Disclaimer:
I personaggi di Lady
Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di
Ryoko Ikeda.
IV
– 14 Luglio 1788
Non
c'è più aria nella stanza, sembra essere stata
completamente risucchiata da una
forza misteriosa. Si fronteggiano trattenendo il respiro, ciascuno
scorgendo
negli occhi dell'altro tracce di un ricordo che ha assunto la
consistenza di
emozioni mai sopite, maldestramente ricacciate in angoli reconditi
della
coscienza.
Il
viso di lui, contratto in un'espressione
di infinita tristezza, si sovrappone a quello che tanti anni prima le
ha
lacerato il cuore. Incontenibili scorrono lacrime silenziose sulle gote
di lei,
lacrime che non può spiegare, non senza abbattere l'ultimo
baluardo a guardia
del suo segreto. Così si prepara ad accogliere su di se
l'onda di piena,
disarmata. Sa che la tristezza di lui lascerà presto il
posto alla rabbia,
rinvigorita dal ricordo di fatti che gli suggeriscono una sola lettura.
Lei
coglie immediatamente i sintomi del cambiamento, come segni su un
pentagramma
che cambiano la dinamica da mezzo-piano a fortissimo, così
vede la mascella
irrigidirsi, le labbra serrarsi in una linea sottile, gli occhi
chiudersi
preludendo a ciò che verrà.
Deve
attendere solo un attimo prima di
sentire entrambi i polsi stretti nella morsa feroce di lui che ora la
guarda
con occhi fiammeggianti. Poi, con un movimento deciso quanto repentino,
inverte
le loro posizioni. Ora la schiena di lei è schiacciata
contro la parete, le
braccia alzate sopra la testa, i polsi ancora imprigionati dalle sue
mani forti.
Si sente percorrere da brividi che la scuotono, non sa dire se sia per
il
freddo della parete o per il corpo bollente d'ira di lui che le preme
contro o
ancora, per paura delle parole di condanna che pure si aspetta.
Lui
la sovrasta in tutta la sua statura, ma tiene il capo chinato a cercare
il suo
sguardo. La vuole guardare negli occhi mentre le descrive il suo
inferno
personale.
«Vedo
che anche tu ricordi ciò che pretendi
non sia mai successo. Mi hai tolto il diritto di chiederti spiegazioni,
e mi sono
adeguato. Ma ora mi stai chiedendo di uscire dalla tua vita, e non ho
più
motivo di non chiedertene conto. Perciò Oscar, se hai
qualcosa da dirmi, questo
è il momento. E bada bene, non mi accontenterò di
un "mi dispiace"!».
«Così
mi fai male, Andrè».
Lui
allenta un poco la presa senza smettere di guardarla.
«Allora?
Sto aspettando Oscar».
Lei,
che finora ha retto il suo sguardo, gira
la testa verso sinistra in un gesto di diniego, e rimane
così, muta, lo sguardo
perso lontano.
«Come
immaginavo. Non mi darai nessuna risposta. Troppo orgogliosa per
ammettere di
avermi usato solo per toglierti un capriccio. Vorrà dire che
ascolterai quello
che ho da dire io, Oscar. Ma voglio che mi guardi, almeno questo me lo
devi».
Lei,
annientata, solleva il viso con riluttanza,
guardandolo come la preda braccata guarda il cacciatore implorandolo di
risparmiarla.
«Per
anni ho sperato che il tuo rifiuto di allora non fosse altro che la
paura di
affrontare i tuoi sentimenti. Per anni mi sono illuso che un giorno
avresti
trovato la forza e il coraggio di farci i conti e saresti tornata da
me. Sono
un servo tracotante Oscar, e come Icaro ho volato troppo vicino al
sole. Perché
questo sono per te, alla fine dei conti, un servo. Uno con cui un
giorno hai
deciso che potevi toglierti la curiosità di sapere
com'è un bacio, senza
peraltro chiederlo perché non è necessario
chiedere a un servo, semplicemente
prendendoti ciò che volevi».
Lei
ha gli occhi sgranati dall'orrore che
suscita la cruda ricostruzione dei fatti, che non dà scampo,
che non offre lo
spiraglio di un'attenuante. Vorrebbe avere le braccia libere, per
portarsi le
mani alle orecchie e rifiutarsi di ascoltare oltre, o per stringerlo in
un
abbraccio che avesse il potere di fargli capire il suo cuore.
«Una
volta soddisfatta la tua curiosità, hai
girato i tacchi e hai proseguito per la tua strada imperterrita,
lasciando me a
raccogliere i cocci del mio cuore a brandelli. Perché a me
tu non ci hai mai
pensato, vero? Si è trattato di me solo perché
ero accessibile. Invece io non
ho potuto fare a meno di pensarci ogni giorno da allora, e ti ho
guardato
innamorarti di lui senza poterti dire che anch'io ti amavo, che ti
amo».
