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Autore: zappolo70    26/05/2015    17 recensioni
ATTENZIONE: storia già pubblicata fino al capitolo VII ora completata (12 capitoli). Si avvisa che TUTTI i capitoli sono stati rimaneggiati e sono stati aggiunti riferimenti temporali per aiutare a seguire più agevolmente il dispiegarsi della storia.
La storia propone un what if inusuale e grande come una casa. Una rilettura personale della storia di Oscar e Andrè che mantiene grossomodo l’ossatura della storia e l’evoluzione temporale, anche se non fedelmente per esigenze narrative, stravolgendone però l’interpretazione alla luce di un presupposto nuovo.
Buona lettura a chi vorrà cimentarsi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi di Lady Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di Ryoko Ikeda.

IV – 14 Luglio 1788

Non c'è più aria nella stanza, sembra essere stata completamente risucchiata da una forza misteriosa. Si fronteggiano trattenendo il respiro, ciascuno scorgendo negli occhi dell'altro tracce di un ricordo che ha assunto la consistenza di emozioni mai sopite, maldestramente ricacciate in angoli reconditi della coscienza.

Il viso di lui, contratto in un'espressione di infinita tristezza, si sovrappone a quello che tanti anni prima le ha lacerato il cuore. Incontenibili scorrono lacrime silenziose sulle gote di lei, lacrime che non può spiegare, non senza abbattere l'ultimo baluardo a guardia del suo segreto. Così si prepara ad accogliere su di se l'onda di piena, disarmata. Sa che la tristezza di lui lascerà presto il posto alla rabbia, rinvigorita dal ricordo di fatti che gli suggeriscono una sola lettura.

Lei coglie immediatamente i sintomi del cambiamento, come segni su un pentagramma che cambiano la dinamica da mezzo-piano a fortissimo, così vede la mascella irrigidirsi, le labbra serrarsi in una linea sottile, gli occhi chiudersi preludendo a ciò che verrà.

Deve attendere solo un attimo prima di sentire entrambi i polsi stretti nella morsa feroce di lui che ora la guarda con occhi fiammeggianti. Poi, con un movimento deciso quanto repentino, inverte le loro posizioni. Ora la schiena di lei è schiacciata contro la parete, le braccia alzate sopra la testa, i polsi ancora imprigionati dalle sue mani forti. Si sente percorrere da brividi che la scuotono, non sa dire se sia per il freddo della parete o per il corpo bollente d'ira di lui che le preme contro o ancora, per paura delle parole di condanna che pure si aspetta.

Lui la sovrasta in tutta la sua statura, ma tiene il capo chinato a cercare il suo sguardo. La vuole guardare negli occhi mentre le descrive il suo inferno personale.

«Vedo che anche tu ricordi ciò che pretendi non sia mai successo. Mi hai tolto il diritto di chiederti spiegazioni, e mi sono adeguato. Ma ora mi stai chiedendo di uscire dalla tua vita, e non ho più motivo di non chiedertene conto. Perciò Oscar, se hai qualcosa da dirmi, questo è il momento. E bada bene, non mi accontenterò di un "mi dispiace"!».

«Così mi fai male, Andrè».

Lui allenta un poco la presa senza smettere di guardarla.

«Allora? Sto aspettando Oscar».

Lei, che finora ha retto il suo sguardo, gira la testa verso sinistra in un gesto di diniego, e rimane così, muta, lo sguardo perso lontano.

«Come immaginavo. Non mi darai nessuna risposta. Troppo orgogliosa per ammettere di avermi usato solo per toglierti un capriccio. Vorrà dire che ascolterai quello che ho da dire io, Oscar. Ma voglio che mi guardi, almeno questo me lo devi».

Lei, annientata, solleva il viso con riluttanza, guardandolo come la preda braccata guarda il cacciatore implorandolo di risparmiarla.

«Per anni ho sperato che il tuo rifiuto di allora non fosse altro che la paura di affrontare i tuoi sentimenti. Per anni mi sono illuso che un giorno avresti trovato la forza e il coraggio di farci i conti e saresti tornata da me. Sono un servo tracotante Oscar, e come Icaro ho volato troppo vicino al sole. Perché questo sono per te, alla fine dei conti, un servo. Uno con cui un giorno hai deciso che potevi toglierti la curiosità di sapere com'è un bacio, senza peraltro chiederlo perché non è necessario chiedere a un servo, semplicemente prendendoti ciò che volevi».

Lei ha gli occhi sgranati dall'orrore che suscita la cruda ricostruzione dei fatti, che non dà scampo, che non offre lo spiraglio di un'attenuante. Vorrebbe avere le braccia libere, per portarsi le mani alle orecchie e rifiutarsi di ascoltare oltre, o per stringerlo in un abbraccio che avesse il potere di fargli capire il suo cuore.

