po’ spaesata. “Non devi farlo per forza. Questa è la mia fuga, non la tua…Hai il tuo lavoro e…”

“Non andrò da nessuna parte e non ho voglia di perdere tempo a parlarne. A meno che non sia questo il vero problema. Forse tu non mi ritieni capace.”

Come se il vero treno avesse cambiato direzione e mi avesse travolta. “Cosa?”

“Sei corsa da loro perché non pensavi che io potessi proteggerti e nemmeno adesso che sono qui, che ho fatto…”

“Sono corsa da loro perché pensavo di essere sola.” Inconsapevolmente, quasi, stringo la sua mano che ancora indugiava nella mia. Lui fa per togliere la sua mano, ma io glielo impedisco, la stringo, forte, tra le mie dita, finché il contatto con le sue ossa mi fa quasi male.

Qualcuno bussa alla porta. Dobbiamo uscire ed io lo precedo nella camminata verso la mia cabina, sotto lo sguardo indignato della signora che aveva bussato e che reggeva in braccio una bambina col moccio al naso.

“Svergognati.”

 

 

Draco’s POV

 

Dorme da un’ora, con la testa appoggiata alle mie gambe. Il sole opaco sta scendendo. Abbiamo appena un’ora di viaggio prima di scendere. No, non è Bristolage la nostra meta, è North Wessex.

La fisso ancora un po’ giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.

Una smorfia di dolore mi fa ricordare che forse dovrei chiederle di cambiare posizione, così piano la sposto e mi tiro su la manica della camicia per scoprire il  punto dell’avambraccio che sento tanto indolenzito.

Pulsa terribilmente. La pelle sa di fuoco, dov’era il Marchio.

Il male non muore mai.

 

 

now take off your shoes and relax
sell by auction all your regrets
remember you are not yet born

welcome my boy to babylon!

[A toy Orchestra]

 

 

Fine decimo capitolo.

 

 

 

 

*citazione, da una delle mie serie preferite.

** corrisponde alla città babbana di Bristol

Mi sono presa molto (forse troppo)tempo per pensare a come poteva evolvere questa storia e alla fine sono arrivata alla conclusione che una vera e propria conclusione non ci sarebbe mai stata. Il Male farà sempre parte di Draco, perchè è nella sua pelle, ma sceglie Astoria, la insegue e a suo modo, la supporta nella sua fuga. Ci saranno sempre nuove battaglie, nel mondo dei maghi, e non sempre sarà semplice per lui decidere la parte giusta, ma ha scelto lei, e su questo non tornerà indietro.

  
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