L'ha
sempre saputo lei, ma è la prima volta che glielo sente dire
e l'effetto è
devastante. Apre la bocca nell'atto di dire qualcosa, qualsiasi cosa
che possa
cancellare tutto quel dolore, che è anche il suo. Ma nessuna
parola viene in
suo soccorso, perché forse nemmeno le parole servirebbero
più. Lui è un fiume
in piena che ha rotto gli argini ed è ormai incontrollabile.
«Allora
ti dissi che ti volevo, quello che
non sai, o forse sì, è che ti volevo da prima e
che ti ho voluto ogni giorno
dopo. Che ti voglio anche adesso. Perché la differenza tra
l'amicizia e l'amore
sta tutta qui Oscar. Perché il rispetto, la
lealtà, la complicità sono comuni a
entrambi, ma il desiderio è proprio solo dell'amore e non
può esistere l'uno
senza l'altro. Ed io ti amo Oscar, credo di averti sempre amato. Hai
preteso di
sapere qual è il sapore di un bacio, cosa si prova a
sentirsi desiderati. Ma
lascia che ti dica una cosa, Oscar».
Le
libera i polsi, lei abbassa le braccia intorpidite ma non si muove,
né oppone
resistenza quando lui le prende il viso tra le mani e si china a
lambirle
l'orecchio con le labbra come per confidarle un segreto.
«Non
esiste il sapore di un bacio. Quello che hai conosciuto è il
mio sapore, quello
che hai sentito è il mio desiderio e qualsiasi cosa tu abbia
provato, l'hai
provata per me».
Non
ha altro da aggiungere Andrè, ma nessuno
dei due accenna a volersi muovere. Lei, annientata dalle sue parole,
trova solo
la forza di premere la guancia contro quella di lui che indugia ad
inspirare
un'ultima volta il profumo buono dei sui capelli. Infine si ritrae, le
sue mani
a incorniciarle ancora il viso, il pollice che ora disegna il contorno
delle
sue labbra. Sa che è l'ultimo contatto, un addio.
Ma
vuole che sia a modo suo, vuole prendere anche lui senza chiedere. Ed
è già
sulle sue labbra, con la voracità di chi ha digiunato troppo
a lungo, si
appropria della sua bocca e si sorprende nel sentirla rispondere con
altrettanta foga. E' un bacio disperato il suo, che ora scende con la
mano sul
seno di lei, a saggiarne la consistenza da sopra la stoffa della
camicia. Sa
che non può andare oltre, che è il momento di
lasciala andare, ma il desiderio
morde la carne e lui fatica a contenersi. Chiude la mano sulla stoffa
della
camicia di lei in un pugno chiuso, le nocche bianche dallo sforzo di
trattenersi, di trovare il coraggio di allontanarsi.
Poi
succede, non le è più addosso. Il capo
chino, le braccia lungo i fianchi, fra le dita un brandello di morbida
seta che
ha strappato in un gesto liberatorio nell'atto di staccarsi da lei.
Lo
lascia cadere e lo guarda fluttuare prima che si posi distrattamente
sul
pavimento. Non torna a guardarla. Si gira e si incammina verso la
porta. Ha già
la mano sulla maniglia quando, senza voltarsi, le rivolge le ultime
parole.
«Non
temere Oscar, non sarei mai andato
oltre. Benché ubriaco, non mi sarei mai preso con la forza
ciò che mi è già
stato rifiutato una volta. Ora, se vuoi scusarmi, ho una sbornia da
smaltire e
le mie cose da raccogliere. Domattina sarò fuori dalla tua
vita come desideri».
Il
tono è rassegnato, stanco, non c'è più
traccia dell'animosità di prima. La
porta si richiude con un tonfo sordo e lei rimane sola nella stanza.
Non si è
ancora mossa, ma ora si sente come svuotata, a stento si regge sulle
gambe.
Lascia scivolare la schiena lungo la parete, fino a ritrovarsi
accovacciata sul
pavimento. Si porta le mani alla testa premendole forte, a zittire la
voce di
lui che ancora le rimbomba dentro col suo "ti amo" a straziarle il
cuore. E il dubbio di aver sbagliato tutto si insinua prepotente. Ha
rinunciato
a lui per salvarlo, proteggerlo, per dargli la possibilità
di essere felice, ma
quello che ha visto questa notte è l'antitesi di
ciò che voleva ottenere.
Senza
nemmeno accorgersene si ritrova a
ripercorrere i passi che l'hanno portata alla sua decisione, tanto
tempo fa.
Cosa è andato storto? Dove ha sbagliato? Non era forse la
cosa più sensata da
fare dopo aver compreso ciò che avrebbe comportato seguire
il suo cuore?
Ricorda
che era stato in primavera, verso la fine di Marzo, perché
faceva ancora
freddo, ma non molti giorni dopo le rose avevano già messo i
boccioli.