«Una volta soddisfatta la tua curiosità, hai girato i tacchi e hai proseguito per la tua strada imperterrita, lasciando me a raccogliere i cocci del mio cuore a brandelli. Perché a me tu non ci hai mai pensato, vero? Si è trattato di me solo perché ero accessibile. Invece io non ho potuto fare a meno di pensarci ogni giorno da allora, e ti ho guardato innamorarti di lui senza poterti dire che anch'io ti amavo, che ti amo».

L'ha sempre saputo lei, ma è la prima volta che glielo sente dire e l'effetto è devastante. Apre la bocca nell'atto di dire qualcosa, qualsiasi cosa che possa cancellare tutto quel dolore, che è anche il suo. Ma nessuna parola viene in suo soccorso, perché forse nemmeno le parole servirebbero più. Lui è un fiume in piena che ha rotto gli argini ed è ormai incontrollabile.

«Allora ti dissi che ti volevo, quello che non sai, o forse sì, è che ti volevo da prima e che ti ho voluto ogni giorno dopo. Che ti voglio anche adesso. Perché la differenza tra l'amicizia e l'amore sta tutta qui Oscar. Perché il rispetto, la lealtà, la complicità sono comuni a entrambi, ma il desiderio è proprio solo dell'amore e non può esistere l'uno senza l'altro. Ed io ti amo Oscar, credo di averti sempre amato. Hai preteso di sapere qual è il sapore di un bacio, cosa si prova a sentirsi desiderati. Ma lascia che ti dica una cosa, Oscar».

Le libera i polsi, lei abbassa le braccia intorpidite ma non si muove, né oppone resistenza quando lui le prende il viso tra le mani e si china a lambirle l'orecchio con le labbra come per confidarle un segreto.

«Non esiste il sapore di un bacio. Quello che hai conosciuto è il mio sapore, quello che hai sentito è il mio desiderio e qualsiasi cosa tu abbia provato, l'hai provata per me».

Non ha altro da aggiungere Andrè, ma nessuno dei due accenna a volersi muovere. Lei, annientata dalle sue parole, trova solo la forza di premere la guancia contro quella di lui che indugia ad inspirare un'ultima volta il profumo buono dei sui capelli. Infine si ritrae, le sue mani a incorniciarle ancora il viso, il pollice che ora disegna il contorno delle sue labbra. Sa che è l'ultimo contatto, un addio.

Ma vuole che sia a modo suo, vuole prendere anche lui senza chiedere. Ed è già sulle sue labbra, con la voracità di chi ha digiunato troppo a lungo, si appropria della sua bocca e si sorprende nel sentirla rispondere con altrettanta foga. E' un bacio disperato il suo, che ora scende con la mano sul seno di lei, a saggiarne la consistenza da sopra la stoffa della camicia. Sa che non può andare oltre, che è il momento di lasciala andare, ma il desiderio morde la carne e lui fatica a contenersi. Chiude la mano sulla stoffa della camicia di lei in un pugno chiuso, le nocche bianche dallo sforzo di trattenersi, di trovare il coraggio di allontanarsi.

Poi succede, non le è più addosso. Il capo chino, le braccia lungo i fianchi, fra le dita un brandello di morbida seta che ha strappato in un gesto liberatorio nell'atto di staccarsi da lei.

Lo lascia cadere e lo guarda fluttuare prima che si posi distrattamente sul pavimento. Non torna a guardarla. Si gira e si incammina verso la porta. Ha già la mano sulla maniglia quando, senza voltarsi, le rivolge le ultime parole.

«Non temere Oscar, non sarei mai andato oltre. Benché ubriaco, non mi sarei mai preso con la forza ciò che mi è già stato rifiutato una volta. Ora, se vuoi scusarmi, ho una sbornia da smaltire e le mie cose da raccogliere. Domattina sarò fuori dalla tua vita come desideri».

Il tono è rassegnato, stanco, non c'è più traccia dell'animosità di prima. La porta si richiude con un tonfo sordo e lei rimane sola nella stanza. Non si è ancora mossa, ma ora si sente come svuotata, a stento si regge sulle gambe. Lascia scivolare la schiena lungo la parete, fino a ritrovarsi accovacciata sul pavimento. Si porta le mani alla testa premendole forte, a zittire la voce di lui che ancora le rimbomba dentro col suo "ti amo" a straziarle il cuore. E il dubbio di aver sbagliato tutto si insinua prepotente. Ha rinunciato a lui per salvarlo, proteggerlo, per dargli la possibilità di essere felice, ma quello che ha visto questa notte è l'antitesi di ciò che voleva ottenere.

Senza nemmeno accorgersene si ritrova a ripercorrere i passi che l'hanno portata alla sua decisione, tanto tempo fa. Cosa è andato storto? Dove ha sbagliato? Non era forse la cosa più sensata da fare dopo aver compreso ciò che avrebbe comportato seguire il suo cuore?

Ricorda che era stato in primavera, verso la fine di Marzo, perché faceva ancora freddo, ma non molti giorni dopo le rose avevano già messo i boccioli.

  
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